"Etica e affini"- dialogo non socratico-galileiano
Dialogano piacevolmente un Monaco (M) ed un Giullare Rispettoso (GR)
M : Un topic starter , che mi ripugna nominare, ha scritto altrove che "L’altruismo? Una grande invenzione dell’istinto, Incartato con la carta dorata e ben infiocchettato dall'etica"(https://discutere.it/showthread.php?...ca-o-strategia). Mi ha fatto piangere.
Tu, Giullare Rispettoso, amico mio, credi anche tu l’etica come invenzione umana, quasi fosse un contratto stipulato tra esseri fragili ?Non ti pare riduttivo? L’etica, per me, è un segno dall’alto, una manifestazione del divino nel cuore dell’uomo.
L’uomo sa cosa è bene e cosa è male, perché gli è stato rivelato. Non lo ha pensato, non lo ha negoziato, lo ha ricevuto.
Non ricordi la mela dell'albero dell'eden ? E' ormai una legge scritta nella coscienza, non nei codici civili.
GR:Capisco la tua posizione, ma non la condivido. L’etica, nella mia prospettiva, non scende dal cielo: emerge dalla terra, dalla storia, dalla necessità.
L’uomo è un animale sociale, direbbe Aristotele. E come tale ha sviluppato regole, principi, criteri di comportamento per rendere possibile la convivenza. Una straordinaria costruzione dell’intelligenza umana: un sistema operativo sociale. L’etica è, in fondo, un prodotto della ragione collettiva.
M:Ma allora, se l’etica è solo una strategia sociale, che ne è del Bene con la B maiuscola? No, no… l’etica è amore ordinato, è il riflesso dell’eterno Bene. Senza Dio, l’uomo inventa solo giustificazioni. L’etica diventa una moda. O peggio: una scusa. Non trovi anche tu, nel fondo del tuo cuore, una voce che ti dice cosa è giusto? Della legge morale dentro di me, di cui parlava Kant?
GR: La legge morale, appunto, dentro di te. Non sopra. Kant stesso, pur credendo in una dimensione noumenica, descrive la morale come autonoma, dettata dalla ragione pratica. Ma io vado oltre Kant: penso che questa legge sia il risultato di evoluzioni selettive e strutture cognitive complesse.
L’etica è una funzione adattiva : nasce da secoli di convivenza, di tribù, di guerre, di patti, di paure e affetti.
Abbiamo imparato a cooperare. E per cooperare serve fiducia. E la fiducia ha bisogno di regole, e le regole hanno bisogno di etichette morali, e le etichette, con il tempo, diventano valori. Senza cooperazione, la specie umana si sarebbe estinta.
M:Mi fa male sentire l’etica ridotta a meccanismo di sopravvivenza. Mi vien da piangere e non ti abbraccerei più. Dove sta la nobiltà del sacrificio? L’eroismo della coscienza? Il martirio?
GR: Non sto negando il valore del gesto etico. Sto dicendo che il suo fondamento non è ultraterreno, ma umano. È proprio nella consapevolezza dei nostri limiti che nasce la tensione etica. È perché sappiamo di poter nuocere agli altri che scegliamo, a volte, di non farlo. È empatia, memoria, previsione, negoziazione : tutte capacità sviluppate nella lunga storia dell’Homo sapiens.
M:Ma senti, e rispondimi: se l’etica è invenzione, allora perché dovremmo seguirla? Cosa impedisce all’uomo di scegliere il male, se non ha paura di un Giudizio eterno?
GR: Una domanda-trappola, come piace a te. Ma la risposta è semplice: convenienza evolutiva. Chi vive da predatore sociale finisce emarginato, oppure morto. La cooperazione paga, nel lungo periodo. L’altruismo selettivo è utile al gruppo. La reputazione è capitale sociale. E la coscienza? Un’interfaccia morale che media tra impulso e norma.
M: Dove sono la carità, il perdono, il sacrificio gratuito?
GR: Ah, ma proprio lì! Non servono angeli per spiegarli. Il perdono è un modo per ricostruire legami. Il sacrificio altruista può essere spiegato in chiave di beneficio al gruppo, o investimento emotivo. Il punto non è negare la bellezza dell’etica, ma riconoscerne la radice umana : intelligente, profonda, flessibile.
M: Allora, se domani arrivasse un potere più forte, se l’etica è invenzione, allora ogni potere può reinventarla. Non è questo il Male?
GR: Sì. Ma la Storia dimostra che quando l’etica viene manipolata dal potere, la società si ammala. E lentamente si ribella. Il punto è che l’etica non è fissa, ma neanche arbitraria: evolve, si discute, si affina. È una tecnologia collettiva. E come ogni tecnologia, può essere abusata, ma, per la sopravvivenza, soprattutto migliorata.
M: Se l’etica è frutto di necessità evolutiva e sociale, come sostieni, in che modo giustifichi la punizione? E il libero arbitrio? Senza una volontà davvero libera, cosa resta della responsabilità morale?
GR:"Libero arbitrio " ? ... :D ... Mi fai pensare che tu voglia mandare la conversazione in caciara da stadio, tra tifosi avvinazzati....
Quella del libero arbitrio è una questione complessa, vecchia di millenni e tessuta di nuvole e chiacchiere fritte in olio di sofismi..Bon, seriamente,pochi filosofi contemporanei lo accettano nella forma “forte”. Neuroscienze, psicologia e biologia mostrano quanto il comportamento umano sia determinato da fattori esterni e interni. Io sono per una visione compatibilista: siamo condizionati, ma possiamo esercitare un certo grado di controllo riflessivo sulle nostre azioni.
M: E questo controllo non è forse già libertà? Un segno chiaro del divino nella mente?
GR: È piuttosto una funzione cognitiva complessa. Non serve tirare in ballo un elemento soprannaturale per spiegare la capacità di decidere. Tutto lavoro per il rasoio di Occam. Monaco, anche lui. Francescano e scomunicato. :mmh?: L’autonomia pratica può emergere da sistemi finiti. La coscienza morale non è un miracolo: è il prodotto di una mente capace di anticipare conseguenze, interiorizzare norme e valutare alternative.
M: E allora la punizione? Il male? La colpa?
GR: La colpa è uno strumento psichico. La punizione, uno strumento sociale. Il male… quello esiste. Ma non serve un Dio-negativo, un Satanasso codato e cornuto per spiegarlo: bastano ignoranza, paura e indifferenza.
M: Ma allora la punizione non ha senso, se tutto è frutto di condizionamenti. Il criminale sarebbe solo un ingranaggio mal funzionante. Ma si viola una legge assoluta, che viene da Dio
GR: Non necessariamente. La punizione ha valore regolativo, non metafisico. Serve a dissuadere, proteggere, correggere.
È una strategia sociale, non un atto teologico. Non si punisce in nome di un Bene assoluto, ma per difendere un equilibrio collettivo.
M: Una giustizia priva di colpa, dunque?
GR:
Una giustizia senza ontologia(appena in tempo, per l'uso del parolone. zona Cesarini) della colpa, sì. La colpa diventa uno stato soggettivo o relazionale, non una verità metafisica.
Questo non esclude il dolore, il rimorso, la riparazione. Ma li sposta dal piano trascendente a quello umano.
La responsabilità morale è utile perché funziona, non perché sia immutabile.
M: Chiacchiere materialiste, aspetta, prendo qui la Bibbia e te la trascrivo tutta
GR: No, grazie... L’etica non ha bisogno di copincolla biblici o vaticani, né di fondamenti eterni per essere efficace. Basta che sia coerente, aperta alla revisione, e consapevole della sua funzione.
Non è la mancanza di dogmi a indebolirla: è la rigidità ad averla spesso distorta.
M: Allora l’etica, lo confermi, è propria solo dell’essere umano. Gli animali agiscono per istinto. Solo noi abbiamo il senso del giusto e dell’ingiusto. Non è questo un segno della nostra origine superiore? Dell'intervento divino?
GR: Non proprio. È vero che l’etica umana ha caratteristiche uniche: astrazione, universalizzazione, riflessività. Ma comportamenti regolati si osservano anche nel mondo animale. Ci sono rudimenti di cooperazione, reciprocità, perfino rudimentali forme di punizione e riparazione tra individui.
M: Ma non hanno coscienza morale.
GR: Esatto. Ed è per questo che l’etica animale non è comparabile alla nostra. È un’altra cosa. Non inferiore, ma diversa. È legata a strutture cognitive differenti, a contesti evolutivi specifici. Gli etologi parlano di proto-moralità: meccanismi comportamentali che favoriscono la coesione e la sopravvivenza del gruppo.
M:
E questo lo chiameresti “etica”? Mi faresti piangere ancora
GR: Ecco un fazzoletto. La parola è nostra. Ma la funzione è biologica. Anche un organismo unicellulare, come un’ameba, mostra comportamenti regolati: distingue ciò che gli è favorevole da ciò che è nocivo. È una forma elementare, ma coerente, di orientamento al valore. Non c’è morale in senso umano, ma c’è auto-organizzazione guidata da selezione.
M: Quindi l’etica non comincia con l’uomo?
GR: No. Comincia con la vita stessa, e si raffina nell’uomo. Noi abbiamo solo portato quella logica a un livello simbolico e normativo. Ma le sue radici sono biologiche.
M: Dunque, in definitiva, per te, caro amico (ma penso per poco ancora), l’etica non è un ordine eterno, ma una strategia umana? Una costruzione fragile, esposta agli errori dell’uomo?
GR: È fragile, sì. Ma come ogni ponte tra individui, proprio la sua fragilità la rende essenziale. Non è scolpita nei cieli, ma intagliata nel tempo, nella memoria, nella reciprocità. È l’arte di non distruggersi a vicenda.
M: Sei cieco, anzi, sordo come una campana, a non vedere che ci sia qualcosa che ci supera. Una voce più alta, che chiama l’uomo alla giustizia, anche quando il mondo tace.
GR: Forse quella voce non viene da fuori, ma da dentro. E in fondo, che differenza fa? Se ci guida verso il rispetto, la cura, la responsabilità... è comunque una voce da ascoltare.
M: Ma se tutto è relativo, se l’etica cambia... chi decide cosa è giusto?
GR: Nessuno, e tutti. L’etica non è un decreto, è un processo.
Una continua negoziazione tra ciò che possiamo fare e ciò che siamo disposti a sopportare l’un l’altro.
M: Allora tutto si riduce a biologia e calcolo? Dove finisce la dignità dell’uomo? Dove l’anelito al bene, alla verità, al sacro?
GR: Non si riduce, si spiega.
Comprendere l’origine naturale dell’etica non ne annulla il valore, lo fonda su basi più solide.
Il bisogno di giustizia, la cura per l’altro, il rispetto della vita, sono espressioni mature di una struttura sociale evoluta.
E sono, proprio per questo, umane nel senso più pieno.
M: Se non ci fosse Dio come "garante" e "legislatore", tutto il male sarebbe lecito.
GR: No. È proprio perché non c’è nessun garante esterno che dobbiamo essere responsabili.
La libertà dell’uomo è anche la sua condanna: ma da quella condanna nasce l’etica.
Come diceva Sartre, siamo condannati a essere liberi, e in quella libertà costruiamo il nostro dovere.
M: E il senso ultimo? La salvezza?
GR: "Senso ultimo", ma de che ? E "Salvezza", da cosa ?
Comunque, nell'attesa della risposta (se c'é e se serve a qualche cosa) meglio l'Etica come arte del vivere insieme, che obbedienza cieca.
O no ?
Vassapé.
Si, la chiusa é una "domanda a risposte obbligate". :mmh?: