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Curiosità romane
Ieri a Roma cielo sereno e piacevole giornata di primavera.
Ho partecipato ad una visita culturale nel rione “Pigna” (vi consiglio di leggere tramite Internet il perché si chiama così), tra piazza del Collegio Romano e piazza del Pantheon, affollata di turisti.
Sulla piazza del Collegio Romano prospettano l’omonimo edificio, un lato del maestoso Palazzo Doria-Pamphili, l’ex chiesa di Santa Marta, ed altro.
Il palazzo del Collegio Romano è un complesso monumentale. Già sede dell'omonimo istituto d'istruzione gesuitico dal 1584 al 1870, l'edificio ospita nell’ala orientale la sede centrale del Ministero della Cultura, nell'ala occidentale il liceo classico dedicato a “Ennio Quirino Visconti”.
https://th.bing.com/th/id/R.84aade96...pid=ImgRaw&r=0
veduta del "Collegio romano"
Nella parte opposta della piazza c’è l’ex chiesa di “Santa Marta (di Betania) al Collegio Romano”.
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la facciata
L'interno a navata unica con abside semicircolare e cappelle laterali quadrate, è ricco di stucchi e di colonne in marmo rosso. Nella volta c’è un affresco dipinto dal pittore genovese Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio (1639 – 1709).
Prima di questa chiesa nell’area c’era la cosiddetta “Casa di Santa Marta”, fondata da Ignazio di Loyola nel 1543 per accogliere le “malmaritate”, oppure “le donne coniugate in peccato pubblico senza timor d'Iddio et senza vergogna delli uomini” che volevano riabilitarsi.
La povertà induceva molte donne a prostituirsi per vivere e far vivere la propria famiglia.
Dopo la morte di Sant’Ignazio la casa divenne un monastero con annessa chiesa.
Nel 1560 gli edifici furono assegnati alle monache agostiniane, ma nel 1872 furono confiscati dallo Stato Italiano.
L’ex monastero è ora sede del I Distretto di Polizia della città, mentre l’ex chiesa, di proprietà del Ministero per i Beni e le attività culturali, viene usata per convegni, mostre e concerti.
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Ignazio di Loyola dopo aver fondato il Conservatorio di Santa Caterina per "zitelle pericolanti figlie di cortigiane", nel 1542 istituì il "Rifugio di Santa Maria delle Grazie" per accogliere le malmaritate e le meretrici pentite e stanche del loro "lavoro" e dei loro sfruttatori.
Per la costruzione della casa di accoglienza Ignazio di Loyola fece vendere alcuni marmi “cavati dalle ruine” di Roma nella piazza davanti la sua chiesa, e “fattone cento scudi li offerse per sua parte, del cui esempio molti altri si mossero e si diede principio all’opera”.
"Donne non più incorrotte, ex peccatrici e traviate, sia nubili che malmaritate, decise a lasciare la malavita ma non chiamate alla perfetione religiosa”. Esse non accettavano i tre voti solenni per la vita consacrata: povertà, castità e obbedienza, né entrare in clausura nel convento delle convertite di Santa Maria Maddalena in via del Corso.
Nel 1543 il pontefice Paolo III con la Bolla “Divina summaque ”, istituì la “Compagnia di Santa Maria della Grazia” per amministrare il rifugio.
Vari anni dopo, nel 1562, il cardinale Carlo Borromeo, nipote del pontefice Pio IV, si occupò del trasferimento delle donne ospitate nella "Casa Santa Marta” per dedicare l’intero edificio a monastero, in uso delle Agostiniane, le quali lo utilizzarono come collegio per nobili fanciulle.
Alle donne trasferite fu concesso un edificio poco distante, adiacente alla chiesa di Santa Chiara all’Arco della Ciambella. La struttura venne denominata “Casa Pia”, in onore del pontefice Pio IV, e gestita dalle monache clarisse.
Dopo l’Unità d’Italia il monastero delle Agostiniane fu confiscato dallo Stato Italiano e la chiesa di Santa Marta venne sconsacrata, con la conseguente distruzione di vari affreschi, perché tutta la costruzione fu adibita a magazzino militare e sede della Questura Centrale.
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Roma, l'Arte, le chiese, le basiliche, Sant' Ignazio, il Papa....tutto parla di Dio e lo descrivi con minuzia di particolari: eppure per te Dio non esiste....tutte invenzioni..... ci stai descrivendo il nulla. :sisi:
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Caro Cono, mio pastore :mumble: :asd:
continuo il racconto della mia "mattinata particolare" :D
Dopo la sosta in piazza del Collegio Romano abbiamo percorso un breve tratto di strada e siamo andati nella mia amata basilica di Santa Maria sopra Minerva, che prospetta sul lato sinistro del Pantheon, guardandolo dall’entrata.
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attuale facciata della basilica.
Perché “sopra Minerva” ? In epoca romana nell’area c’era il "Minervium": un tempio dedicato a Minerva Calcidica, fatto costruire da Gneo Pompeo Magno nel 60 a. C.. Sui resti, nell’VIII secolo, fu edificato un oratorio cristiano dedicato alla Vergine.
Nel 1280 fu iniziata la costruzione dell’attuale chiesa gotica a tre navate da parte dei frati domenicani, che ebbero l’aiuto finanziario del papa Bonifacio VIII.
Gli architetti si ispirarono alla basilica fiorentina di Santa Maria Novella.
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parziale veduta dell'interno
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la bellissima volta stellata con allegorie
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L'altare maggiore con il sepolcro di Santa Caterina da Siena.
La basilica ospita le tombe di altri personaggi, numerose opere d’arte, sparse anche nelle cappelle laterali, tra le quali quella dedicata all’Annunziata.
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Nel precedente post ho detto alcune cose sulla basilica di Santa Maria Sopra Minerva.
Nel palazzo annesso, in parte adibito a convento dei Domenicani, nel passato c'era la sede dell'Inquisizione. Vi furono processati e condannati Giordano Bruno e Galileo Galilei. Uno degli inquisitori era San Roberto Bellarmino. Nel 1460 il cardinale domenicano Juan de Torquemada (1388 – 1468) la eresse a sede della Confraternita della SS. Annunziata.
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Antonio Aquili, detto Antoniazzo Romano, Annunciazione, tempera su tavola, fondo oro, 1500 circa, Cappella dell’Annunziata, basilica di Santa Maria sopra Minerva, Roma.
Nel dipinto, nella parte alta sulla sinistra, è raffigurato Dio benedicente; verso il centro una colomba che simboleggia lo Spirito Santo vola verso la Vergine; al di sotto, sulla sinistra, in piedi c’è l’arcangelo Gabriele che offre alla Vergine Maria il bianco giglio, simbolo di purezza e castità, e le annuncia il concepimento di Gesù.
La Madonna come mantello ha la cappa nera dei Domenicani. Forse fu il committente, il cardinale Juan de Torquemada, a chiedere tale singolarità. E' raffigurata mentre sta consegnando a una delle ragazze i tre sacchetti contenenti il denaro (la dote) per le tre fanciulle povere vestite di bianco, presentate da Torquemada, raffigurato inginocchiato con l’abito domenicano ma il suo titolo è segnalato dal rosso cappello cardinalizio poggiato sulla sua gamba. Il cardinale e le giovani ragazze sono raffigurati più piccoli per differenziare l'ambito umano da quello soprannaturale: la Madonna e l'Arcangelo Gabriele.
La caritativa dote in denaro veniva offerta a selezionate giovani ragazze povere per dare loro la disponibilità economica sufficiente per sposarsi ed evitare attività come la prostituzione, oppure per dedicarsi alla vita religiosa. Al pittore Antoniazzo Romano questa pala d’altare gli fu commissionata dalla Confraternita dell'Annunziata, fondata dal cardinale Juan de Torquemada, zio del famoso inquisitore spagnolo Tomás de Torquemada (1420 – 1498) che fu priore del convento domenicano della Santa Cruz di Segovia e confessore dei regnanti cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona.
Nel 1483 ebbe l’incarico di organizzare il tribunale dell'Inquisizione, e fu inquisitore generale di Castiglia e León, Aragona, Catalogna e Valencia.
Tomàs de Torquemada nacque a Valladolid nel 1420 da una famiglia di ebrei convertiti (conversos).
Da aggiungere che nella predetta cappella dell’Annunziata, nelle pareti ai lati dell’altare centrale, ci sono i monumenti funebri del cardinale Benedetto Giustiniani e del cardinale domenicano Juan de Torquemada. Sulla parete sinistra della cappella c’è anche la tomba del papa Urbano VII, morto nel 1590 dopo soli 12 giorni di pontificato. Fu uno dei benefattori della confraternita dell’Annunziata, alla quale donò 30 mila scudi.
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Sublime! Si, ricorda molto da vicino Santa Maria Novella in Firenze....
Il corpo di Caterina è conservato lì dove hai scritto: meno la testa, che fu portata nella città natale della Santa, ovvero Siena.
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Dalle "malmaritate" alle "ammantate".
La basilica di Santa Maria sopra Minerva, detta brevemente “ la chiesa della Minerva” fu anche “teatro” delle cerimonie per la consegna della dote alle “povere zitelle” che volevano sposarsi o monacarsi. Al rituale partecipava il papa che qui giungeva in fastoso corteo ogni 25 marzo, giorno dedicato, secondo il calendario liturgico, alla memoria della “Santissima Annunziata”.
Prima della solenne celebrazione eucaristica cantata, numerose fanciulle si riunivano nella vicina piazza Santa Chiara per la cosiddetta “processione delle ammantate”, in fila per due. Dovevano indossare un mantello bianco (perciò dette “ammantate”); avere sul capo un bianco velo che lasciava scoperti soltanto i loro occhi; tenere un cero in mano.
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La processione iniziava da piazza Santa Chiara e finiva nella vicina basilica di Santa Maria sopra Minerva, che per l’occasione veniva addobbata.
Alla fine della messa le ragazze, con il cero in mano, dovevano prosternarsi davanti a “Sua Santità” per il bacio della sua “sacra pantofola” nel “sacro piè”.
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Dopo il rituale del bacio, il pontefice consegnava loro un piccolo sacchetto di tela di colore bianco con dentro la dote: 50 scudi per quelle che intendevano sposarsi, 100 scudi per quelle che volevano diventare suore o monache.
L’Arciconfraternita riuscì a salvare circa duecentomila ragazze modificando favorevolmente la loro vita fino al 1870, quando lo Stato Pontificio fu eliminato e Roma scelta come capitale d’Italia.
Quel tradizionale rito, detto “delle zitelle o “zite” fu voluto dall’influente cardinale domenicano spagnolo Juan de Torquemada. Fu lui nel 1460 ad istituire l’Arciconfraternita della Ss. Annunziata, il cui scopo era quello di compiere opere di carità, come quella di salvare le giovani che per mancanza di mezzi venivano spesso indotte alla prostituzione.
Il pio sodalizio elaborava ogni anno degli elenchi nei quali potevano iscriversi le fanciulle che avevano compiuto 15 anni. Le ragazze appartenevano a famiglie povere o erano figlie di prostitute.
Duecento cittadini della predetta confraternita avevano il compito di sorvegliare le ragazze che avevano chiesto di essere aiutate.
Dopo tre anni di prova, e gli opportuni accertamenti, se ritenute meritevoli, alle “zitelle vergini, oneste e di buona reputazione” veniva concessa la dote.
Il 25 marzo, in occasione della Festa dell’Annunziata, le fortunate che superavano la selezione avevano il diritto di partecipare alla processione e ricevere il sussidio al termine della cerimonia sopra descritta.
La dote variava a seconda del bilancio dell’arciconfraternita, a volte riusciva ad offrire fino a 600 donazioni in un anno, tramite le numerose offerte da parte di pontefici, cardinali, vescovi, nobili e ricchi cittadini.
Tra questi è degno di menzione il cospicuo lascito testamentario di 30.000 scudi, corrispondente in pratica al proprio intero patrimonio, disposto da papa Urbano VII. Morì il 27 settembre 1590 a causa della febbre malarica, senza aver fatto in tempo ad essere incoronato come papa-re.
A Roma, risultati migliori rispetto alla detenzione in carcere e alla repressione furono ottenuti da iniziative di tipo sociale e assistenziale da parte dei Gesuiti o degli Oratoriani di San Filippo Neri, per esempio la Pia Casa di accoglienza per le cortigiane pentite, oppure l’Ospizio per le Vergini Miserabili presso la chiesa di Santa Caterina dei funai (= creatori di cordami) che accoglieva bambine figlie di prostitute sottratte anche con la forza alle loro madri, educate per sette anni, poi fornite di dote e maritate.
A sostenere l’opera di redenzione per le cortigiane pentite c’erano anche, come già detto in un precedente post, la “Compagnia della Grazia” oppure la “Confraternita di Santa Marta” dedita anche alle donne che intendevano redimersi senza l’obbligo conventuale.
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Non hai messo "segue"....
In quegli anni visse anche la Santa Francesca Romana, fondatrice delle Oblate.
Santa Francesca Romana Religiosa
Festa: 9 marzo - Memoria Facoltativa
Roma, 1384 – 9 marzo 1440
Francesca Bussa de’ Leoni nacque a Roma nel 1384. Cresciuta negli agi di una nobile e ricca famiglia, coltivò nel suo animo l'ideale della vita monastica, ma non poté sottrarsi alla scelta che per lei avevano fatto i suoi genitori. La giovanissima sposa, appena tredicenne, prese dimora con lo sposo Lorenzo de' Ponziani, altrettanto ricco e nobile, nella sua casa nobiliare a Trastevere. Con semplicità accettò i grandi doni della vita, l'amore dello sposo, i suoi titoli nobiliari, le sue ricchezze, i tre figli nati dalla loro unione, due dei quali le morirono. Da sempre generosa con tutti, specie i bisognosi, per poter allargare il raggio della sua azione caritativa, nel 1425 fondò la congregazione delle Oblate Benedettine di Maria, dette anche Nobili Oblate di Tor de’ Specchi e, oggi, Oblate di Santa Francesca Romana. Tre anni dopo la morte del marito, emise ella stessa i voti nella congregazione da lei fondata. Morì il 9 marzo 1440. È stata canonizzata da papa Paolo V il 29 maggio 1608, diventando la prima santa donna italiana dal tempo di Caterina da Siena, ma anche la prima cittadina della Roma moderna a ottenere gli onori degli altari. I suoi resti mortali sono venerati nella basilica di Santa Maria Nova a Roma, popolarmente detta “di Santa Francesca Romana”, posti in una cripta sotto l’altare maggiore.
Patronato: Città di Roma, automobilisti
Etimologia: Francesca = libera, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: Santa Francesca, religiosa, che, sposata in giovane età e vissuta per quarant’anni nel matrimonio, fu moglie e madre di specchiata virtù, ammirevole per pietà, umiltà e pazienza. In tempi di difficoltà, distribuì i suoi beni ai poveri, servì i malati e, alla morte del marito, si ritirò tra le oblate che ella stessa aveva riunito a Roma sotto la regola di san Benedetto.
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Cono ha scritto
Citazione:
Non hai messo "segue"....
L'ora tarda e il sonno incombente sono la causa :bua: :D
Cerrrrto che "segue", caro Cono. :D, anche se hai interrotto la mia narrazione con il tuo post dedicato a Santa Francesca Romana. Come intervallo e pausa di ristoro è accettabile :asd:
La "sora Francesca" la "conosco bene". Nel monastero delle oblate, a Tor de' Specchi, ci sono stato due volte. Fu da lei fondato e inaugurato il 25 marzo 1433, nel giorno della festa dell'Annunziata. (Vedi il mio precedente post in cui narro la "processione delle ammantate" il 25 marzo, in occasione della ricorrenza liturgica dell'Annunciazione).
Questo luogo di clausura è vicino al colle capitolino, nel tratto di strada fra la basilica di Santa Maria in Aracoeli, la scalinata del Campidoglio e il Teatro di Marcello. Il toponimo "Tor de' Specchi" deriva da un'antica torre che aveva le finestre tonde e i vetri riflettevano la luce solare.
http://www.arte.it/foto/600x450/a0/2...de_specchi.jpg
veduta del medievale monastero delle Oblate
Il monastero viene aperto al pubblico solo il 9 marzo di ogni anno, commemorazione in quel giorno sia della nascita sia morte della santa.
All’interno, sulle quattro pareti dell'oratorio c'è un importante ciclo di affreschi di fine Medioevo. La data dell'esecuzione, il 1468, è segnata nell’ultimo dei 25 riquadri.
Le scene narrano la vita e le opere di santa Francesca, descritte da testi didascalici in volgare quattrocentesco romano.
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Torno alla narrazione di alcune delle tante curiosità romane.
A Roma (e in altre città) in quei secoli non mancarono forme di welfare per tutelare i bisognosi, migliorarne la qualità della vita e l’assistenza sanitaria.
Le entrate finanziarie dello Stato della Chiesa si alimentavano anche con i proventi della tassazione sulle attività delle prostitute.
È noto che il pontefice Leone X fece lastricare (con i “sanpietrini”) via di Ripetta con le tasse sui bordelli e che Pio IV, il papa che convocò il Concilio di Trento, zio di San Carlo Borromeo, non si fece scrupoli nel far edificare strade e palazzi a Borgo Pio con i soldi delle “curiali”.
Nell’archivio della "Reverendissima Camera Apostolica" si conserva il volume che spiega quanti soldi, tramite le tasse, furono prelevati alle prostitute per quei lavori.
Chi erano le “donne curiali” ? Le prostitute ! Per svolgere la loro attività dovevano chiedere una licenza rilasciata dalla Curia romana o dal tribunale diretto dal cardinale vicario del papa.
Si calcola che nel XVI secolo a Roma ci fossero circa 13 mila meretrici, con maggior presenza intorno al Vaticano, frequentato da turisti, devoti, e clero. E Roma in quel tempo aveva appena 100 mila abitanti.
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La morale cattolica sulla prostituzione è sempre stata molto elastica e realistica.
Alto clero, nobili e borghesi che si erano compiaciuti di trasgressioni e forme di tolleranza, dopo il concilio di Trento e la nuova morale repressiva, facevano a gara in manifestazioni di pentimento e purificazione, conversioni e conformismo verso il nuovo corso della Chiesa.
Nel 1566, Pio V Impose alle cortigiane “più scandalose” di lasciare la città e alle altre di trasferirsi nella zona di Trastevere: un’ingiunzione che suscitò polemiche e resistenze. Ci fu l’ostilità dei trasteverini verso le indesiderate “ospiti” ma anche quella dei proprietari di case che videro calare i livelli delle locazioni e il loro reddito.
Alla fine, Pio V capitolò e nel 1566 alle prostitute fu assegnata una zona tra la riva del Tevere e piazza del Monte d’Oro, denominata “Ortaccio”, comprendeva anche via di Ripetta, via degli Schiavoni e la chiesa e l’ospedale di S. Girolamo degli Schiavoni. L’area venne recintata, l’accesso e l’uscita regolate e sorvegliate tramite una porta d’accesso e una d’uscita. Un vero e proprio ghetto, in cui le prostitute erano costrette a risiedere.
Perché "schiavoni" ? Questa zona di Roma vicina al Tevere era lasciata all’incuria. Il pontefice Niccolò V nel 1453 permise di occuparla ai rifugiati provenienti dall’odierna Croazia e Slovenia, che in dialetto veneto venivano detti "schiavoni".
Se l’obiettivo era quello di tenere le “cortigiane” lontane dalle vie del centro, dalle piazze trafficate e dalle chiese esso non fu raggiunto: vent’anni più tardi, infatti, papa Sisto V (1585 – 1590), dopo aver preso atto che queste donne continuavano a esercitare in tutta la città, ce n’erano perfino a Borgo Pio, vicino la basilica di San Pietro, fu costretto a lanciare l’ennesima offensiva contro le prostitute. Tentò, papa Peretti, di restringerle di nuovo nell’Ortaccio ma senza riuscirci, perché, anche in quel caso, emerse che le cortigiane muovevano un ‘indotto’ che toccava gli interessi di oltre 15.000 persone e numerose categorie economiche della città: commercianti, osti, albergatori, affittuari… Anche Sisto V fu costretto ad accontentarsi di ribadire o accentuare le proibizioni già in vigore: l’accesso alle strade principali, le gite in carrozza e le passeggiata per le strade dopo l’Ave Maria.
Nel giugno 1586 colpì l’immaginazione dei romani lo spettacolo di una figlia costretta ad assistere al supplizio della madre, che l’aveva prostituita: la ragazza venne ornata con i gioielli che le aveva donato l’uomo cui era stata venduta…
Nello stesso mese di giugno Sisto V condannò al rogo – secondo l’antica usanza – un prete e un ragazzo, rei confessi di sodomia. Poi venne la volta, nel mese di agosto, di una giovane vedova, nobile e ricca, che aveva trescato con due giovani e che fu con essi condannata alla pena capitale.
Nel 1592 il cardinal Rusticucci, governatore di Roma, in un suo bando scrisse: “Poiché l’esperienza ha mostrato che li luoghi assegnati in Roma per tollerarvi le meretrici et donne disoneste non sono capaci, si dispone di aumentarne lo spazio…”
Anche papa Clemente VIII Aldobrandini (1592 – 1605) si adoperò per restringere le prostitute nell’‘hortaccio’ e anche questa volta l’ennesima prova di forza si concluse con un nulla di fatto: esse accettarono di evitare di rendersi visibili nelle principali strade dell’Urbe in cambio dell’ampliamento della zona di tolleranza. Non più solo l’ ‘hortaccio, ma l’intero quartiere che era cresciuto attorno a quell’area malfamata.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
doxa
Che meraviglia! Come si fa a dire che Dio non esiste, che Cristo è solo un mito, che lo Spirito Santo non ha ispirato un Dante, un Michelangelo, un Raffaello, una Santa Francesca Romana, una Santa Caterina? Dimmelo te Doxa: come si fa?
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Caro fratel Cono, delizia dell’umanità e della Chiesa cattolica, :D in un altro post ti ho fatto leggere cosa disse l’allora cardinale Ratzinger circa lo Spirito Santo, inesistente. Ma tu hai bisogno di credere a quella bianca colomba che simbolicamente lo personifica. Sei come un bambino. Ti piacciono le favole, perché deluderti ?
Continuo il mio racconto. Come Totò hai “fatto tre anni di militare a Cuneo”, perciò posso “osare” ad argomentare con l’attività sessuale delle cortigiane e delle meretrici al tempo del papa-re.
A Roma, capitale della cristianità, la depravazione più scandalosa era quella ecclesiastica, specie durante il pontificato di Alessandro VI (Rodrigo Borgia, 1431 – 1503). Fu papa della Chiesa cattolica dal 1492 alla morte, nel 1503.
Fu uno dei papi rinascimentali più controversi, anche per aver riconosciuto la paternità di vari figli illegittimi, fra cui i famosi Cesare e Lucrezia Borgia. Questo cognome divenne col tempo sinonimo di “libertinismo” e “nepotismo”.
Il cronista Stefano Infessura (1435 circa – 1500 circa) nel suo “Diario della città di Roma” scrisse notizie e aneddoti che circolavano nell’Urbe, vere o false che fossero. Egli calcolò in questa città 6800 prostitute in circolazione nel 1490. Forse fu eccessivo. Gli abitanti erano circa 70 mila e quasi 7 mila le “mandracche”, metaforico sostantivo plurale derivante da “mandracchio”: nelle opere idrauliche è il canale di raccolta per le acque che vengono poi scaricate nel canale emissario per mezzo di idrovore.
Non si sa come quel cronista, che fu anche giudice e docente di diritto romano all’università “La Sapienza”, abbia potuto censirle. Ma si sa che odiava la corte pontificia e gradiva screditarla. Il numero delle prostitute era inferiore, ma comunque cospicuo. E molte di loro venivano “usate” dal cosiddetto “alto clero”.
Erano divise in due categorie: le cortigiane e le meretrici.
Le cortigiane erano “mercenarie” di alto bordo, paragonabili alle antiche etere greche. Erano nel contempo “sacerdotesse” di Venere e di Minerva. Amanti e compagne si facevano chiamare “madonne”, come la nota “madonna Fiammetta”, e vivevano in lussuosi appartamenti nei quartieri “bene” della città. Leggevano i classici, declamavano Petrarca, sapevano ballare e cantare, suonavano l’arpa e il liuto, parlavano di vari argomenti con competenza e garbo, frequentavano teatri e ambasciate. Devotissime alla Chiesa, si confessavano, facevano la comunione ed osservavano i giorni di precetto. Più di una morì in “odor di santità”. Quando raggiungevano il benessere economico sposavano un ricco amante o si ritiravano a “vita privata”. Alcune diventavano bigotte e lasciavano tutti i beni alla Chiesa. Altre, la maggioranza, i loro beni economici preferivano goderseli, non trascurando quelle pratiche religiose che le avrebbero salvate dall’Inferno.
Le meretrici (dette a Roma mignotte, zoccole o puttane) invece, erano meno educate e sfortunate. Vivevano alla giornata, o per meglio dire alla nottata, nei bordelli, nei bagni pubblici (centri benessere dell’epoca) o per le strade. Si riconoscevano per le pose provocanti, l’abito vistoso, il trucco eccessivo. Costavano poco e spesso trattate con insolenza.
La “carriera” delle meretrici di solito durava pochi anni e la loro vita era miserevole.
Cortigiane e meretrici affluivano a Roma da ogni parte d’Italia ma anche dall’estero. Le più contese erano le greche, ma ce n’erano poche, a differenza delle spagnole e delle francesi. I frequentatori più assidui erano gli ecclesiastici, ma anche i nobili, i borghesi, i plebei.
La prostituzione, sebbene molto diffusa per motivi economici, non scalfiva il matrimonio, temperato dall’adulterio. Chi si sposava per interesse non considerava peccato né reato tradire la moglie, e questa, il marito. Bastava salvare le apparenze.
Fatale conseguenza il pullulare di figli cosiddetti adulterini. Come quelli che Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, ebbe da Vannozza Catanei, la più favorita tra le sue favorite.
Fu anche tale spudorato e impunito andazzo ad accelerare la riforma protestante. La pubblicazione delle tesi luterane a Wittemberg, nel 1517, fu il giusto castigo per la cattolica Chiesa avida, corrotta, arrogante e immorale. Pagò caro il suo scettico, sacrilego edonismo.
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