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Diario Di Uno Scandalo (Notes on a Scandal)
CastCate Blanchett, Judi Dench, Bill Nighy, Andrew Simpson, Joanna Scanlan, Tameka Empson
RegiaRichard Eyre
SceneggiaturaPatrick Marber
Durata01:32:00
Data di uscitaVenerdì 23 Febbraio 2007
GenereDrammatico
Distribuito da20TH CENTURY FOX ITALIA (2007)
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Trama: l'arrivo di una nuova attraente maestra dall'aria ingenua , Sheba, smuove le acque di un istituto scolastico Inglese. Barbara, la solitaria maestra rigida e moralista, sembra prendere con una sorta di curiosità mista ad antipatia la nuova arrivata. Quando a seguito di una rissa tra alunni, sedata da Barbara, le due donne si conosceranno meglio nascerà una sorta di amicizia, che diventerà complicità quando ci sarà un orribile segreto da nascondere ...
Commento : veramente bello questo lavoro di Richard Eyre( che ricordiamo per il claustofobico <i>Iris</i>), dove con una intensa atmosfera thriller si racconta una storia di morbosa passione. Il lavoro migliore viene infatti effettuato sulla intensità della recitazione delle due bravissime protagoniste, una grande Judi Dench e una Cate Blanchett abile nel togliersi i panni dell'ingenua per arrivare a uno step più elelvato, calandole nella cornice di ambienti scolastici freddi e superficiali che non permettono la coniugazione di vitalità con la professione facendo cercare in qualcosa d'altro la sveglia emozionale.
La Dench è veramente immensa, il suo ritratto di una professoressa sola e acida, è meraviglioso, intenso, deciso e di grande impatto. Tratteggiando il ritratto amaro di questa professoressa delusa e solitaria suo malgrado, abbiamo una recitazione multistrato, che coniuga freddezza e decisione con una insicurezza di base decisamente allarmante, pericolosa, che ha bisogno degli altri succhiando l'amicizia come un vampiro per nutrirsi dei sentimenti perduti.
Sentimenti affidati ad un amico inerte come il diario del titolo, che registra ciò che gli viene sferzatamente vergato senza poter comunicare all'autrice nessun avvertimento, nessun ripudio, nessun blocco.
La Blanchett non si fa trascinare in una comoda recitazione da ingenua, si libera delle pastoie della sceneggaitura e con coraggio approfondisce questa parte non facile nelle sue connotazioni più reattive. Smorfie, impotenza, incapacità a capire le ragioni dell'operato sono mostrate benissimo in questa maestra graziosa ma debole, che si fa trascinare in un abisso senza reagire, quasi che il fiume debba accompagnarla portandola alla deriva senza lotta.
Due caratteri opposti che hanno bisogno l'uno dell'altro per sopravvivere, nutrendosi a vicenda come si diceva delle proprie energie, peccato che alla fine a furia di cannibalizzarsi non rimane altro che piatto risultato.
le due donne nel loro incontro si affrontano alternando necessità a piacere, in un gioco soffuso di inganno e sincerità imposta o reale.
Il punto debole di questo film, contrapposto a questa buonissima prova recitativa rimane la storia che risulta alla lunga abbastanza prevedibile nel suo motore di svolgimento, nelle sue pieghe e con un finale non del tutto soddisfacente ma risaputo. Ma il grande lavoro ambientale fatto sulle atmosfere del film, che ricorda alcuni lavori del grande Alfred Hitchcock,( una sorta di "<i>Io confesso</i>") ci dona un film teso, affascinante, che fa di tutto per relegare gli altri presenti a una sorta di comprimari necessari solo per realtà mentre il mondo dovrebbe essere solo un microcosmo di proprietà di Barbara, e ogni tentativo di sganciarsi un piccolo innocuo maldestro atto di lesa proprietà. La voce fuori campo dei pensieri di Barbara rende questa atmosfera di predominio ancora più marcata. Un film non si può definire grande solo per l'intensità delle sue protagoniste peccando in evoluzione del racconto fuori da canoni prevedibili, ma le emozioni che ne escono non perdono di vigore e ci fanno capire come mai senza capire il perchè ogni tanto il nostro istinto ci butta dentro a storie che non andrebbero neppure affrontate e percorse, giocandosi i valori umani e familiari, e neppure la guardia che sorge all'angolo a cercare di fermarci è una sicurezza di punto fermo a cui aggrapparsi.
l'amicizia non va imposta, ma vissuta...
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Alpha dog
Il regista è un figlio d'arte, nel cast ci sono Willis, la Stone e la popstar del momento, Justin Timberlake, per raccontare una storia macabra (tratta da una storia vera) proveniente dall'ambiente medio-borghese americano di un sobborgo agiato di Los Angeles.
Alpha Dog
(Usa, 2006)
Regia di Nick Cassavetes con Emile Hirsch, Justin Timberlake, Sharon Stone, Bruce Willis
113', Moviemax, drammatico
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Trama : in una zona residenziale di Los Angeles uno scontro tra bande per motivi di denaro culmina in un rapimento di un ragazzo, fratello di uno dei violenti del quartiere. Nonostante che tutto sembra volgere per il meglio grazie a dei contatti all'interno della banda la violenza genera violenza...
Commento : Justin Timberlake ha dichiarato che se non avessero partecipato al film Bruce willis e Sharon Stone lui non avrebbe firmato il contratto. Quello che ci chiediamo noi è come mai una volta saputo che partecipava il tatuato cantante come mai i due attori non hanno rifiutato la parte marginale, a livello temporale, che gli viene affidata(tra l'altro con due versioni della Sharon uno normale e una ingrassata elettronicamente).
Tranne la breve parentesi di <i>Eight Miles</i> dove Eminem dava una prova convincente innestata comunque in una logica musicale, i film con pop star di richiamo, fatti appositamente per loro, non hanno mai prodotto risultati validi, e
questo <i>Alpha Dog</i> non sfugge alla regola.
Cassavetes, che ha diretto ben altri lavori come "<i>Le Pagine Della Nostra Vita</i>"e"<i>John Q</i>", qui giunge solo per il conquibus e senza voglia e nerbo affastella un lavoro svogliato, pieno di luoghi comuni e con delle scelte di trama insulse per arrivare al clou finale. Vediamo scorrere davanti ai nostri occhi, dopo le immagini dell'infanzia del protagonista, bellone giovani e sinuose, ragazzi che imitano Al Pacino/Tony Montana(come da poster appeso al muro)del tutto privi di credibilità, grandi fumate di crack e droghe varie mentre le nostre orecchie vengono offese da musica rap scoordinata dall'immagine e buttata lì per stordire cercando di dare movimento.
Essendo una vicenda del 1999, tutto viene raccordato con didascalie che indicano i numeri dei testimoni e i nomi delle persone, cosa che diventa risibile e inutile in quanto poi il tutto non viene approfondito in tribunale.
Tatuatissimi, drogati di videogiochi e crack, che vedono film con plasma giganteschi, il ritratto che ne viene fuori è assolutamente impietoso ma anche del tutto superficiale, nessun approfondimento, nessuna voglia di dire qualcosa oltre che il pedante ripetere frasi bellicose, rompere oggetti e denudare belle ninfette(tra l'altro partecipa brevemente anche la Lolita di Arian Lyne, Dominique Swain), fumare, rinnegando una possibilità di ricchezza produttiva per una falsa fruizione distruttiva. Un film sbagliato per come è stato architettato, con la tragedia in fondo vissuta anzichè ricostruita in maniera del tutto monotona e ripetitiva, che fa sbadigliare e addirittura infastidire, con attori mediocri che usando clichè e icone indegnamente presi da "American Histoire X"e i film di bande di colore(<i>Boyz'n the hood</i>)lascia un segno apri a zero. Si salva solo il fatto che Timberlake non canta, sarebbe stato veramente troppo.
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Il New York Times lo ha definito "Uno dei migliori film di guerra di sempre", ha avuto due candidature ai Golden Globes ed è uno dei più forti candidati per gli Oscar. Letters from Iwo Jima insieme a Flags of our Fathers forma il primo dittico della filmografia di Clint Eastwood, regista.
Letters from Iwo Jima (2006)
Genere: Drammatico Guerra
Durata: 140 min.
Data uscita nei cinema: 16/02/2007
Distributore:
Warner Bros Italia
Titolo originale:
Letters from Iwo Jima
Cast: Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Tsuyoshi Ihara, Takumi Bando, Shido Nakamura
Produzione: Clint Eastwood (regia)
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Trama: l'altra faccia della medaglia, la visione dalla parte giapponese della guerra di Iwo Jima, con la preparazione tattica delle truppe dell'Imperatore determinate a difendere a tutti i costi l'isola dalla conquista americana.
Paure, ricordi e attese frementi si accavallano mentre si attende l'attacco.
Commento: Quanto Clint Eastwood sia ormai un cineasta di grandissimo livello dopo essere stato per anni l'emblema del cavaliere solitario e del poliziotto arcigno e tutto di un pezzo, è cosa ormai risaputa e non ha bisogno di nessuna conferma, ma con questo strepitoso <i>"Letters..."</i> raggiunge livelli di poesia pura, dove le immagini sono praticamente perfette sia nella loro costruzione(una regia da oscar assoluto)che nel loro aspetto visivo(la fotografia è una dei migliori lavori degli ultimi anni). Attraverso gli occhi impauriti del soldato Saigo, la parabola descrittiva si dipana in maniera perfetta, raccontando in maniera asciutta e con un incredibile senso orientale l'attesa tutt'altro che impavida del nemico. Eastwood sceglie la strada del flashback per raccontare il passato di alcuni dei protagonisti, mostrando a noi uomini veri, privi di fanatismo e con storie di affetti normali come tutti noi o come qualunque americano("Prima che leggessi la lettera di Sam credevo che gli americani fossero delle persone infami, invece hanno delle mamme come noi che ci aspettano a casa").
Il fanatismo e il senso del dovere viene mostrato in maniera lucida e senza enfatismi, il coraggio folle o ragionato dei kamikaze o del senso del servigio di antico retaggio era innegabile e sarebbe stato ingannevole non mostrarlo, ma ci vengono mostrati anche alti ufficiali che amano i loro uomini, non li vorebbero mai sacrificare senza senso e sono nonostante questo coraggiosi e pronti al sacrificio personale ("Io sarò sempre davanti a voi!"). Eastwood genialmente si avvicina alla storia con un senso orientale parametrabile al senso americano della prima parte del dittico, raccontando la storia in una maniera che avrebbe fatto molto piacere a Kurosawa, esplicando con precisione la gerarchia e mettendo come protagonista l'ultimo degli eroi che sul campo si dimostra sensato e ha la sua parte nel rendere l'iconografia del girato e del pensiero(strepitoso il pezzo del secchio pieno di escrementi che si ribalta, dove si vuol sottointendere che la cosa sta sfuggendo al controllo e le difficoltà sono insormontabili a ogni livello).
Parlando della fase iconografica vediamo come le rivalità della guerra sono solo dovute al periodo bellico, in fase post o pre ci sarà spazio sia per le riconoscenze e le onoreficenze, dimostrata con la medaglia alle olimpiadi del 1932, la cena dopo la collaborazione con dono della pistola in manico d'avorio, con la stretta di mano tra il soldato(zio)Sam e il gerarca nipponico.
Per non parlare della figura del soldato deciso a tutti i costi al sacrificio portandosi un carro armato con sè ma che alla fine dovrà arrendersi al concetto che un sacrificio inutile non vale poi molto di più di una resa con onore, dove anche i nemici hanno rispetto per la tua vita e diversamente da altri che hanno lasciato il campo non verranno comuqnue sacrificati in barba alle convenzioni di Ginevra. Eastwood con un incredibile coraggio cinicamente ci fa vedere una faccia dei soldati americani non pulita, pronti ad agire contro ogni logica umana.
Superparter fino in fondo come nel primo film, anche in questo riesce a conferire il giusto onore senza dimenticare il percorso infernale lastricato di difetti(le costrizioni ai soldati, le umiliazioni e le eccessive prove di fedeltà come quella del cane nel flashback), con un lavoro praticamente perfetto di correlazione tra il primo film e questo nei momenti salienti(la bandiera issata, l'attesa del primo fuoco).
In questo <i>Letters</i> tra l'altro il lavoro psicologico è molto più profondo, ci sono intensissime fasi di parlato che non risultano mai banali, e la visione dell'uomo normale Saigo conferisce semplicità nel suo agire che solo in apparenza è quello del pavido ma invece è quello dell'uomo sensato che fece una promessa al figlio che doveva ancora nascere, ritrovando alla fine il coraggio di fronte all'oggetto rubato e usurpato coem quella isola piena di insetti e baganta di sangue.
Emozione, grandi scene belliche, coraggio, umana comprensione unite a un lavoro registico praticamente perfetto fanno di questo film un opera imperdibile sotto tutti i punti di vista, che emozionerà ogni spettatore toccandolo nell'animo con questa storia di nemici per cui un tempo non abbiamo mai tifato e adesso nutriamo un rispetto infinito.
Sottotitolato con parlato in giapponese, un aspetto che ne valorizza completamente la riuscita senza inficiare sul risultato finale per noi spettatori.
Malediciamo nel contempo la distribuzione miope e ridotta che ha lasciato solo un numero di sale del tutto risibile a godere di questo capolavoro. noi cerchiamolo, ogni sforzo per vederlo sarà ampiamente premiato.
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SATURNO CONTRO
Titolo Originale: SATURNO CONTRO
Regia: Ferzan Ozpetek
Interpreti: Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Margherita Buy, Ennio Fantastichini, Luca Argentero, Isabella Ferrari, Milena Vukotic, Serra Yilmaz
Durata: min -103
Nazionalità: Italia 2007
Genere: drammatico
Al cinema nel Febbraio 2007
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Trama: le insicurezze di una piccola comunità con membri gay ed etero che vivono le proprie ansie e insofferenze in un calderone di emozioni e tradimenti intercalati tra di loro. Nonostante tutti abbiano un lavoro o una realizzazione all'interno della società, debolezze ed insicurezze la fanno da padrone assoluto. Il rifugio nela droga o nel tradimento non sembra donare serenità a nessuno, quando...
Commento : Le fate ignoranti in una versione diversamente angolata con personaggi che prima erano traditori di conseguenza ora sono traditori di pertinenza(Accorsi), con una comunità gay variegata che riprende il personaggio della matrona che vigila sul gruppo e l'attrice più cornificata che esista, attorialmente parlando, Margherita Buy(sembra che possa fare solo questo nelle parti che le danno). Uscito in un clima politico rovente per la faccenda dei Dico, sicuramente i ditributori lo hanno considerato, questo film di Ozpetek sembra che voglia proseguire il cammino intrappeso con"Le fate" per approfondire alcuni concetti. Invece questo film è totalmente superficiale, irrisorio nella trama, scontatissimo negli sviluppi e del tutto privo di emozione e fascino nei momenti che dovrebbero essere topici. Utilizzando dei belli nostrani(Argentero,Accorsi)il regista turco si sofferma a punteggaire dialoghi banalissimi, situazioni del tutto assurde(quello nel residence è da delirio in un film di queste intenzioni)e con facile scelta di sceneggiatura infila la tragedia addosso al personaggio più vulnerabile per cui anche il più amato che tutto il gruppo stima.
Proseguendo tra pianti, lacrime, poche urla e atteggiamenti del tutto senza senso insieme a scene gay di una credibilità pari a zero(Favino che fa lingua in bocca sembra gay quanto un mattone in mezzo ai denti e vorrei sapere come si fa a scriturare Ambra Angiolini)la commedia dell'assurdo rasenta l'incredibile quando un omosessuale di mezza età si autodefinisce "frocio"e non gay, come se il passare degli anni determinasse una connotazione di comportamento e di qualità del voler desiderare una persona dello stesso sesso. Una cosa vergognosa questa settorializzazione dell'amore(che esiste indipendentemente dalla cultura e dalle radici)sopratutto in un film che vuole essere una parola di libertà e coraggio per gay e lesbiche, quando ormai al giorno d'oggi nessuno si scandalizza più minimamente e giustamente di queste cose.
Un comportamento irritante che prosegue con la più piatta delle storyline, situazioni ultrabusate, introduzione di personaggi inutili come le scenette dei bimbi, iconografie come quella del pesce nella palla stile"Rosebud" a significare la mancanza di respiro, dell'essere fuor d'acqua, ma nel contempo ognuno porta con orgoglio il proprio sentire fino a far dichiarare un atto indegno, pubblicità mostrate del tutto senza equivoci come quella vergognosa della posta, e un finale patetico che di buono ha solo la liberazione dalla poltroncina che ci ospita per queste due inutili ore. Rivediamo la mitica Pina brevemente, ma è del tutto un altro discorso.
Saturno sarà anche stato contro, ma questo film aveva tutto lo zodiaco a dirci di non andarlo a vedere...
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Scrivimi una canzone ( 2007 )
TITOLO ORIGINALE
Music and Lyrics
NAZIONE
USA
GENERE
Commedia, Romantico
DURATA
96 min. (colore)
DATA DI USCITA
23 Febbraio 2007
REGIA
Marc Lawrence
SCENEGGIATURA
Marc Lawrence
DISTRIBUZIONE
Warner Bros
PROTAGONISTI
Drew Barrymore
Hugh Grant
Brad Garrett
Kristen Johnston
Haley Bennett
Scott Porter
Campbell Scott
Jason Antoon
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Trama: Alex Fletcher negli anni 80 era uno dei due componenti del gruppo i "Pop", passando il tempo e restando ancorato al modo di muoversi e di fare musica del tempo al sua carriera sembra al tramonto. Un giorno un insperato colpo di fortuna lo porta a dover scrivere una canzone per la pop star del momento, Cora. In crisi di idee e senza tempo per un testo decente una ipocondriaca ragazza che gi cura le piante sembra in grado con la sua tenera semplicità di dargli una mano...
Commento : Divertente senza impegno questo viaggio/omaggio nel passato, dove un cantante che non si è disaffrancato dai tempi non trova sbocchi produttivi per ricominciare una carriera ormai da tempo tramontata. Marc Lawrence, al secondo lavoro con Hugh Grant dopo "<i>Due settimane per innamorarsi</i>", confeziona questo prodotto con leggerezza e ironia, con l'intento di far conoscere alle nuove generazioni piccole tracce di un tipo di musica che piaceva a gran parte dei loro papà e sopratutto mamme ora quarantenni.
Abbiamo quindi citazioni di gruppi più o meno conosciuti, come Billy Idol e i Frankie Goes To Hollywood, che ai tempi fecero furore proponendosi sopratutto con testi semplici, leggeri, con musiche orecchiabili e che consacravano i sentimenti.
Lo scopo di questo film infatti è di nobilitare i sentimenti rispetto al sesso più o meno occulto delle canzoni di oggi(il personaggio di Cora in questo senso è emblematico), operazione che con la tenerezza che la Barrymore esprime in questo film(amante dei fiori, delusa in amore, semplice e pura)riesce benissimo.
L'inizio è strepitoso, con il brano "Pop! goes on your heart",(chiaro parallelelismo tra l'andare a Hollywood e verso i sentimenti)che ci fa calare subito nelle atmosfere del tempo, con Hugh Grant ispiratissimo, tutto mossette d'anca e capelli alla moda. Poi l'ingresso della Barrymore è un tenero parametro per i tempi che corrono, evidenziato ancor più dalla fanatica sorella che ritrova un idolo della sua giovinezza che si pensava ormai sepolto. Grazie alla tenerezza e ai buoni sentimenti si possono risolvere problemi e insicurezze personali, che tra l'altro nel film sono davvero di una valenza molto leggera come le canzoni proposte e omaggiate, trovando la forza nelle parole giuste. Il film scorre leggero, simpatico, ma purtroppo altamente prevedibile. In questo tipo di commedie sentimentali onestamente sarebbe pretenzioso cercare qualcosa di più o di diverso, non è nella loro natura e cercare di diversificarle per dargli profondità molto difficile e solo nelle corde di bravi cineasti di cui Lawrence non è certo la punta artistica, hanno un meccanismo ormai collaudato con l'incontro tra i due belli e dall'esito superscontato, quello che importa è che dentro si possa leggere un piccolo messaggio, per quanto scontato, mentre si trascorre un centinaio di minuti in serenità, magari mano nella mano con fidanzata o, in questo caso, ancora meglio se moglie. L'obbiettivo della operazione nostalgia viene perfettamente centrato, i quarantenni si divertiranno sicuramente più dei ventenni calandosi maggiormente nelle musiche, ma in ogni caso anche questi ultimi avranno visionato un prodotto gradevole e saranno soddisfatti del costo del biglietto. Certo, l'eccessiva tenerezza di cui è soffuso potrebbe anche infastidire, ma l'onesta di indirizzo è chiara e ben delineata e non si potrà sicuramente dirsi traditi se si entra in sala.
Tra l'altro il finale propone due brani molto belli, senza clamori di sonoro e in una scenografia perfetta con una piccola citazione del finale a livello di inquadrature a "<i>Cantando sotto la pioggia</i>". Accontentiamoci, e facciamo andare il pop verso il nostro cuore...
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Intrigo a Berlino
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Regia Steven Soderbergh, Steven Soderbergh
Sceneggiatura Paul Attanasio, Paul Attanasio
Costumi Louise Frogley, Louise Frogley
Fotografia Steven Soderbergh
Montaggio Steven Soderbergh
Musiche Thomas newman Kohout, Thomas newman Kohout
Scenografia Philip Messina, Philip Messina
Cast
Capitano Jacob 'Jake' GeismerGeorge Clooney
Lena BrandtCate Blanchett
TullyTobey Maguire
LeviDominic comperatore
BreimerJack Thompson
Tenente SchaefferDave Power
DannyTony Curran
Trama : The Good German---- ...alla fine della Seconda Guerra Mondiale le potenze mondiali si radunano per decidere il destino della Germania Nazista sconfitta. Ma oltre che decidere la divisione di beni e territori c'è molto altro che rimane nascosto e di cui non si parla. Una affascinante Dark Lady sembra tenere le fila di tutto per scopi oscuri...dopo i primi omicidi che sembrano a scopo di lucro si capisce che ...
Osservazioni : Solo un regista disaffrancato da ogni problema di riscontro al botteghino e tanta capacità creativa come l'intelligente Steven Soderbergh, coadiuvato da un regista/attore che non ha per nulla timore di mettersi in gioco come Clooney, poteva proporre questa bellissima pellicola nostalgia, autentico omaggio sentito e pensato verso “Casablanca”(sin dal manifesto, provate a confrontarli), cinema che sembra fuori dal tempo. Immergendosi nella visione di questa pellicola sembra di essere in un film fatto in quegli anni e non in un film con lo stile tipico dell'epoca. Un grande bianco e nero esalta infatti atmosfere, musiche, inquadrature e addirittura stilemi dei gialli-noir anni 40-50 (incredibili le inquadrature con lo schermo che scorre sul fondo con inquadratura dentro l'autovettura ferma in studio tipiche del tempo andato)con venature di spy-story di cui il capolavoro sopracitato è stato e sarà per sempre l'emblema incontrastato.
La storia tra l'altro, contrariamente ad altri lavori di Soderbergh che possono risultare criptici od ostici al grande pubblico(inutile ricordare lo sperimentalistico”Full frontal”), scorre via benissimo,e
se è vero che il lavoro si concentra soprattutto sul visivo, non c'è nulla che possa impedire una fruizione appassionante, intrigante e di grande effetto con alcune cognizioni espresse di grande pregio della situazione post bellica.
Tra l'altro anche il non esperto o che non ha mai visto”Casablanca” non addita ad ingenue o superate certe scene ma ne riconosce lo spirito omaggiante, riconoscendo lo sforzo tutt'altro che facile di riproporre con qualità.
Nel reparto attori, oltre a un convincente Clooney,(che sappiamo benissimo interpretare solo parti in cui crede veramente), abbiamo un Toby”Spiderman”Mc Guire che abbandona i panni del bravo ragazzo per interpretare un violento e avido sfruttatore,(stupendo il dialogo tra lui e il diversamente abile iniziale), prova convincente che quando a dirigere c'è un indipendente(forse l'indipendente per antonomasia di oggi oltre a Lynch)anche gli attori si liberano di alcune pastoie sia iconografiche che recitative, come del resto la stupenda Blanchett(orrendamente doppiata,anno veramente nero per i doppiaggi questo...)disegna lucidamente un ritratto di Dark Lady affascinante, tenebroso e di grande rimando alle sue illustrissime colleghe del passato(oltre che la gentile figura di Ingrid Bergman del titolo rimando, la splendida Marlene Dietrich).
Grande lavoro in tutti i settori, di composizione e recitazione, per un film fuori dal tempo che di prepotenza vuole farci capire che le basi di quanto ora vediamo non perdono assolutamente di impatto riproposte con questa intensità, invogliandoci a noleggiare vecchi classici oppure ad abituare il nostro occhio moderno alle cognizioni fondanti.
Un pasto prelibato per i cinefili, ma un buonissimo film anche per lo spettatore occasionale che uscirà dalla sala soddisfatto da questa pellicola, intensa, coinvolgente che offre anche degli spunti su quanto in fondo gli orrori della guerra non erano volontà solo dei cattivi.
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Borat
Cast
Borat Sagdiyev Sacha Baron Cohen
Azamat Bagatov Ken Davitian
Se stessa Pamela Anderson
Credits
Sceneggiatura Sacha Baron Cohen , Anthony hines , Peter Baynham, Dan Mazer
Regia Larry Charles
Costumi Jason alper
Fotografia Anthony hardwick , Luke geissbuhler
Montaggio James Thomas, Peter teschner Shore, Craig alpert
Musiche Erran baron cohen
Scenografia David maturana
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Trama: Borat e' un poco credibile reporter Kazako che deve fare un filmato sull'America a uso e consumo del suo paesino disperso...arrivato in America insieme al suo manager scopre usi e costumi del tutto diversi in cui lui si integra a suo modo, ma sopratutto l'amore per le procaci bagnine, sopratutto una...
Commento:: Borat nell'America televisiva è paragonabile a un personaggio dello Zelig italiano, che ora diventa il protagonista di un film dissacrante e pieno di frasi e situazioni oltre(motivo del divieto ai minori di 14), accatastate come tanti siparietti situazionali a formare un quadro narrativo flebile e abbastanza risibile.
D'altronde come intenzione non c'era assolutamente quella di fornire una vera storia o un film completo, ma quanto più una scusa per prendere in giro aspetti seri o semiseri della vita Americana. E dopo aver scoperto le stranezze della vita del piccolo villaggio l'ingenuo Borat che fa del sesso il feticcio di vita si trova di fronte al colosso Americano a dover parametrare il suo personale orgoglio con le abitudini di facoltose famiglie, terrorizzato dalla possibile presenza degli ebrei o degli zingari, cercando strane calamite in un paese dove per i suoi occhi ammirati tutto è possibile.
Il film è zeppo di battute volgari, come del resto era il precedente Ali-g, ma bisogna dire che il contesto in cui vengono messe risulta sempre genuino in quanto il protagonista è tanto ingenuo quanto convinto nelle sue asserzioni assurde(la scena della cena con successiva spiegazione di uso della tazza è divertentissima), mentre non ha paura ad osare come nella scena del litigio nella camera d'albergo(vedere per credere, roba che non si era mai vista in un film a larga distribuzione...), per finire con la scena migliore, cioè quella degli ebrei.
Un film che si è dotato di una grandissima campagna distributiva, che lo ha innalzato nella curiosità del pubblico oltre quello che effettivamente sia il suo valore. Girato con camera a mano come se fosse un documentario(nella trama lo è), dopo il primo iniziale impatto con le sue frasi in un dialetto divertentissimo(complimenti al doppiatore Pino Insegno, una scelta egregia di tono e inflessione di voce)rischia di essere ripetitivo anche se la lunghezza del girato non è eccessiva.
Non si può dire di sganasciarsi dalle risate vedendolo, a volte molto è più dovuto alla simpatia di Sacha che al vero senso comico delle battute, ma rispetto a prodotti nostrani questo Borat risulta meno pesante, scontato, ma sopratutto in alcuni punti un occhio disancantato che non teme censure e luoghi vietati nell'esplorare abitudini e falsi miti, come quello dell'amore smodato per i fans rispetto ai loro beniamini, proponendosi senza problemi con un baciuz in bocca quando darne uno sulla guancia rischia di far arrossire nella società di oggi. Guardatelo senza pretese, sotto la campagna pubblicitaria qualcosa c'è...
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L'ultimo Re di scozia- Oscar a Forest Whitaker come miglior attore protagonista
L'ultimo re di Scozia
(The Last King of Scotland)
Un film di Kevin Macdonald. Con Forest Whitaker, James McAvoy, Kerry Washington, Simon McBurney, Gillian Anderson. Genere Drammatico, colore, 121 minuti. Produzione Gran Bretagna 2006.
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Trama:La cronaca della vita politica dell'Uganda negli anni 70 vista attraverso gli occhi di un volenteroso medico scozzese giunto con buoni propositi di aiutare il popolo in difficoltà e poi costretto a doversi misurare con il nuovo capo di Stato Idi Amin Dada asceso al potere dopo aver scacciato il suo precedessore Obote.
Dalla dura vita nei dispersi villaggi Ugandesi ai confortevoli palazzi del potere il giovane medico dovrà calibrare coscienza con dovere impostogli dal suo giuramento.
Commento: Forest Whitaker ha strameritato l'oscar di quest'anno per questa intensa interpretazione(volta a dimostrare che il capo di Stato era si un crudele dittatore ma anche un uomo ipocondriaco e che non era del tutto un mostro da demonizzare)ma a dire il vero avrebbe dovuto avere quello di...non protagonista.
Interpretazione tanto valida da farlo giganteggiare sulla pellicola come una sorta di fantasma onnipresente, ma il vero protagonista di questo film è il giovane medico scozzese Nicholas Garrigan(James McAvoy,ricordabile per il fauno di "Narnia"), che lo supera in presenza fisica e minutaggio di recitazione nel film,(in bravura no certamente, interpretazione veramente da applausi quella di Whitaker) ma anche e sopratutto per il fatto che sono i suoi occhi il metro sempre diverso attraverso il quale si può vedere la bontà o la cattiveria di Amin.
Speranze, delusioni, paure e gioie sono sempre come monitorate dal gigantesco capo di Stato, onnipresente, che per ammiccarsi le simpatie di quel paese si autoproclama"Ultimo re di Scozia", che come ogni persona al centro del mirino vive continuamente di paure cercando di fare promesse al popolo pensando comunque sopratutto alla propria tutela. Tratteggiata benissimo l'ipocondria con questa sorta di affrancamento del giovane e capace medico, la regia ma sopratutto Whitaker si preoccupano di segnalare anche il fattore umano nel dipanarsi della storia, con le scene del progressivo disincanto per mostrare il reale e contemporaneamente anche la dimostrazione dell'amore per i figli avuti da più mogli che arriva comunque anche in un simile frangente.
La storia procede in maniera fluida, e dopo averci mostrato la povertà e il senso vero della missione medica, i suggestivi, ma poveri, paesaggi vengono sostituiti con gli sfarzosi ma corrotti palazzi del potere. E a poco a poco anche Garrigan deve giocoforza mutare, sostituire il dovere medico con il dovere umano, perdendo mano a mano ogni connotazione di semplicità, speranza e dovere.
Un gioco di uomo che violenta la natura e la fiducia progressivo, stimolante, che sostituisce man mano il genuino con il becero, in un film che non smette mai per un secondo di interessare e che nel comparto finale arriva a buonissimi punti di thrilling(con citazione di"L'uomo chiamato cavallo")e utilizza dei filmati di repertorio per chiudere l'arco narrativo.
Da vedere per conoscere e approfondire un pezzo di storia di un paese Africano dalle tragedie come al solito troppo spesso dimenticate, ma per godere anche di cinema con una interpretazione grandiosa giustamente premiata, una fotografia rigorosa dei paesaggi, una storia progressiva e coinvolgente, e dulcis in fondo della visione di bellezze femminili locali.
Nella parte di Sarah troviamo la mitica Dana Scully di X-files.
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Uno su due
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Italia, 2006 - 100'
Colore, 35 mm
Uno su due
Regia
Eugenio Cappuccio
Cast
Fabio Volo (Lorenzo Maggi)
Anita Caprioli (Silvia)
Ninetto Davoli (Giovanni)
Giuseppe Battiston (Paolo Albini)
Tresy Taddei (Tresy)
Agostina Belli (Elena)
Paolo Rota (Antonia)
Francesco Crescimone (Crescimone)
Pino Calabrese (Dottor Ferretti)
Sceneggiatura
Eugenio Cappuccio, Fabio Volo, Michele Pellegrini, Francesco Cenni, Massimo Gaudioso
Trama--- Lorenzo è un avvocato rampante dedito al successo che sembra arridergli con un grosso affare con la Russia. Un giorno però sviene per strada e i medici gli riscontrano dei problemi neurologici. Nel limbo della paura per qualche giorno in attesa della diagnosi definitiva dopo il ricovero in neurochirurgia, conosce il camionista Giovanni. Un incontro illuminante che in attesa del responso lo porta a riscoprire cose che nella vita non sembravano poi tanto fondamentali...
Commento: un lavoro a metà questo del regista Cappuccio(tutt'altro che un esordiente, dato che è stato un collaboratore di Fellini in "Ginger e Fred"), ha già al suo attivo altri due film, di cui segnaliamo"Volevo solo dormirle addosso", quasi a simbolo del titolo che fonda tutto il suo racconto sul numero 2(due le ciabatte o scarpe in cui ci si trova in casi simili, due le possibilità del dentro o fuori dall'incubo della malattia). Decisamente meglio la prima metà ambientata nel reparto di neurochirurgia, dove l'incontro con Giovanni(un bravissimo Ninetto Davoli, un vero piacere rivederlo)apre lo spazio al coraggio dopo la terribile notizia, con la filosofia dei sapori riscoperti(la scena nel bar)e le nuove inevitabili mancate possibili prospettive che costringono a vedere le altre persone in una nuova versione(la scena della cena in questo senso è un piccolo gioiello, un po' meno quelli con la sorella apatica e tremula).
Definito bene anche il simbolismo della ricerca dei valori della vita vacui e solo dovuti a una società consumistica rappresentati dal [Tv] al plasma che costa/vale sempre di meno, a cui Lorenzo sembra dare tanta importanza e che poi anche in un contesto perfetto risulta del tutto insignificante(e che dà la possibilità al regista di citare i fratelli Karamazov).
Il regista intelligentemente, coadiuvato da una recitazione di buon livello di Fabio Volo, tratta il delicato tema con le pinze e fa trasparire un misto di accettazione e di rassegnazione, ma anche tanta forza di volontà con la quale i personaggi non tendono all'annullamento ma alla calibrazione delle cose importanti della vita in questa diversa prospettiva.
Poi, purtroppo, il segmento secondario dell'attesa del responso è meno convincente, privo di fascino, parecchio forzato e con situazioni di ricerca di una certa azione base che avviene nel film poco convincenti. Il finale comunque è praticamente perfetto, giustamente bilanciato per non dare false illusioni a chi è coinvolto in prima persona ma anche giusta speranza.
Bisogna riconoscere a questo lavoro imperfetto comunque una onestà di base, una voglia di raccontare sincera senza voler sfruttare il tema per facili sperequazioni di sentimento o di botteghino. Dopo la parentesi di”Manuale d'amore 2” Volo ritorna a un cinema di maggior valore, sorridendo molto poco e osservando il mondo con occhi spenti.
Ideale per una serata di valido impegno, svolge una possibile azione di post colloquio stimolante maggiore dei suoi effettivi pregi cinematografici troppo relegati a simbolismi non ricercati e concetti semplici, ma forse per questo ancor meglio recepiti nella propria sfera personale.
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Correndo con le forbici in mano
Ritratto familiare americano dal libro di Augusten Burroughs
(Running with Scissors)
Un film di Ryan Murphy. Con Annette Bening, Jill Clayburgh, Brian Cox, Joseph Fiennes, Evan Rachel Wood, Alec Baldwin, Joseph Cross, Gwyneth Paltrow. Genere Commedia, colore, 116 minuti. Produzione USA 2006.
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Trama: una scrittice di poesie in preda a crisi isteriche che la portano a una aridit
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Il vento che accarezza l'erba
Palma d'oro a Cannes 2006, il film di Ken Loach, racconta un pezzo di rivolta indipendentista irlandese negli anni '20, che porter
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the Saw 3- l'enigma senza fine
Regia: Darren Lynn Bousman
Sceneggiatura: Leigh Whannell, James Wan
Fotografia: David A. Armstrong
Montaggio: Kevin Greutert
Musica: Charlie Clouser
Interpreti: Tobin Bell, Shawnee Smith, Bahar Soomekh, Angus Macfadyen, Dina Meyer
Nazione: USA
Anno: 2006
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Trama : scappato dalla polizia e sfuggito ai controlli, il grande burattinaio che si serve di enigmi per soddisfare il suo personale gusto della giustizia si ritrova insieme alla sua adepta Amanda a percorrere un nuovo gioco di sadiche torture e indicibili sofferenze a delle vittime prescelte. Ma la malattia di cui il JigSaw è affetto sembra non lasciare scampo, per cui...
Commento: <i>The Saw 3</i>, ovvero quando l'abuso dei seguiti porta a una terrificante camminata sugli specchi, o meglio, visto l'argomento del film, su degli irti spuntoni di una sceneggiatura che già con il secondo capitolo stava per scricchiolare, salvandosi per una scelta di situazioni di prigionia corali e di colpi di scena che ne risollevarono il risultato finale. Questo terzo capitolo gioca subito a viso scoperto in quanto conosciamo benissimo la coppia John/Amanda che tira le fila del perverso gioco di incastri, ma purtroppo man mano che l'azione prosegue invece di attirare l'attenzione e la curiosità dello spettatore tutto si affloscia in una sarabanda del gore fine a se stesso, fatto bene quanto volete, dato che alcune torture sono di una cattiveria allucinante(notevole quella ispirata all'inizio di <i>Hellraiser 3</i>)e realizzate davvero bene, ma comunque gusto del sadico che non è funzionale al procedere della trama come dovrebbe, arricchendo la suspance invece di catalizzarla, e possiamo anche notare una certa ripetitività nel design arrugginito ad hoc degli strumenti. Regista e sceneggiatore(il secondo regista del primo ottimo capitolo)cercano di chiudere la trilogia con il concetto dei corpi appesi, cioè come"essere appesi a un filo"(quasi tutte le vittime sono in questa posizione), scadendo anche in improbabili citazioni famose(DeNiro in"<i>Taxi driver</i>"allo specchio),e citandosi con la scena del fucile, dando un movimento percettibile solo in minima parte alle vere evoluzioni della trama che essendo quasi interamente da sviluppare in poche stanze chiuse alla fine si rivela troppo claustrofobica.
Alcuni flashback cementano parti poco chiare dei primi due capitoli, cercando di comporre quindi nel trittico un affresco completo, chiudendo cerchi irrisolti di situazione che i fan della serie si domandavano da tempo. In definitiva un film che farà la gioia degli amanti del gore(c'è davvero di tutto, da operazioni chirurgiche a scarnificazioni più o meno profonde, da tagli auto inferti a macchinari complicatissimi e surreali, come quello dei suini, che farebbero invidia a quelli assai più innocui ma ingegnosi degli scontri di Macchia Nera e Topolino, situazioni di prigionia che se vogliamo sono la base del concetto di queste prigionie con scappatoia), che non si risparmia negli effetti speciali e nella gioia di mostrare sadicamente il dolore, più e meglio dei predecessori, essenziali da visionare prima di questo(troppi rimandi al passato, visto a se non significa nulla). Un finale raffazzonato e un disegno superiore davvero tirato per i capelli chiudono uno spettacolo chiuso nel suo genere di buon livello ma senza colpi di scena validi nella storia, da sconsigliare altamente a chiunque sia troppo sensibile."Game over!" si dice nel film, e non possiamo neppure dire speriamo in quanto il quarto capitolo è in arrivo...
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Death of a president
Death Of a President - Morte Di Un Presidente (Death of a President)
CastHend Ayoub, Jay Patterson, James Urbaniak, Christian Stolte
Durata 01:30:00
Data di uscita Venerdì 16 Marzo 2007
Generi Drammatico, Thriller
Distribuito daLUCKY RED (2007)
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<u>Il futuro senza Bush</u>
Sinossi: l'ipotetica uccisione di George Bush in un documentario fasullo, le pecche del servizio d'ordine e le leggerezze di controllo su un gruppo di manifestanti, le preoccupazioni del mondo e il finto funerale. Il tutto frammistato ad interviste con possibili colpevoli e collaboratori di fantasia.
Commento: 19-ottobre 2007 , una data ipotetica futura per il summa dei delitti politici : l'uccisione del presidente Bush, vista come un documentario attraverso le ricostruzioni e le testimonianze di ipotetici presenti al delitto e falsi collaboratori del presidente Americano attualmente in carica.
Una ricostruzione minuziosa dell'avvenimento prossimo futuro ( ci immaginiamo George che fa scongiuri di ogni tipo...) messa in pellicola alternando, grazie a un sapiente lavoro di montaggio, fotografie e filmati veri di repertorio ( per il funerale vengono usate le esequie di Ronald Reagan ). La ricostruzione è assolutamente minuziosa, partendo dalla locazione in cui avviene la tragedia, un albergo di lusso che ospita la conferenza, alla ricostruzione da parte del servizio d'ordine (”Per una persona l'atterraggio dopo un viaggio in aereo è una gioia, per noi cominciano le preoccupazioni”) di tutte le falle nei controlli che si sono verificate che hanno portato alla uccisione del Presidente.
Il film di fronte alla minuzia della ricostruzione di come si sia giunti ai due spari fatali, che è di sicuro pregio, ha di contro il difetto che manca di ogni vero approfondimento di quanto dopo potrebbe succedere a seguito della sua uccisione, sui risvolti politici di come il mondo potrebbe reagire a un avvenimento di tale portata, limitandosi a tratteggiare uno scenario minimale di possibile ritorsione/vendetta verso la Corea del Nord e l'Oriente in generale. Il senso alla fine che se ne trae potrebbe essere quello non di una assenza fondamentale ma solo di un formale passaggio di consegne, visto che Cheeney assorbe la carica senza particolari scossoni nel paese. Tra l'altro la collocazione dell'avvenimento, oltre a presentare parecchi dubbi nella meccanica possibile ( è strano che Bush si sia fatto trovare all'aperto senza difesa con tanti alti palazzi attorno del tutto, come si dice in gergo, imbonificabili, diventando un facile bersaglio), avviene durante una manifestazione di aspra protesta contro di lui, dando la sensazione precisa di quanto comunque molti anche non provando esultanza, non piangeranno troppo per la sorte del loro Presidente.
Lavoro in definitiva straniante ma non stimolante, curioso nella sua idea iniziale ma in fondo del tutto inutile visto che si limita al mero approfondimento del come e non del perchè o del sarà, che dopo un po' porta alla noia.
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in memoria di me
Regia di Saverio Costanzo con Christo Jivkov, André Hennicke, Marco Baliani
Genere: drammatico
Durata: 115 minuti
Anno: 2006
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Trama: Andrea (Christo Jikov) è un bel ragazzo sui trent’anni che, apparentemente, sembra avere tutte le carte in regola per riuscire nella vita. Ma il suo rapporto con il mondo lo porta ad un profondo stato di smarrimento. Per questo, con lo scopo di recuperare un certo stato di equilibrio interiore, si sottopone al noviziato. Lungo il percorso accidentato della preghiera e degli esercizi spirituali per l’avviamento al sacerdozio, Andrea scopre l’universo misterioso ed intransigente del monastero. Nel silenzio assordante della grande comunità ecclesiastica, i novizi vengono costantemente tenuti d’occhio. Spiando i loro gesti e sorvegliando i loro moti più intimi, il Padre Superiore (André Hennicke) cerca di spronare i ragazzi ad abbandonarsi definitivamente a Dio. Durante il suo difficile percorso interiore, l’attenzione di Andrea si concentra sull’irrequieto Fausto (Fausto Russo Alesi) e su Zanna (Filippo Timi), novizio ribelle contrario al ‘dogmatismo’ dell’intero sistema-Chiesa.
Commento:un cinema fatto di luci e ombre, di stili geometrici e ricercatezza nel silenzio interrotto dalle musiche che ogni tanto irrompono a spezzare la continuità della monotona esistenza di questi novizi insicuri. Non tanto perchè gli manchi la fede, ma perchè non riescono a percepire il vero motivo della loro presenza e della loro missione all'interno del luogo di culto. Filmando con geometrie rigide e continui movimenti di zoom, per meglio centralizzare l'attenzione o allargare il campo visivo, Costanzo si concentra sulle luci e sulle ombre dei misteri che sono presenti all'interno dell'edificio mostrandoci lunghi corridoi mai veramente solari, volti che raramente tradiscono emozioni e persone che solo nella semioscurità riescono a mostrare il loro vero sentire. Claustrofobia cinematografica intensa, dato che quasi tutto il girato è all'interno e non si percepiscono rumori e segni di vita esterni se non nel fischio e nel passaggio delle navi, con tanti richiami a stilemi del passato con presente il cinema delle ombre tedesco.
la vicenda si muove silenziosa tra le mura senza mai innalzarsi a vera scoperta dei piccoli/grandi misteri che il regista semina lungo il girato, apatica, e i movimenti sempre uguali durante il giorno non fanno altro che confermare la totale mancanza di onestà di quanto si può fare o dire, e l'unica cosa personale che il novizio riesce a compiere è la fuga, silenziosa, lontana dalla verità della motivazione per tutti gli altri, mentre in qualche luogo vicino ma dimenticato qualcuno sta soffrendo le colpe di qualcosa che non si trova nell'azione ma nel dogmatismo.
Veramente suggestive le inquadrature con camera fissa dei lunghi corridoi, le ampie vetrate che ricordano un cancello verso l'esterno visivo ma fisicamente imprigionante, ma sopratutto la telecamera sempre discreta che segue con presenza non invadente i movimenti ritmici o meccanici dei novizi mai preda di alcun vero stato emozionalmente eccessivo, costretti da un dogmatismo impietoso a lasciarsi tutto dentro.
Non si può nenache parlare di cinema anticlericale come potrebbe sembrare al primo impatto, i discorsi sono improntati alla denuncia di alcuni stati di un certo argomento, mentre la fede e la voglia di conoscenza dei sacri testi è reale, genuina, completamente desiderata. Solo che manca una necessaria logica della serenità nel poterla trovare, governata da dietrologie del tutto imponenti e oppressive, come il bellissimo discorso spiato con alle spalle la figura della statua dell'alto prelato alle spalle.
Prendendo a spunto il cinema di Philip Groning con "Il Grande silenzio"e il concetto base di"Stigmate"della semplicità del credo, Costanzo costruisce un film criptico, da seguire con estrema attenzione, ma suggestivo e potente, del tutto disaffrancato da ogni influenza produttiva, con una vitalità nascosta e magmatica all'interno dello spirito molto superiore a una solo apparente mancanza di emozioni, che i visi e le parole raramente trascendono, di quello che vediamo sullo schermo.
Da vedere per riflettere questi prodotti girati con coraggio, lontanissimi da ogni moderna pellicola, apprezzabile sia dal laico che dall'ecclesiastico in quanto raccontano uan storia senza esaltare o distruggere il tutto ma solo il comparto.
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The fountain - l'albero della vita
The Fountain, Usa, 2006 - regia di Darren Aronofsky - scritto da Darren Aronofsky - con Hugh Jackman, Rachel Weisz, Ellen Burstyn, Sean Gullette, Sean Patrick Thomas, Donna Murphy - durata: 90 minuti - distribuito da Twentieth Century
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<u>L'amore senza epoca</u>
Trama: un amore infinito che si snoda nel tempo, tre epoche distantissime attraversate da un filo conduttore di un uomo e una donna che si amano. L'albero della vita perpetua l'esistenza, potrà perpetuare anche il sentimento ?
Commento: Tre epoche diverse per chiarire un concetto atavico e immortale: il vero amore non muore mai. Attraverso passato, presente e futuro, il regista Darren Aronofsky tratteggia un affresco di grande visualità, impreziosito dalla fotografia di Matthew Libatique ( uno dei direttori della fotografia prediletti da Spike Lee ) e fortemente voluto da lui stesso in quanto tratto da un suo racconto scritto a quattro mani con Ari Handel. Partendo dai conquistadores spagnoli alla ricerca di un misterioso albero che dona la vita eterna, si prosegue con andata e ritorno nelle spire del tempo in un gioco di conoscenza del passato e scrittura di un libro sul futuro possibile, con la rabbia costante della paura di perdere la vita ma sopratutto come conseguenza di questo l'amore eterno che si è dichiarato in epoche ormai lontane. Il motivo dominante del film è raffigurato dalla parola "Finiscilo", nove semplici lettere che la Weisz ( stupenda nelle vesti della regina Isabel sia in quelle della bianchissima Izzi Creo, simbolo etereo di purezza e tranquillità ) ripete più volte, tentando di convincere l'amato Tomas/Tommy/Tom Creo ( Hugh Jackman, che partendo da una versione con barba e capelli folti nei panni dl conquistador spagnolo, piena di forza e di rabbia, arriva via via a una pelata e riflessiva) alla chiusura, scrivendolo, dell'ultimo capitolo del libro che nella epoca di mezzo sta leggendo per ricongiungere i fili di una storia che sembra inevitabilmente debba terminare con la morte, che giunge dopo una malattia, dolore fisico che paradossalmente può donare quella felicità e tranquillità sempre mancante nella spasmodica ricerca di vivere per sempre insieme, tranquillità alla quale Izzi vuole convincere l'amato senza tempo. Concetto mai corrisposto, che alla fine rischia di essere solo un continuo assommarsi di cerchi del legno che non trovano mai un centro definito come quelli dell'albero che invecchia e avvizzisce.
Svolgendosi lungo tre epoche assistiamo a uno spettacolo diversificato ( appesantito inoltre dal fatto però che la narrazione non è lineare ma segnata da continui salti nel tempo avanti e indietro ), con soddisfazione di avere ambientazioni sempre diverse, da quella forestale, quella urbano-ospedaliera, e infine un microcosmo vegetale simile ad una bolla di sapone che vaga nello spazio. Il limite che si riscontra nella visione di questo "albero" è che il concetto basilare viene ripetuto all'infinito, estremizzando i limiti del suo elastico narrativo, con continue riflessioni anche un po' banali nella parte del presente che diventano monotone litanie, per poi scatenarsi in un finale pirotecnico di grande visualità dove Libatique ha potuto mostrare le sue capacità con una fotografia di altissimo livello che impreziosisce e illumina una saranbanda di effetti speciali notevoli che hanno il loro fulcro nella primavera improvvisa dei germogli. Di fatto le due parti esterne del tempo sono le migliori, più coinvolgenti sia nella riflessione che nell'azione in quanto più visuali della centrale troppo banale e piatta.
Portandosi dietro l'albero per il tempo Aronofsky, che torna alla regia dopo Requiem for a Dream (2000) e che praticamente aveva prima di Requiem girato solo un lungometraggio prodotto con soldi di amici e parenti, e che nella vita è il fidanzato della Weisz, vuole tratteggiare un novello paradiso dell'eden, mentre Adamo ed Eva devono giocoforza separare le loro esistenze perchè l'albero porta i germogli di una storia lunga ma non fruttuosa che non trova mai vera consolazione, parafrasi del film che racconta con un percorso troppo lungo
troppo poco, cercando storia in radici senza propaggini.
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Ghost Rider
Nota : alla fine del film non vi è come di consueto nei film marvel una scena aggiuntiva
Titolo Originale: GHOST RIDER
Regia: Mark Steven Johnson
Interpreti: Nicolas Cage, Raquel Alessi, Angry Anderson, Arthur Angel, Wes Bentley, Laurence Breuls, Eva Mendes, Peter Fonda
Durata: h - 1.53
Nazionalità: Usa 2006
Genere: azione
Al cinema nel Marzo 2007
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Trama:Johnny Blaze è un motociclista acrobatico che si esibisce in spettacoli ad alta gradazione di adrenalina con il padre. Un giorno questi si ammala e per farlo guarire si trova a dover stipulare un patto con il diavolo per risanarlo. Passati gli anni e abbandonato il suo unico vero autentico amore per colpa della maledizione, Johhny si ritrova un giorno a dover fronteggiare come servitore di Mefistofele in una satanica incarnazione un terribile spietato nemico: CuoreNero!
Commento:Mark Steven Johnson, il pessimo autore di <i>Daredevil</i>, altro film con protagonista un eroe della scuderia Marvel, si misura ora con Ghost Rider, un personaggio che, dopo la sua ormai antica prima apparizione a fumetti datata 1950 ad opera di Dick Ayers con il nome anche di Phantom Rider, anticipò di parecchio i tempi con la nuova incarnazione del 1972 voluta da Gary Friedrich e Mike Ploog. Quel personaggio con la sua casacca nera, il suo teschio fiammeggiante, le ambientazioni horror e voodoo ( a cui Ploog era avvezzo essendo il disegnatore della linea horror Marvel con"Licantropus" e "Frankenstein" e altri ancora ), conquistò da subito il favore dei lettori affascinati da un look tanto innovativo e da atmosfere alla <i>Easy Rider</i>, ( a questo proposito la presenza di Peter Fonda nei panni di Mefistofele è un chiaro rimando), facendolo balzare subito al top delle vendite.
Purtroppo in seguito il suo fascino con il disincantarsi dei tempi si affievolì, e il personaggio finì per consumarsi come le sue fiamme nell'anonimato.
Fan da sempre a sua detta del personaggio, Johnson ha detto che il primo ad essere deluso da un film fiacco su Ghost rider sarebbe stato lui per primo ( lo disse anche per <i>Daredevil</i>, citato nel film, e i risultati furono un disastro), e ha chiamato ad interpretarlo Nicolas Cage, altro fan dichiarato che si è fatto addirittura un tatuaggio a tema, nascosto dal trucco, che con la sua interpretazione avrebbe dovuto dare spessore alla parte.
Il rispetto per la filologia della storia del personaggio c'è, come dimostrato dall'inserimento nella trama del Rider a cavallo, ( interpretato da Elliott di chiaro rimando vecchio ovest ), personaggio ai più del tutto sconosciuto, per cui neppure i Marvel fan avrebbero gridato vendetta se non ci fosse stato, gli effetti speciali sono di buon livello con le loro trasformazioni di sapore horror, ma purtroppo tutto l'insieme, nonostante brillino le scenografie di sapore Raimiano della palude, non si eleva da un prodotto usa e getta dove la Mendez fa la bambolona sbottonata proprio lì, e Cage risulta più credibile nella versione infiammata che quando si mostra con la sua recitazione facciale di legno come al solito.
Preoccupato di fornire un prodotto il più possibile completo ( azione, effetto, sbalordimento, sentimento, oscurità dell'animo ), Johnson disperde la potenzialità della trama in situazioni imbarazzanti e del tutto prive di valore, come l'intervista e l'inseguimento che riallacciano con fotografia flou il ricordo dell'amata sotto l'albero, mentre liquida la presenza dei cattivi con velocità quasi fastidiosa, seppure questi siano potenzialmente dei buoni personaggi, come Cuorenero ( interpretato dal Wes Bentley di <i>American Beauty</i>) e qualche volta confonde la Torcia Umana con Ghost Rider ( non voglia mai che si proponga per il terzo capitolo dell'altra saga marvelliana). Dopo aver fornito omaggi a iosa ( abbiamo anche <i>Apocalypse Now</i> e <i>Resident Evil apocalypse</i> nel lotto ), e aver lasciato la scena agli effetti speciali e alle scenografie da Ghost Town e bayou, noi spettatori ci ritroviamo ad aver passato due orette accettabili di divertimento pop corn di visivo impatto senza pretesa alcuna, aver rivisto due grandi attori come Fonda ed Elliott, e dato che siamo passati magari attraverso le forche caudine dell'orrendo <i>Spawn</i> , tanto per citare un film ad ambientazione e derivazione infernale, possiamo accettare con un sorriso questo bicchiere d'acqua che non fa altro che confermare che la produzione di film da personaggi Marvel è solo trasposizione ma mai approfondimento. Attendiamo il prossimo Spiderman per vedere se la promessa oscurità di fondo sia vera discesa nell'animo oppure solo il solito sfruttamento comemrciale. Alla fine Johnny prese il fucile, ma lo sparo in fondo fu sordo...
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Asterix e i vichinghi
TITOLO ORIGINALE
Astérix et les Vikings
NAZIONE
Francia / Danimarca
GENERE
Animazione, Avventura, Bambini, Commedia
DURATA
78 min. (colore)
DATA DI USCITA
16 Marzo 2007
REGIA
Stefan Fjeldmark, ...
SCENEGGIATURA
Jean-Luc Goossens, ...
DISTRIBUZIONE
D.N.C.
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Trama:tratto da "Asterix e i Normanni"di Goscinny e Uderzo , si narrano le avventure del villaggio gallico non conquistato dai Romani alle prese con un nemico coraggioso e temibile che chiede una cosa inverosimile...fargli paura !
Commento: Dal co-regista di Terkel, arriva un nuovo film d'animazione, con protagonista Asterix e Obelix.
Alternando film con personaggi reali ( Gerard Depardieu fa solitamente Obelix nei film ) a lungometraggi animati, il mito del piccolo gallo baffuto e la pozione magica che rende invincibili continua. Stavolta sono alle prese con un nemico venuto da lontano, che vuole sapere che cosa è la paura, e crede che il nipote del capo sia un campione di fifa e lo vuole rapire per impararla.
Dopo molto tempo che non vedevamo al cinema produzioni con animazione classica, ( anche se non da sola ma coadiuvata da ritocchi al computer in questo caso ) ormai quasi completamente dimenticata, Asterix ritorna donandoci un po' di gustoso sapore di antico sfruttando capitali franco-danesi. Prendendo a soggetto la storia di "Asterix e i Normanni", si sono inserite piccole variazioni sul tema rispetto alla storia originale per dare un tocco di moderno al tutto, rappresentate dal piccione SmS, con il quale Spaccaossix ( nel fumetto, in Italia, Menabotte ) viaggia.
Nei fumetti di Goscinny e Uderzo, ( dopo la morte del primo, sceneggiatore, l'opera è stata continuata dal secondo da solo ), gli anacronismi sono presenti quasi sempre, non disturbano e danno un senso di ironia diversa al lavoro.
Infatti il ballo disco-dance era presente anche nel fumetto, anche se la tipologia era diversa rispetto a quella del film ( la' si ballava lo ye-ye, ispirato ai Beatles con " She loves you " omaggiando gli anni sessanta dove il fumetto si collocava ), e la biga super sportiva che vediamo è uguale a quella ideata graficamente nel lavoro cartaceo. Nel film è del tutto nuovo il personaggio della figlia del capo, Abba, ( dal gruppo musicale Svedese ) necessario per intraprendere un percorso della storia virato anche verso il rosa introducendo una in fondo scontata storia d'amore.
L'assunto "della paura che mette le ali", alla cui disperata e illusoria ricerca sono i Vichinghi, guida tutto il film con le piccole trame di palazzo ordite da chi sa la verità, facendo risaltare come il film si muova tratteggiando ritratti di guerrieri terrificanti ma in fondo bonari e ingenui, affezionati padri sottomessi ai voleri delle mogli.
Tutto il tono del film è comunque divertente e scanzonato come si conviene, con i soliti Romani da operetta e le baruffe del villaggio per i pesci che tutti definiscono rancidi, e fornisce un buon divertimento affettuoso per nostalgici padri che hanno amato le avventure a fumetti, ma di contro può risultare troppo fuori dal tempo per figli oltre i 10 anni, in quanto troppo legato ai gusti dei suoi tempi e i piccoli ritocchi per renderlo attuale non certo totalitari.
Divertimento assicurato invece per i più piccini, che resteranno divertiti ed entusiasti da un alvoro facilmente codificabile. E, per Toutatis!, che vi possa cadere il cielo sulla testa, non perdetevi la divertente sequela di immagini fisse sui titoli di coda che raccontano aspetti postumi alla storia che avete visto.
Presenti le voci di Pino Insegno e Martina Stella.
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Off-topic!
Ma mi hai copiato l'avatar! :sbonk:
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è una vita che ho l'avatar delle iene...
Titolo Originale: ILS
Regia: David Moreau, Xavier Palud
Interpreti: Olivia Bonamy, Michaël Cohen
Durata: h 1.17
Nazionalità: Francia 2006
Genere: thriller
Al cinema nell'Aprile 2007
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Them
<u>Loro, la paura degli abitanti della notte</u>
Sinossi: in una grande casa isolata, Lucas e Clementine vogliono trascorrere un periodo di tranquillità. Purtroppo visite misteriose e minacciose impediranno che ciò si verifichi...
Commento:David Moreau e Xavier Palud sono due registi praticamente esordienti che con l'aiuto di Richard Granpierre ( produttore di Irreversible, Saint Ange e il Patto dei lupi) hanno realizzato questo low-budget sullo stile di "The blair witch project", con il pericolo che non si mostra mai.
I due protagonisti, Clementine ( Michael Cohen ), e Lucas ( Olivia Bonamy ) recitano praticamente in coppia solitaria per tutto il film, senza che ci siano contatti o l'esterno arrivati nella casa dove li attendono i cosidetti "Loro".
I “loro”sono le paure inconsce della nostra esistenza che di notte ci avvolgono, che con il favore del buio escono a prenderci e a portarci via, esseri invisibili che giocano con noi, amplificando le nostre paure come fa il gatto quando si vuole divertire con l'inerme topolino, in attesa solo di ghermirci per portarci via.
Riprendendo fatti realmente successi, i due registi costruiscono una sorta di”Dogma”del terrore poverissimo di effetti, con ampio uso della camera a mano, senza l'ausilio di artifizi visivi o lo”sparo”di musiche al momento topico, tutta incentrata su due soli protagonisti, una coppia che rimane chiusa nella loro grande casa immersa nella periferia di Bucarest, braccata da misteriosi esseri che li costringono man mano che prosegue la vicenda a trovare nuovi nascondigli sempre più angusti.
Come da lezione di Kubrickiana memoria ( la celeberrima scena iniziale di Shining il cui il senso di solitudine e isolamento veniva rappresentato dalle montagne che rinchiudevano la famiglia che si recava all'Overlook Hotel ) si cerca di instillare nello spettatore il senso della futura mancanza di possibili aiuti esterni con un viaggio in macchina senza l'incontro di altri veicoli se non quello del prologo iniziale ( al riguardo da segnalare la composizione dell'accadimento, veramente particolare), con le alte fronde degli alberi che man mano rendono più piccolo l'orizzonte.
Poi dopo un buon inizio purtroppo il fascino della situazione si affievolisce,( per meglio farci conoscere i personaggi segue una fase di relativa calma decisamente superflua con momenti casalinghi e dialoghi banali), complice anche il fatto che la successiva disperata fuga cercando la salvezza non contenga nessuna vera novità narrativa a livello situazionale. Non basta dunque il fatto di non farci mai vedere i "loro" per imprimere maggior tensione, in quanto la mancanza del visivo sembra più una comoda scelta per evitare costi che reale motore narrativo.
Avendo scelto l'asciuttezza sia visiva che narrativa, molto per budget e poco per motivi autoriali, i registi ci conducono attraverso questo viaggio della paura senza cercare motivi di particolare riflessione, tutti condensati nelle brevi didascalie che appaiono nella sequenza finale.
Un film che non troverà grandi consensi nell'Italica penisola, deludendo chi si aspetta spargimenti di sangue a iosa ma anche chi cerca una storia diversa da bere tutta di un fiato per la sua ( breve ) durata attaccati alla sedia in ansia per la sorte dei protagonisti.
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Hollywoodland
Drammatico/Thriller, USA, 2006
Regia
Allen Coulter
Cast
Adrien Brody, Diane Lane, Ben Affleck, Bob Hoskins, Robin Tunney, Joe Spano
Distribuzione
Buena Vista
Uscita
23/03/2007
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Trama: Louis Simo è un investigatore privato che su richiesta della madre indaga sulla morte, apparentemente avvenuta per suicidio, di George Reeves, il Superman televisivo degli anni 50. L'indagine che si svolge attraverso ambigui comportamenti e potenti produttori televisivo cinematografici rivela ben oltre che i soli problemi dell'attore in crisi apparente...
Commento: Allen Coulter (I Soprano, Sex & The City), ha deciso per la sua prima prova non televisiva di sviluppare la vicenda di un attore dimenticato come George Reeves,( incredibile l'assonanza con lo sfortunato Christopher Reeve ), che negli anni '50 diede le sue fattezze per il personaggio dell'uomo d'acciaio televisivo in produzioni low-budget ma amate da bambini e famiglie. Ripercorrendo con flash-back gli accadimenti in maniera approfondita, grazie anche a un lavoro di montaggio pulito ed efficace, veniamo a conoscenza di aspetti del sistema cinema americano non proprio puliti, in cui l'attore vorrebbe calarsi con tentativi goffi di partecipare a produzioni importanti come "Da qui all'eternità"( incredibilmente suggestivo l'inserimento delle immagini di Affleck a fianco di Burt Lancaster ). Da qui il titolo, esplorazione più completa del settore e non del comparto, con una denuncia ben precisa di cose che si imamgino ma nessuno dice.
Il lavoro si concentra sopratutto nel disagio dell'attore che le indagini portano alla luce, con una tuta che gli sta troppo stretta e inutilmente resa più luccicante dai soldi che percepisce. Quasi a tragica proposizione futura dell'altro Superman, l'attore ( splendido e sorprendente Affleck premiato con la Coppa Volpi a Venezia per il miglior protagonista maschile ) cerca in ogni modo di togliersi il timbro e l'emblema della grande "S", sperando addirittura che arrivando in Tv il colore possa almeno avere una tuta colorata e non quella grigia. E questo senso di impotenza e costrizione lo porta ad affogare ogni possibile futura speranza nell'alcool e nel fumo, distruggendo insieme all'uomo anche il mito che i bambini adorano tar i compiti e la merenda.
Le indagini di Simo ( un Adrien Brody che ricorda un Ben Urich di Milleriana memoria ), ci indicano di come i soldi in fondo possano comprare tutto, condizionare e tarpare le ali di ogni iniziativa, in un mondo dove gli spettatori divisi da uno steccato non vedono le degenerazioni e forse non vogliono neanche sapere per non perdere le illusioni. ( sintomaticamente dimostrato dalla scena dello spettacolo nel villaggio western finto ).
Lavoro raffinato tecnicamente, fotografia di grande impatto, che costruisce una atmosfera noir bilanciando sapientemente i colori verso lo scuro, costituisce un buon impulso alla riflessione di certi aspetti gloriosi che non sono, ma al contempo soddisfa pienamente i canoni della storia di indagine e ricostruzione.
Presente Bob Hoskins, il produttore senza scrupoli, mentre Diane Lane e Robin Tunney danno un efficace ritratto di donne che per un motivo o per l'altro manipolano il superuomo con superproblemi. Un cast di grande pregio, che unito al resto, comprese le affascinanti musiche e le scenografie anni 50, ci dona un lavoro composito e completo sul disincanto dell'industria dei sogni.
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Titolo: Bordertown
Titolo Originale: Bordertown
Genere: Drammatico
Anno: 2007
Nazione: Regno Unito
Casa Distribuzione: Medusa
Durata: 112 minuti
Data uscita: 23-03-2007
Sceneggiatura Gregory Nava
Regista Gregory Nava
Interpreti Jennifer Lopez, John Norman, Kate del Castillo, Antonio Banderas
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Trama: Juarez,Messico. Lauren è una giornalista che prende a cuore il destino di Eva, una sedicenne operaia che lavora nelle maquilladores ( fabbriche che in serie e con sistemi ai limiti della schiavitù costruiscono componenti elettronici ), scampata alla morte dopo aver subito violenze carnali da un gruppo misterioso, responsabile anche di altri omicidi.
Decisa a far luce sugli avvenimenti che sembrerebbero essere una catena e non un caso singolo, non può contare sull'aiuto di nessuno tranne che quello di un coraggioso reporter, Alfonso Diaz...
Commento : Jennifer Lopez ci riprova, e puntuale come sempre non manca di centrare il bersaglio del fallimento. Bordertown è un pietoso tentativo di inserire in un contesto tragicamente reale una trama raccontata nel modo opposto di come dovrebbe essere fatto, cioè con rigore filmografico e grande rispetto della possibile aderenza ai fatti reali anche nelle meccaniche di svolgimento. Infatti l'unico suo merito, volendo non da poco, ma in fondo a quel punto bastava un articolo o una canzone e non fare un film, è di aver messo in luce il problema delle desasparecide delle fabbriche, ma il modo con cui è fatto è irritante, insipido e del tutto assurdo.
Infatti, non si può gestire una vicenda simile e tanto tragica come se fosse un brutto thriller action, con inseguimenti e indagini singole al limite del ridicolo, situazioni di pericolo tanto artefatte ( si scappa dal pericolo e si va in vicoli bui e putridi, si rimane sole su un autobus e non si esce con gli altri ) e altre tanto assurde da sembrare parodistiche ( il giardino, e quel concerto di Juanes che fa se stesso con Eva che sorride e balla dopo essere stata brutalizzata ferocemente solo qualche sera prima ). Dopo poche battute capiamo che il film vuole ingannarci, denunciare con un occhio sempre attento però alla silhouette della Lopez che ne risalti il sedere prospero, e a non perdere la situazione di movimento per non mancare il gusto di spettatori che lo eviterebbero per troppa serietà.
Diversamente da Blood Diamond che usava l'azione per arricchire e far fruire una denuncia di base, senza mai discostarsi dalla base di tragicità e di situazione infelice, qui si gioca al gatto con il topo alternando senza nessun senso narrativo iconografie ricercate ( il cammino al tramonto dell'infelice o i colori del giardino dell'Eden, o le inquadrature della Bordertown ), situazioni di angoscia che portano alle allucinazioni visive, un gran pastrocchio per metterci tutto senza riuscire a raccontare che superficialmente la vicenda.
Nava pensava da tempo al progetto Bordertown, lo aveva analizzato a fondo, ma probabilmente un cineasta più attento e meno legato alle logiche di produzione avrebbe rifiutato J.Lo., più scrupolosa a non sciupare la pettinatura e la pulizia del viso ( corse, situazioni tragiche e deserto non la sporcano neppure con un segnetto )che a recitare.
Con un Banderas ai minimi storici ( e dopo l'orrendo "Images" avrebbe dovuto evitare un altro film sulle scomparse ) e uno Sheen utilizzato in maniera minima, questo Bordertown è un Borderfilm, da odiare per aver usato un tema tragico a uso e consumo di logiche di incasso senza una vera anima coraggiosa e autoriale come si conveniva.
Alla prossima volta J.Lo., con lei abbiamo sempre sicurezza del risultato: una vera garanzia di non sorpresa se non altro.
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Trecento
Regia: Zack Snyder
Sceneggiatura: Kurt Johnstad ,Michael Gordon ,Zack Snyder
Fotografia: Larry Fong
Musiche: Tyler Bates
Montaggio: William Hoy
Anno: 2007
Nazione: Stati Uniti d'America
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 117'
Data uscita in Italia: 23 marzo 2007
Genere: drammatico,storico
CAST
Theron - Dominic West
Regina Gorgo - Lena Headey
Re Leonida - Gerard Butler
Dilios - David Wenham
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Trama: la battaglia delle Termopili rivisitata in chiave eroico-fantasy, dove un manipolo di 300 spartani rallentò l'avanzata di un esercito di persiani, permettendo alla grecia di organizzarsi ed efefttuare la controffensiva. A capo dei 300 c'e' Leonida , d'altra parte Serse che si crede un Dio...FIght!
Commento: dalla graphic novel di Frank Miller arriva sul grande schermo dopo anni il film tratto da essa. Utilizzando tecniche di lavorazione innovative che rendono l'immagine pittorica, il regista che ha fatto correre gli zombi in "Dawn of the dead" Zack Snyder costruisce un film potente, tutto volto a glorificare l'eroismo e che corre a 300 all'ora senza timore di nulla. In perfetta sintonia con l'opera grafica di Frank Miller, anche produttore e quindi estremo vigilatore, le gesta eroiche sono di una esagerazione totale, il climax viene raggiunto subito senza troppi giri di parole e le uniche fasi di calma sono in pratica la raccolta e l'accumulo dei cadaveri. Raramente ci è capitato di vedere al cinema una scelta di combattimento tanto composito eppure tanto frenetico, dove le commistioni di genere ( peplum,fantasy e war ) si accavallano fornendo un affresco che sembrerebbe impossibile da gustare invece, proprio per la sua chiara natura di sola celebrazione dell'eroismo, totalmente immerso in una serie di stampedi inarrestabili che ci schiacciano per portarci verso l'attacco successivo. Questo è cinema per il visuale, senza preoccupazioni, colorato, sanguigno, assurdamente composito eppure del tutto trasportante. Esiste solo una donna nel film, forte e robusta pure lei, decisa ed arcigna che fa l'amore con forza, moglie e regina del più coraggioso degli Spartani ( la regina Gorgo interpretata da Lena Headey ), che incarna lo spirito di come tutti a Sparta abbiano del sangue guerriero nelle vene. Non possiamo parlare di interpretazioni, tutto è talmente esagerato che passano in secondo piano, non possiamo parlare si scene madri in quanto tutte sono scene madri, dalla scena ricordo della lotta con il lupo ( magistralmente trasposta con la stessa tecnica di Sin City in modo da raffigurare la stessa inquadratura dell'albo ) alla spinta dentro il pozzo del messaggero, sfregio finale di ogni convenzione battagliera.
Preparatevi a uno spettacolo scevro di convenzioni ( abbiamo anche scene di esseri deformi che fanno l'amore con vestali drogate da effluvi ), con immagini sensazionali ( le navi persiane che affondano sono la punta del valore pittorico del film ), sanguinolento ( a volte una botte di vino gettato addosso non rende così rossi i corpi ), elegia del coraggio e dello sprezzo della morte con momenti quasi onirici e dotati di scenografie poderose ( gli arrivi di Serse sono qualcosa di incredibilmente affascinante ), malato ( i corpi che si accoppaino in alcune brevi scene sono di ogni natura ). inutile parlare di discorsi politici, Occidente contro Oriente, oltranzismo della violenza eccetera. In ogni film anche involontariamente i significati politici ci sono sempre, perchè la scelta di fare qualcosa può sempre ricondurre alla politica.
Questo è un film che non vuole e cerca significati: vuole solo con pugno duro conquistare il nostro stupore visivo e glorificare un impresa, farci inturgidire il membro per avere una spada pure noi, e alla fine del film farci rimanere sulle sedie a gettare uno sguardo gratificante per un valore apapgante, anche se fine a se stesso.
La voce fuori campo dopo un po' infastidisce il visivo, vorremmo scacciarla perchè ci disturba, tanto le parole non servono perchè basta quello che vediamo. E' vero, 300 potrebbe essere un film muto tanto poco ha da dire, ma in fondo chi non vuole entrare a vedere un film ogni tanto per nudo piacere del massacro di massa filmico ( ricordo che Commando diventò dopo critiche assurde un piccolo cult ),oltretutto fatto da Serse...pardon, da Dio.
Una pellicola di cui si è parlato tanto, dove bastava invece accontentarsi di vedere. Ma che vedere...
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perchè te lo dice mamma !
Titolo originale: Because I Said So
Regia: Michael Lehmann
Sceneggiatura: Jessie Nelson
Fotografia: Julio Macat
Musiche: David Kitay
Montaggio: Paul Seydor ,Troy Takaki
Anno: 2007
Nazione: Stati Uniti d'America
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 101'
Data uscita in Italia: 23 marzo 2007
Genere: commedia
CAST
Milly Mandy Moore
Maggie Lauren Graham
Mae Piper Perabo
Johnny Gabriel Macht
Daphne Diane Keaton
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Trama : Milly non riesce a conoscere l'uomo giusto, le due sorelle già accasate non trovano la soluzione, e allora ci pensa la vulcanica mamma a programmare un incontro su internet per la figlia. Ma la decisione della premurosa e onnipresente mamma, ai limiti dello sfinimento, non è detto che sia quella giusta...o forse si, perchè in fondo...Te lo dice mamma !
Commento: Ci sono film in cui chi propone, per diletto o per lavoro, un giudizio personale, che sono altamente comodi, facili da sbrigare e da codificare e servire per chi legge, senza entrare troppo in astrusi riferimenti o dover introdurre chissà quali concetti di esplicazione della trama. Tra questi film rientra la commedia rosa con happy end di questi tempi: prodotto facilmente commestibile che si snoda con assoluta monotonia e totale conoscenza della parte finale. E questo "Perchè te lo dice mamma!" non sfugge minimamente alla regola.
Una delle tre figlie ( Mandy Moore, da poco vista in "American Dreamz") deve lottare contro la mamma ( una esplosiva Diane Keaton ) che come un ciclone cerca di indirizzarne decisioni e destino verso l'uomo che piace più a lei che alla figlia. Nulla di nuovo sotto il sole, uomini belli e bravi che spuntano come dolci fiori, sorrisi e pianti alternati provocati dai più classici degli equivoci, situazioni abusate oltre ogni limite. Stupisce che ormai il cinema americano di genere si concentri sul personaggio del figlio senza madre che viene allevato premurosamente dal padre ( sempre bello e pulito nei sentimenti, si è appena visto questo nel recente "L'amore non va mai in vacanza"), questa cosa sembra voler nobilitare una figura particolare in modo da farcela piacere ancora di più con questo stratagemma, resa straniante alla visione dal fatto che il bambino non parli mai di sua madre ( morta, divorziata o fuggita che sia ) accettando sempre la nuova arrivata ( nella realtà è del tutto diverso ).
E dovrebbero piantarla con le scene di cani eccitati che fanno l'amore con pelouche o morbidi accessori d'arredamento, tra l'altro qui senza senso perchè non si capisce come un cane possa arraparsi vedendo due esseri umani accoppiarsi.
Cinema di ripetizioni e di scontatezze, che non fanno altro che acuire il senso di deja vu e finale telefonato ad ogni fotogramma. Si salvano le interpretazioni, o meglio l'interpretazione: il film è fatto su misura per esaltare la grande voglia di mettersi in gioco di Diane Keaton, un vero uragano che dopo anche "Tutto può succedere" non esita a mettersi in gioco con una scena in mutande, che domina il film con mossette ed espressioni divertenti, indossando completini a pua' sciccosi, dando l'unica nota positiva di questo piattissimo lavoro. Mandy Moore fa la figlia sempre in crisi d'approccio scarsamente caratterizzante, la Graham la psicologa di contorno, la Perabo la bella statuina. E gli uomini ? Accessori...vediamo come usarli al momento sembra dire il significato del film. D'altronde da questa commedia All-girl era difficile pretendere altro, l'onesta gli va riconosciuta, ma il dato di fatto è che ci troviamo di fronte senza speranza all'ennesimo prodotto sempre uguale. A chi può piacere riempire il proprio animo sentimentale senza guardare alla diversificazione del pasto si accomodi. Gli altri evitino con cura.
Citazioni varie per Gary Cooper con il nome del cane e spezzoni di film.
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<u>La favola che non ti aspetti</u>
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UN PONTE PER TERABITHIA (USA, 2006)
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Cast
Ms. Edmonds Zooey Deschanel
Leslie Burke Annasophia Robb
Jesse Aarons Josh Hutcherson
Jack Aarons Robert Patrick
Anno: 2007
Nazione: Stati Uniti d'America
Distribuzione: Moviemax
Durata: 95'
Data uscita in Italia: 30 marzo 2007
Genere: avventura,fantastico
Regia: Gabor Csupo
Sceneggiatura: Jeff Stockwell David Paterson
Fotografia: Michael Chapman
Musiche: Aaron Zigman
Montaggio: John Gilbert
Genere: fantasy adolescenziale
Trama : Jess, un ragazzino di 11 anni, incontra a scuola una Leslie, una simpatica e carina biondina di pari età, appena arrivata con i genitori dopo l’ennesimo trasloco compiuto. Oppressi da compagni di scuola rissosi e prepotenti che eseguono piccoli ricatti vigliacchi, i due si trovano subito in sintonia e per sfuggire a una realtà che non li vede protagonisti ( a complicare le cose ci sono delle incomprensioni con i genitori ), si recano nel bosco vicino e creano un mondo di fantasia dove loro sono il Re e la Regina…Therabithia !
Commento:Diretto da un esordiente,ecco un film che non ti aspetti, che segna una felice sorpresa, una piccola parola nuova nel modo di generare un fantasy senza cadere nel banale o nel ridicolo come fece Narnia l'anno scorso ( tra l'altro i produttori sono gli stessi dell'armadio sul mondo alterantivo postnatalizio che provocò alterni pareri ), impostando il tema dei problemi adolescenziali, trattato con una delicatezza e una poesia senza pari, su una specie di fuga dalla realtà passando con una corda in un mondo vicino e fatato. Contrariamente a come viene presentato, qui non siamo di fronte all'ennesimo prodotto preconfezionato tratto da un libro, ad uso e consumo di un pubblico pop corn di famiglie con bimbi, siamo in una sorta di "Stand by me", il film di Rob Reiner del 1987 con lo sfortunato River Phoenix tratto dalla novella "The body" di Stephen King, dove i piedi sono meno per terra ma la ricerca di una identità attraverso un viaggio è la stessa.
Il percorso personale che fanno i due ragazzi è solo marginalmente quello della fantasia nel visivo ( cioè l'apparizione dei mostri nella foresta, paritetici e in forma animale rispetto a quelli reali che li perseguitano ), ci si abbandona pochissimo ad effettoni, e invece sono moltissime le sezioni in cui ci troviamo a pensare e riflettere.
Un merito ed un coraggio grandissimo questo del film, che usa le simbologie per far meglio capire chi lo vede nei personaggi rischiando di deludere i più piccoli e chi era venuto a godersi una storia con mostri e spade alate ( come un trailer ingannatore falsamente promette ). Riprendendo il discorso delle simbologie ed i parallelismi, sin dalla primissima scena capiamo che i due ragazzi sono i veri campioni, non capiti e considerati da una ottusa prepotenza degli altri ( dando la colpa alla tv in maniera del tutto chiara anche se opinabile ), il modo in cui Jess sparge la marmellata ci fa capire che ha le mani morbide sui pennelli da vero artista, come dipingono le pareti la voglia di libertà indipendentemente dall'essere, l'esercito degli insetti guerrieri un parallelo sul fatto che i piccoli uniti diventano potenti, l'ottusità dei falchi che sanno dire solo una frase, il nome della professoressa "Bocca di mostro" il fatto che in fondo certe volte il fatto di dire e comportarsi in qualche maniera brutale non corrisponde a una reale mancanza di sensibilità, e tutto questo gioco procede senza ridondanze, in maniera ponderata e non frenetica.
Davvero un bel film, interpretato da due giovani protagonisti davvero validi ( lei sembra una Keira Knightley in miniatura), di cui purtroppo alcune recensioni imprudenti hanno rivelato il fatto di ispirazione dell'autrice del romanzo ( scritto nel 1977 ) rivelando il grande coraggioso inaspettato colpo di scena. Entrando in sala per osservare con occhi disincantati un ritratto giovanile genuino e commovente resterete soddisfatti, se cercate una storia di spade e belve feroci resterete delusi. D'altronde visti i risultati di alcuni predecessori di fantasy con bimbi protagonisti, possiamo solo dire " Meglio così!", in fondo cinematograficamente questo ponte è molto più solido di quello che viene costruito nella realtà del film per avvicinarsi a robustezza a quello che viene costuito nella fantasia.
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Stay alive
Titolo Originale: STAY ALIVE
Regia: William Brent Bell
Interpreti: Jon Foster, Samaire Armstrong, Frankie Muniz, Sophia Bush, Jimmi Simpson, Adam Goldberg, Milo Ventimiglia, Jim Bishop
Durata: h 1,25
Nazionalità: Usa 2006
Genere: horror
Al cinema dal 30 Marzo 2007
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Trama: un gruppo di ragazzi viene in possesso di un videgioco chiamato "Stay Alive", gioco non ancora in commercio che sembrerebbe provenire dal circuito underground. Il gioco però contiene una antica maledizione che colpisce chi lo inizia dopo aver recitato delle strofe ... il gruppo di giovani verrà a sapere la verità sulla morte di un loro amico ...
Commento: ... e così dopo le tante volte che i videogiochi sono diventati ( spesso pessimi ) film, ecco un film che diventa un videogioco. Basato sulle strane manie di una contessa realmente esistita ( la contessa Bathory ), solo che il sangue lei non lo beveva ma ci faceva più comodamente il bagno con l'illusione di rimanere sempre giovane, questo stralunato filmetto diventerà più famoso per essere l'ultimo girato a New Orleans prima dell'uragano Katrina ( tra l'altro in fretta, si parla di soli 28 giorni, e sulla pellicola si vede tutto questo veloce lavoro ) che per reali meriti cinematografici. Dopo un prologo visivamente valido con il mondo che si trasforma in un immenso videogioco ( tra l'altro dalla grande grafica ) e si compie la tragedia iniziale, conosciamo il solito gruppetto di vittime giovanili che dovranno subire l'inevitabile body-count. Gruppo come al solito composito e del tutto stereotipato ( lo sfigato, la bella bionda pura, la punkettara, il fratello senza regole, l'eroe palestrato con macchia di fuoco nel passato e il tecno-yuppie), antipatico e che come recitazione vale il solito zero. Il film si basa tutto sulla continua commistione tra gioco e realtà, stabilisce delle regole al suo interno che poi non sapendo come andare a parare tradisce completamente ( "questa è follia" dice un protagonista, giustificando cose senza senso con un altro nonsense ) per avviarsi verso il più scontato dei finali e l'ancor più inutile finalino del tutto disturbante.
Film di questo tipo sono una offesa per lo spettatore, privi di qualunque reale validità e che si basano solo su una campagna di promozione studiata perfettamente a tavolino, facendoci credere che la produzione sia stata disturbata da apparizioni della contessa Bathory e dandoci l'illusione che si possa usare la tecnologia per andare oltre al solito slasher, cosa che invece non è possibile se poi manca una caratterizzazione di base dei protagonisti.
Difatti se all'inizio di un gioco possiamo scegliere che tipo di avventuriero usare per percorrere la trama, qui purtroppo dobbiamo affidarci alle scelte dei soliti stolti che proprio non ne vogliono sapere di cambiare minimamente uno schema che sembra sempre dare soldi grazie all'afflusso nelle sale di teen che vorrebbero essere loro i protagonsiti di un adventure ormai scontato e stantio.
Evitare con cura, il coin op è davvero scarso e si soffre di più per la morte del personaggio virtuale che quello umano del film. E quante volte davanti a una consolle abbiamo visto morire un nostro personaggio e poi abbiamo ripreso il cammino senza versare una lacrima con la resurrezione digitale del successivo ?
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Il colore della libertà
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Genere: Drammatico Storico Documentario
Durata: 140 min.
Data uscita nei cinema: 30/03/2007
TITOLO ORIGINALE: Goodbye Bafana
NAZIONE: Belgio / Sud Africa / Gran Bretagna / Lussemburgo
GENERE: Drammatico
DURATA: 140 min. (colore)
DATA DI USCITA: 30 Marzo 2007
CAST TECNICO E PRODUZIONE
REGIA: Bille August
SCENEGGIATURA: Greg Latter
SOGGETTO:
Bob Graham
James Gregory
PRODUZIONE:
Jean-Luc Van Damme (produttore)
Ilann Girard (produttore)
Andro Steinborn (produttore)
Jimmy de Brabant (produttore esecutivo)
Michael Dounaev (produttore esecutivo)
Kami Naghdi (produttore esecutivo)
Roberto Cipullo (co-produttore)
Gherardo Pagliei (co-produttore)
Stephen Margolis (co-produttore)
Kwesi Dickson (co-produttore)
David Wicht (co-produttore)
MONTAGGIO: Hervé Schneid
FOTOGRAFIA: Robert Fraisse
SCENOGRAFIA: Tom Hannam
COSTUMI: Dianna Cilliers
MUSICA: Dario Marianelli
Joseph Fiennes interpreta James Gregory
Dennis Haysbert interpreta Nelson Mandela
Diane Kruger interpreta Gloria Gregory
Shiloh Henderson interpreta Brett Gregory
Trama: la storia del carceriere di Nelson Mandela durante quasi trenta anni di prigionia del leader antiapartheid. Dal 1968 al 1990 il leader dei neri sudafricani oppressi dalla minoranza bianca è rimasto prigioniero in varie carceri o in dorati isolamenti, accompagnato e guardato sempre e comunque da un carceriere di nome James Gregory. Convinzioni e certezze di fronte a un leader tanto carismatico scompaiono o si trasformano...ù
Commento: il titolo originale ( che nel doppiaggio italiano diventa ovviamente un altra cosa completamente diversa ) si riferisce al fatto che il carceriere di Nelson Mandela ha imparato il dialetto del luogo, denominato Xhosa, da un amico d'infanzia di colore ( Bafana, appunto ) che poi ha dovuto salutare per le troppe differenze che un paese come il Sudafrica del 1968 riportava tra bianchi e neri.
Il film si svolge completamente attraverso gli occhi di James Gregory ( Joseph Fiennes ), che con la moglie Gloria ( una Diane Kruger decisamente fascinosa ) si reca sull'isola dove tengono prigioniero Mandela ( Dennis Haysbert, qualcuno lo ricorderà come il presidente Palmer del serial tv "24") per svolgere il proprio lavoro.
Didascalico come non mai, il raffinato ma qui macchinoso Bille August ( ha diretto tra gli altri "La casa degli spiriti" e "Il senso di Smilla per la neve" ), ci propone questo superficiale ritratto di leader accumunando il percorso invecchiante dei due protagonisti con il percorso formativo/sociale del Sudafrica.
Utilizzando la televisione e i giornali e non l'azione diretta nell'avvenimento, il film si estranea completamente da una sorta di doveroso reale approfondimento, marcando in continuazione la censura come mezzo di soppressione ideologica tralasciando di darci un quadro completo e reale di quanto accade fuori dalle mura dell'istituto di pena dove i leader politici sono rinchiusi. Sapendo che questo film è la trasposizione delle memorie del carceriere di Nelson Mandela, sentiamo e capiamo molto presto che questi presunti scritti di vita vissuta sono dei falsi assoluti ( come dimostrato, in quanto Gregory non è mai venuto relamente in contatto con Mandela e conosceva fatti privati solo perchè censuratore delle sue lettere sia in arrivo che in spedizione ), proprio perchè la pellicola non riesce minimamente a trasportarci nella vicenda, rendendo il feroce guardiano un tenero amico ossequiante, che condivide addirittura le tragedie che vive il prigioniero. Asettica, piena di dialoghi banali ( le donne del villaggio dei guardiani, le diatribe moglie e marito e alcuni scambi di opinione assolutamente scontati ) questo film non prende mai minimamente il volo, nonostante dovrebbe narrare dei fatti tragici e delle situazioni sconvolgenti, rendendolo molto spesso quasi un film da camera nello spazio della prigione. E'inutile che il regista si prodighi a spiegare emozioni e visioni del passato senza che queste poi dopo siano la radice di qualcosa di sincero e valido, limitandosi a fornire solo l'indicazione della capacità di usare i bastoni e il perchè si sa capire la lingua. Reminescenze funzionali alla storia ma del tutto prive di emozione, troppo didascaliche e ricercate quando invece il regista invece del fioretto doveva cercare di usare un bastone visto il tenore della storia. Non si crede al passare dei tempi ( 22 anni ), dove del bianco di capelli e dei baffetti posticci dovrebbero dimostrare un invecchiamento dei personaggi, mal narrato e senza particolari spiegazioni storiche di avvenimento ( il passaggio di potere presidenziale e qualche veloce accenno sui leader nuovi ), ma sopratutto non si crede a uan vicenda che ogni tanto ha del surreale tanto è addomesticata nella narrazione per rendere simpatico il carceriere redento e consapevole rispetto agli altri bianchi ( con il figlio che diventando grande capisce gli insegnamenti del padre, in surplus ).
In definitiva un film abbastanza inutile, monotono e gratuito, dove probabilmente si voleva più commentare delle diapositive più che un vero importante avvenimento in movimento, dicendoci cose che sapevamo e situazioni personali personaggi nello stato e nel tempo di cui non sentivamo la mancanza della conoscenza.
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Cento Chiodi
<u>La voglia di scappare e sparire</u>
scritto e diretto da ERMANNO OLMI
direttore della fotografia FABIO OLMI
montaggio PAOLO COTTIGNOLA
suono FRANCESCO LIOTARD
costumi MAURIZIO MILLENOTTI
scenografia GIUSEPPE PIRROTTA
musiche originali FABIO VACCHI
aiuto regista GAIA GORRINI
direttore di produzione EZIO ORITA
produttore esecutivo ELISABETTA OLMI
una coproduzione cinema11undici e Rai Cinema
prodotto da Luigi Musini e Roberto Cicutto
un film realizzato con il contributo del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Dipartimento dello Spettacolo - Direzione Generale Cinema
distribuzione MIKADO
uscita nelle sale 30 marzo 2007
Nazione Italy
Distributore 01 distribuzione
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Trama :Un giovane professore con la faccia che sembra quella di Cristo, un giorno decide di sparire per cambiare completamente vita e rifugiarsi sulle rive del fiume Po. Qui incontrerà i personaggi della comunità del luogo che gli dimostreranno la loro amicizia e solidarietà...ma un fatto avvenuto precedentemente sembra non voglia concedergli spazio per una nuova esistenza...
Commento: Olmi ritorna a dirigere raccontando una storia rurale ambientata sulle rive del fiume Po, con parecchie parti in dialetto sottotitolato, utilizzando attori non professionisti come nel caso dell'Albero degli zoccoli. Storia padana come quella raccontata anni addietro ( in un contesto del tutto diverso ), ma con una assoluta e totale mancanza di fascino e di vera profondità di racconto. Dopo le suggestive prime immagini della "scena del crimine" con quei volumi infilzati dai chiodi da crocefissione, vengono inseriti nella sceneggiatura personaggi del tutto improbabili ( come quello del preside bikers ), allestendo man mano una vicenda soporifera che ha più il sapore di una cartolina rurale che quello del vero racconto. Panettiere, anziani e postini di buoni e genuini sentimenti fanno da insapore corollario alle anonime gesta di un Raz Degan del tutto inespressivo per dovere di trama ma anche per manifesta incapacità nel dare impulso al personaggio, dotandosi solo della barba per sembrare un novello Cristo fermatosi nelle campagne. Olmi si concede qualche bella scena fotografica ( come quella del ponte e della giacca ) ma evita nella maniera più assoluta che la tenuissima vicenda gialla si espanda, si alzi di tono e abbia delle intenzioni reali di racconto ( e allora perchè proporla ? ) se non una raffazzonata ed esilissima spiegazione nel finale.
Dotati di una videocamera anche delle persone di conoscenze solo discrete di cinematografia potrebbero girare questo che in definitiva è solo un filmino da gita, pieno di omaggi per una terra che ama, che per errore ha infilato il circuito dei cinema invece di poltrire dentro una vhs polverosa del National Geographic. Leggendo i credits ci viene da pensare che abbia usato il film come una palestra artistica per la famiglia Olmi ( presente in più sezioni del film ), ma da un regista del suo calibro non è pensabile che il suo pubblico possa sopportare una simile soporifera ed inutile pellicola documentaristica, mascherandola all'inizio e alla fine di un valore iconografico e morale, quando le due sezioni sono completamente scollegate dal racconto centrale e solo un futile tentativo di creare un alone mistico, dato che la fuga non è conseguente all'atto della crocefissione ma una decisione presa in seguito ad una scelta di vita.
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Cento chiodi di E.Olmi (propongo un'altra lettura).
Perch
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I SEGNI DEL MALE
Titolo Originale: THE REAPING
Regia: Stephen Hopkins
Interpreti:
Hilary Swank interpreta Katherine Winter
David Morrissey interpreta Doug
Idris Elba interpreta Ben
Stephen Rea interpreta Padre Costigan
William Ragsdale interpreta Sceriffo Cade
Anna Sophia Robb interpreta Lauren
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Durata: 110 min
Nazionalità: USA 2006
Genere: horror
Al cinema dal 06 aprile 2007
Trama: Katherine Winter, una cristiana missionaria che ha perso la fede, sta dedicando la sua esistenza alla scoperta dei falsi miracoli estrapolando da fatti inconsueti spiegazioni scientifiche. Giunta con un collega in una zona forestale deve capire quale può essere la spiegazione per cui un fiume si è riempito di sangue umano, la prima delle coincidenze che ricordano le bibliche piaghe d'Egitto...
Commento: Le grandi star di Hollywood prima o poi si cimentano tutte nel genere horror-thriller, ricordiamo l’esempio illustrissimo di Bette Davis in “Piano piano dolce Carlotta”, quello molto meno illustre di Demi Moore in “Half Life” e quelli attinenti con il film di cui si parla nella presente recensione,di Gregory Peck ne “Il presagio”, oppure di Mia Farrow in “Rosemary’s baby” .
Hilary Swank accettando di partecipare a questa versione moderna delle piaghe d’Egitto di biblica memoria, probabilmente ha voluto che la trama fosse fatta con una certa misura e senza cadute di tono, evitando l’inutile ridondante presenza di orpelli di sceneggiatura che molte volte affossano film di questo tipo ( personaggi macchietta come il veggente saputello, svolte di trama senza particolare giustificazione, effettoni che stordiscono lo spettatore per fargli tralasciare la mancanza di sostanza di quanto sta seguendo, oppure il ragazzo hi-tech che con mezzi tecnologici batte il male atavico ), concentrando lo scritto su un lavoro di lenta progressione che affascina e nello stesso tempo angoscia.
Davvero notevole in effetti l’alone di paura che si crea, con quelle continue e progressive scoperte della verità e dell’entità del pericolo che circonda i due protagonisti ricercatori del college.
La popolazione che interagisce durante la storia con Katryn ( la Swank ) non è un miscuglio di personaggi eterogeneo e digrignante che ogni momento avvisa del pericolo costante, come si poteva facilmente fare, alzando il dito tremante, ma quanto più una comunità normale terrorizzata, che cerca la salvezza con le proprie forze dato che dall’esterno sembra che abbiano mandato solo due impotenti ricercatori. Non vi sono presenti armi per quasi tutto il film, la protagonista non è Lara Croft per cui non aspettatevi acrobazie o botti ad ogni svolta ( non imbraccia poi mai un arma da fuoco ), la successione delle piaghe è molto morbida e senza particolare esagerazione ( tranne che per le cavallette, scena davvero potente a livello di movimento accompagnata da una musica perfettamente idonea) , donando al tutto un giusto senso di equilibrio e di angoscia.
Quello che stupisce in una trama dopotutto abbastanza banale nella sua concezione di base, è il lavoro che viene fatto per dare sempre il senso del pericolo come se ogni passo fatto potrebbe essere l’ultimo, con una progressione a piccoli passi che la salita sulla scala ( la scena migliore del film a mio parere, con quel vento e quei rumori che disorientano il pericolo uniti a una inquadratura azzeccata provocando la stasi della sicurezza ) sostiene e dimostra.
Molto bella iconograficamente la foresta dell’inizio con quel fiume rosso che la attraversa, come altrettanto belli sono dei flash-back del passato con quei colori flou e tutti virati al chiaro, in un lavoro fotografico degno di nota soprattutto nelle sue sezioni agresti.
Stephen Hopkins ( "Under Suspicion" e " Lost in space " ) dirige con mano ferma e ponderata, mentre va una menzione di bravura alla bimba di "La fabbrica della cioccolato"e di "Un ponte per Therabithia", Anna Sophia Robb,( che qui conferma delle poliedriche capacità di base alternando la recitazione in maniera parallela di generi facendo ben sperare per il suo futuro di attrice), mentre Stephen Rea fa la parte del prete stile esorcista che fortunatamente appare pochissimo ( un personaggio simile ormai è consunto e ben pochi o nessuno sono Max Von Sydom ) e solo in veste di necessario oracolo più ad uso degli spettatori che per il film, mentre Idris Elba è il compagno nero possente e rassicurante che ha non ha mai perso la fede in Dio pur cercando la verità scientifica.
In definitiva un prodotto ben confezionato, privo delle solite superficiali banalità situazionali tipiche di questi film, ma penalizzato purtroppo da una trama che non passerà certo agli annali per punte di originalità.
Si vede, si gusta e si esce senza amaro in bocca, anche se ben pochi saranno frementi nell’attesa di aspettare l’edizione in dvd per riscoprirlo limitando la propria valenza ai 110 minuti della proiezione. Di questi tempi e per questi prodotti, visti anche i recenti sconquassi eseguiti con l’Omen del nuovo millenio, non è poco.
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The illusionist
Titolo Originale: THE ILLUSIONIST
Regia: Neil Burger
Interpreti: Edward Norton, Paul Giamatti, Jessica Biel, Rufus Sewell, Eddie Marsan, Jake Wood, Tom Fisher, Aaron Johnson
Durata: h 1.50
Nazionalità: Repubblica Ceca, USA 2006
Sceneggiatura: Neil Burger
Data di uscita italiana: 06-04-2007
Tratto dal racconto breve "Eisenheim the Illusionist" scritto dal premio Pulitzer Steven Millhauser, il film è l'opera seconda del regista Neil Burger
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Trama:Vienna , inizio '900. Il mago Eisenheim stupisce le platee con trucchi da illusionista incredibili, suscitando l'ammirazione delle platee. Un giorno durante una rappresentazione speciale per la presenza dell'erede al trono, la presenza di una persona al suo trucco provocherà una serie di ricordi e una situazione davvero difficle da gestire per l'intransigenza del figlio del monarca, rischiando uno scontro con questi. E dopo un fatto di sangue la situazione peggiora ancora per colpa di chi lo vorrebbe a capo di movimenti contrari alle istituzioni...dove finisce la reltà e comincia l'illusione ?
Commento: parlando di "<i>The Illusionist</i>" sembra inevitabile fare i paragoni con il recente "<i>The prestige</i>" di Christoper Nolan, tra l'altro se dovessimo rispettare le date di uscita del paese di origine del film la pellicola di Neil Burger ( <i>Intervista con l'assassino</i> ) verrebbe prima di quella molto più celebrata con protagonisti Jackman e Bale. I due film giocano nello stesso sport ma in una diversa categoria, dato che Nolan utilizza il discorso del prestigio per una rivalità senza fine d'ossessione, Burger lo giostra tutto su un discorso giallo thriller con ricerca dell'assassino. Infatti ponendoci di fronte a "<i>The illusionist</i>" dobbiamo considerare il discorso del prestigio e del magico come una artifizio per giungere ad una conclusione, mentre nell'altro tutto era proteso verso il superamento senza fine. Strutturato come un autentico giallo con ambientazioni dandy di fine-inizio secolo, il soggetto non originale del film ( tratto dal racconto breve "Eisenheim the Illusionist" scritto dal premio Pulitzer Steven Millhauser) miscela in maniera valida i classici canoni del mistero con quelli degli intrighi di palazzo, degli amori di corte e delle credulità delle persone.
Onestamente il finale sembra telefonato sin dalla grande svolta del film, ci arriviamo molto prima noi dell'ispettore ( Paul Giammatti, fresco interprete di "Lady in the water") dato che tante cose e trucchi di scena sono noti e non dei prestigi dalle meccaniche misteriose, ma tutto quello che ci sta in mezzo è dosatamente progressivo, stuzzicante e godibile nel visivo ( buone le apparizioni e le magie da palcoscenico senza alcun sapore hi-tech ma ben calate nelle capacità meccaniche del tempo ). Anche se si sa in fondo dove andrà a finire il film, tale e quale un trucco sappiamo la conclusione perchè la immaginiamo, ma dobbiamo capire la meccanica di come ciò è avvenuto, cosa che il segreto di illusionista non ci porterà mai a conoscere.
La parte iniziale ( un lungo prologo ) è visivamente molto bella, omaggia i film muti e Chaplin con il tondo nero che si allarga e si restringe in chiusura di scena, fotografia virata al seppia per calarci nel tempo e colori che sprizzano dentro come il cielo azzurro e il verde della boscaglia, quando poi l'azione si dipana in un periodo successivo tutto l'insieme rimane molto soffocato in colori virati al marrone che rende l'idea subliamle di una sorta di oscurantismo monarchico. I costumi di scena sono molto buoni, per non parlare delle splendide locations immerse nel verde ( castelli e grandi palazzi che ospitano l'erede al trono, interpretato da Rufus Sewell, "Tristano e Isotta"e "Il destino di un cavaliere", quindi avvezzo alle parti da lord ) che danno un senso di maestoso ma anche di esageratamente ricco rispetto al necessario.
Ed Norton si dimostra protagonista di prima grandezza dando le fattezze ad Eisenheim con una recitazione misurata e anche soffocata per i suoi standard, priva di urli o eccessive scene di disperazione ( parametro eseguito ricordando gli eccessi dei personaggi di "Histoire American X" o "Fight Club" da lui interpretati ), dando perfettamente il senso di potere e controllo che ha il grande illusionista sugli avvenimenti. Una presenza dolce e graziosa quella di Jessica Biel ( "Elisabethtown" ), ma nulla di più in quanto più un oggetto conteso che una vera presenza nella trama.
In definitiva un bel film in costume inizio secolo, appassionante e ben diretto, senza eccessi, che non mancherà di piacere per il gusto estetico ma anche per la storia d'amore ostacolato presente, ramificandosi come l'albero di arance del film di venature gialle ( non brillantisisme per la scontatezza di alcune trovate ) e volando leggero nello scorrimento come le farfalle che lo chiudono, meritando nostra soddisfazione per uno spettacolo riuscito. Non da standing ovation, ma qualche applauso ai figuranti proprio non possiamo negarlo.