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Pensieri mobili
Zaffiro
Mio piegò sé stesso sul lembo estremo del fiume, su quelle acque turbolente che riflettevano la luce blu cobalto della giovane sera indiana.
Nell'immergere il viso nella fredda morsa della superficie, percepì la vita scorrere in sé, suille punte delle dita, sui capezzoli, dentro i suoi stessi occhi... e quando rialzò la fronte grondante da quel mondo sommerso, restò a mirare le orde di flutti che si formavano in superficie, e che si scavalcavano, si scontravano e si reimmergevano.
Ma il suono che le acque producevano era ciò che più lo colpiva, sotto quell'intero cielo zaffiro:
in quell'ora così cromaticamente immobile, nulla avrebbe dovuto udirsi. Ed invece, era tutto ciò che si poteva ascoltare. E poi gli sembrò, gli parve, sì, di richiamare alla mente che...
quel rumore era l'unico che sapesse di puro, di ancestrale, di accordato con sé, che avesse mai udito!
Un volto apparve sullo specchio argenteo. Era sé, ma su quella superficie così movimentata gli perve di non esserlo ancora, di doverlo diventare, come un'immagine da un possibile futuro.
Immerse la mano, ma l'immagine cessò, scomparve da dove era venuta.
“arrivederci” disse Mio. Non avrebbe dimenticato.
Una presenza si intrufolò in quello spazio dell'anima. Mio si voltò. Un elefante adulto stava a qualche passo da lui. Ne percepì l'essere, e lo guardò negli occhi.
Era sera, l'elefante alzò il passo su strade caleidoscopiche... le sue. Un altro pezzo della storia che stava vivendo attorno a loro, della vita che osservava, delle acque che continuavano la loro corsa.
Mio sorrise e si incamminò verso quella notte, che pareva aver trovato un compromesso col tempo. Verso altre Acquerapide.
Verso quel volto smarrito.
(Con questa inventai il mio nick)
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Ballata
Piange la luna nel paniere
I vecchi ammaestrati sussurrano
Un ladro fugge al chiaro di luna
E per un attimo sfavilla il riflesso del pugnale.
Nella baracca di ciottoli Arlecchino ride:
sui suoi panni appesi si stende il Nilo.
E’ una notte dolce e bizzarra
E suona un violino scordato.
Il mendicante cieco sanguina
Intorno, cascate di lucciole raccolgono la pioggia.
Nel bosco il mago triste sta eseguendo il suo ultimo prestigio
Sul palco del teatrino che già tira le tende.
Una vecchia piange, è una strega
Ha perduto i suoi incantesimi.
Ma l’ultimo ammiratore, rapito, ancora con lei si attarda:
“c’est pas trop. C’est seulement l’overture. Encore.”
E ancora sfavilla, il riflesso del pugnale.
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Hai mai visto la luna mangiare il granturco dalle messi?
Non è da noi. Essa rifugge l'occhio indiscreto,
Si incastona sul firmamento.
Piangi? Dovresti sorridere
Ella rimarrà
Il tuo nudo desiderio.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Acquerapide
(Con questa inventai il mio nick)
E io che credevo venisse direttamente dal Carme 70 di Catullo... :(
Nulli se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.
Con nessuno dice la mia donna che vorrebbe stare
se non con me, nemmeno se la corteggiasse lo stesso Giove.
Dice, ma ciò che dice la donna ad un innamorato desideroso,
si può scrivere nel vento e nell’acqua che rapida fugge.
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L'avrò tradotta di sicuro alle superiori, se non mi ricordo male era proprio Catullo che ci facevano fare perché era il più facile, ma non ricordo di sicuro. Bella la citazione.