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Recensione
Vi voglio far leggere l’articolo di Jessica Chia: “La bidella e il professore: l’amore c’è ma non si vede”, pubblicato nel Corriere della Sera, La lettura, 7 – 4 – 2024.
E’ la recensione di un nuovo romanzo di Marco Lodoli, titolato: “Tanto poco”, edit. Einaudi, pag. 93, euro 15. (Marco Lodoli, Roma, 1956, è insegnante di Letteratura italiana, nella scuola superiore, scrittore e giornalista).
L'articolo della Chia mi fa pensare a tante eroiche illusioni d’amore che rimangono segrete.
“In una scuola alla periferia di Roma, la vita di una donna viene segnata dall’arrivo di un giovane docente, svampito e riccioluto. Per trent’anni lui, senza rendersene conto, sarà il centro della vita di lei.
Si può amare qualcuno senza parlare, senza mostrarsi, nascondendosi dietro a una vita immobile, mai vissuta, solo sfiorata? Forse sì, se quell’amore solo pensato prende il posto della vita stessa. È così che vive una bidella — il suo nome non esiste, come a volte sembra non esistere lei — che lavora in una scuola di Torre Maura, quartiere periferico di Roma. Luogo dove incontra, un anno dopo la sua assunzione, Matteo, un giovane professore di Lettere, capelli ricci disordinati, un po’ svampito, di cui lei s’innamora fin dal primo sguardo nell’atrio dell’istituto dove insieme lavoreranno per trent’anni. E dove per trent’anni si daranno sempre del lei.
Potrebbe essere solo questa la trama. Nel mezzo, non accade niente. Eppure, questa storia racconta l’assenza di vita riempita da un amore ossessivo.
La vicenda è raccontata in prima persona dalla bidella che ripercorre la sua vita dal primo incontro con Matteo. All’inizio sembra non esserci nulla. Come una piuma leggera caduta per caso su una pozzanghera di fango, lei vive schiva in un contesto di modesta ordinarietà, senza far rumore, parlando solo quando è necessario, appagata dal lavoro, della sua piccola casa a trecento metri dalla scuola, dell’unica sigaretta che fuma la mattina alle sette prima di entrare. Da un cespuglio di margherite che ha piantato nel cortile dell’istituto e di cui nessuno si è mai accorto. Ha solo un’amica, Mirella, con la quale esce raramente. Non è particolarmente attratta dagli uomini e l’unico amante che ha nella vita è un uomo più giovane di lei. Un’ombra come lei.
Tutto è molto grigio e ripetitivo. Ma quel tutto prende una luce diversa dal momento in cui Matteo entra per la prima volta a scuola: «Non so perché mi sono aggrappata così forte a quel ragazzo, come se di colpo fosse tutta la mia vita. Non lo so e forse nessuno saprebbe spiegarlo, forse c’era un vuoto e lui lo ha occupato interamente. Sì, avevo una casa, un lavoro, qualche amica, ma mi sembrava di non avere niente, che tutto ormai sarebbe stato così, giorno dopo giorno, secondo un ordine che rassicurava e faceva male».
In una Roma popolare e un po’ decadente — scenario costante nelle opere di Lodoli — senza precisi riferimenti temporali, si muovono i due protagonisti. Tutte le azioni di lei avvengono in funzione della vita di lui. E lei lo ama in silenzio, da lontano, in un angolo, annullandosi. Anche se in trent’anni si parleranno sì e no due volte: «Mi ha detto grazie, tenga Caterina, per la prima volta mi ha chiamato per nome e io ho sentito un brivido che precipitava dalla testa ai piedi, come una crepa che si apriva nel ghiaccio. Di niente, ho detto, ed ero felice, mi sembrava di esistere veramente, di aver ricevuto dall’universo il permesso di sognare, di amare, anche se non mi chiamo Caterina».
Lui, nel frattempo, tenta la carriera di scrittore, ma è un percorso fallimentare, da un debutto caloroso a una stroncatura dopo l’altra. E lei compra i suoi libri, ritaglia gli articoli su di lui, lo segue, di nascosto, a ogni presentazione. Lui è criticato a scuola per le sue lezioni «fasulle», in cui non insegna contenuti ai ragazzi ma li fa esercitare con la fantasia, e lei per stargli accanto fa gli stessi compiti assegnati agli studenti, legge gli stessi libri, prova a studiare nonostante le difficoltà legate alla bassa estrazione culturale. E la vita corre così — trent’anni di attesa in poco meno di cento pagine di romanzo —: lui si sposa con una giovane insegnante, fanno tre figli. E lei lo segue al matrimonio, passa le giornate sotto la sua casa nuova, camuffata con sciarpe o cappelli, lo cerca al lago con i suoi bambini. Adatta la sua casa come se un giorno lui dovesse andare a vivere da lei.
Nel silenzio La donna vive senza fare rumore, parlando solo quando serve, appagata dal lavoro, dalla piccola casa a trecento metri dall’istituto
Sogna «Caterina», e in quei sogni annulla le azioni, i desideri, sé stessa. C’è solo Matteo, che nel frattempo porta la sua esistenza a una disfatta inesorabile. Insoddisfatto, irrequieto, idealista al limite della fanciullezza, inizia a distruggere tutto quello che ha costruito. Si affaccia sul baratro e, infine, scivola nell’autodistruzione. E lei resta lì, a «salvarlo» da lontano: «Ma quando l’amore è come il mio, soltanto un infinito sogno solitario, un insulto all’infelicità, uno sputo in faccia al destino, allora alza le sue fiamme fino al cielo, brucia e purifica tutto e non si spegne mai, non diventa mai un fuoco in un caminetto che scalda e calma, che illumina una casa fortunata».
E ogni cosa si consuma in una manciata di pagine finali, dove sembra accadere tutto. Ma non accade. Quello che Lodoli riesce a fare in "Tanto poco" è dare vita a una storia attraverso le non azioni della sua protagonista, che trova l’unico e solo senso in questo amore di fede e devozione, avvolto nel sudario del suo assillo.
E in questo delirio di venerazione non c’è posto per l’attrazione fisica: anche la sessualità sembra essere qualcosa di conturbante. I rapporti di «Caterina» hanno a che fare o con qualcosa di orribile o con qualcosa di meccanico. C’è solo una donna a cui è concesso il desiderio, ed è la moglie di Matteo, che viene descritta fin da subito attraverso i suoi seni e i suoi fianchi: «Faceva crescere il desiderio con le piccole astuzie che ogni donna conosce e sa recitare, ma io no».
Non accade niente, eppure accadono i giorni che passano, le stagioni che si alternano, in un ritmo silenziosamente cadenzato. E non solo Matteo cade nei meandri del disfacimento, ma c’è un lato oscuro che emerge nella protagonista con piccole scene quasi surreali — visioni di creature che sembrano saltate fuori da un circo — e con momenti di violenza ingiustificata, come pugni di terra gettati negli occhi, e che colpiscono il lettore nel mezzo di un apparente «candore».
E, nonostante tutto, lei non sente di aver vissuto invano, aggrappata a una follia che le ha dato un senso: «Ma io sono stata sempre qui, ferma, radice piantata in una devozione che forse è amore e forse è solo paura». E «Caterina» arriva a citare una frase di Arthur Rimbaud che basterebbe, da sola, a descriverla: Par délicatesse/ j’ai perdu ma vie («Per delicatezza/ ho perduto la mia vita»). Nascosta dietro alla fragilità, arrugginita dal fluire del tempo su un corpo immobile, lei sente che può bastare anche un attimo solo per dare un senso a tutto: ‘Esistiamo così tanto poco, ma esistiamo’."
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Anche se platonico, surreale, impossibile e nascosto....un Amore ci fa vivere. Amare ci tiene in Vita.
Quando si smette, di amare, lentamente ci spegniamo.
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Cono ha scritto
Citazione:
Anche se platonico, surreale, impossibile e nascosto....un Amore ci fa vivere. Amare ci tiene in Vita.
Quando si smette, di amare, lentamente ci spegniamo.
Parole “sante” le tue. Penso che anche Vega questa volta ti darebbe ragione.
Quello di “Caterina” (nome del personaggio del romanzo citato nella recensione) è amore ?
A parer mio no ! L’amore presuppone conoscenza, condivisione, intimità, fiducia, stima, tenerezza e tanto altro.
Il patetico amore di Caterina è una trasposizione figurata di una sua illusione che non deve diventare reale, per rimanere oniricamente felice e perfetta. Per questo ha idealmente “scelto” Matteo per il suo amore impossibile.
Caro Cono, a proposito di amore platonico…, questo è un sentimento che non coinvolge la sessualità, non implica il rapporto sessuale con la persona amata, si basa sulla connessione intellettuale tra due persone.
Nell’ambito della psicologia l'espressione “amore platonico” allude ad una relazione basata sull’immaginario, che ha la capacità di togliere tutti i paletti della realtà e di far vivere il perfetto amore.
Una relazione di tal genere è come vivere in un film dove si è sempre lieti con il/la partner, senza mai dover affrontare la sofferenza, la tristezza e le difficoltà della vita.
Il cosiddetto “amore platonico” prende il nome dal filosofo greco Platone (vissuto ad Atene fra il 428 a. C. e il 348 a.C.), che lo ha teorizzato in una delle sue opere più famose, il "Simposio" (in lingua greca Sympòsion) o “Convito”, in altre parole un allegro banchetto gastronomico con famosi personaggi, ai quali espose la propria teoria su Eros (Amore), che induce l’anima ad elevarsi dalla bellezza sensibile a quella ideale, l’iperuranio: dal greco “hyperurànios (significa sopra il cielo). E’ un concetto della dottrina platonica che indica un luogo ideale oltre lo spazio: è una dimensione metafisica, aspaziale e atemporale, dunque spirituale.
Per comprendere l’opinione di questo filosofo sull’amore è necessario considerare la concezione che lui ha dell’individuo: un essere diviso a metá tra anima e corpo. E l’amore, forza mediatrice in grado di unire il sensibile e il soprasensibile, permette di trascendere la condizione umana. Attraverso i vari gradi della bellezza, eleva l’anima fino a raggiungere la Bellezza ideale.
Platone descrive Eros, l’amore personificato, come una creatura che non possiede la bellezza ma aspira a raggiungerla.
Nel “Simposio” Platone esamina la proposta del commediografo Aristofane, secondo cui il bisogno di amare corrisponde alla ricerca da parte dell’uomo di ricomporre l’unitá originaria in cui coesistevano entrambe le parti: “le due metà della mela”. Amare è quindi desiderare ciò di cui si sente la mancanza affinché venga ricreata l’armonia originale.
Cono, ma anche a te l’amore platonico evoca i trovatori provenzali e “l’amor cortese” oppure l’amore di Dante per Beatrice ?
Anche i trovatori di lingua d’oil cantavano il loro amore sublimato per la castellana, la moglie del feudatario.
Torno alla filosofia.
Nel "Fedro" Platone continua il discorso sull'amore.
Il filosofo distingue l'anima in tre parti:
la parte concupiscibile, che ha sede nell’addome, da cui originano tutti gli impulsi ad agire;
la parte razionale, che ha sede nel cervello, domina gli impulsi e gli istinti;
la parte irascibile, che ha sede nel petto, è la parte coraggiosa che aiuta la ragione a controllare la parte concupiscibile.
Ancora nel "Fedro", Platone per spiegare la sua teoria della reminiscenza dell’anima (un fenomeno che durante la reincarnazione produce ricordi legati alla vita precedente) esemplifica facendo ricorso al mito del carro e dell’auriga.
Descrive l’anima come un antico carro da guerra, tipo il cocchio, che vola nel cielo.
L’auriga personifica la parte razionale (il logos, la ragione); si dirige verso l’iperuranio tenendo le briglie di due cavalli uno bianco e uno nero;
il cavallo bianco simboleggia la parte dell’anima dotata di spiritualità;
il cavallo nero rappresenta la parte dell’anima anima concupiscibile.
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la biga alata
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L'Amore vero, alto e completo coniuga Agape ed Eros. Lo stesso Platone arriva a dire:
"Amante del tutto indegno e volgare, è colui che ama più il corpo che l’anima, poiché costui infatti non è costante, preso com’è da cose che non durano..."
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Gentile Cono, generoso e assiduo mio interlocutore, non fu Platone a dire la frase che hai citato ma Pausania, durante il “simposio enogastronomico”.
La sintetizzo: E’ brutale e incostante l’individuo che ama soltanto il corpo della perso. Quando sfiorisce la bellezza di quel corpo egli fugge lontano, non mantiene le sue promesse. Invece chi apprezza i valori di chi ama persiste nel suo amore per tutta la vita.
Tieni presente che Pausania è l’amante del poeta Agatone, ed è il secondo a parlare, dopo Fedro. Critica Fedro per aver lodato Eros in modo generico.
Secondo Pausania ci sono due Eros, uno popolare e l’altro celeste. Quale dei due è da lodare.
L'Eros popolare è proprio delle persone vili e fa amare indifferentemente donne e ragazzi; si rivolge al corpo e non all'anima e fa preferire chi è meno intelligente, perché gli interessa solo lo scopo e non il modo.
L’Eros celeste ha origine maschile e ispira ad amare soltanto gli uomini.
Eros è sempre accompagnato da Afrodite, la dea dell’amore, che il mito considera duplice:
Afrodite Urania o celeste, figlia del dio del cielo, Urano, e priva di madre;
Afrodite Pandemia o popolare, figlia di Zeus e di Dione, la cui origine partecipa del maschile e del femminile.
Allargando il discorso..., le relazioni monogame "durature" vanno spesso incontro a una diminuzione della libido, della complicità.
Desiderare altri corpi, altre esperienze sessuali vuol dire essere meno innamorati del/la partner ?
Lo so, la risposta è soggettiva e dipende anche dalla matrice culturale. La nostra società è basata sulla relazione eterosessuale monogama in cui l'amore vince su tutto.
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Cos'è la società, carissimo? Un insieme di Persone. E le Persone, quando si innamorano, desiderano naturalmente l'esclusività. Vivere con l'amato/a per sempre, non a termine....non per un periodo....non finché dura l'incanto iniziale: per sempre!
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Ciao, buon pomeriggio doxa. Leggendo la tua recensione del racconto la prima cosa tra le diverse congetture che mi affollavano la mente e come hai evidenziato nella spiegazione è la solitudine che sviluppa e mette in risalto il desiderio di un amore platonico quando è impossibile realizzarlo fisicamente, che può manifestarsi idealizzandosi in un uomo o in una donna ma può indirizzarsi verso un concetto puramente e spiritualmente religioso. La solitudine umana ha attraversato i secoli e i millenni. Alcuni capolavori come la Divina Commedia ispirata dalla idealizzata diafona figura di Beatrice nella mente del Sommo poeta, dove evidenzia la sofferenza della perduta amata, e nella sua solitudine peregrinare nientemeno si è visto cosa ha prodotto questo superlativo amore platonico. Hai fatto delle citazioni di Platone sul simposio dove sinteticamente riporti cosa era la felicità e la assidua ricerca della parte mancante per ritrovare la beatitudine armonia. Potrà sembrare un ossimoro ma sono le grandi delusione a volte contrastate da impedimenti esterni che creano smisurate storie d'amore.
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Buon pomeriggio Durante,
alla recensione della giornalista Jessica Chia, pubblicata sul Corriere della Sera, inerente al romanzo di Marco Lodoli, ho espresso la mia opinione nel post n. 3 del topic.
Concordo con te ! La vita solitaria può causare distorsioni nella personalità. Ne è esempio Caterina, la bidella, che nella mente si era creata un suo amore immaginario.
Altri psicologicamente si rifugiano nella mitologia di una religione e sperano di essere esauditi nell’aldilà.
Hai scritto:
Citazione:
Potrà sembrare un ossimoro ma sono le grandi delusione a volte contrastate da impedimenti esterni che creano smisurate storie d'amore.
Si è vero ! Se non c'è un'ancora di salvezza (il chiodo scaccia chiodo) la psiche compensa la sofferenza con l'illusione.
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Non è così: secondo l’antropologo dell’Università di Oxford, Jonathan Lanman, «dal punto di vista psicologico, abbiamo poche prove che le nostre menti crederanno in qualcosa solo perché sarebbe confortante farlo».
Il messaggio cristiano non serve come consolazione, ma è l’unico a rendere pienamente sensato vivere ora, dando un significato vero e adeguato “qui e ora” (“hic et nunc”). Non c’è altro motivo della felicità nell’istante, del condurre un’esistenza all’altezza della propria umanità. Come veniva riportato su “Avvenire”, citando il teologo Giussani: «l’avvenimento cristiano non identifica solo qualcosa che è accaduto e con cui tutto è iniziato, ma ciò che desta il presente (…). Il nostro io non può essere mosso, commosso, cioè cambiato, se non da una contemporaneità: un avvenimento. Cristo è qualcosa che mi sta accadendo ora». Al cristiano interessa vivere fino in fondo l’istante, nessuna consolazione. Se fosse vero che i cristiani sono concentrati solo sull'”altra vita”, non si capirebbe perché abbiano creato tanta cultura nella storia umana (musica, arte, scienza…). Come ha scritto il sempre ottimo Claudio Magris, «il cristiano crede che il paradiso, una società perfetta realizzata una volta per tutte, non sia possibile sulla terra, ma questo è di per sé un fermento progressivo, che aiuta a resistere contro le delusioni che puntualmente avvengono quando si attende una rivoluzione che risolva tutto e per sempre».