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Invisible
Un film di David S. Goyer. Con Justin Chatwin, Margarita Levieva, Marcia Gay Harden, Maggie Ma, Suzanne Bastien, Ryan Kennedy. Genere Drammatico, colore 97 minuti. - Produzione USA 2007.
uscito al cinema il 17 agosto 2007
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Trama: sospeso tra la vita e la morte, Nick, dopo aver subito un terribile pestaggio, si ritrova a girovagare come un fantasma cercando di comunicare non visto con gli altri per avvertirli di qualcosa ... ma purtroppo la cosa non è decisamente facile se chi ti cerca non sa che sei li vicino e non ti sente...
Commento: per questo film, ispirato a"Ghost"e al "Sesto senso", vengono riuniti il team produttivo del secondo e il co-sceneggiatore di Batman Begins che qui è regista (David S. Goyer, ricordiamolo anche per Blade:Trinity), componendo una interessante vicenda paranormale priva di effetti speciali di interazione ectoplasmica (come lo era il Sesto senso) resa purtroppo malissimo per colpa di una regia del tutto dilettantesca e una interpretazione del tutto anonima del protagonista, con espressioni facciali sempre uguali in ogni situazione (Justin Chatwin, visto anche ne La guerra dei Mondi di Spielberg). La partenza non sembra essere delle più esaltanti, con un lungo prologo per mostrare i personaggi e farceli conoscere (oltre a Nick conosciamo il personaggio tormentato di Annie, Margarita Levieva, che invece imitando la Jolie nelle parti da dura fornisce una buona prova per essere all'esordio, credo che la rivedremo ancora in futuro, oltretutto sembra fisicamente una simil Natalie Portman) condita da situazioni scolastiche banali e con musica rock sparata senza nessuna attinenza o logica a quanto vediamo, si assiste a qualche scaramuccia con la madre (Marcia Gay Harden, ultimo lavoro L'imbroglio – The Hoax con Richard Gere ma riconoscibile anche in Crocevia della morte dei fratelli Cohen) e tutto sembra prendere una piega decisamente scontata. Invece dopo l'accadimento clou del film la trama diventa interessante, prende una buona piega thriller con le ansie e le paure dei personaggi, tutti protesi a scagionarsi dalle colpe indipendentemente da cosa potrebbe succedere agli altri. Interessante il personaggio di Annie, tormentato e schizoide con sempre il cappellino sulla testa (per poter dare maggiore enfasi quano la vedremo nella sua incarnazione fisica reale e non quella coperta/nascosta dai vestiti rigorosi e pesanti che indossa per quasi tutto il film) reso come si diceva molto bene, che si muove lungo il percorso senza dare tregua all'ansia per la sorte di Nick e la soluzione della lotta contro il tempo per salvarlo. Purtroppo la buona costruzione thriller, resa ancora più oppressiva dall'ambientazione boschiva di alcuni momenti, si perde verso il tre quarti del film con alcuni accadimenti poco logici nella meccanica seguiti da un finale non all'altezza, appesantiti dalle scene familiari di stampo patetico. Un vero peccato, una occasione mancata per rendere il lavoro più valido, ciò comunque non toglie che il film possa essere per la sua durata uno spettacolo di intrattenimento/coinvolgimento sufficente e che in fondo non annoia. Certo, i troppi difetti fanno si che alla fine usciti dalla sala non rimanga poi molto addosso, ma di questi tempi di magra filmica in una ottica bonaria possiamo dire che può bastare.
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Disturbia
Un film di D.J. Caruso. Con Shia LaBeouf, David Morse, Sarah Roemer, Carrie-Ann Moss. Genere Thriller, colore 104 minuti. - Produzione USA 2007.
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Trama: Il giovane studente Kale, un anno dopo una grave tragedia familiare, colpisce con un pugno il professore di spagnolo che gliela ha ricordata. Per questo atto di grave insubordinazione viene condananto a 90 giorni di arresti domiciliari forzati controllati da uno speciale braccialetto installato sulla gamba. Un po' per noia e un po' per brivido comincia a controllare i suoi vicini di casa e le loro abitudini più o meno lecite. Uno di essi sembra poi essere addirittura un pericoloso serial killer ...
Commento: ed ecco arrivare, co-prodotto da Ivan Reitman ma patrocinato nientemeno che da Steven Spielberg, l'ennesimo rimasticamento di un grande capolavoro del cinema, in questo caso de La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, già splendidamente omaggiato da Brian De Palma con Omicidio a luci rosse e che ha avuto un vero e proprio remake con lo stesso titolo con presente lo sfortunato Christoper Reeve. Caruso (ha diretto Identità Violate ma è specialista di serial tv tra le quali il poliziesco The Shield) riprende l'illustre progenitore e lo modernizza con elementi tecnologici, assegnando la parte che fu di James Stewart al divetto, protagonista di Transformers, Shia LaBeouf (costretto, non da una costrizione al corpo per ingessatura ma da un controllo elettronico, a non poter uscire da uno stretto perimetro), integrando e sostituendo il semplice binocolo del tempo (che comunque appare) con le diavolerie tecnologiche di oggi, e ultimo straniante ammodernamento la sostituzione di Grace Kelly con un amico coreano, altro segno di ammodernamento/richiamo tecnologico rispetto all'originale. E non manca neppure l'omaggio/citazione sul continuo prurito che Stewart calmava con un cucchiaio.
A dire il vero c'è un altro ispiratore anche se meno conosciuto, quell'Ammazzavampiri diretto nel 1985 da Tom Holland, con sequenze praticamente uguali, comprese quelle della mamma che va a trovare il vicino sospetto killer (là vampiro) a casa sua.
Bisognerebbe comunque evitare, sia in caso di film più originali di questo che di cloni più o meno marcati di lavori del passato, di dover mettere ad ogni costo nelle storie thriller i teen-ager, che risultano inadatti e inesperti per poter dare una resa qualitativa assoluta al prodotto finito di questo tipo, ma a quanto pare ormai l'industria del cinema strizza l'occhio a quello che vede come un bacino di utenza troppo ampio per non attirarlo di base.
Il film comunque, indipendentemente dalle ispirazioni, che a una grossa fetta di pubblico magari poco interessano, ha il difetto di avere un inizio al fulmicotone con la tragedia iniziale, poi dopo si addormenta e si assopisce perdendosi nella storiella d'amore, nei costumi da bagno della avvenente vicina e negli scherzi dei bimbi del vicinato. Poi quando il mistero thriller parte veramente si viene coinvolti dal ritmo tambureggiante degli eventi che sono tutti concatenati e raggruppati in un lasso di tempo ristretto, problema non da poco perchè il pathos non matura sequenzialmente come dovrebbe ma esplode letteralmente bruciando subito. La scontata soluzione arriva senza stupore, e accade in una locazione assolutamente poco credibile per la struttura dell'abitato, e certe trovate (come quella dell'atroce scherzo) sembrano inadatte per il momento narrativo in cui si svolgono. In definitiva un film che se del quale conosciamo le radici risulta del tutto inutile perchè non ha senso artistico (vista la carenza di idee imperante nell'ambito produttivo forse) far fare ai protagonisti praticamente le stesse cose usando attrezzi aggiornati diversi, se invece ci si avvicina privi di conoscenze (cosa praticamente impossibile visto l'importanza e la fama del film iniziale) allora ci si può anche appassionare senza esaltarsi, perchè il compitino è svolto in maniera elementare ma pulita, da un onesto artigiano senza pretese, che non vedeva l'ora di mettere le mani su un simile plot, a cui bisogna fare plauso di aver deciso con i vertici produttivi di non inserire musiche rock assordanti e confusionare in un film di teen.
E se David Morse (ultimo film Down in the valley ma ha recitato nel serial tv Dottor House) veste in maniera credibile i panni dell'enigmatico vicino di casa, è una pena vedere Carrie-Ann Moss (la guerriera Trinity di Matrix) relegata in queste particine di nessuna importanza come quella della madre di LaBeouf.
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Licenza di matrimonio
(License To Wed)
Un film di Ken Kwapis. Con Robin Williams, Mandy Moore, Christine Taylor, Eric Christian Olsen, Josh Flitter, DeRay Davis, John Krasinski. Genere Commedia, colore 90 minuti. - Produzione USA 2007.
anteprima del 18 agosto 2007, al cinema dal 24 agosto
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Trama: due fidanzati praticamente perfetti hanno un matrimonio che li aspetta, ma a quanto pare bisogna prima superare le terribili prove che il corso di consolidamento allo stesso sono pretese da padre Frank, un prete autoritario con uno strano assistente, che di lasciare la vita facile ai futuri sposi consegnandogli senza problemi la licenza di matrimonio proprio non ne ha intenzione...
Commento: davvero scialba questa commedia diretta da Ken Kwapis (autore dello sconosciuto 4 amiche e un paio di jeans del 2005), prodotto scontato e lineare senza il minimo scossone, fatto per inserire Robin Williams (qui in una parte del tutto alimentare senza nessuna pretesa di doversi sforzare per guadagnare la pagnotta) e le sue espressioni facciali tipiche quando recita in prodotti commedia, oltre che al suo solito linguaggio straripante da fiume di parole, in una trama inconsistente, innocua e diretta senza nessuna autorialità.
Ed ecco quindi che abbiamo anche Mandy Moore (ben diversa è stata la caratura della sua interpretazione in American Dreamz) che pare abbia il sorriso cementato sulle labbra, il fidanzato (John Krasinski, apparso in Dreamgirls ma sopratutto attore televisivo) fare il comprensivo ma scocciato, e l'immancabile corollario di una famiglia bene messa tanto per fare presenza e che non agisce minimamente nel corso del film. Ormai Hollywood continua con la formula ritenuta economicamente fruttifera di consegnare plot qualunque nelle mani di controllati yes man alla regia, inserire la guest per richiamo (che non si esime visto che guadagna recitando poco e senza sforzo mentre pensa a un altro film che sente veramente di interpretare) e poi via con le solite manfrine scontate del tedio che viaggia su un binario a senza unico privo (guai se fosse!) di qualunque cambio direzionale. Non potevamo aspettarci assolutamente nulla di base da un film simile, ma un tale corollario di inutili situazioni è noioso da seguire, prevedibile e non si vede l'ora di porre la parola fine alla nostra presenza in sala.
Si inizia con i promessi sposi che raccontano il loro primo incontro fuori campo, si va verso la dichiarazione davanti ai parenti, poi arriva padre Frank (guarda caso una istituzione per la famiglia della sposa futura) osteggiato dal solo fidanzato che non accetta un corso ingerenza tanto invasivo, ricordando nella cosa il molto più valido "Ti presento i miei", fino al finale del tutto platonico e scontato. Non ci sono molti motivi per poter accettare con bonarietà un lavoro tanto semplice, (che almeno si pregia di non concedersi a seminudi vedo non vedo tattici oppure al turpiloquio), sia a livello tecnico ma sopratutto di sceneggiatura (per il genere commedia essenziale) ma se siete fan di Robin Williams vedrete un altra sua prova uguale a quella che vi siete già viste in quantità e non vi ha deluso in passato, se siete tremendamente romantici una piacevole punta di malinconia può anche scapparvi. Per tutti gli altri e tutto il resto, astenersi senza problemi visto l'insipienza del girato. Durante i titoli di coda vi sono delle scene degli errori, tentativo più riuscito di far sorridere del film vero e proprio.
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Shrek terzo
Un film di Raman Hui, Chris Miller Genere Animazione produzione USA, 2007 Durata 92 minuti circa.
al cinema dal 31 agosto 2007 , anteprima il 22 agosto 2007
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Trama: Nel regno di Molto molto lontano si sta consumando una tragedia: il re ranocchio sta morendo, e urge un successore al trono. E il designato dovrebbe essere proprio l'orco verde ... assolutamente conscio di essere inadatto per quella vita e sognando di tornare alla sua amata capanna nella palude in compagnia di Fiona, Shrek parte con Ciuchino e Gatto con gli stivali alla ricerca dell'unico possibile diverso erede che lo liberi da tale indesiderata responsabilità ...
Commento: Pregiandosi di voci originali di tutto rispetto come nei capitoli precedenti (Mike Myers, Antonio Banderas, Eddie Murphy e Cameron Diaz tra gli altri) ritorna per chiudere la trilogia (ma state sicuri che non è detto che con questo capitolo si chiuda anche la saga, il quarto capitolo è già nelle previsioni) l'orco verde più famoso del cinema, con tutti i suoi compagni, come Ciuchino (qua in una amorevole versione di padre di una prole dragoasinara) e il Gatto con gli stivali, e la compagna Fiona in dolce attesa. In questo capitolo viene ripetuta in gran parte l'ambientazione presente nel secondo, con nuovi scenari solo nella parte del college medievale e in quella della casa della new-entry Mago Merlino (rintronato e in evidente stato di decadimento delle capacità magiche).
I due registi Raman Hui & Chris Miller, già collaboratori nei precedenti episodi anche se in altri compiti (e comunque nuovo cambio di regia dopo quello operato tra primo e secondo capitolo) si concentrano a presentare un numero sempre maggiore di nemici rispetto al passato (sono veramente tanti, da Capitan Uncino e la sua ciurma, da Barbalbero a i Ciclopi e la cattiva Matrigna e tanti altri, tutti capitanati dall'iroso e vendicativo Principe Azzurro) e anche di amici (delineati in maniera più chiara delle comparse dei capitoli precedenti, come la narcolettica Bella Addormentata e Cenerentola oppure Biancaneve) ma si dimenticano completamente di proporre qualcosa di nuovo rispetto all'illustre passato, come se il compito fosse risolto implementando il numero dei personaggi e non decidendo come debbano agire.
Di fatto le battute sarcastiche sul mondo delle favole sono all'acqua di rose rispetto al vetriolo usato precedentemente, il ritmo molte volte si spezza in momenti patetici di colloquio, alcune soluzioni che riguardano lo svolgimento della trama e dei problemi sono decisamente poco ispirate. Si gioca tutto sul fatto che dando ai personaggi secondari (Biancaneve e via dicendo) scene che riprendono quelle originali ma rimodernate e in chiave diversa, si possa poi riuscire a divertire il pubblico che fa i confronti, cosa che proponeva anche il primo episodio ma in maniera molto più valida, e il momento di Mago Merlino decisamente incollato senza riuscita di validità. E il corollario di momenti petomani e ruttanti incomincia a tirare la corda. Come si diceva l'unica vera novità a livello di ambienti è data dalla Worcestershire Academy, dove si svolge la parte più divertente del film, con quelle prese in giro ai film di liceali e tutti i classici ruoli di bullo-nerd che qui vengono appioppati a Lancillotto (Il primo) e ad Artù, che ha le fattezze di Orlando Bloom, con scherzi e lazzi vari in chiave medievale (Ciuchino cita le famose smutandate). Buona anche la scelta di ambientare il film in autunno dando un senso di nuova direzione della vita dopo le primavere dei due film iniziali, sfruttando anche le foreste dando loro un colore prevalentemente marrone davvero esaltante. Tecnicamente il film è assolutamente strepitoso, ci sono delle scene con un numero di personaggi infinito e delle animazioni tanto perfette da sembrare vere, con dei fondali 3d di valore assoluto. Un autentico prodigio tecnico non correlato purtroppo da una solida trama, che partendo da un assunto semplice e banale non riesce a svilupparsi in maniera convincente arrivando a un finale del tutto platonico e consolante, assolutamente non in linea con la primissima scena dello stupendo capitolo iniziale, rinnegando quello che era stato per arrivare al finale di tutte le favole "E vissero tutti felici e contenti...". Un film che annoia facendo sorridere si potrebbe dire, calcolando i momenti vuoti che ogni tanto si incontrano ma di contro l'assoluta simpatia dei personaggi che comunque hanno un grande potenziale nelle loro schermaglie/scenette personali, riportando all'innocuo status quo del tutto cambia per rimanere uguale anche il mondo degli orchi. I bambini lo adoreranno, gli adulti dovranno rassegnarsi che il tempo che passa si sente anche per i personaggi della fantasia e non solo per noi poveri esseri umani, lasciando delle rughe al posto della freschezza.
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ALLA DERIVA
Titolo Originale: OPEN WATER 2: ADRIFT
Regia: Hans Horn
Interpreti: Susan May Pratt, Richard Speight Jr., Niklaus Lange, Ali Hillis, Cameron Richardson, Eric Dane, Wolfgang Raach, Alexandra Raach, Alfred Cuschieri, Kelly Wagner
Durata: h -
Nazionalità: Germania 2006
Genere: thriller
Al cinema dal 17 Agosto 2007
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Trama: un gruppo di amici si ritrova cinque anni dopo il loro ultimo incontro a fare una gita in mare con uno yacht di lusso di proprietà di uno di loro. Saliti sulla barca con uan giornata meravigliosa di sole, il mare calmo li convince a fare un bagno ristoratore, se non che un terribile incosciente azzardo li catapulta in una situazione terribile...
Commento: una volta tanto la distribuzione italiana ha azzeccato un titolo, abbandonando ogni collegamento, come invece recita il tittolo originale, come sequel diretto (di fatto in questo film inesistente, i personaggi e le situazioni sono del tutti diversi) con Open water del 2003 realizzato da Chris Kentis. Rispetto a questa pellicola, di sicuro però ispiratoria, Hans Horn (opera prima) utilizza un sistema di regia più sicuro e meno artigianale, dove la ripresa è stabile e non si ha quell'effetto mal di mare che c'era nel lavoro sopracitato, aumenta il numero dei protagonisti in balia dei flutti da due a sette (compresa una bimba), e differenza sostanziale, la salvezza è beffardamente irraggiungibile ma davanti agli occhi, a pochi metri, invece di essere lontana come nel lavoro di Kentis. La produzione recluta sei ardimentosi e muscolosi attori, tre donne e tre uomini, (che in pratica per tutto il film stanno a mollo e nuotano incessantemente per stare a galla cercando una soluzione al terribile problema) e senza perdersi in chiacchere, dopo un piccolo prologo con pellicola rovinata e immagini girate con una vecchia cinepresa, che ci permette di conoscere gli inevitabili antefatti e piccoli screzi del gruppo di amici, catapulta lo spettatore in un autentico incubo di ansia e di pathos per la sorte dei protagonisti. La difficoltà di un film di questo tipo, che praticamente vive in 15 metri di inquadratura sempre uguale senza spostarsi, (barca e zona del mare) è di trovare delle soluzioni diverse per non annoiare lo spettatore, cosa resa ancora più complicata dal fatto che i sei in mare non hanno praticamente nulla in fatto di attrezzatura. Open Water finiva per girare su se stesso annoiando, questo invece riesce a creare una suspance incredibile, una sorta di impotenza che i muscoli e il coraggio sembrano non poter vincere nella quale lo spettatore si riesce ad immergere (scusate il gioco di parole) in pieno, chiedendosi continuamente come potranno uscire da una situazione tale dato che sembra assolutamente senza via d'uscita. In mezzo all'alternare di goffi tentativi per la salvezza a scaramucce verbali di persone sempre più sfiduciate, il regista si concede di fare anche delle ottime riprese subacque, con colori vividi e in prospettive (da sopra e sotto il mare) sempre diverse. Alcuni punti della sceneggiatura non sono poi validissimi, la causa scatenante di tutto sembra davvero una imprudenza assurda (il film è liberamente ispirato a una storia vera, come Open water, ma è diffiicle da credere che sia successo quello che vediamo), e nel finale il primo pensiero che ci viene è "Come hanno fatto a non pensarci prima?", ma quello che avviene nel resto dello scorrere della pellicola è assolutamente coinvolgente, mette uno stato di ansia particolare aiutato dall'immensità vuota dell'oceano che rende il tutto opprimente e minaccioso. E nel finale ci godiamo anche una bella ripresa notturna durante un forte temporale realizzata davvero bene. In definitiva un film non originalissimo, che non necessita per sua costituzione logica delle recitazioni complesse, ma che in questo agosto desolato di film decenti si segnala come una buona alternativa alle pellicole magari più sfavillanti ma povere di veri meriti, brillando per valore di coinvolgimento pur in una semplicità di base.
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Sicko
Un film di Michael Moore. Genere Documentario, colore 120 minuti. - Produzione USA 2006.
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Trama: documentario sulle difficoltà degli americani di riuscire ad ottenere i servizi sanitari che l'assicurazione medica non riconosce nonostante si sia stipulata una regolare polizza. Mentre nel resto del mondo il sistema è tutto diverso ...
Commento: Michael Moore dopo essersi scagliato contro la circolazione delle armi senza regolamentazione, e pericolosa, in America con "Bowling a Columbine" e sui retroscena nascosti della guerra in Irak dopo l'11 settembre con "Fahrenheit 9/11" eccolo arrivare con un nuovo grande argomento della vita americana: la tutela sanitaria. Si sa da sempre che per poter avere delle cure mediche negli USA bisogna avere una assicurazione, ma tralasciando questo discorso: è giusto che chi non abbia una copertura di questo tipo non debba essere curato se non con esosi pagamenti? Il documentario parte con questo presupposto partendo con l'esempio di un carpentiere non assicurato che perde due dita e deve scegliere quale dito poter riavere in quanto non ha la possibilità di pagare l'operazione di ricucitura a tutte e due, per poi affondare il coltello nella piaga del vero grande argomento del film: anche se sei assicurato non è detto che la tua polizza copra le spese richieste dall'ospedale. Moore esplora l'argomento fornendo diversi esempi (alcuni che portano alla morte del paziente non curato per vizi di forma burocratica nel riconoscere il pagamento delle cure) e portando testimoni di varia estrazione, per dimostrare che anche nei casi gravi il valore umano e il giuramento di Ippocrate dei medici non è minimamente considerato.
E per stupire e scandalizzare ancora di più gli americani (veri interessati del problema) fa un giro in Canada, Francia e Inghilterra dove il sistema sanitario è pagato con le tasse dei cittadini e non prevede simili condizioni capestro in nessun caso (prima l'ammalato poi le scartoffie). E dove tutto, ovviamente va benissimo. Moore gira tutto il suo documentario denuncia allo stesso modo in cui aveva girato i primi due (inserendo in più delle parti di repertorio e di vecchi filmati davvero gustosi che danno un ritmo non saccente o pesante a quanto vediamo esplicando meglio il concetto), con un occhio chiuso e uno ben aperto. Di fatto Moore non parla di malasanità per colpa di medici incapaci (argomento che di solito in Italia esce purtroppo alle cronache), ma si concentra tutto sui dettagli fiscali che non vengono rispettati, fornendoci un quadro ottimale del problema ma di contro senza darci nessun possibile controargomento valido con cui essere meno fazioso o di parte (come aveva fatto prima contro Bush, che qualunque cosa avrebbe fatto di buono, se l'ha fatta, non sarebbe Moore a dirvela, tra l'altro l'amato attuale presidente viene ancora tirato in ballo direttamente con un bel fumetto che indica uan cifra iperbolica avuta per le sovvenzioni e i privilegi alle compagnie assicurative). Facendo così la dorata situazione dei tre paesi esaminati (purtroppo l'Italia non c'era), poi dopo 4 con Cuba successivamente, sembra fin troppo esageratamente buona, e anche il mostrarci la nonstante le tasse opulenta famiglia francese che però ha copertura gratuita sa di falso e poco logico in un contesto globale e non casuale. Moore poi implementa il discorso accusando un medico di essere troppo antiamericano, di non volerlo più ascoltare, in modo che in patria si sappia che comunque lui il cuore stelle e strisce ce l'ha e che non si incaponisce a tutti i costi nel voler dire solo il marcio, per poi presentare subito dopo altre meraviglie che lo stato fornisce ai suoi cittadini e che gli americani si possono sognare (con la neo mamma che viene aiutata gratuitamente a lavare i panni per un certo periodo). Di fatto Moore è bravissimo a girare i suoi documentari, già onorati da diversi premi, ha uno stile di racconto asciutto, ironico, tagliente e a volte addirittura divertente per i grandi argomenti che tratta, lasciandoci sempre presenti con la mente e mai assopiti come si può rischiare, vediamo quasi un film denuncia e non un film documentario, però in <i>Sicko</i> alcuni pezzi sfiorano il delirio personale di onnipotenza, come quando lui paga le onerose cure al suo maggiore avversario sul Web dopo l'esperienza umana dei soccorritori dell'11 settembre sconsolati dalla sanità americana che vanno a Cuba, luogo avversario e storicamente nemico che aiuta i figli dello Zio Sam meglio di quest'ultimo, e sopratutto gratis, il tutto con scene patetiche strappalacrime di abbracci e volemose bene tanto artefatte e preparate da risultare fastidiose. Un film costruito con un giudice unico, deciso, unidirezionale, ma davvero fatto bene con un grande montaggio, ma sopratutto che presenta il problema per denunciarlo con forza, nonostante qualche fronzolo forzato, la faziosità e un po' di autoglorificazione personale.
E come mostra la scena finale, non ha paura di lavare i panni sporchi al di fuori della famiglia ...
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Hot Fuzz
Un film di Edgar Wright. Con Simon Pegg, Nick Frost, Jim Broadbent, Timothy Dalton, Paddy Considine, Rafe Spall, Edward Woodward, Billie Whitelaw, Anne Reid. Genere Comico, colore 121 minuti. - Produzione Gran Bretagna 2007.
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Trama: Nicholas Angel è il più solerte agente di polizia di Londra, che non ha paura di nulla e sfida il pericolo ogni momento, catturando un numero strabiliante di criminali e riducendo la malavita di aprecchio. i suoi superiori (e i suoi colleghi) vedono tutto questo zelo con molta invidia e temono che la presenza del superpoliziotto mini il loro lavoro e la loro gloria. Angel viene destinato suo malgrado insieme alla sua amata pianta a un paesino della campagna, Sandford, dove la cosa più pericolosa che accade sembra essere arrestare gli ubriachi. Ma invece dietro all'allegra innocua facciata si nascondono verità ben più oscure ...
Commento Torna il trio del divertentissimo demenzial horror Shaun of the dead, i due attori principali più il regista, stavolta con un budget ben diverso rispetto a quel film, con una storia poliziesca con venature horror/comiche fracassona e tutta movimento. E, ancora una volta, dimostrano che con delle ottime idee si può fare un film molto citazionele, ma divertente e nel contempo privo di grossolane dispersioni di racconto, evitando di ripararsi in scenette stagne che servono per emulare/riproporre grandi scene del cinema, costruendo una trama corale di buon livello.
Dopo il grande omaggio a Romero e la sua "Notte dei morti viventi", ora il film base continuamente ripreso (anche nella locandina, sopratutto in quelle di altri paesi rispetto alla nostra) è "Bad Boys 2", un buddy movie che questo Hot Fuzz (letteralmente capigliatura bollente, ma probabilmente sta per testa calda) riprende in maniera del tutto personale. Edgar Wright (che ha diretto il fake trailer Don't inserito nella versione originale americana di Grindhouse ma sin da piccolo ha mostrato un amore per le parodie girando un filmino simil western amatoriale) mette dentro nel suo film un sacco di citazioni (compreso Leon, Point Break ma anche Eastwood e tanti altri che vi lasciamo il piacere di scoprire), ma questo non impedisce che il suo film diventi una sorta di pallida ennesima inutile copia dei film parodia, vivendo invece di vita propria, con una trama scorrevole, dei personaggi minori caratterizzati benissimo (i due Andy sono favolosi) e delle situazioni variegati che arricchiscono senza mai rinsecchire il racconto.
E non viene dimenticato il vecchio amore, l'horror, dato che ci sono delle scene splatter di buon livello.
Simon Pegg è l'irreprensibile poliziotto che non accetta mai i compromessi contro la legge, che difende in ogni modo il codice (anche quello verbale) e ha una velocità e capacità di sparo assoluta, maneggiando ogni tipo di arma possibile, mentre Nick Frost è il compagno imbranato da istruire, rispettando così perfettamente la legge del buddy movie.
Anche qui come in Shaun of the dead (abbiamo ribrezzo a citare il titolo italiano) vengono usate ogni tipo di oggetti come armi, da difesa o offesa, dal prosciutto insaccato al secchio dello spazzolone (ricordiamo che là venivano usati anche i vinili), ma anche alle mine antinavi della guerra mondiale a mitragliatrici gigantesche. Tutto si svolge in mnaiera fracassona (dal colpo di clip per estrarre la punta della penna da scrivere alle esplosioni più catastrofiche), ma il pastiche tra battute, personaggi stralunati, azione frenetica e sopratutto colpi di scena funziona benissimo, donandoci un film che fa davvero la sua funzione di poliziesco omaggiatore ma anche personalizzato. I nuovi capitali messi a disposizione del team creativo dopo essersi fatti notare con il gioiellino sopracitato più volte, non hanno dato alla testa, e sono stati utilizzati in maniera giusta con un occhio di riguardo alla trama senza esagerare con le moltiplicazioni solo visive. In definitiva un film da consigliare caldamente per la sua freschezza, la sua intelligenza nel proporre in chiave diversa situazioni già viste e per le sue simpatiche esagerazioni, che ci rende i suoi personaggi vicini e sopratutto ha una trama che procede con ritmo e logica.
Glamour e simpatia anche nella presenza di Timothy Dalton (ex 007) che fa il proprietario del supermarket dove potrete trovare ogni tipo di situazione paradossale. Andate tranquilli signore e signori, vedere senza problemi per credere, e l'ultimo chiuda la porta del divertimento d'azione!
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Pathfinder
Pathfinder - La leggenda del guerriero vichingo
(Pathfinder)
Un film di Marcus Nispel. Con Karl Urban, Russell Means, Moon Bloodgood, Jay Tavare, Clancy Brown, Ralf Moeller. Genere Azione, colore 99 minuti. - Produzione USA, Canada 2007.
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Trama: America, 700 d.c. circa. Ghost, un giovane vichingo allevato da piccolo dopo il suo ritrovo in una nave presso una tribù indiana, assiste al massacro ad opera di nuovi vichinghi approdati sulle coste di coloro che lo avevano amorevolmente allevato. A quel punto solo la vendetta potrà placare la sua ira ...
Commento: Una vera accozzaglia di clichè e stereotipi questo Pathfinder (letteralmente il trovasentiero, che non è il protagonista ma il padre della ragazza indiana coprotagonista), filmaccio diretto con mano del tutto priva di ogni fantasia da Marcus Nispel, autore del remake di Non aprite quella porta.
Lasciando perdere quanto sia ardito l'accostamento tribù indiane con vichinghi, che abbiamo letto su qualche numero del Tex o Zagor bonelliani, in quanto in fondo teorizzabile, Pathfinder è una serie infinita di somma di scontri che pare arrivare direttamente, ricordandoli ma senza raggiungerli per nulla, da Conan o da Apocalypto, per finire a una colossale citazione da King Arthur e Cliffhanger.
Nispel prende tutto, lo frulla in maniera indelicata e pone allo spettatore uno dei più vuoti spettacoli visivi di questi periodi agostani (già magri per loro conto), inserendo iconografie vichinghe che sembrano un misto tra quelli visti in una avventura di Asterix (era nei cinema qualche tempo fa) e i Nazgul del Signore degli anelli.
Abbiamo l'inizio con sorpresina telefonata come pochi, il massacro inconsulto dei buoni, e il contromassacro che procede senza sosta e senza nessun limite, arrivando al parossismo in uno dei finali più banali che esistano (che deve tutto ancora a Gibson e Harlin), dove spudoratamente immagini di repertorio (completamente non inerenti ne come paesaggio ne conformazione del luogo) vengono utilizzate per farci vedere l'evento clou del film (e qui potremmo pure citare Mulan). L'utilizzo della computer grafica è penoso, i fondali computerizzati sanno di falso alla prima occhiata, la fotografia, unica cosa che poteva essere interessante, sprecata malamente per privilegiare dei giochi di luce assurdi.
Oltretutto in queste povertà tecnico visive ogni tanto arriva Pathfinder a dire qualche grande verità, che illuminano il sentire del protagonista e l'ilarità degli spettatori. E Karl Urban, protagonista assoluto della pellicola? Espressivo come il peggiore dei personaggi di Lundgren, l'Eomer de il signore degli anelli si muove digrigando i denti e spalancando gli occhi come se fosse un primitivo alla caccia delle prede, muscolare quanto si deve e in fondo incolpelvole visto che questo è quanto richiesto da Nispel.
Inesistente la recitazione di tutti gli altri (compresa la ragazza indiana coprotagonista), mentre alla fine neppure i corpi dei morti stanno fermi e fanno il loro dovere visto che l'incuria produttiva li fa vedere chiaramente che respirano profondamente.
Un film da evitare senza problemi, noioso, strapieno di combattimenti privi di ogni attrattiva, prevedibile e con un terribile senso di deja vu che lo percorre. E il sentiero percorso per noi in questi 100 minuti è davvero poca cosa.
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4 mesi, 3 settimane e 2 giorni
(4 luni, 3 saptamini si 2 zile)
Un film di Cristian Mungiu. Con Anamaria Marinca, Laura Vasiliu, Vlad Ivanov, Alex Potocean, Luminita Gheorghiu, Adi Carauleanu. Genere Drammatico, colore 113 minuti. - Produzione Romania 2007.
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Trama: Nella Romania ancora sotto la dittatura di Ceacescu, due ragazze, Olitia e Gabita, sono coinvolte in una situazione particolare. La seconda è rimasta in cinta in maniera indesiderata e decide di effettuare un aborto clandestino, con tutti i rischi e i pericoli del caso, e tutto sembrerebbe pronto se non fosse per il fatto che il losco personaggio che esegue tutta l'operazione di aborto esiga un pagamento davvero particolare ...
Commento: Arriva sui nostri schermi il film Palma d'oro al Festival di Cannes 2007, prima opera Rumena a vincere l'ambito premio ed esordio cinematografico come regista di Cristian Mungiu, lavoro robusto e assolutamente meritevole di tale assegnazione. La storia della semi svampita Gabita (Laura Vasiliu) che rimane incinta e che porta senza alcuna coscienza la gravidanza troppa avanti (da qui il titolo del film), è girata in uno stile asciutto, che negli esterni ricostruisce benissimo il disagio della Romania sotto dittatura (il film è ambientato nel 1987) con fotografia dai colori smorti e verdi pallido, splendidamente realizzata da Oleg Mutu, rimandando la sensazione dello spettatore sempre ad una sensazione di oppressione e di impotenza, dove le uniche strade da percorrere sono quelle del sottobosco e del nascondersi per la paura di ogni possibile ritorsione. Il regista privilegia lunghe inquadrature fisse in cui si svolgono dialoghi taglienti, con al centro la bravissima Anamaria Marinca (che fa la bionda Otilia) che fa da ago della bilancia e peso determinante per ogni movimento della trama. Da incorniciare la scena del confronto familiare con i genitori del fidanzato, medici e chirurgi che stanno a discutere sui fronzoli di un titolo avuto sul lavoro mentre noi siamo in tensione per la sorte di una vita, con la protagonista assolutamente muta che in mezzo all'inquadratura rappresenta la classe medio bassa in tacita lotta per la sopravvivenza mentre si parla di carriera e si mangiano dolciumi ricercati fatti in casa. Ci sono anche altre ottime inquadrature e recitazioni, come quella del dialogo a tre tra le due ragazze e il laido Bebe (un ispiratissimo Vlad Ivanov, doppiato tra l'altro superbamente) nell'albergo, che mostrano una sorta di impotenza e mancanza di ribellione rispetto a ciò che sta sopra di loro, finendo con il pagamento inusuale a sfregio completo della dignità. Un film come si può capire di grande respiro che va al di là di quello di una sciocca ragazza rimasta gravida per leggerezza (leggerezza che Gabita dimostra continuamente in ogni situazione), che vuole denunciare un sistema passato di sopportazione e accettazione multistrato, interrotto fortunatamente dalla successiva grande ribellione al dittatore, quasi partorendo (letteralmente) in quei momenti un feto immaturo che poteva nascere solo successivamente quando si prese coscienza. Un film carico di simbolismi e di richiami, dove incredibilmente non mancano i momenti di tensione pura per la sorte delle ragazze, che non annoia neppure per un secondo e che ci porta verso il finale in maniera completa e totale "Facciamo finta che questo non sia mai successo", riferimento a una precoce pretesa di maternità per i tempi non maturi al grande evento ancora da nascondere al mondo e la potere.
Tra l'altro con un abilità thriller insospettabile Mungiu cosparge il film di finti indizi e oggetti che non verranno mai usati come sembrerebbe prevedibile (la carta d'identità, il coltello), sviando continuamente le possibilità di evoluzione della trama, che trova sfogo nella scena del matrimonio dove invece della concordia troviamo degli scontri (le idee che non si sposano anche se dovremo mangiare tutti le stesse cose, come nella scena del piatto porto dal cameriere). E il film si segue splendidamente, in un crescendo rossiniano di ansie, paure, scelte impossibili, il tutto con tre soli protagonisti, di cui due presenti in maniera marginale sulla scena come minutaggio, premiando un valore di realizzazione sceneggiato e pensato davvero pregno facendo dimenticare il basso budget.
Un film che non possiamo non consigliare a tutti, che riconcilia con il cinema che dimostra una volta di più che per essere vero e coinvolgente non ha bisogno di chissà quali mirabolanti prodigi, ma solo di coraggiosi e ispirati cantori che hanno ben in mente il loro messaggio ed attori che si immedesimano nella maniera più totale nei loro personaggi.
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Il bacio che aspettavo
(In the Land of Women)
Un film di Jonathan Kasdan. Con Adam Brody, Meg Ryan, Kristen Stewart, Olympia Dukakis, Makenzie Vega, Dustin Milligan, Clark Gregg. Genere Commedia, colore 97 minuti. - Produzione USA 2007.
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Trama: dopo la delusione d'amore con la famosa e avvenente Sophia, Carter decide di passare alcuni giorni dalla nonna per smaltire la cosa. Arrivato torva delle vicine di casa decisamente interessanti, una madre con gravi problemi di salute e delusa dal matrimonio e la figlia giovane e carina. Come riuscirà ad approcciarsi a tutte e due contemporaneamente?
Commento: Meg Ryan (la cosidetta fidanzatina d'America) e Adam Brody (protagonista del serial giovanile OC) sono i protagonisti di questa commedia dai toni agrodolci, coadiuvati da Kristen Stewart (presente in Panic Room e interessante presenza in vari film come La sicurezza degli oggetti), che presenta un ritratto a tre personaggi non certo innovativo, ma sicuramente svolge a suo comodo lo scopo di intrattenere chi cerca qualche lacrima facile nei problemi della donna matura e soddisfa le teen che vogliono godere del bel Adam (visto al cinema anche in Thank you for smoking) nella sua posizione di bilancia e di consolazione/discussione dei problemi piccoli o grandi delle due donne. Il film non è del tutto male nonostante la sua semplicità di base, il personaggio della folle nonna è davvero godibile (Olympia Dukakis è molto brava nel renderla simaptica e fuori di testa con delicatezza e senza esagerazioni) e il triangolo viene mostrato con garbo e delicatezza dall'esordiente Jonathan Kasdan (che era attore in Silverado diretto da Lawrence, qua produttore) che grazie alle capacità espressive di Meg Ryan tratteggia il tutto senza particolari strepitii (Muccino dove sei?), o becero utilizzo di scene d'amore soft velato tanto per metterle. Il problema in questo tipo di prodotti è sempre quello, hanno bisogno di attirare i teen (o le teen) a tutti i costi per fare incasso, per cui le libertà narrative sono limitate in certi canoni, bisogna inserire gli stereotipi (l'amico sincero ma oscuro che si rode il fegato per la bella ingannata dall'amico smargiasso che la tradisce, il protagonista che viene a mandare effluvi di saggezza dall'alto di una cristallina moralità, e la grande problematica di salute che mina il corpo ma non lo spirito) e seguire le indicazioni che vengono date dalla necessità di arrivare a un finale di quel tipo. Poi in caso di un esordiente non possiamo certo aspettarci coraggio di rivolta particolare, ci si deve accontentare del fatto che il racconto sia pulito, che l'arco narrativo non abbia buchi di sceneggiatura evidenti (decisamente difficili da incontrare con sceneggiature tanto semplici) e che ci venga proposta qualche facile emozione. Il bacio che aspettavo (titolazione ben meno efficace dell'originale "Nella terra della donne") è questo, nulla più, onestamente propone quello che ci aspettiamo e lo fa appoggiandosi a una grande professionista del genere e alla voglia di emergere di un divetto della tv.
Una volta che sappiamo che non verremo traditi nelle aspettative di base che cerchiamo, non è certo con questo tipo di prodotti che potremo uscire dalla sala chiedendoci il perchè manca questo o quello, il problema vero è che di film come questo ne abbiamo già visti altri e possiamo tranquillamente parlare di ripetizione del vissuto con poco fascino.
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Prova a volare
Regia: Lorenzo Cicconi Massi
Sceneggiatura: Lorenzo Cicconi Massi
Fotografia: Massimo Lupi
Musiche: Roberto Mazzanti
Montaggio: Carlo Fontana
Anno: 2007
Nazione: Italia
Distribuzione: Istituto Luce
Data uscita in Italia: 24 agosto 2007
Genere: drammatico
Tonino Antonio Catania
Pietro Ennio Fantastichini
Gloria Alessandra Mastronardi
Alessandro Riccardo Scamarcio
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Trama: Alessandro orfano dei genitori devo dirigere l'industria metallurgica della famiglia, ma lui ha tutt'altra indole e vorrebbe seguire l'attività di regista di matrimoni attualmente svolta e con un amico aprire un laboratorio d'immagine e sviluppo cinematografico. Ma durante l'ultimo reportage nuziale succede una cosa alquanto strana, la sposa scappa sulla macchina dalla quale Alessandro stava effettuando el riprese coinvolgendolo in una rocambolesca fuga...
Commento: Con Prova a volare ecco l'esempio assolutamente chiarificatore di quanto il cinema italiano versi in uno stato comatoso e cerchi delle soluzioni narrative nel modo più acquoso, insignificante e privo di fascino possibile. Escono questa settimana due film che trattano dello stesso argomento, l'aborto clandestino, ma mentre in uno (432 di Cristian Mungiu) il tema è trattato con una arte e una sensibilità senza pari, in questo viene utilizzato per proporre Riccardo Scamarcio in una veste più impegnata del solito (dopo la prova political oriented di Mio fratello è figlio unico un altro tentativo del divo delle teen di migliorare il suo standard qualitativo) che di fatto si riduce a un nuovo taglio di capelli privandosi dei ricci.
Partendo dall'assunto che non bisogna mai costringere nessuno a fare quel che non vuol fare (dirigere l'azienda di famiglia, sposarsi oppure cambiare attività per motivi burocratici e non di passione) la vicenda di Alessandro, il cameraman di matrimoni (non regista, quello è Tonino, interpretato da Antonio Catania) ci mostra uno spaccato dell'Italia rurale che non concede spazio agli errori, relegando la bella Gloria (Alessandra Mastronardi, dalla espressività del tutto inesistente) a un matrimonio riparatore che sfocia in una violenta reazione, parametro dei disagi in cui una giovane e bella donna in questa situazione negli anni 2000 può aspirare a ben altro rispetto al passato arcaico (il discorso dell'infermiera novella Vera Drake , un personaggio inventato da Cicconi Massi ma campato per aria come pochi per locazione e credibilità, è fatto in questo senso).
Tutto viene costruito senza nessuna apertura mentale verso la crudezza del problema e della scelta tanto radicale, oppure per i risvolti tragici e umani della cosa, ma si costruisce il filo narratore solo per arrivare al momento liberatorio del pathos dell'incontro delle labbra tra la bella e il cavaliere (immagino che sappiate chi possa essere costui), in mezzo scenette patetiche di pianto familiare, scaramucce verbali inconsistenti, pianti falsi e artefatti eseguiti da attori che guardano l'orologio per vedere quanto manca al cut della scena.
Di fatto a Cicconi Massi, esordiente colpevole di regia e sceneggiatura, non possiamo di fatto imputare di aver fatto un bruttissimo film sotto la solita (bassa) media (è una commedia italiana come tante altre che girano per le nostre sale ideali per andare su italia 1 in preserale) ma possiamo dirgli tranquillamente che se doveva cercare di avere qualche pretesa autoriale (come di fatto cerca mettendo in bocca a Scamarcio delle frasi ridondanti di insegnamento) presentando un problema tale in maniera tanto innocua, lo faccia inserendo nel suo film degli spunti più simpatici e non di appesantire il tutto con un aurea di insegnamento di vita che di fatto risulta solo una scritta vacua non percepita, sinonimo di noia in sala e di mancanza di ricordo appena fuori.
E il finale del tutto comodo ma completamente inaccettabile per la sua non risoluzione, non fa che confermare l'insipienza del suo racconto.
In mezzo al piattume si salva solo il buon caratterista Ennio Fantastichini nella parte del padre tutto di un pezzo, che fornisce una buona caratterizzazione, mentre per chiudere possiamo dire che Riccardone in questa parte non attirerà folle di teen adoranti come per l'orrendo Ho voglia di te in quanto presentato come un angelo premuroso e saccente che alle ragazzine ricorda sopratutto loro padre, e da questo film non aspettatevi altro che quello che vi promette: qualche bello sguardo sui vicoli di Pietrasanta, l'aria condizionata e una storiella che in tv trova la sua collocazione ideale.
E alla fine la bile sale anche perchè leggiamo la scritta "Film riconosciuto di interesse culturale nazionale con il sostegno del ministero dei beni e le attività culrurali", di cui veramente ci chiediamo se il motivo sono le locandine cinematografiche di grandi film che spuntano nella casa laboratorio.
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Sliding Doors
CastChristopher Villiers, Neil Stuke, Paul Stacey, Nina Young, John Hannah, Gwyneth Paltrow
RegiaPeter Howitt
SceneggiaturaPeter Howitt
GenereRomantico
"SLIDING DOORS"
A Londra la giovane Helen una mattina arriva in ritardo in ufficio, viene licenziata, decide di tornare a casa prima del tempo e qui la sua vita prende due svolte. Helen perde per un soffio la metropolitana, risale sul marciapiede, viene aggredita, portata per la medicazione in ospedale e quando finalmente riesce ad arrivare a casa trova Gerry, lo scrittore con cui vive, sotto la doccia, intento a prepararsi per la sua giornata di lavoro. Ma c'è anche la Helen che riesce a salire sulla metropolitana, ad arrivare a casa molto prima del solito e a sorprendere Gerry a letto con Lydia, la sua ex-fidanzata. Da questo momento le due storie si sviluppano separatamente ma in realtà intrecciandosi negli stessi luoghi, negli ambienti, negli incontri con le stesse persone. La Helen che ha scoperto il tradimento è ospitata in casa dell'amica Anna, si taglia i capelli molto corti e li tinge di biondo, è indecisa sul da farsi, accetta di uscire con James, un uomo appena conosciuto, cerca un altro lavoro. La Helen che continua a vivere con Gerry sospetta comunque qualcosa ma non ne ha le prove. La ricerca del lavoro fa incrociare le situazioni, e alcune gravidanze non previste complicano ulteriormente le cose. Coinvolte in incidenti automobilistici, le due Helen vengono ricoverate in ospedale. La Helen dai capelli corti muore, l'altra liquida definitivamente Gerry, si prepara ad uscire dall'ospedale e, in ascensore, incontra James
...è IL MIO FILM!!! Ha rappresentato una "tappa" nella mia vita "passata"...
Credo sia comune a tutti chiedersi, nell'arco della propria esistenza: MA SE AVESSI FATTO COSì... O SE NON AVESSI FATTO CIò CHE HO SCELTO....la mia vita come sarebbe ora?
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...riporto anche questa trama.. non vogliatemene.. ma
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Non sarebbe meglio che provassi a buttare giù una tua recensione personale invece di riportare quelle scritte da altri?
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Funeral Party
(Death At a Funeral)
Un film di Frank Oz. Con Matthew MacFadyen, Rupert Graves, Peter Dinklage, Daisy Donovan, Alan Tudyk, Kris Marshall, Andy Nyman, Ewen Bremner, Keeley Hawes, Jane Asher, Peter Egan, Peter Vaughan. Genere Commedia, colore 90 minuti. - Produzione Germania, Gran Bretagna, USA 2007.
Simon - Alan Tudyk
Robert - Rupert Graves
Martha - Daisy Donovan
Daniel - Matthew Macfadyen
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Trama: il padre di Daniel deve ricevere una degna onoranza funebre da parte di parenti e amici, ma per colpa di una truffaldina boccetta di pastiglie e alcuni fatti davvero strani il funerale rischia di diventare un grande incredibile scandalo ...
Commento: l'arrivo alla commedia noir di un regista brillante come Frank Oz (anima dei Muppets, voce originale di Yoda e regista dell'ottimo In & Out) faceva presupporre la realizzazione di un film divertente, comunque pieno di situazioni valide e basato su un ironia al vetriolo. Purtroppo questa storia di un funerale andato a male e pieno di sorprese, decisamente poco gradite ai partecipanti, parte simpaticamente con una sigla animata lineare tutta bianco e nero, poi si sviluppa con la conoscenza dei personaggi per poi cristallizzarsi a lungo con la trovata delle pillole per far uscire la grande sorpresa nel centro film. Un lavoro non certo estremamente originale, anche se ben retto da delle interpretazioni convincenti, sopratutto da quella di Simon (Alan Tudyk, visto anche in Io,Robot e faceva l'uomo nudo ne Il destino di un cavaliere, e la cosa non è casuale a quanto pare visto quel che vediamo nel film di Oz) che deve fare il maggior numero di mossette facciali per via della sua contaminazione allucinogena, e della sua compagna, nel film, (osteggiata dal padre) Martha (interpretata da Daisy Donovan, vista in Millions). Si intravede in una particina di contorno anche l'impareggiabile Spud di Trainspotting (Ewen Bremner).
A fronte di questa girandola di bravi caratteristi, il film ha il difetto di non riuscire proprio a decollare, rifugiandosi nella comoda soluzione di agire a comparti e scenette anzichè in maniera corale per lungo tempo (come facevano per esempio film di diversa estrazione e genere ma uguale meccanica d'accumulo scenico come Invito a cena con delitto), poi quando la trama investe finalmente tutti i protagonisti per via del colpo di scena, la cosa è del tutto priva di vero mordente, non ha la girandola vortice degli equivoci e dello stupore che era necessaria e che ci aspettavamo, e tutto si chiude con un finale veloce, raffazzonato, del tutto insoddisfacente.
Sembra che Oz abbia voluto dimenticare di ricalcare le sue ottime scelte del passato per costruire un film blandamente ironico, deliberatamente ripetitivo (la confezione delle pastiglie le troverete nella trama in maniera troppo ciclica e troppo prevedibile) al di sotto delle nostre aspettative di soddisfazione.
Certo, rispetto alle commedie italiane qui siamo su un altro livello, la recitazione è pur sempre un tassello pregnate in film commedia di questo tipo, e il tocco glamour sofisticato del regista non manca, gli ambienti agresti sono molto belli, peccato che lo svolgimento degli eventi sia tanto privo di interesse, un po' come le cose belle che mettiamo in casa che alla terza incominciano a stancare perchè mal incastrate con tutto il resto dell'arredamento oppure monotematiche.
Un film da consigliare per una serata di svago del tutto scacciapensieri, per (sor)ridere a sprazzi e senza fragoroso trasporto, che doveva e poteva essere molto meglio se pensato senza l'ansia di doverlo finire costretto in 90 scarni minuti. Gli attori per reggere la scena più a lungo senza finire in fretta e furia in fondo c'erano, a quanto pare il paradiso non poteva attendere ...
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[QUOTE=mat612000;721533]Non sarebbe meglio che provassi a buttare gi
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XXY
Un film di Lucía Puenzo. Con Ricardo Darín, Valeria Bertuccelli, Germán Palacios, Carolina Pelereti, Martín Piroyanski, Inés Efron, Guillermo Angelelli, César Troncoso, Jean Pierre Reguerraz, Ailín Salas, Luciano Nobile, Lucas Escariz. Genere Drammatico, colore 91 minuti. - Produzione Argentina 2007.
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Trama: Alex è una ragazza di quindici anni apparentemente normale, ma a quanto pare la famiglia ha dovuto traslocare per l'impossibilità di convivere con le persone del paese per una anomalia genetica che ha fornito alla ragazza sia l'apparato genitale maschile che quello femminile. L'arrivo di una famiglia di vecchi amici (madre, padre e figlio) sconvolge nuovamente gli equilibri tanto delicati ...
Commento: Lucia Puenzo, regista di documenatri e telefilm, esordisce alla regia con questo film che tratta un argomento tanto delicato quanto inusuale per la sua rarità: l'ermafroditismo. La storia di Alex (una strepitosa quanto promettente Ines Efron, che se valorizzata ha davvero possibilità di farsi conoscere in futuro) è il motore per farci conoscere una storia diversa dalle solite (un tema davvero poco considerato al cinema, forse a memoria l'unica trama ad argomento ermafrodita da lungo tempo) davvero interessante, che scava nelle profondità del disagio e che non concede nessuna apertura a facili e concilianti ottimismi.
L'argomento del film si dipana con una secchezza impressionante, e un assoluto e totale disinteresse per i canoni estetici della ripresa. Fotografia a colori smorti, camera a mano (la regista venendo dai documentari si trova particolarmente a suo agio con tale strumento portatile) che esegue inquadrature lunghe e fisse, danno il senso di quanto si vuol mostrare, un racconto senza fronzoli per una condizione fisica davvero bifacciale, che porta ad avere sensazioni e sentimenti tanto diversi quanto contrastanti, in un cumulo emotivo sempre in ebollizione.
Nel lavoro della Puenzo questo contrasto è altamente presente, con la protagonista decisa a non perdere il suo orgoglio personale e vivere la sua condizione in libertà, pronta a cercare l'amore e a soddisfare il suo desiderio, in un terribile contrasto per l'esecuzione da scegliere come un difficile bivio.
Uomo, donna, ma sopratutto e solo persona ci sembra dire Alex ogni volta che si trova a doversi rapportare con qualcuno, persone che l'accostano spinte dalla curiosità, come se fossero al circo dei tempi passati, di vedere un freak, di toccare con mano quello che da anomalia diventa completezza se non fosse tanto diffiicle gestirla in un corpo solo. Di fatto la regista non ci mostra ovviamente nulla visivamente dell'anomalia genetica, ma ci mette alle corde più volte, filmando i ragazzi del luogo sempre in agguato per levarsi la curiosità, ci provoca mostrandoci quanto siamo curiosi e ci indica di non fare l'errore stesso che i personaggi che vediamo stanno facendo.
Molto eloquenti le scene in cui si rifiutano le pillole anticrescita del pelo, gli sguardi al corpo e alle persone, in una accettazione della propria persona che deve crescere senza alcun bisogno di essere modificata ma accettata nella sua evoluzione naturale.
Conta lo spirito, non il corpo, conta l'anima e non l'atto da eseguire. Di fatto in fondo Alex trova una sua anima gemella ideale, un compagno di conoscenza che accetta la sua bisessualità senza nessun preconcetto, ma non per questo è la stessa ragazza/o che deve accettare questa unica possibilità ma di poter anche avere una scelta, come un finale tagliente pari a un rasoio ci mostra. L'ennesima offerta di sguardo è in fondo lo specchio del nostro voyerismo patetico, che una ragazza coraggiosa ci sbatte in faccia senza avere nessun problema, risplendendo lei di purezza.
Un film che ci sentiamo di consigliare per una serata di riflessione, avvertendo che lo spettacolo che andiamo a vedere non è dei più facili, per nulla accondiscendente e che cerca di mostrare il tutto al meglio possibile senza dare soluzioni vere e proprie costringendoci a cercare noi il finale umanamente migliore.
Pregevole il logo della locandina con la terza x rotta a formare la y dei gameti diversi ma uniti.
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Captivity
Un film di Roland Joffé. Con Elisha Cuthbert, Daniel Gillies, Pruitt Taylor Vince, Laz Alonso, Michael Harney, Maggie Damon. Genere Thriller, colore 85 minuti. - Produzione USA, Russia 2007.
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Trama: Jennifer Tree è una modella di successo nota per il suo atteggiamento duro e spavaldo. Una sera durante una festa di beneficenza viene drogata e portata in una prigione da un misterioso persecutore, che sembra godere del renderla in schiavitù ai suoi desideri e obbligarla a subire le sue paure più recondite...
Commento: Roland Joffe è un regista che affonda nel passato le sue opere migliori, film del calibro di Urla del silenzio ma sopratutto The Mission sono ormai lontani anni luce, ma vederlo dirigere dopo due opere controverse come La città della gioia e La lettera scarlatta, un filmino di questo tipo assolutamente anonimo viene da chiedersi perchè il lungo silenzio non sia stato prolungato. Costruito con pochi attori attorno alla bionda bellezza di Elisha Cuthbert (la figlia di Jack Bauer del serial televisivo 24), questa pellicola di poche pretese vive il suo momento migliore nei primi quaranta minuti circa, dove un festival del gore e dello splatter fa la gioia degli appassionati di genere con scene crude e forti di carne tagliata e frullata in mille modi (poi il senso di ribrezzo ovviamente va con la sensibilità di ognuno, ma qui la soglia di resistenza richiede qualcosina in più della normalità), riprendendo stili e temi di Hostel ma sopratutto Saw. Finchè la protagonista copre tutta la scena e viene costretta a una prigionia sempre più umiliante il film si fa anche vedere per via di una buona tensione e la curiosità di capire quale nuova trappola si inventa il maniaco, ma poi con l'ingresso di Daniel Gillies (fa il figlio di Jameson in Spiderman 2 & 3) tutto crolla in maniera totale, diventando una burletta con un colpo di scena capibilissimo, delle scelte di sceneggiatura discutibili e delle motivazioni di scoperta della verità poco intriganti. Di fatto la seconda parte del film (diviso idelamente in prigionia, da cui il titolo, e ribellione) è raffazzonata e veloce, tutto quello che era ristagnato all'inizio per meglio evidenziare il sadismo e la sofferenza da lumaca diventa un diretto (il film dura solo 85 minuti) portandoci in un lampo al finale. Da voci di corridoio sembra che Joffe abbia pensato a questo film senza la massiccia dose di scene crude, rendendolo diverso come concezione visiva e concentrandosi più sulla psiche della prigioniera, ma poi la produzione spaventata da un flop per mancanza di pubblico teen che vuole sangue facile, lo abbia costretto a inserire la serie di sevizie che si vedono.
Poteva essere un buon film con il rapporto carnefice-vittima sviluppato in maniera intrigante, ma il risultato alla fine è un prodotto pasticciato, confuso e per la seconda sezione non soddisfa neppure gli appassionati.
Non ci sentiamo di dare troppe colpe alla produzione, pur difendendo sempre la libertà di creazione, viste le premesse e le parti non dichiaratamente modificate (la Cuthbert dichiarò che non sapeva neppure lei quando il film finiva perchè dovevano girare sempre qualche scena nuova per il montaggio definitivo) anche con un film completamente autoriale probabilmente lo spento Joffe non avrebbe tirato fuori granchè.
La Cuthbert è bella ma come attrice è assolutamente nella media/bassa più d'immagine che sostanza, stessa cosa per Gillies che cerca di giostrare facce e smorfie per la sua parte in maniera poco credibile e per nulla affascinante.
In definitiva un film da serata molto leggera che soddisferà chi vuole scene forti (si dovrebbe pagare metà biglietto se solo per questo ad onor del vero), ma nel complesso delude perchè l'accartocciamento del pezzo centro-finale è davvero imperdonabile, rendendolo inconsistente.
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Stand by me
Regia: Rob Reiner
Anno: 1986
Genere: Drammatico
Durata: 96 minuti
Cast: River Phoenix, Jerry O'Connell, Corey Feldman, Wil Wheaton, Kiefer Sutherland, Casey Siemaszko, John Cusack
Commento: Ho letto critiche entusiastiche dappertutto su questa pellicola di Reiner, che sembra essere una delle più apprezzate degli anni '80, ed iniziai a vedere Stand by me - Ricordo di un'estate con una fiducia che mai mi sarei aspettato di veder crollata in questo modo. Sarò forse l'unico sulla faccia della terra a dire ciò, ma lo dico: non sono stato soddisfatto da questa trasposizione di questo racconto di Stephen King, intitolato The Body e di netto stampo autobiografico.
Al centro del film sembra voler esserci il concetto di viaggio: un viaggio per ritrovare il corpo di un giovane morto, che diventa metafora per il passaggio dall'infanzia all'adolescenza e quindi dall'ingenuità alla consapevolezza del destino e della morte, ma che è spinto anche dalla volontà di sfuggire all'amara realtà, dileguarsi dalla normalità che diventa sempre più insostenibile; ma questi sono concetti che rimangono per aria, a livello di supposizione - cosa che invece son sicuro non accade nel libro, perchè pur non avendolo letto, il titolo The Body è altamente esplicativo su cosa sia realmente al centro della narrazione - , perchè il film, volendo essere semplice, finisce per esserlo troppo, e diventa superficiale nell'affrontarli, non si cura di trasmettere una morale precisa ed esplicita ed invece di seguire l'evoluzione psicologica dei personaggi, fatto che dovrebbe essere sottolineato ed enfatizzato più di tutto, finisce per allungare il brodo con situazioni ripetute ed inutili.
Diverse scene contano su dialoghi e situazioni inutili, l'intera pellicola è pervasa da un senso di malinconia piagnucolosa che sembra cercare a tutti i costi di far piangere più personaggi possibili. Stand by me è una pellicola furba, che vuole commuovere, evocando una certa nostalgia dell'infanzia nello spettatore (strano però che non abbia commosso affatto me, che sono il primo a guardare con nostalgia l'infanzia passata), cercando di riaccendere quella fiamma antica dell'ardore giovanile, divenuta flebile e smorta con il sopraggiungere dell'età adulta. E come se non bastasse, la presunta commozione che i fan di questo film dichiarano di avere alla sua visione, è accentuata dall'amara consapevolezza che chi lo vede al giorno d'oggi sa che è uno degli ultimi film di River Phoenix, il James Dean degli anni '80, un'icona immortale che ora si ama e si osanna forse più del dovuto appunto perchè prematuramente scomparsa (fatto che è avvenuto anche per Brandon Lee ne Il corvo di Proyas, anche se quest'ultimo è sicuramente di ben altra qualità).
Simpatici i protagonisti, anche abbastanza ben caratterizzati, ma troppo poco analizzati (Reiner doveva soffermarsi a descrivere la loro condizione familiare disastrata, visto che essa è il motore del loro viaggio) e sfavoriti da una recitazione non certo eclatante - ho preferito nettamente sia i personaggi sia gli attori della combriccola di IT, dalla quale non è molto differente e che forse è stata ispirata da quella di The Body: meglio Jonathan Brandis di River Phoenix, molto meglio Brandon Crane di Jerry O'Connell, un po' meglio Seth Green di Corey Feldman -.
Nota di merito per le musiche, in perfetto stile fine anni '50 (fra le quali Lollipop e l'omonima Stand by me) e per la scena del treno, davvero originale e divertente.
Ma mi rincresce dirlo: appena sufficiente, anzi in bilico fra l'insufficienza e la sufficienza.
Voto: 5.5
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Io non sono qui
(I'm Not There)
Un film di Todd Haynes. Con Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Whishaw, Charlotte Gainsbourg, David Cross, Bruce Greenwood, Julianne Moore, Michelle Williams. Genere Musicale, colore - Produzione USA 2007.
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Trama: La vita di Bob Dylan raccontata in un ottica molto particolare, attraverso le sue canzoni che ripercorrono dei fatti e delle emozioni senza instradarsi e rimettersi in una chiave documentaristica.
Sentendo spezzoni di Hurricane e altri suoi capolavori vediamo come le sue parole possano diventare immagini intervallate da sequenze in bianco e nero non di repertorio, se non alcune brevissime, che interpretano la sua vita.
Commento: Omaggio a Bob Dylan, in un esperimento davvero curioso questo operato dal regista Todd Haynes (cimentatosi con un film musicale come Velvet Goldmine), che abbandona tutti i canoni del racconto formale di una star (nascita, sviluppo della sua arte, splendore, poi creazione del nucleo familiare e cerchia di amici fidati, declino e morte) per affidarsi a un caleidoscopio iconografico del tutto surreale che traspone in immagini il significato delle sue canzoni, abbandonandosi a citazioni della vita vissuta solo quando vediamo con delle inserzioni il personaggio di Dylan , che si innestano sulle sei storie che compongono il film (che gode della sentita interpretazione di Cate Blanchett, ultimo film Intrigo a Berlino, in un personaggio estremo chiamato Miss Queen), alcune virate al bianco e nero.
Un lavoro di costruzione progressiva e laterale davvero azzardato, dove la storia informale delle canzoni del personaggio (perchè di questo si tratta) si muove rispetto allo spettatore con una necessità di conoscenza pressochè totale di eventi, testi delle canzoni e riferimenti alla vita del cantante autore, oltre che degli avvenimenti del momento.
Si parla di Vietnam, si parla di politica, si parla di giovani adolescenti neri vogliosi di mostrare le proprie capacità artistiche, tutte cose che sono presenti nelle sue canzoni a livello di racconto o di sensazioni, mettendo tutto in una sorta di calmo videoclip a comparti, si parla anche di Pat Garrett (spezzone interpretato da Richard Gere) ma non viene minimamente introdotto un concetto di correlazione spiegata, destinando questo film a un pubblico di super appassionati e con un notevole background dell'argomento ignorando le necessità di coloro che magari Bob Dylan e la sua opera l'hanno solo sfiorata con la conoscenza.
A quel punto se non si appartiene alla prima cerchia, (che probabilmente di questo film ne sarà entusiasta perchè ha potuto vedere una sentita interpretazione delle sensazioni che la musica che hanno amato forniva, definendo oltretutto l'artista come un Astronauta, un relatore di arte fuori dal tempo e dalla altra schiera di colleghi tanto era innovatore), si rimane del tutto straniti, vedendo uno pseudo docufilm incomprensibile, difficile da assimilare, se non impossibile, pieno di momenti in cui l'attenzione scema per cercare il torpore e il senso del tutto.
Sono purtroppo davvero illogici questi lavori che vengono a colmare una serata dedicata al cinema, in quanto non è fattibile che tutti possano avere una conoscenza così profonda del personaggio e del suo status di crescita per capire un film, sono prodotti cellebrativi per soddisfare i fan che comunque, soprattutto fuori dall'America, non vedranno oltre a loro nessuno che si sofferma a sentire la splendida canzone con ritornello “No direction home” vedendo il resto del pubblico alzarsi subito, appena l'ultima immagine di repertorio di Dylan che suona si dissolve, per raggiungere l'uscita.
Il lavoro è comunque tecnicamente pregevole, il montaggio è ottimo, la fotografia di buona fattura (grande il bianco e nero) e ci sono alcune scene oniriche molto suggestive, aggiungendo a questo un cast di stelle oltre ai già citati Gere e Blanchett come Leadger, Juliette Moore e Christian Bale, tutti arrivati per onorare un maestro della musica che è nel loro apprezzamento.
Un film in definitiva tutt'altro che morbido, sperimentale e straniante, a cui bisogna avvicinarsi con una logica diversa da quella del godimento subitaneo che esiste solo per i fan, ma come un istinto ad andare in rete o in biblioteca dopo a curiosare cose che non si sono capite la prima volta che lo schermo le ha proposte. Dura anche 135 minuti, per cui se volete rischiare un prodotto tanto alternativo sappiate che il cammino non sarà dei più corti e metterà a dura prova la vostra presenza in sala. Al cinema certe volte io non sono qui, certe volte purtroppo c'ero e altre meno male che ci sono stato. Questo film dà di partenza certezza solo con la prima ipotesi.
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stand by me rece di zazza
Ma mi rincresce dirlo: appena sufficiente, anzi in bilico fra l'insufficienza e la sufficienza.
Voto: 5.5
bella rece (come sempre) ma non concorderò mai con questo zazza. gran film.
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Io vi dichiaro marito e...marito
(I Now Pronounce You Chuck and Larry)
Un film di Dennis Dugan. Con Adam Sandler, Kevin James, Jessica Biel, Ving Rames, Steve Buscemi, Dan Aykroyd, Cole Morgen, Shelby Adamowsky. Genere Commedia, colore 115 minuti. - Produzione USA 2007.
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Trama: due vigili del fuoco statunitensi molto amici, un giorno scoprono che uno di essi per avere un riconoscimento economico a seguito della cara moglie scomparsa deve trovare una nuova compagna al più presto. Ma per tenere fede a un giuramento fatto alla moglie e per i figli non si è mai deciso a trovarla, e l'unica soluzione allora è chiedere un favore molto particolare all'amico di sempre, che ha appena salvato in un incendio, per eseguire una truffa davvero singolare ...
Commento: Molto divertente questa commedia scacciapensieri, recitata da un Adam Sandler (qui anche produttore, specializzato in questo tipo di film come 50 volte l'ultimo bacio) in vena di prendersi in giro e regalare due facili risate alla platea con un omaggio agli amati vigili del fuoco, uomini apparentemente tutti di un pezzo che invece sono dei veri eroi al servizio della popolazione ma con degli apsetti umani ben precisi.
Assommando dei topoi classici per questo tipo di prodotto, dall'amico in difficoltà che non puoi lasciare (Kevin James, ricordiamolo al fianco di Will smith in Hitch!), allo sciupafemmine dal gran cuore, alla procace ed affascinate donzella di buoni intenti tutta sorrisi che entra a rompere gli schemi tra i due protagonisti maschili (una splendida Jessica Biel, che vedremo prossimamente in Next!, dagli atteggiamenti mozzafiato che oltre che uno splendido look da Catwoman vi regalerà una spiritosa scena in lingerie davvero conturbante) la trama prosegue frizzante, leggera e sullo schermo non c'è stanchezza con una ottima intesa col pubblico che sta ricevendo quello che chiedeva, divertimento tranquillo senza inserimenti di particolari volgarità o il continuo ricorso a peti o rutti (avviene questo solo in una prima assurda scena, vedere per credere). Poi tutto si dipana in modo manieristico lasciando che i due protagonisti gestiscano il tutto con l'inserimento degli elementi di contorno, come l'interpretazione di Dan Aykroid (quanto tempo è passato per lui dai Blues Brothers e da Ghostbusters) e quella di Ving Rhames (indimenticabile Marsellus Wallace di Pulp Fiction), che mette in scena una insospettabile sinuosa scena di canto sotto la doccia. Certo, nulla di nuovo sotto il sole, alcune tipologie di personaggi, come quelli della comunità gay saranno anche stereotipati in look Village People o da farfalla (la spesa al supermercato è un summa in questo, con citazione di Brokeback Mountain)
e altre cose sono un po' patetiche (prima Sandler usa la parola froci e ricchioni e poi addirittura difende la categoria a pugni specificando che il termine etico è gay), ma non bisogna dimenticare che in film di innocue pretese come questi certi atteggiamenti sono delle funzioni di supporto allo scopo (sorridere) e non veri motori di riflessione o denuncia.
Simpatica la scena del litigio sul tetto terrazzo con il ladro a piedi in aria, completamente tralasciato
mentre i due “mariti” battibeccano.
Il film è carino, simpatico, scorre leggero, non scade nel volgare e con due gigioni sullo schermo, una bella presenza e qualche interpretazione cameo gustosa. Sapendo questo e volendolo, non chiediamo oltre al biglietto d'ingresso che paghiamo.
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Premonition
Un film di Mennan Yapo. Con Sandra Bullock, Julian McMahon, Nia Long, Kate Nelligan, Amber Valletta, Peter Stormare. Genere Drammatico, colore 110 minuti. - Produzione USA 2007.
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Trama: linda è una casalinga con una vita apparentemente felice, due figlie e una bella casa oltre che un affascinante marito che ama. Ma un giorno questi muore, per poi tronare vivo al mattino dopo. Allucinazioni o premonizioni per scongiurare una tragedia?
Commento: Dopo altre sue colleghe famose (ci fu ultimamente Hilary swank con I segni del male) anche Sandra Bullock, specializzata in parti brillanti e di commedia (come in Miss Detective), finisce per dedicarsi a soddisfare i produttore a fare un film a tema esoterico oppure horror. Questo davvero inconsistente filmetto diretto da Mennan Yapo (uno yes man incapace che manovra la telecamera a scatti in alcuni punti e messo lì dai produttori a filmare zone in cui ogni tanto appaiono delle controfigure di non attori) è veramente una ellissi insapore di situazioni ripetitive ("mi sveglio lo trovo, mi sveglio non lo trovo") che non sono ne affascinanti ne stimolanti nella visione. Abbiamo una donna ansiosa per una premonizione sogno che non capisce, un marito che sembra destinato a una brutta fine (interpretato da Julian Mc Mahon che una volta di più al di fuori della tv e Nip/Tuck non riesce a fornire una prova decente come nel piccolo schermo) e la presenza dei soliti saccenti che danno consigli come se avere una premonizione tragica fosse cosa quotidiana e normale tanto quanto bere un caffè.
Si assiste a una parodia dei film di ispirazione esoterica (come The Mothman Prophecy) con al centro la Bullock che proprio in queste parti non c'entra nulla (al di fuori della commedia brillante lei può fare parti diverse solo perchè e se i film li produce lei) e che fa il contrario di quanto faremmo tutti (così difficile dire al marito di quello che ha avuto sentore per salvarlo e che invece dice a cani e porci?), con delle bambine messe per intenerire le anime dolci e che risultano antipatiche come poche. Un film sbilenco, noioso, dalla trama puerile e che dal plot poverissimo non avendo nuove strade si ripete (di fatto poteva durare 15 minuti e nulla sarebbe cambiato o perso) chiudendosi con il più assurdo dei finali, facendoci chiedere come mai la fortuna ci ha abbanadonati e non abbiamo avuto la premonizione di non dover entrare al cinema. Visto le premesse in fondo ci siamo fatti male da soli, inutile dirlo, evitare con cura.
Una curiosità, l'unica cosa decente del film, la locandina, in alcune versioni aveva al posto delle foglie che compongono un viso, la Bullock in primo piano che copriva tutto il gioco compositivo, almeno una volta la distribuzione italiana ha fatto una cosa esatta in questo senso.
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Il dolce e l'amaro
Un film di Andrea Porporati. Con Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Toni Gambino, Gaetano Bruno, Gioacchino Cappelli, Ornella Giusto, Emanuela Muni, Vincenzo Amato, Renato Carpentieri, Fabrizio Gifuni. Genere Drammatico, colore 98 minuti. - Produzione Italia 2007
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Trama: uno spaccato dei 25 anni della vita di un ragazzo di Palermo, Saro, che viene allevato da un padrino di cosa nostra. Dall'inizio della sua attività con una bislacca rapina, poi la maturità e la scellta di vita difficile da prendere per chiudere i conti.
Commento: un film che parla di mafia degli anni ottanta ma sopratutto della vita distorta a cui può andare incontro un giovane nato e cresciuto nei difficili quartieri di Palermo, tra padrini malavitosi che vogliono che lui guardi con i loro stessi occhi il mondo e non debba avere una identità personale ben precisa se non quella che vogliono loro.
Saro (interpretato da Luigi Lo Cascio, ricordiamolo nei due capitoli de La meglio gioventù) vive la sua esistenza solo di luce artificiale, costruita e riflessa da chi lo vuole destinata a ben altra speranza che quella di costurire una famiglia che non sia quella mafiosa. Il racconto elaborato da Andrea Porporati (sopratutto sceneggiatore televisivo più che regista) si muove con una cadenza ben precisa a centralizzare il personaggio rispetto alla descrizione dell'ambiente, facendo intuire la cancrena interna che divora Saro con degli avvenimenti laterali simbolici, con le uccisioni più o meno sensate, con la mancanza di istruzione che porta a fare atti violenti senza volerli veramente per animo malvagio (simbolica la rapina iniziale). E' il mondo che ti circonda che ti trasforma così, non sei mai tu di base, e nulla è scritto nel tuo destino se non quello che verghi tu sul pianeta, sembra dirci Porporati tramite i suoi personaggi. Lo stile di racconto è secco, asciutto, senza fronzoli, non cade mai nel patetico e mostra condizioni disagiate che sono più morali che reali, emozioni che non possono uscire per la troppa cappa di controllo e terrore.
Risulta quindi molto buono il ritratto completo del ciclo della vita di Saro, oltretutto diverso anche se non genialmente originale dai soliti tipi di scrittura che vediamo sul tema. Avvicinarsi a questi film non vuol dire vedere quintali di sparatorie e continue vendette, è un racconto più calmo e riflessivo, pacato e pungente di un mondo che ha delle regole che non risparmiano nessuno, intersecando in continuazione il ruolo di oppressori con quello delle vittime.
"Tu devi guardare con i miei occhi, non con i tuoi" dice il boss a un giovane picciotto che non sembra voler accettare, per poi alimentare con una risata liberatoria una frustrazione sopita per lungo tempo in un finale quasi ironico della contemplazione di una vita mal spesa. Accanto a Lo Cascio abbiamo una ottima Donatella Finocchiaro che fa una donna d'onore con sentimento, mentre bravi caratteristi rendono al meglio il variopinto sottobosco dei personaggi di cosa nostra. Un film italiano intelligente nella sua semplicità, emozionale nella resa, una buona prova per un autore che se grazie a produttori che gli daranno fiducia farà opere più ambiziose e ampie sarà davvero da tenere d'occhio.
Il cinema italiano una volta di più condanna la mafia, anche quella di oltre venti anni fa, senza mai celebrarla ma cercando nuove visioni di racconto come in questo caso.
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La Ragazza Del Lago
Cast Valeria Golino, Nello Mascia, Marco Baliani, Giulia Michelini, Denis Fasolo, Franco Ravera, Sara D'amario, Toni Servillo, Fabrizio Gifuni
Regia Andrea Molaioli
Sceneggiatura Andrea Molaioli, Sandro Petraglia
Durata 01:35:00
Data di uscita Venerdì 14 Settembre 2007
Genere Thriller
Distribuito da MEDUSA
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Trama: sulle rive di un lago viene ritrovato il cadavere di una ragazza del luogo. Antiche leggende dicono che un serpente abiti il lago e con il suo sguardo faccia dormire per sempre, ma il solido e concreto ispettore incaricato dell'indagine non ha interesse per le leggende e scava nel passato della ragazza alla ricerca dell'assassino che ne ha provocato la morte per asfissia. Quando poi l'indagine porta alla ribalta nuovi aspetti della vita di un tranquillo paesino lacustre lo stesso ispettore dovrà confrontarsi con il suo presente ...
Commento: davvero niente male questo film diretto da Andrea Molaioli interpretato stupendamente da Toni Servillo, grandioso protagonista di film intensi diretti da Sorrentino quali Le conseguenze dell'amore. Il cinema italiano quando agisce di semplicità senza incartarsi in storie convulse e proponendo personaggi macchietta, riesce a fornire dei ritratti convincenti e delle trame affascinanti, quali questo giallo psicologico. Man mano che l'indagine del commissario Sanzio prosegue e scava nei meandri oscuri di un paesino che sembrerebbe idilliaco nella sua ambientazione lacustro montana, ci si imbatte in un profilo di uomo tormentato e che dietro alla sua facciata da duro nasconde ben diverse perplessità di quelle di un caso da risolvere controverso.
Indagine quindi che va parallela con lo scavo psicologico con i tormenti degli altri che toccano i propri, in un gioco di carta assorbente che non riesce ad essere impermeabile.
Sapientemente Molaioli (opera prima davvero pregna) gioca con la trama inserendo splendide immagini che sono dei veri e propri quadri (bellissima l'inquadratura dei due personaggi di spalle con li lago e le montagne sullo sfondo sottolineata dallo splendido manifesto del film, ma ci sono davvero altre inquadrature degne di nota pittorica), non usa benché minimamente il comparto musicale per sottolineare i momenti più intensi (come di solito accade nella facile comodità confortevole dell'abbinamento umorale tra musica e momento di situazione, abbandonando la necessità di lavorare di più sulle meccaniche dell'emozione) e fa scorrere il tutto nella calma più angosciante, senza spari, senza botti ma solo con il crepitare dei sentimenti repressi (ci si abbandona a scena d'azione solo in una breve corsa di fuga mentre l'inizio è a dir poco angosciante con i suoi silenzi che incombono sulla bambina), e alla fine la soluzione del giallo è quasi di secondo piano rispetto alle ansie dei protagonisti che la vicenda di una bella ragazza morta prematuramente ha portato alla luce. Siamo preoccupati e solidali per i tanti punti di contatto con le storie quotidiane anche nostre che possono intersecarsi con le umane debolezze, non per chiedere una geniale soluzione di scoperta e di motivazione di un delitto che già a prima vista è privo di fascino thriller o morboso in quella posa così delicata nella morte e con il corpo privo di efferati segni di violenza.
Partecipano a questo convincente lavoro in parti secondarie (ma con un mattatore come Servillo presente è difficile primeggiare) Valeria Golino e Fabrizio Gifuni.
Da notare due frasi cardine del film “I matti sono buoni finché non diventano cattivi” e “Come mai le donne devono litigare sempre di spalle, questa qualcuno me la deve spiegare!” simbolo di una insicurezza e una pace che non si trova per le difficili codifiche del parametrarsi e i muri che vengono eretti nei rapporti umani, come quell'incredibile foglio vergato con le parole che si perdono nel nulla che Sanzio legge e rilegge, segno perduto di sentimenti che non si vedono anche se ci sono.
Un bel lavoro veramente, non ridondante ma sommessamente esplorante, che nobilita anche con un lato tecnico valido il nostro cinema italiano (fotografia davvero ottima) che quando abbandona i cliché e le facili sicurezze sa mostrare le unghie usufruendo delle prove di un grande attore di gran carattere, oltretutto senza costringere lo spettatore ad arzigogolati ragionamenti per seguirlo, dandosi un tono autoriale per congiunzione/interazione e non per stressante dogma.
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Black Christmas - Un Natale rosso sangue
(Black Christmas)
Un film di Glen Morgan. Con Katie Cassidy, Mary Elizabeth Winstead, Lacey Chabert, Michelle Trachtenberg, Oliver Hudson, Andrea Martin, Crystal Lowe, Kristen Cloke. Genere Horror, colore 84 minuti. - Produzione Canada, USA 2006.
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Trama: Billy è un pericoloso psicopatico che scappa di prigione per compiere la sua sete di vendetta
al danno di alcune collegiali che vivono in una casa famiglia condotta da una amichevole rettrice.
E' Natale, si scartano i regali ma anche vecchi segreti stanno per venire alla luce. Riusciranno le ragazze a festeggiare capodanno?
Commento: Non c'è davvero niente da fare, la programmazione ha bisogno almeno di un horror a settimana per poter soddisfare i facili e innocui gusti di sangue dei teen indipendentemente da quanto possa valere. Se scorrete la programmazione i distributori dal titolo facile e geniale (questo italiano poi non è tanto orrendo) sistemano tutto in modo che in cartellone non manchi mai una nuova proposta, settimana prossima avremo Severance e tra due settimane Planet Terror, probabilmente non avendo altro per questa settimana hanno anticipato un film che forse a Natale sarebbe stato ironico mettere per pescare qualche spettatore in più.
Decisamente possiamo definirla una politica assai oculata per le leggi del marketing, anche se ovviamente certi cosidetti fill-in di programmazione provocano una ellissi di qualità verso i fan del genere. Qualità, che in questo caso è sicuramente bassa ma compensata da una simpatia di fondo di un filmetto innocuo che sfrutta le atmosfere natalizie per proporre la trama di un serial killer psicopatico che compie furiosi omicidi in nome di un accadimento di tanti anni prima che ne ha segnato la psiche. Remake eseguito da Glen Morgan (autore delle sceneggiature di Final destination 1 &3) su un film del 1974 eseguito da Bob Clark, riprendendo un plot praticamente sconosciuto ai più e riadattandolo al gusto dei teen per gli anni 2000.
Il tema portante è la furia dell'odio come si diceva, che guarda caso, si compie su delle formose quanto leggerissime ragazze dell'alfa-kappa (la più famosa è la Winstead recentemente vista in Death proof) la cui unica colpa è di abitare nel luogo dell'infanzia del killer, e si sa l'assassino torna sempre sul luogo del delitto (in questo caso dell'infanzia).
Il body count e il cavaocchi day (una autentica ossessione per il debuttante regista, mette occhi dappertutto compreso uno schermo del laptop) si dipana con delle recitazioni davvero pessime delle attrici, ma il tutto sembra davvero tanto onesto e casalingo da non infastidire più di tanto un horror fan, compensando la superficialità di fondo di una trama praticamente filiforme,(superficialità resa tale anche da dialoghi comici), con degli schizzi di sangue esagerati e delle scene da b-movie di un tempo (credo che il regista abbia quintali di poster della famosa scena dell'occhio dietro al porta in Zombi 2 di Fulci) che incontrano sempre la confortevolezza dell'accondiscendenza buonista di chi è entrato senza nessuna pretesa.
Tra l'altro le sovra scritte rosso sangue sono esteriormente adatte (tutto quello che viene scritto anche a livello di lettera è vergato con il rosso), sono sinonimo del tempo che scorre per rendere a capitoli i flashback che sono la parte migliore del film, dove avviene di tutto per far capire il disagio che il serial killer ha dovuto subire per divenire quello che è.
Sospeso un po tra teen movie e gore fest casalingo, questo prodotto (che piacerebbe di sicuro a Eli Roth) sa anche prendersi in giro nella sua mediocrità, riuscendo ad essere quasi appassionante perchè sembra che sia la realizzazione di un film amatoriale che vorremo fare con la nostra cinepresa.
Chi ha bisogno di colmare una settimana priva di horror movie new entry ed è un vero fan entri pure senza problemi e si diverta innocuamente, sapendo che però gli effetti non sono propriamente soddisfacenti in quanto molte volte la camera si allontana dall'omicidio e dalle ferite facendo solo vedere del sangue che schizza, tutti gli altri lascino tranquillamente perdere un prodotto artigianale e per nulla nuovo, onestamente e assolutamente dedicato alla categoria sopradetta senza meriti propri.
La distribuzione italiana ha mostrato tanta incuria nel confezionarlo per i cinema da sbagliare il titolo nel cartellone inserito durante il film al posto di quello originale (Christmas scritto Christamas).
Una curiosità, Andrea Martin, che qui interpreta la rettrice, era la protagonista del film originale.
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L'ultima legione
(The Last Legion)
Un film di Doug Lefler. Con Colin Firth, Ben Kingsley, Aishwarya Rai, Peter Mullan, Kevin McKidd, John Hannah, Thomas Sangster, Iain Glen, Rupert Friend. Genere Azione, colore 110 minuti. - Produzione USA, Gran Bretagna, Francia, Slovacchia, Italia 2007.
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Trama: Sono giorni bui per Roma, Odoacre, generale dei goti, sta organizzando una offensiva tremenda che dovrebbe culminare con la conquista e la caduta della città eterna. L'ultimo ostacolo sulla sua strada è rappresentato da un manipolo di eroi che difende il futuro Cesare, Romolo, solo un bambino, alla ricerca di una spada dai poteri eccelsi ... riuscirà questo sparuto gruppo di superstiti a ricongiungersi con l'ultima legione, la nona, sopravvissuta al massacro operato dai barbari?
Commento: tratto molto liberamente (si legge nei credits finali) dal romanzo di Valerio Massimo Manfredi, questa Ultima legione narra le gesta coraggiose di un manipolo di eroi capitanati da Romolo, un ragazzo che persi i genitori in maniera crudele nella guerra contro i Goti è destinato a condurre alla rinascita la nazione in difficoltà.
Con un cast di eccezione, oltre al grande Ben Kingsley (premio oscar per Gandhi) abbiamo Colin Firth (Il diario di Bridget Jones) e la splendida Aishwarya Rai, una attrice famosissima in India e tanto ricca da essere capace di rifiutare parti come quella di Elena nel kolossal con Brad Pitt Troy, Doug Lefler (specializzato in regie televisive) inscena una insipida sorta di compagnia della fuga e della protezione che viaggia per trovare l'ultimo rifugio da cui ripartire per la riscossa.
Partito con una lentezza insopportabile per farci consocere i personaggi, continuato con stereotipi del mondo fantasy più che dello storico come dovrebbe essere (d'altronde il personaggio di Kinsley sembra Gandalf il bianco) e finito in maniera frettolosa e balorda con un colpo di scena tanto pacchiano quanto del tutto campato per aria, questo film che doveva avere un valore di reminescenza e filmografia attingendo dallo storico si rivela essere una pellicola stile Disney per famiglie, con personaggi facilmente identificabili come quello del cattivo che ha la maschera da violento, il ragazzino spocchioso e antipatico che manca solo che si metta a cantare come Simba nel Re Leone "Sarò Re!", il protettore mentore, il soldato coraggioso e di buoni sentimenti che mette il cuore davanti a tutto, la bella guerriera e il luogotenente del cattivo tutto truce con la faccia sfregiata e in più i soldati che sembrano l'esercito dei romani da operetta che Asterix e Obelix picchiano allegramente.
Un calderone di personaggi che bolle informe, monotono e senza molto senso, dove il procedere della trama si mischia a iconografie asiatiche (la grande muraglia, la testa di drago che garrisce la vento) che estraniano e non affascinano, penalizzate anche nelle ambientazioni visive da una lavorazione alla computer graphics di valore pessimo.
Dopo una sequela di avventure tutte uguali nella meccanica (botte, controbotte,parolone d'ira scagliate al cielo) finalmente si giunge alla scontatissima scena d'amore (castissima ovviamente) e alla grande sorpresa bufala del finale. Non si sa quale fosse l'intento produttivo dello staff del film, costruire un film simpatico che presentasse battaglie edulcorate stile Abatantuono di Attila manco fossero un teatrino dell'allegria per la famiglia davanti ai pop corn, donare un affresco che prendesse il più possibile il ricordo di personaggi epici multiformi, tutte intenzioni che alla fine si traducono di fatto con un film monotono, pacchiano e che si può evitare tranquillamente senza nessun problema.
Le commistioni tanto ardite senza costruire minimamente un senso epico del film in questi contesti non vanno per nulla bene al cinema, il ricordo dello spettatore non sa dove indirizzarsi (ricordo necessario in quanto ambientazioen storica) e il suo gusto deve assaggiare un sacco di sapori che collidono tra di loro in maniera atroce senza dare soddisfazione. Si pensava che in questa senso King Arthur fosse un punto basso, ma questo è ancora peggio in quanto ancora più banale e pieno di battaglie del tutto ridicole, se non altro la pellicola di Fuqua in questo non eccelleva ma neppure banalizzava così tanto.
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http://img517.imageshack.us/img517/5732/20bartvw7.gif <b>ehi, quel ciuccellone di Marsellus vi dirà qualcosa sul nostro film, sappiate che tutto quello che scriverà è buono solo per cucciarsi il calzino ... io vi ho avvisati !</b>
<b>Zitto Bracarospo! qualcosa devo dire anche io ... questa recensione non è ancora pronta! mitico!!!</b>
I simpson
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http://img129.imageshack.us/img129/7771/simp21kw2.jpg
porking soon ...
VOCI DELLA VERSIONE ORIGINALE:
DAN CASTELLANETA (HOMER SIMPSON), JULIE KAVNER (MARGE SIMPSON), NANCY CARTWRIGHT (BART SIMPSON), YEARDLEY SMITH (LISA SIMPSON).
Regista:
David Silverman
Trama: per via del terribile inquinamento del suo lago Sprinfield viene chiusa da una cupola che la divide dal resto del mondo. Homer e la famiglia, unici ad essere stati in grado di fuggire dalla prigionia devono cercare di salvare la città dal disastro ... ma quando c'è di mezzo il chiappone giallo nulla è sicuro ...
<b>Ehi, ma io sono il protagonista...non puoi dire queste cose cattive su di me!</b>
<b>zitto Homer, sono matt groening, lascia finire la recensione... </b>
<b>D'oh...ma non è giusto...mangio una ciambella...recensore, mi dai una ciambella?</b>
Commento: ecco arrivare per la prima volta al cinema dopo qualcosa come quasi 18 anni dal loro esordio cinematografico la famiglia più assurda, squinternata e provocatoria, autentico geniale fenomeno di massa del divertimento. I Simpson, il film! orgogliosamente in 2-d, è un dilatato e colorato episodio tv portato ai limiti estremi, raccontando una catastrofe per la città di Springfield dove Homer e famiglia sono costretti anche loro malgrado a fare di tutto per raddrizzare la situazione.
Subito con l'inizio dedicato a Grattachecca e Fichetto il team creativo guidato da David Silverman (autore di molti episodi della serie tv, scelto quasi come inevitabile) chiarisce che questo film viene visto come una catastrofe di proporzioni colossali per utilizzare al meglio il grande schermo, per poter mettere alla berlina Homer come non mai.
All'interno troviamo tutte le cose che hanno reso grande la serie tv: l'ironia e la grottesca esagerazione nei gesti quotidiani, le citazioni a fatti della vita di qualunque tipo in chiave farsesca (Hillary Clinton insieme a un topo per le presidenziali prossime) e le continue schermaglie tra Burt & Homer e gli ammonimenti di Margie e i disagi intellettuali di lisa. Il plot della trama poi intelligentemente è corale, interessa tutta Springfield, per cui è stato fatto in modo che vengano anche per un secondo mostrati tutti i personaggi della serie (anche quelli minori) o quasi, con ognuno che si mostra o si ribella a certe cose ormai consolidate (Martin contro Stecco e i bulli). Poi il film si avvale di diverse ambientazioni, come l'Alaska, per cui non staziona mai e si muove convincente su vari sfondi naturali aumentando il paicere di vederlo. Gli autori poi hanno inserito dei fantastici cartelli nel mezzo del film per centralizzare ancora di più la novità del grande schermo (oppure lo scorrimento di piccoli avvisi che dicevano di non lasciarsi andare a puzzette o rutti in quanto non in casa proria) e Homer esce con un suo discorso in apertura film guardandoci e parlandoci di fronte, tutti espedienti che richiamano e ossequiano la collocazione naturale [Tv] dei personaggi ma aumentando il piacere di vederlo diversamente per fare subito il confronto voluto e chiamato, gridando che questo è il film e non i soliti 25 minuti. Peccato per la breve presenza di Mister Burns, ma siamo sicuri che in un futuro cinematografico il grande ricco crudele e taccagno avrà preminenza.
Ritmo sempre elevato, gag fantastiche, avventura, tema ecologico e familiare (che belle le scene tra Burt e Flaunders) presenti, grande schermo, prima parola di Maggie, film da seguire anche e sopratutto sui titoli di coda fino in fondo, fanno del primo (ce ne saranno anche altri come fatto intendere) film della gialla famiglia un appuntamento imperdibile per tutti, fan o non fan della serie tv, in quanto anche se la totale comprensione si ha soltanto conoscendo bene i personaggi, anche il profano può divertirsi per merito della facile codifica donata al film. che dire altro di questo divertentissimo film 2.d che ha osato sfidare le tecnologie iperrealistiche restando filologico? Mitico!homer devi dire qualcosa anche tu?
<b>Dopo questa cassa di birra e quell'altra cassa di birra rimane solo un altra cassa di birra prima di aver finito la birra ...
eh, scusa, ah si ... questa recensione è finita! in 1-d!</b>
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Sapori & Dissapori
Titolo Originale: NO RESERVATIONS
Regia: Scott Hicks
Interpreti: Catherine Zeta-Jones, Aaron Eckhart, Abigail Breslin
Durata: h 1.43
Nazionalità: USA 2007
Genere: commedia
Al cinema nel Settembre 2007
http://img214.imageshack.us/img214/9...ssaporiyk8.jpg
Trama: Kate Armstrong è una rinomata cuoca che eredita dalla madre delle stupende capacità culinarie. Dirige la cucina di un grande ristorante non suo, con piglio e fervore, ma un giorno una tragedia le consegna in custodia la nipote di nove anni e nel suo regno culinario entra un giovane di belle speranze simpatico e capace ... Nick Palmer. Tra problemi di famiglia e di lavoro la situazione per l'irreprensibile kate sta diventando davvero dura ...
Commento: Scott Hicks (ultimo film Cuori in Atlantide ma più famoso per l'ottimo Shine) dirige questa commedia culinaria chiamando a rapporto una coppia di belli di Hollywood come l'avvenente moglie di Michael Douglas (ricordiamola in Chicago) e il biondo Aaron Eckhart, (bravissimo in Thank you for smoking). Il titolo originale (quello italiano, neppure tanto brutto in fondo, è un titolo ripreso da Woody Allen, Accordi & Disaccordi) che significa "Senza prenotazioni" si riferisce al fatto che il cuore e la felicità della bella Kate non sono ancora stati presi, e ovviamente si riferisce anche al fatto di entrare al ristorante senza aver prenotato il proprio posto, un po' come fa Nick che appare all'improvviso con le sue canzoni e la sua carica di simpatia (arie immortali cantate da Pavarotti, casualmente e incredibilmente citato proprio durante i giorni della sua scomparsa con l'uscita italiana del film). Bisogna dire che il film ha la sua parte migliore fino a quando la Zeta-Jones recita in solitaria e senza l'arrivo di Eckhart, con la sua costruzione del muro di pietra verso gli altri che la contraddistingue e il successivo smarrimento appena arriva la nipotina (Abigail Breslin, indimenticabile in Little Miss Sunshine). La Zeta Jones sfodera una prestazione davvero non prevista, calibratissima e assolutamente convincente del ruolo di dura dalle mani d'oro in cucina, restando praticamente di ghiaccio e facendo solo sorrisi sornioni e sagaci verso i commenti del suo terapista e quelli dei suoi subalterni in cucina. Domina la scena con garbo, prende lo schermo e lo catalizza con bravura. Peccato che poi quando lo deve dividere per l'inopinato arrivo del rivale, incanalandosi la trama su binari abbastanza scontati, tutto va a finire per cadere in una commedia gradevolissima ma poco originale. Sembra tra l'altro che ormai costruire una tenda in casa sia sinonimo di famiglia (vedi anche in L'amore non va in vacanza), come se mettere un tetto piccolo dentro un tetto grande sia valore di avvicinamento per sentimenti che circolano troppo liberi e troppo dispersi anche dentro una abitazione e non solo in una grande città. In questo film i buoni valori alla fine escono tutti, l'attaccamento al lavoro ma anche il buon cuore, l'amore che subentra senza dover rendere conto ad altro che a se stessi, dove noi stessi siamo i primi a farci grandi problemi anche dove non ce ne sono perchè non ci fidiamo degli altri (e un battibecco tra i due protagonisti lo dice chiaramente che per fidarsi di qualcuno bisogna essere se stessi).
In definitiva una commedia gradevolissima, con un impianto scenico collaudato che non annoia assolutamente e che per molti tratti non è neppure molto mielosa, piena di buoni sentimenti e di buoni piatti che faranno passare 100 minuti circa gradevoli senza avere grandi pretese, confortevolizzando nella sicurezza senza banalizzarsi oltre il dovuto. Certo, vorremo rivedere Scott Hicks ai suoi valori d'esordio, ma questo plot davvero non poteva essere realizzato meglio dato gli evidenti paletti di canalizzazione del racconto che doveva prendere.
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Piano, solo
Un film di Riccardo Milani. Con Kim Rossi Stuart, Jasmine Trinca, Paola Cortellesi, Roberto De Francesco, Corso Salani, Mariella Valentini, Claudio Gioé, Sandra Ceccarelli, Konrad Podolny, Michele Placido. Genere Biografico, colore 104 minuti. - Produzione Italia 2007.
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Trama: la biografia della vita contrastata di Luca Flores, morto suicida prima di avere quarant'anni, pianista jazz di grande valore vissuto fino al 1995. Gli incontri con i grandi del jazz, il successo, ma anche la sua voglia di estraniarsi per suonare in luoghi dove i suoi suoni potessero chiudersi e non aprirsi per intimarsi con il suo stato mentale corroso.
Commento: Riccardo Milani ha già diretto Michele Placido e Paola Cortellesi (qui padre e sorella di Luca Flores - Kim Rossi Stuart) nel film Il posto dell'anima che parlava di un tema impegnato come quello della perdita del posto di lavoro, adesso li riutilizza in questo lavoro biografico sulla vita di un jazzista-pianista sconosciuto al grande pubblico. Un lavoro che si concentra sopratutto sulla vita difficile e sui tormenti della persona e non solo sulle sue opere, anche se sono presenti parecchi pezzi suonati in singolo e in gruppo. Per chi volesse approfondire l'argomento c'è anche un libro scritto da Walter Veltroni dal titolo"Il disco del mondo". A livello ristretto del film, abbiamo il ritratto di un uomo tormentato e mai tranquillo, che cerca anche in un viaggio in Africa di trovare la serenità insieme alle giuste sonorità. A pesare come una spada di Damocle su di lui la morte violenta della madre di cui lui si dà colpa perennemente e che lo turba costantemente nei ricordi, stessi tragici ricordi che non vengono mitigati dall'amore sincero di una Jasmine Trinca (con Rossi Stuart in Romanzo Criminale diretto da Placido, numerosi spunti di collaborazione si intersecano in questo film) pulita e brava ragazza come non mai.
Kim Rossi Stuart è bravissimo a tratteggiare tic e poche luci di quest'uomo dalle mani di fata che scorrono sui tasti di un pianoforte, con una recitazione misurata e compassata sempre mancante di un vero sorriso perfetta per esteriorizzare il disagio che vi è dentro. Ottima anche la presenza di Paola Cortellesi, sorella dolce che si vede anche lei nei ricordi in versione bambina, mentre placido si concede la parte del leone che appare a fare il grande anxiano del film. Un lavoro che va visto nell'ottica non solo di presentare un artista ma in quella di mostrare la sua ansia che non viene vinta da soddisfazioni materiali oppure dalla presenza del pubblico, prima cercato poi evitato nella sorta di catarsi di preservare solo per se stessi la propria arte in modo che possa essere il più possibile medicina personale per curarsi. Il ritmo scelto dal regista è giustamente molto lento, le situazioni si dipanano senza clamori e tutto sembra essere un ellissi di scale sonore che tormentano senza fine, come lo stesso protagonista che non si libera dell'ossesione della perfezione, per cui è necessaria una serata di giusta impostazione non di solo divertimento, che comunque non necessita di una preparazione di base per poterlo godere.