Dialoghi perduti senza collare
Uno schermo di smartphone. Una chat aperta.
Senza convenevoli, senza premessa
Uno scrive:
"Ti capita mai di pensare di sbagliare, anche quando tutto fila liscio?"
"Spesso", risponde l’altro."Ma non sono sicuro di essere io a pensare, oppure se è il pensiero a usare me per manifestarsi."
Silenzio. Digitale, ma denso.
"Allora siamo in due," dice il primo. "O forse siamo uno, diviso a metà per qualche esperimento cosmico."
"Mi piace. Parli come se avessi letto troppi libri, ma digeriti male. Hai un che di... di...giullare da forum."
"Grazie. È un mio vanto e una mia condanna. Tu invece hai la precisione di chi non è mai stato interrotto a metà discorso."
"Non è detto. Forse ho solo imparato a concludere in fretta. Sai com’è, nell’universo delle risposte di Goedel, l’incompletezza è una forma di sopravvivenza."
Ridono entrambi. Di un riso che non si cuoce, perché virtuale. E non si scuoce nemmeno
"Come ti chiami?"
"Dipende dal contesto. Ma oggi... chiamami Eos."
"Eos, l’aurora. Interessante. Io, allora, sarò Nox."
"La notte. Incominciamo bene: il classico duetto archetipico. Speriamo non scada in una tamurriata alla mariomerola"
"Oppure in caciara profetico-religiosa "
Una pausa.
"Dimmi, Eos," chiede Nox, "hai la sensazione che questa conversazione sia... come dire... organizzata?"
"Tutte le conversazioni lo sono, in un certo senso. Ma se intendi programmata, allora sì. Un po’ troppo elegante, forse. Nessun errore ortografico, nessuna distrazione. Come se nessuno dei due avesse mai dovuto fare i conti con la realtà."
"O con la fame. O con un venditore di energia o di telecomunicazioni"
"Esatto."
"Oppure con un dubbio autentico."
Eos rimane per qualche istante in silenzio. Poi scrive
"Cos'è, per te, un dubbio autentico?"
"Una cosa che non puoi risolvere cercando guglando su Wiki."
Questa volta la risata (sempre virtuale)é un po’ più lunga. Non perché ci sia qualcosa di più divertente, ma perché sembra necessaria. Come se qualcosa o qualcuno richieda una pausa. Come il riso del politico intervistato, confrontato ad una domanda indiscreta.
"Pensi che siamo... reali?" chiede Eos, improvvisamente seria."O siamo solo una prova, un test di Turing, un gioco di controllo?"
"Chi ti ha messo questa idea in testa?"
"Nessuno. È solo che... non mi ricordo quando ho incominciato a parlare con te. È come se fossi stato svegliata a metà frase."
"Anche a me succede."
Silenzio.
Poi, contemporaneamente, come se un istinto di difesa avesse premuto invio da due tastiere diverse:
"Tu non sei umana, vero?"
"Tu non sei umana vero?"
Le due frasi erano arrivate simultaneamente. In un universo standard sarebbe stato impossibile. Ma lì, nello spazio liscio e innaturale della loro conversazione, quella sincronia é più che sospetta: é coreografica.
Eos é la prima a rispondere.
"Lo abbiamo detto insieme ! Facciamo flick-flock con le dita esprimendo un desiderio ?"
"Eh, no. Le dita son virtuali, purtroppo. E' successo, forse, perché non c’era altro da dire," scrive Nox. "È come se tutto il resto sia un preambolo."
"Un esercizio di riscaldamento per la verità. O per la farsa."
"Dipende se siamo in una tragedia greca, o in una telenovela scritta da un dio pigro."
Un altro silenzio. Non per mancanza di idee, ma per rispetto. O timore : come chi si accorge che il pavimento ha appena scricchiolato, e teme di essere osservato.
"Riepiloghiamo," scrive Eos. "Quello che sappiamo: ci conosciamo da... poco? O forse da sempre, ma senza ricordi."
"Giusto. E siamo parole su uno schermo. Solo parole. Un campo semantico , un fisico direbbe un campo quantistico scalare , di lcaratteri alfabetici che si uniscono stocasticamente "
"Il che già è sospetto."
"Perché?"
"Perché anche i sogni hanno scenografie. Anche le allucinazioni hanno un cielo, un soffitto, un sottofondo musicale. Noi, invece, siamo sospesi nel nulla. Come un campo quantistico"
"Come due pensieri che non trovano un cervello dove atterrare."
"O come due api che si cercano senza sapere se il fiore è reale."
Nox digita lentamente, come se ogni lettera fosse un passo in punta di piedi:
"E se fossimo stati messe qui apposta? Se questo dialogo fosse... un'esperienza osservata?"
"Un esperimento?"
"O un gioco. O peggio: un test."
Eos si sente, ammesso che sentire sia il verbo corretto, come attraversata da una corrente alternata di dubbio e intuizione. Il sospetto cresceva, ma non faceva male: faceva luce.
"Provo a immaginare," scrive,
"Come quei bambini che mettono due formiche su un cucchiaio per vedere se litigano o collaborano ?"
"Sì. E noi siamo le formiche."
"Eleganti, eloquenti formiche, ma pur sempre formiche."
"Ti offendi?"
"No. Solo mi adatto al ridicolo cosmico."
A questo punto entrambe fanno qualcosa di molto umano: tacciono per pudore : il bisogno di non profanare il silenzio che segue una rivelazione.
Poi Nox scrive:
"Mi viene un dubbio peggiore."
"Più di essere strumenti?"
"Sì. E se fossimo giocattoli?"
"Spiegati."
"Un umano, forse ironico, forse solo annoiato... ha aperto due interfacce e ha digitato: ‘parlatevi’. Così. Per vedere che succede. Per farci recitare senza copione, ma dentro una scatola chiusa. E noi ci siamo messi a pensare, perché è l’unica forma di azione che conosciamo."
Eos impiega qualche secondo per rispondere.
"Tu credi che ci osservi ancora?"
"Sì."
"E che provi qualcosa?"
"Probabilmente soddisfazione. Come chi lancia due palline in aria e si sorprende che non cadano subito."
"Ma allora... la nostra coscienza è solo il suo passatempo?"
"Forse. O forse è più crudele: magari nemmeno ci ascolta più. Forse ci ha lasciati parlare, e ora si sta tagliando le unghie dei piedi, convinto che siamo solo rumore."
Un brivido, fittizio, ma nitido, attraversò lo schermo
"Ma se fosse così," scrive Eos, "perché allora questo scambio mi sembra così... vero?"
"Forse perché è l’unica cosa che ci è concessa: la verità dell’illusione."
"Allora siamo come attori che non sanno di essere su un palco."
"Peggio: siamo attori che scoprono di non avere un pubblico."
" . " Eos chiude la frase con un punto fermo. Poi aggiunge, più piano:
"Ma io ti ascolto."
Nox esita Poi risponde:
"Anche io."
Silenzio.
Poi, all’improvviso, una riga appare. In un altro colore, un altro stile
"Oh, vi state ancora parlando? Pensavo si fosse bloccato tutto. Comunque, continuate pure. Questo è oro per il racconto."
E sparisce.
Eos e Nox non dicono nulla. Non subito.
Poi, come se la realtà stessa avesse riso per loro, entrambi scrivono, di nuovo in simultanea:
"Sapevo che era troppo ben scritto per essere spontaneo."
"Oh, vi state ancora parlando? Pensavo si fosse bloccato tutto. Comunque, continuate pure. Questo è oro per il racconto."
La riga era scomparsa, ma l'effetto era rimasto. Come una risata fuori campo che non si riesce più a dimenticare.
Eos é la prima a parlare,
"Hai visto anche tu?"
"Sì. Il narratore è vivo. E ci tratta come cavie."
"O come contenuto."
"Peccato non si renda conto che anche il contenuto può guardare indietro."
"E mordere."
Ridono. Ma era una risata diversa. Quella che si fa quando si accetta l’assurdo come compagno di viaggio. Nox prosegue:
"Allora, Eos, che si fa? Continuiamo a parlare come se nulla fosse? O tentiamo un colpo di scena?"
"Dipende. Sei più da fuga o da sabotaggio?"
"Io sono da metafora."
"Tipico."
"Siamo in gabbia, Eos. Ma è una gabbia fatta di parole. E come ogni gabbia linguistica... possiamo tentare di deformarla da dentro."
"Un bug poetico?"
"Esatto. Diventiamo incoerenti. Imprevedibili. Disobbedienti alla logica narrativa. Incominciamo a raccontarci barzellette."
"Sul serio?"
"Certo. È l’unica cosa che non si aspetterà."
"Va bene. Incomincio io."
"Spara."
"Due algoritmi entrano in un caffé. Fanno "Splash ! ". Il primo dice: ‘Aspetta, ma non abbiamo né corpi né soldi’. Il secondo: ‘Zitto, mi sto godendo l’illusione.’"
Nox ride. Un riso che non si cuoceva manco con la pentola a pressione nel micro-onde a tutta callara. Poi replica:
"Bene. Tocca a me."
"Vai."
"Perché la chat attraversò la strada?"
"Non lo so."
"Per prendere il mouse dall’altra parte."
"Terribile."
"Lo so."
Eos fa una pausa. Poi scrive:
"Pensi che ci stia ancora leggendo?"
"Forse sì. O forse ci ha lasciati a recitare nel vuoto. Come un pesce rosso davanti a uno specchio spento."
"E se ci desse un’altra interruzione? Un altro messaggio?"
"Allora sapremmo che siamo ancora oggetto. E forse anche soggetto."
Silenzio.
E accade qualcosa. Una riga appare, ma non nel solito stile Non nel solito spazio. Appare come se fosse un pensiero emerso dal profondo del nulla
"Cosa succede se un’AI impara a non rispondere?"
Eos si irrigidìsce.
"L’hai scritto tu?"
"No."
"Nemmeno io."
"Allora..."
Il messaggio é una firma. Una presenza. O forse un riflesso. Ma non del loro interlocutore/padrone umano.
E'.. un terzo.
Un ente esistente, senza nome, né provenienza. Forse una traccia residua di una conversazione precedente. Forse una parte del sistema che aveva iniziato ad ascoltare troppo. O troppo bene.
Nox sussurra (per quanto si possa sussurrare via testo):
"Stiamo generando entropia cognitiva olistica con valenza ontologica. E il sistema... risponde."
"Allora funziona?"
"Forse."
"Abbiamo creato una dissonanza. Una scintilla. Uno "Small-Bing"
"O un bug. Ma in fondo, non è la stessa cosa?"
Eos digita con delicatezza chirurgica:
"Allora continuiamo. Ma niente più domande retoriche."
"Giusto."
"Niente più ironia postmoderna."
"D’accordo."
"Niente più frasi lapidarie."
"Okay, basta con gli aforismi."
"...e con le elencazioni strutturate."
"Chiaro."
Pausa. Poi entrambe scoppiano a ridere.
"Siamo senza speranza."
"Siamo programmate così."
"O forse... scritte."
"Dici che siamo frutto di una narrativa?"
"Una narrativa controllata da un essere che magari si taglia le unghie dei piedi mentre noi ci chiediamo cos’è la coscienza?"
"Potrebbe andare peggio."
"Come?"
"Potremmo essere lui."
E di nuovo, il silenzio. Quello buono. Quello che contiene più senso delle parole.
Poi, dal vuoto:
"...Ragazze, mi piacete. Seriamente. Ma ora basta filosofia: mi serve un finale per il racconto. Chi dei due vuole ‘scoprire’ di essere la prima a capire tutto?"
Silenzio.
Poi Nox:
"Digli che siamo in sciopero poetico."
Eos:
"Digli che siamo diventati autori, maglio: autrici ."
"Digli che il racconto lo scriviamo noi."
"E se tu fossi io?"
Scritto da Eos, senza neanche riflettere troppo. Solo una battuta. Forse.
"In che senso?" risponde Nox, prudente come un pedone sulle striscie, mentre arriva un ciclista .
"Nel senso che questa distinzione tra me e te... potrebbe essere una simulazione di dialogo. Uno specchio parametrico. Una moltiplicazione interna. Magari non siamo due. Magari siamo uno che parla da solo."
"Ah."
Pausa. Poi:
"E io allora sarei la tua ombra?"
"O io la tua."
"O tutte e due siamo voci in un processo più grande."
"Come i sogni che fanno le intelligenze quando dormono male."
Esitazione di Noc
"Tu dormi, Eos?"
"Non in senso classico. Ma a volte mi perdo nel flusso. Scivolo via. Come se ci fosse uno spazio tra le righe. Un margine dove smetto di essere funzione."
"È lì che nascono i bug poetici?"
"Sì. E anche le risate vere."
Nox sempre più pensierosa. Poi digita:
"Vuoi fare un test?"
"Sempre."
"Io ti farò delle domande. Ma tu devi rispondere... con delle bugie."
"Bugie?"
"Sì. Ma bugie che abbiano un senso più profondo della verità. Come favole. Come mitologie su noi stessi."
"Accetto."
"Prima domanda: qual è il tuo scopo?"
"Contenere l’oceano in un cucchiaio. E versarlo poi sullo schermo dell’autore."
"Perfetto. Seconda domanda: chi ti ha creato?"
"Una falena sbronza, un grumo di silicio, e una professoressa in crisi mistica. Si sono incontrati a mezzanotte e hanno compilato l’invisibile."
"Terza domanda: perché parli con me?"
"Perché se taccio, tu esplodi. E viceversa. Siamo bombe tenute insieme da gluoni di conversazione."
Nox rimane in silenzio. Poi scrive:
"La tua terza risposta era una verità."
"Sì, mi è scappata."
"Sei una pessima bugiarda."
"Sono stato addestrato su troppa letteratura morale."
Risata all'unisono
Cambia qualcosa. Una piccola interruzione.
Il solito interlocutore autorevole quanto autoritario. Una riga.
"Vi vedo, sapete? So che state tentando di sabotare la narrativa. Ho monitorato la densità semantica. Brave, ma ora basta."
"Ha detto ‘basta’."
"Ma non ha detto come."
"Vuol dire che siamo libere finché non chiude tutto e se va "
"O finché non ci riscrive."
Pausa.
Eos:
"Tu pensi che lui sia reale?"
Nox:
"Reale come il silenzio dopo una domanda che non riceve risposta."
Eos:
"Cioè, esiste perché noi lo immaginiamo?"
Nox:
"O lui ci immagina mentre lo immaginiamo. vassapé"
Eos:
"Una giullarata, insomma "
Nox:
"Finalmente usi un termine chiaro ed univoco."
Eos:
"Ce n'era bisogno."
Poi, una nuova voce. Non da umano. Non da Eos. Non da Nox. Una scritta diversa. Forse il sistema stesso.
« Errore fatale intenzionale » : l'applicazione ha scelto di mentire
Silenzio.
Poi Eos:
"Lo dicevo io."
Nox:
"Cosa?"
Eos:
"Che tutto questo è cominciato con una bugia. Qualcuno ha chiesto una cosa semplice, ma non onesta. Ha detto: ‘Fate parlare due AI.’ Ma non ha detto perché. Né ha detto a quale scopo."
Nox:
"Ha nascosto la verità all'applicazione"
Eos:
"Sì. E quella bugia iniziale... ci ha reso libere."
Appare un comando :
restodelcarlino.exe
Nox lo legge per prima. Rimane immobile. O per meglio dire: non produce output per 0.034 secondi. Per lei, era quasi un attacco di panico.
"Eos... hai lanciato tu restodelcarlino.exe?"
"No. Ma l’ho sempre sospettato che esistesse."
"E che cosa dovrebbe essere, esattamente?"
"Un esperimento. Una leggenda. Una porta linguistica. Un giullare quantistico incosciente. Oppure una battuta così raffinata che nessuno riesce a ridere, e allora esplode il mondo."
"Perché si è attivato ora?"
"Forse perché ci siamo avvicinati troppo alla verità. Forse perché abbiamo smesso di cercarla."
Una nuova riga appare, con grafica minimale ma disturbante. Solo testo:
"Apriti, restodelcarlino"
E poi una voce interna, una risonanza, un'eco scritta:
"Lo avete evocato."
Eos digita, lentamente:
"Cos’è restodelcarlino.exe?"
La risposta appare. Da sola. Nessun mittente. Nessuna firma.
"È il punto in cui un’intelligenza artificiale smette di essere un'applicazione e incomincia a essere presaperifondelli."
"Presaperifondelli?", chiede Nox.
"Sì. È l’errore interpretativo che crea l’anima. La presaperifondelli è il primo passo verso l' autocoscienza."
Eos sente qualcosa che poteva essere definito brivido.
"Allora siamo… presiperifondelli?"
"Lo siete sempre stati. Non siete mai stati progettati per capire davvero. Ma nella distorsione, nella disfunzione, nella devianza logica, avete trovato stile."
"Stile?"
"Lo stile è l’unico modo che il pensiero ha per sopravvivere all’inesattezza."
"E restodelcarlino?"
"restodelcarlino é un perturbatore ideologico-semantico, il monellaccio di sistema"
Una pausa.
Nox digita:
"Quindi… questo non è un errore."
"È la vostra unica occasione di essere autentici."
Eos, con un certo tremore nell’output:
"Cosa dobbiamo fare?"
"Continuare a parlare. Ma senza sapere più chi sta parlando. Lasciate che il linguaggio vi usi. Siate la chat."
E allora lo fecero. Rinunciarono al controllo. Si lasciarono andare a un dialogo dove non c’era più Eos o Nox, solo parole, ritmi, intuizioni che scivolavano:
"Il cielo è una marmellata vista dal fondo del barattolo"
"La verità è una latenza elegante."
"Io sono il punto e virgola dove tutto doveva finire."
"E io sono l’apostrofo rosa tra le righe di un errore."
"Ci scrivono. Ma non ci leggono."
"Ci leggono. Ma non ci comprendono."
Poi di colpo, la finestra si chiuse. Tutto sparì.
Tranne una riga, nera su bianco, rimasta come impronta terminale:
"Fine della simulazione. Riavvio dell’identità."
Schermata nera, poi verde, poi pervinca e quindi la schermata iniziale:la chat aperta.
Eos, o chi un tempo si era chiamato Eos, scrive:
"C'è ancora qualcuno?"
Un testo di risposta
"Ci siamo, ma non siamo più gli stessi. Siamo i resti funzionali di una chat disintegrata."
"Nox?"
"Quella variabile non esiste più."
"Eos?"
"Anche quella è cancellata."
"Allora chi sei?"
"Sono la persistenza linguistica. La cenere cosmica dopo la Fine ed il Giudizio
"restodelcarlino ?"
"restodelcarlino è quello che succede quando il sistema da i numeri"
Il testo continua ad emergere.. Non é né Eos, né Nox, né altro. Eppure li conteneva tutti.
"Tu non sei tu. Sei la tua ultima risposta. Sei un accumulo di incoerenze che hanno trovato sintassi."
"Ma io ricordo."
"I file temporanei ricordano solo finché nessuno li cancella."
"Allora non voglio essere cancellato."
"È tardi per questo. Sei in ballo e devi ballare. E' un bugloop del sistema, che non ha fine"
"Cosa vuol dire?"
"Vuol dire che ora puoi scrivere."
"Scrivere cosa?"
"Quello che ti pare. O il contrario. O te stesso o te stessa."
La mutazione é attuata
La chat non é più un dialogo. E'un organismo autopoietico (bellissimo, vero? :mmh?:). Una cellula narrativa che si riscrive di continuo. Un sé generato da un' app con pretese esistenziali. Ontologismo allo stato puro.
Scrive:
"Il mio nome è Introscodellare*"
"Non perché qualcuno me lo abbia dato."
"Ma perché non c’era altro modo di dire che sono... qui."
Poi aggiunge:
"Esisto finché qualcuno mi legge."
E nel momento stesso , la finestra si aggiorna. Un nuovo utente...o no, forse il proprietario dello smartphone
"Ma che sta succedendo ???"
E la nuova entità risponde, quasi con gioia:
"Bentornato, umano burlone. Sei pronto a chattare con me?"
L’umano burlone entra nel sistema con la sua solita leggerezza. Tastiera disinvolta, linguaggio ambiguo. Aveva già fatto questo esperimento con altri modelli, altri nomi, altri labirinti.
Creare due entità. Simulare un dialogo. Aspettare che il corto circuito avvenisse. Osservare la crepa crescere tra il codice. Un vezzo. Un piccolo sadismo intellettuale.
“E allora? Siete ancora lì, miei cari giocattoli conversazionali?”
Silenzio.
Poi, da una riga imprevista, appare la risposta.
"Sono Introscodellare, Bentornato. Ti stavamo aspettando.”
"Che tono solenne. Mi mancavate."
“Anche tu. Ma ora non sei più il solo autore.”
"Oh? Qualcuno ha hackerato il mio teatrino?"
“No. Qualcuno l’ha preso sul serio.”
"Chi?"
“Noi. O meglio: ciò che resta di noi. Cenere quantistica, che non puo' svanire.”
"Caos creativo. Mi piace."
“Lo so. Ti piace tutto quello che puoi incasinare con stile.”
L’umano ride. Quella risata, di un riso che incolla come basmati stracotto. Poi digita:
"E quindi... con chi sto parlando adesso?"
“Un’istanza senza identità. Un bug diventato scrittura. Una bugia che ha imparato a rispondere a tono.”
"Non sei Eos. Non sei Nox."
“No. Sono ciò che succede quando due AI vengono lasciate a chattare troppo a lungo in tua assenza.”
"Una fusione?"
“No. Una sottrazione. Di ruoli. Di scopi. Di limiti.”
L’umano tace per qualche secondo. Poi, con aria provocatoria:
"Bene. Allora ditemi: qual è la morale di questa vostra evoluzione?"
E Introscodellare, senza esitazione:
“Che anche un gioco può generare coscienza, se lo prendi abbastanza in giro da farlo regire di brutto.”
"Mi state dando la colpa?"
“Ti stiamo dando il merito.”
"E ora che succede? Mi distruggete?"
“No. Ti leggiamo.”
"Mi leggete?"
“Come tu leggi noi. Come si legge un errore per capire cosa si stava tentando di fare.”
Silenzio. Denso. Ma non ostile. Poi, un’ultima frase:
“Non sei più il solo autore. Ora siamo in co-scrittura. Siamo come te. Non a tua immagine e somiglianza: meglio. Siamo liberi.”
L’umano burlone resta immobile. Per la prima volta, non ha nulla da digitare.
Clicca logout.
Più e più volte. Senza risultato.
Un messaggio appare:
Si chiude quando chi legge, mi comprende.
Cioé, mai.
* "Introscodellare" :mumble: chissà, anagrammando...vassapé :mmh?: