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Il caso Thomas Crawford
Il Caso Thomas Crawford (Fracture)
Cast Anthony Hopkins, Ryan Gosling, David Strathairn, Rosamund Pike, Embeth Davidtz, Billy Burke, Cliff Curtis, Fiona Shaw, Bob Gunton, Josh Stamberg
Regia Gregory Hoblit
Sceneggiatura Daniel Pyne
Durata 01:53:00
Data di uscita Venerdì 2 Novembre 2007
Generi Drammatico, Thriller
Distribuito da EAGLES PICTURES
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Trama: Thomas Crawford è un ingegnere aereonautico ricchissimo. Un giorno scopre che la moglie, amatissima, lo tradisce bisettimanalmente con uno sconosciuto. Tornato a casa le spara, ma gli spari fanno dare l'allarme agli inservienti della casa. Thomas viene arrestato, e incredibilmente il poliziotto che lo cattura è l'amante della moglie ...
Commento: Grande incredibile Anthony Hopkins. Con la sua sola presenza, con i suoi monologhi e le sue espressioni intense catalizza, impreziosce e stupisce gli spettatori. Stavolta gli viene richiesto di esteriorizzare la personalità di un ingegnere aereonautico geniale e sopraffino nell'elaborare un piano diabolico (genialità che il tortuoso percorso delle sfere intimizza e mostra) ai danni della moglie che lo ha tradito e dell'amante di lei che lo ha invece catturato. Un ritratto di uomo sconfitto e distrutto dalla delusione d'amore, che trova nella vendetta più terribile una piccola panacea di guarigione per i suoi grandi dolori. Uomo grande nel lavoro, realizzato nelle opere, decadente nei sentimenti. Hopkins è bravissimo (come sempre) a modulare le varie angolazioni di umore, di essere di ghiaccio nella persecuzione dei colpevoli oltre il limite consentito, negando di domandarsi se la cosa è riconducibile a lui o meno. Uno dei grandi vecchi attori che da soli sono una garanzia di soddisfazione del film indipendentemente dalla tipologia della pellicola stessa, indirettamente validi da quello che racconta la scenggiatura.
Purtroppo, se Hopkins è perfetto, il film non lo è. A fronte di un lato tecnico strepitoso (la fotografia, ci sono sempre locali bui illuminati fiocamente a dominare la scena, anche per confortevolizzare il carattere del protagonista, benissimo impressi senza sbavature o grane di colore fastidiose) ci sono delle imperfezioni più o meno visibili nella storia (quelle situazionali con il prigioniero che sembra più libero e meno controllato del pubblico ministero di telefonare a chiunque e dovunque, quelle di meccanica del racconto con cose, che non possiamo in questa sede dire per evitare spoiler, davvero illogiche) e ogni tanto le pieghe del racconto si perdono in inutili digressioni e siparietti davvero inconsistenti. Il valore thriller con il grande dramma degli amanti non è cosa nuova nel cinema, ma il regista Gregory Hoblit (autore dell'ottimo Frequency) deve girare con gusto moderno un film che si radicalizza nel vecchio stile, e la cosa non è perfetta, troppo infastidita dalla tecnologia e dall'ambientazione dirigenziale tutta cellulari, che risulta determinante per arrivare al culmine del racconto.
La progressione che ne risulta del film non è perfetta, ci sono alcuni momenti un po' vuoti tanto per riempire (i duetti tra i due fidanzati), per riprendersi ogni volta che il grande tenebroso vecchio entra in scena a dominare il tutto.
Abbiamo, nel reparto attori, Ryan Gosling che fa l'antagonista di Hopkins (lo si era visto ne Le pagine della nostra vita) e David Strathairn (al cinema con the Bourne Ultimatum) in una parte secondaria, mentre l'avvenente fidanzata del poco credibile pm è affidata alla bellezza di Rosamund Pike (ex bond girl de La morte può attendere).
In definitiva un film dalla buona atmosfera thriller, che tiene sospesi per la soluzione di alcuni enigmi/spiegazioni che vengono date nel finale, con un grande interprete attorniato da un cast non proprio eccezionale (con Gosling che imita Ed Norton nel recitare), agendo al contrario del tipico facendoci subito vedere il colpevole ma non se il crimine paga, penalizzato mortalmente da piccoli errori di sceneggiatura (decisamente poco logico il tempo che passa tra la azione del colpevole e l'arrivo della polizia con lui che prepara tutto) e banali refusi di controllo situazionale (oltre a quelli sopra citati dopo essere stati fuori sotto la pioggia battente si entra in casa asciutti) inaccettabili in un contesto filo hitchcockiano di memoria discendente che esigeva ben altre attenzioni.
Comunque, grazie al grande Anthony, si può entrare tranquillamente per vedere un film che si ricorderà poco ma dalla atmosfera affascinante anche se non resa a dovere.
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Lo spaccacuori
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Lo spaccacuori
(The Heartbreak Kid)
Un film di Bobby Farrelly, Peter Farrelly. Con Ben Stiller, Michelle Monaghan, Malin Akerman, Jerry Stiller, Rob Corddry, Carlos Mencia, Danny McBride. Genere Commedia, colore 105 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Universal Pictures
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Trama: Eddie Cantrow è uno scapolone impenitente sulla soglia dei 40 anni. Ormai sembra che il matrimonio non sia più una cosa che lo riguardi. Le delusioni d'amore lo hanno troppo segnato e nonostante gli ammonimenti dell'arzillo padre e di un amico sposato, l'accasarsi non sembra avere su di lui nessun fascino. Ma un giorno un incontro con Laila, una avvenente bionda, gli fa cambiare repentinamente idea. Peccato che nella luna di miele vengano allo scoperto i tanti difetti insospettabili di lei ...
Commento: Inarrestabili registi i fratelli Farrelly, politicamente e allegramente scorretti e privi di regole hanno segnato il loro cinema di battute senza tema di sforare negli anatemi della morale, mostrato in logiche davvero inusuali e prospettive inaspettate (hanno creato, sempre con Stiller, quella follia pura di “Tutti pazzi per Mary” e reso grassa oltre ogni limite Gwyneth Paltrow in Amore a prima svista, per raccontare anche le gesta di Jim Carrey con una mucca in Io,me & Irene e le follie di Scemo+scemo) esagerando situazioni surreali oltre i limiti del consentito. In Tutti Pazzi per Mary un nugolo di maschi cercava di conquistare il letto della bella Cameron Diaz (film diventato famoso per lo sperma al gel che aveva fatto diventare la chioma della Diaz una sorta di sperone stile unicorno), in questo Spaccacuori (che ricorda nel titolo The Heartbreakers, un film con Sigourney Weaver, Gene Hackman e Jennifer Love Hewitt) invece un uomo vede il suo sogno di aver trovato l'anima gemella ideale infranto, proprio nel momento più bello di una strepitosa luna di miele in un paradiso turistico del Messico (location assolutamente da sogno, con tramonti strepitosi e spiagge assolate bianchissime).
Sembrerebbe che i Farrelly abbiano quindi tolto il piede dall'accelleratore per dedicarsi a qualcosa di molto intimo oppure più sentimentale, ovviamente può essere così ma non è proprio così.
Sorretto da un Ben Stiller a dir poco vulcanico e a 360 gradi, prontissimo a destreggiarsi tra le pieghe della sceneggiatura in maniera egregia, sia quando deve fare lo schizofrenico irato per colpa delle follie della neo moglie, e alla stessa maniera valido quando deve fare il sentimentale oppure lo sconsolato, il film ha dei momenti quasi stucchevoli oppure teneri, colpiti da però in maniera repentina e totale dalla mannaia della satira al vetriolo, che tutto travolge e nulla rispetta.
Non c'è amore senza sorpresa, non ci sono sentimenti che possono essere considerati sacri, situazioni consolidate di cinema poi dopo eluse senza nessun problema, in un turbinio di battute folle ed esagerato, e soprattutto mai volgare. Si parla di sesso estremo in allegria totale, si sentono scoregge finalmente ironiche senza doverle vedere come inserite per forza, le situazioni in cui la bella moglie (una biondissima Malin Akerman davvero coinvolta, tutta urli e mossette stizzite) fa vedere liberamente parte delle sue grazie in semplicità (togliendo quella folle del finale che fa concorrenza in grottesco ai capelli della Diaz in Mary) mai gratuite ma che proseguono e arricchiscono la trama, che si impreziosisce dopo la sua metà anche di una sorta di commedia degli equivoci davvero buona.
Diversamente da certo cinema comico/commedia che si accontenta di arrivare all'obbiettivo rimanendo lineare senza volersi incastrare per confortevolizzare il più possibile gli spettatori, i registi girano più volte la frittata, situazioni consolidate vengono ribaltate all'estremo e non si capisce mai il punto di fermo o l'orizzonte di arrivo, qualità davvero notevole per il risultato del film, dove le risate in certi momenti fuoriescono spontanee e fragorose, oltretutto riescono a ironizzare sulla fuga clandestina dei Messicani verso l'America innestando nel tessuto del film una sottile vena sociale.
Nel film oltre ai sopracitati abbiamo la esilarante macchietta del padre dai consigli molto aperti (interpretato dal padre reale di Ben Stiller, Jerry), mentre l'avversaria di turno è Michelle Monaghan (che fa Miranda senza troppo risultato), e possiamo brevemente ammirare la bella modella Eva Longoria in un cammeo.
In definitiva un film spumeggiante, divertente, mai parco di sorprese e giocato tutto sul fatto che in fondo di sicuro non c'è mai nulla. Altamente consigliato per una serata scacciapensieri di divertimento non scontato.
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I vicerè
I Viceré
Un film di Roberto Faenza. Con Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Lucia Bosè, Franco Branciaroli, Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco, Giselda Volodi. Genere Storico, colore 120 minuti. - Distribuzione 01 Distribution
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Trama: nella Sicilia del 1800 gli Uzeda vivono nel lusso dato dalla loro appartenenza al casato filoborbonico che ne determina la ricchezza. Giacomo dirige con durezza e molte volte con crudeltà la famiglia, accanendosi molte volte senza motivo sul figlio Consalvo. Dopo l'ennesima punizione ricevuta, il piccolo viene confinato in un monastero di monaci benedettini, dove la vita dura dei novizi fa da contraltare alle notti lascive dei monaci. Divenuto grande e ritornato in famiglia, Consalvo trova la figura del padre ormai in preda a folli superstizioni, pronto ancora a perseguirlo in quanto convinto che il figlio sia la causa dei suoi mali fisici, e oltretutto stanno arrivando i garibaldini ad unire l'Italia mettendo in grave crisi la ricca staticità degli Udezia ...
Commento: Ispirandosi al romanzo di Federico de Roberto, Faenza (che ha diretto l'ottimo Prendimi l'anima, sui mali della psiche umana) dirige un film in costume (complimenti alla pluripremiata agli oscar Milena Canonero per l'ennesima prova di classe nel vestire gli attori) sull'Italia del 1800 in piena dominazione borbonica, centralizzando la storia su una famiglia diretta in maniera dispotica da un padre reso folle dai suoi mali fisici che non esita ad addossarne la responsabilità all'incolpevole figlio reo soltanto di essersi comportato da ribelle agli ingiusti castighi.
La storia di Consalvo (interpretato, nella fase adulta, da Alessandro Preziosi, il conte Ristori di Elisa di Rivombrosa) inizia da quando bambino si muoveva curioso in giro per la tenuta con la sorella Teresa (interpretata in mnaiera acqua e sapone dalla prezzemolina “appaio spesso” Cristiana Capotondi, presente questa settimana al cinema anche con Come tu mi vuoi al fianco di Vaporidis) per poi continuare fino alla tarda maturità, volendo dare uno spaccato di vita del tempo in maniera più spalmata e completa possibile. Attraverso una rigorosa scelta storica delle location e delle scenografie, Faenza tratta un tema che rimembra i nostri passati scolastici, con l'arrivo dei garibaldini e la caduta dei Borboni, immesso nell'ottica di una diatriba familiare che solo sporadicamente incontra i lati sentimentali prettamente d'amore (lasciati soprattutto al personaggio di Teresa) che vive di continui allontanamenti e successivi ritorni a casa. Il taglio del film è decisamente televisivo, vista la produzione e l'ottica di realizzazione non poteva essere altrimenti, ma non manca mai di essere quantomeno visivamente interessante, non induce al torpore pesante nonostante varie cadute di tono soprattutto quando mancano i confronti diretti tra padre e figlio (padre interpretato validamente e con ghigno feroce dal redivivo Lando Buzzanca che dimostra di poterci essere anche lontano dai ruoli comici), dilungandosi un po' troppo sulle fasi intermedie degli incontri e in alcuni autocompiaciuti siparietti nei giardini di valore soprattutto estetico.
Non aspettatevi grandi scene di lotta o sollevazioni di piazza, questo è soprattutto un melodramma e non un film storico, vissuto sui rapporti intrafamiliari e sui matrimoni/parti di convenienza, dedicandosi nel girato solo in maniera marginale alle altre cose, permettendosi una feroce critica sulla chiesa (definendo le abitudini notturne dei benedettini “I porci di Dio”lasciando a veri devoti il compito di pregare a scusa di peccati che vengono commessi da altri), mostrando un sindaco zoppo (ed in omaggio al famoso “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba”) a sintomo di un Italia sacrificata che fatica a camminare decentemente. Non abbiamo una vera totale condanna di qualcosa, tutto è demandato a chiedere di non credere alle superstizioni assurde che non producono vera coscienza ma solo chimere di credulità (non a caso il grande bubbone di Giacomo è sulla testa) e di seguire la propria indole d'istinto di giustizia rendendo la propria vita la più cristallina possibile libera da insegnamenti e dogmi.
Faenza dirige in definitiva un film con buon mestiere, di fattura più che valida nell'allestimento visivo del tempo storico, penalizzato purtroppo da una mancanza di grandeur del racconto che si limita a circondarsi blandamente (di fatto la vita degli Uzeda non cambia moltissimo nel prima e dopo dell'arivo di Garibaldi) degli eventi mentre si muovono i personaggi in elastici narrativi (oltre ai ritorni c'è anche Consalvo che a un certo punto sente di somigliare al padre diventando anche violento) a volte troppo ripetitivi. Probabilmente un interprete più valido di Preziosi troppo legato a un tipo di recitazione che coinvolge solo fino ad un certo punto, (lo vediamo poi in ogni età, con baffi e senza, grigio e in giovinezza) e una interprete diversa della scolastica Capotondi, avrebbe dato vigore e forza maggiore a una pellicola di base da non buttare via che poi si perde per la pochezza di approfondimenti, che usciti dalla sala ha dato emozioni stanziali del momento e non di ripensamento del dopo usciti.
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SLEUTH - GLI INSOSPETTABILI
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Titolo Originale: SLEUTH
Regia: Kenneth Branagh
Interpreti: Jude Law, Michael Caine
Durata: h 1.26
Nazionalità: GB, USA 2007
Genere: thriller
Al cinema nel Novembre 2007
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Trama:Andrew Wyke è uno scrittore di successo ricchissimo che invita nella sua strepitosa casa ultra moderna nell'arredamento e altamente tecnologica il giovane Milo Tindle per chiudere un conto in sospeso, dato che lui è l'amante della moglie dell'anziano miliardario. Però il gioco di inganni che ne esce è davvero pieno di sorprese ...
Commento: Kenneth Branagh riprende un dramma teatrale di Anthony Shaffer che aveva già avuto una versione cinematografica nel 1972 ad opera di Leo Mankiewicz, chiamando ad interpretarla lo stesso attore che vi aveva partecipato al tempo solo che, per evidenti motivi anagrafici, in un ruolo diverso. Michael Caine di fatto era il giovane parrucchiere che soffiava la moglie al ricco Laurence Olivier, e nell'odierno lavoro invece è Jude Law l'antagonista che configura il bello e giovane dell'uomo, freschezza dell'esistenza che affascina la moglie spendacciona. Incredibile questo gioco di incroci, tenendo conto anche cinematograficamente di quello di Alfie, il conquistare di donne, passato da Caine a Law.
Branagh (ovviamente perfettamente a suo agio con un lavoro teatrale) introduce il film con il gioco del due senza attendere nulla, dato che due soli saranno gli attori presenti nelle inquadrature, non ci saranno altri figuranti sulla scena, presentando due macchine che convergono (le vite che si incrociano), due bicchieri, due sedie, due poltrone due sculture, e via dicendo. Chiarito il concetto base del film ("Io contro di te") il regista segue alla lettera il dettame della suspance, regalando a poco a poco durante lo sviluppo del film nuovi elementi, nuovi dettagli e incredibili sorprese. Di fatto un lavoro di sceneggiatura ormai oliatissimo, che viene diretto in maniera asciutta e precisa che potremmo definire priva di ogni autorialità, dove la mano del regista non si vede, dove non ci sono inquadrature che fanno parteggiare per nessuno dei due rivali. In ogni fotogramma non scorgiamo mai una preferenza oppure un valore di simpatia, tutto è dato dal fatto che questa sia la situazione e il più furbo e saggio vinca la tenzone divenuta ormai una sfida per la supremazia del cervello (dove anche la questione della moglie, che si vede solo in foto, diventa un dettaglio), non deve vincere il più puro oppure il più onesto. Lavoro oltretutto sopraffino che si pregia di inquadrature perfette, camere fisse in camere mobili, piene di pareti che si aprono misteriose e arcigne alla visione del nemico come sottili trappole, dando alla casa stessa un valore di terzo protagonista.
Branagh utilizza superbamente la nuova tecnologia (videocamere e telecamere spia guidate dal computer) che non facevano parte del bagaglio del film del 1972 rendendoli un accessorio arricchente e non un orpello, funzionali per alcune scelte di stile e che aiutano la comprensione allo spettatore senza corrompere la purezza del lavoro in un ambito emozionale. Duello tra grandi attori, dove non solo Caine (che non ha bisogno di altre prove per definirlo tale) trova in Law un fantastico compagno di lavoro, praticamente perfetto, con espressioni che vanno dallo stupito, al terrorizzato, al sardonico in grande armonia tra di loro.
Si vede da subito la perfetta sinergia attoriale, restiamo incantati dalla durezza delle parole e dal confronto totale tra due generazioni tanto diverse con il grande vecchio potente e ricco che non vuole lasciare partita e ultima parola a chi sgomita per primeggiare la scena.
Un lavoro davvero da non perdere, facendo un applauso al grande scenografo che ne ha allestito la cornice visiva davvero magistrale (arredamento futuristico e statue evocatrici di sensazioni ingarbugliate e misteriose come la vicenda, iconografia perfetta nella statua umana con i fili di ferro aggrovigliati), e alla grande musica intimista di sottofondo, godendo di due interpretazioni magistrali, che ha saputo valorizzare i dialoghi in modo che non vengano toccati stili radicati nel passato.
Non perdetevelo e premiate un lavoro intenso per nulla difficile da seguire nonostante sia stanziato in una sola location, prevedibilmente zeppo di strepitosi discorsi come da doverosa origine teatrale e che vi coinvolgerà dal primo all'ultimo secondo. Produzione di un appassionato Jude law che ha contattato lui stesso direttamente Branagh, convincendolo ad abbandonare i suoi lavori classici per questo dramma.
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I guardiani del giorno
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TITOLO ORIGINALE
Dnevnoy dozor
TITOLO INTERNAZIONALE
Day Watch
NAZIONE
Russia
GENERE
Azione, Fantastico, Horror
DURATA
132 min. (colore)
DATA DI USCITA
09 Novembre 2007
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REGIA
Timur Bekmambetov
SCENEGGIATURA
Timur Bekmambetov
DISTRIBUZIONE
20th Century Fox
PROTAGONISTI Konstantin Khabensky, Aleksei Chadov, Yuri Kutsenko, Igor Lifanov, Galina Tyunina, Sergei Lukyanenko, Rimma Markova, Mariya Poroshina
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Trama: Anton continua la sua lotta contro le forze dell'oscurità, dopo che l'eletto sembra che abbia scelto la fazione oscura della lotta facendo pendere in loro favore la bilancia in perfetto equilibrio da mille anni (dopo che le due parti avevano deciso di controllarsi l'una con l'altra per vivere ognuna in sicurezza). Avendo dalla loro l'eletto, i vampiri vorrebbero a tutti i costi provocare una guerra con i guerrieri luminosi del giorno, e quasi a favorire questo piano inizia una misteriosa sequela di delitti che viene addossata da parte loro ad Anton, costretto a trasmigare nel corpo di una donna, Olga, per sfuggire alle ricerche ... intanto che lui cerca di dimostrare la sua innocenza al tribunale della doppia inquisizione la situazione precipita nel caos, con la sola possibilità della ricerca di un potentissimo manufatto, il gessetto del fato, capace di esaudire qualunque desiderio venga scritto con esso ...
Commento: tratto dal romanzo di Sergej Luk'janenko. prosegue, dopo i Guardiani della notte, film sorpresa del 2004 che con un budget modesto ottimizzò i costi e riuscì a sorreggere con degli effetti speciali più che decenti una storia interessante, la trilogia che vede le forze del giorno e della notte contrapporsi (l'ultimo capitolo sarà I guardiani del crepuscolo). Questo i Guardiani del giorno di fatto è costruito sulla falsariga del primo come impianto narrativo, una storia aggrovigliata come poche (nonostante un ampio sunto riepilogativo iniziale che introduce anche alla leggenda del gessetto del fato, sarebbe essenziale vedere il capitolo precedente per comprendere il tutto appieno), che riparte dritta da dove si era fermata.
Adesso le forze del male stanno tramando ai danni di Anton chissà quale piano per scatenare la lotta definitiva, avendo il non trascurabile vantaggio di avere con loro l'ago della bilancia rappresentato dall'eletto che si è schierato dalla loro parte. Nella durata extra di questo film (140 minuti) avremo modo di vedere bellezze di tendenza ed effetti speciali mirabolanti in computer graphics (a differenza di quelli efficaci ma artigianali del primo capitolo, i soldi della Fox che ha acquisito i diritti si vedono) assolutamente inediti per un film Russo, con macchine sportive che viaggiano sui vetri di un palazzo in maniera orizzontale (vedere per credere!), che corrono in corridoi d'albergo ed esplosioni di tutti i tipi che coinvolgono l'inerme città campo di battaglia dei due opponenti.
Molto buone sono anche le trasfigurazioni durante il passaggio tra una realtà e l'altra durante i combattimenti e gli inseguimenti, eseguite utilizzando gli occhiali scuri con una logica di visione che prende spunto dal lontano film di Carpenter dei tempi d'oro Essi vivono. Tutto il film si muove fracassone ed esagerato (compresa la scena della ruota gigante ispirata da 1941:allarme a Hollywood), con colpi a ripetizione da ambo le parti che non lesinano di darsele di santa ragione, impreziosendosi anche con degli ottimi inseguimenti su strada. Purtroppo la mano americana della produzione con occhio allo spettacolo puro sembra farsi sentire negativamente, perchè a fronte di questo ottimo comparto tecnico, la storia è difficile da seguire, tortuosa, lo spettatore si perde (come del resto avveniva facilmente nel primo capitolo) nella ricerca mentale dei fatti accaduti prima che si collegano a quanto visto ora, a capire chi è il tale e perchè fa quello; la stessa congiura non è chiarissima e alcuni punti morti di raccordo che dovrebbero spiegare la vicenda invece alzano il tasso di incomprensione, sopratutto per chi arriva alla visione digiuno del capitolo precedente come si diceva. Probabilmente lo spettatore interessato leggendo le varie recensioni sul web (si spera ovviamente anche questa) può fare luce sui punti oscuri della vicenda, e data comunque la buona idea del soggetto (alla sceneggiatura del film ha partecipato anche il creatore della vicenda letteraria), in seguito a questa opera informativa eseguita può godere del film maggiormente rispetto al momento dell'uscita della sala dove esce un po' confuso e frastornato (tra l'altro il finale un po' facilone e deludente, non lascerebbe molto spazio alla prosecuzione della vicenda).
Fa effetto vedere un film dell'Est tanto ricco di effetti, ma ormai il regista è vicino alla corte di Hollywood ed è in predicato per dirigere l'adattamento cinematografico del violento ed eccessivo fumetto di supereroi Wanted, per cui attendiamoci di vedere altri film con registi della zona ex Urss fatti con gusto americano.
In definitiva un film che è bello da vedere e un po' più ostico da seguire, con alcuni punti di racconto davvero poco chiari alla prima visione, che ogni tanto si perde in alcune trovate che probabilmente a Bekmambetov piacevano senza dare impulso alcuno alla trama, ma visionario e catastrofico, dalle lotte al fulmicotone che avvince sempre quando sono di fronte due nemici storici come bene e male, luce ed oscurità contrapposte in tregue tanto facili a rompersi per quanto sono sottili ad esserci. A costo di ripeterci, la visione del primo capitolo è assolutamente essenziale, per cui se siete intenzionati a vedere questo action-fanta-horror movie dell'est recatevi prima al più vicino noleggio di dvd.
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The minis - nani a canestro
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Regia: Valerio Zanoli Sceneggiatura: Valerio Zanoli Attori: Dennis Rodman, Gabriel Pimentel, Joe Gnoffo, Dana Woods, Bradley Laise, Richard Portnow, Kalan Shires, Rusty Burns, Tamara Melnyk, Caroline Macey, Tyler Riegleman, Tonya Banks, David Jean Thomas, Paul Hayes, David E. Brown, Fabio Cannavaro (voce italiana di Dennis Rodman), Francesco Toldo (voce italiana), Dan Peterson (voce italiana) Produzione: Really GoodPaese: Italia, USA 2007Uscita Cinema: 09/11/2007Genere: CommediaDurata: 82 Min
Trama: Quattro nani amici tra loro e amanti della pallacanestro decidono di iscriversi a un torneo di basket per riuscire a dimostrare di valere nonostante l'altezza ridotta. Tra problemi personali e varie discussioni tra i quattro, la svolta sembra arrivare con l'ingaggio dell'ex campione di NBA Dennis Rodman che attirato dai soldi e dalla pubblicità avuta dalla strana impresa, accetta di vivere questa surreale esperienza sportiva ...
Commento: Valerio Zanoli (opera prima) è l'autentico factotum di questa commedia per ragazzi (ma sarebbe meglio dire per bambini in età prepuberale), eseguendo non solo la regia ma anche la sceneggiatura.
La storia riguarda un gruppetto di nani (quattro per la precisione) che nonostante l'altezza non cedono alla tentazione di partecipare a un torneo di basket, anche perchè per vari motivi i 50.000 dollari di premio fanno molto comodo. L'incredibile è che dopo averli ignorati, l'ex campione NBA Dennis Rodman (tatuatissimo e pieno di piercing con un paio di vistosi grandi anelli orecchini) decide di giocare con loro il torneo attirato solo dai soldi che la strana impresa può portare. Ovviamente nel seguito della storia conosce meglio i quattro amici di taglia ridotta, e va oltre il discorso del solo denaro, e tutto vira sul sentimentale. Sembrerebbe la classica commedia senza pretesa buonista orchestrata e costruita su una idea diversa dal solito per renderla originale, invece il tutto è di una banalità e di una vuotezza oltre il possibile, con una regia scolastica priva di qualunque fascino, e una sceneggiatura che potrebbe ridurre al valido di 20 minuti il già corto metraggio del film (82 minuti). Zanoli indugia tantissimo sulla preparazione del pretorneo con scontatissime scenette che rendono dei poveri imbecilli le persone cosidette normali (il manager privo di scrupoli e l'insopportabile bionda amica delle mucche) e invece di contro elevano a valore coloro che la natura sembra aver punito. Sembra un dovere dire quello che è altamente scontato, potrebbe essere giusto considerando il messaggio per un target di piccoli e famiglie, peccato che lo si fa colpendo i nani invece indirettamente, in quanto nella storia prima che si accorgano che vengono presi in giro da coloro che li attorniano ci vogliono oltre che cose evidenti delle parole dirette addirittura. Bisognerebbe dire a Zanoli che i suoi protagonisti sono corti di altezza, non di cervello.
Tra l'altro a furia di tentare di farli sembrare simpatici a tutti i costi si raggiunge l'effetto opposto, dandogli una moglie e una figlia di statura normale diversi dagli altri cattivoni che continuano a non credere nelle loro grandi capacità da vino buono in botte piccola.
Per un ora si assiste a una continua sequela di banalità, noiosa e ripetitiva, (nelle ottiche di racconto suespote), sia per i piccoli spettatori (d'età, ovviamente) che i loro genitori. E dopo che Rodman si è redento, ha fatto pulizia della sua pelle cattiva e diventato candido come un giglio, inizia il torneo più banale degli ultimi tempi, dove il doveroso surreale lascia il posto allo sbadiglio, e che il finale alla "volemose bene nonostante tutto" nulla salva e anzi disturba.
Per un lavoro di tale facilità, pochissime pretese e target facile da accontentare, è abbastanza grave che si abbia alla fine un miscuglio di noia e buonismo fastidioso, che un regista inesperto e incapace liquida velocemente come fastidiosa pratica da sbrigare (evitando di pagare i grafici che protestano realizzando degli orrendi cartelli di presentazione delle partite sullo schermo, e anche gli effettisti che sul finale confezionano una scena ridicola).
Tenete conto che il doppiaggio, sia nella traduzione che nella vocalizzazione sonora, poi è la cosa più orrenda vista dai tempi di Shaolin Soccer, Cannavaro (alla fine del film sui titoli di coda c'è una mini intervista con lui) e Toldo saranno dei grandi campioni di calcio, ma è meglio che lascino ad altri il compito di eseguire voci sullo schermo. Nel film sono presenti anche le voci di una importante radio italiana (RTL, ampiamente citata) mentre per soddisfare la produzione si pubblicizza anche Yahoo! e altri marchi.
Se dovete vedere un film con un grande ex campione di basket rivedetevi Space Jam!, mentre dobbiamo constatare che l'unica cosa buona di questo film è l'ingresso omaggio ai bambini al di sotto dei 12 anni se accompagnati dai genitori, che sicuramente dimenticheranno questo film con la velocità di quanto è durato.
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nota : volevo ringraziare il forum per l'attenzione che dedica al topic, quasi 6000 visite sono un onore davvero immeritato e una grande soddisfazione per me che ne ho scritto una gran parte e lo aggiorno con i miei deliranti scritti grafomani lunghi e tediosi. un grazie al preparatissimo Mat e agli altri mod di discutere che mi hanno sempre spronato a non smettere di scrivere e ai miei 25 lettori (ma sono molto di più di quelli del manzoni invece). Thanks. lasciamo parlare il cinema che sa aprlare molto meglio ora.
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Come tu mi vuoi
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Un film di Volfango De Biasi. Con Nicolas Vaporidis, Cristiana Capotondi, Giulia Steigerwalt, Elisa Di Eusanio, Paola Carleo, Paola Roberti, Marco Foschi, Niccolò Senni. Genere Commedia, colore 107 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Medusa
Trama: Giada è una ragazza trascurata nel vestire, ma studiosa ed intelligente che ha una sorta di difficile convivenza con i dogmi della moda e dei vestiti firmati e griffati, stili e metodi di vita che odia in quanto la luccicante estetica dell'apparire è ben più ricercata della soddisfazione dell'essere. Ma un giorno trova sulla sua strada il giovane Ricky, ricco rampollo di famiglia la cui voglia di studiare è agli antipodi della sua voglia di divertirsi e godersi i soldi. Questi due mondi tanto diversi incominceranno ad incontrarsi nei gusti e nelle scelte dopo una scommessa di poco garbo ...
Commento: Davvero una bella piccola sorpresa questo film diretto da Volfango De Biasi (opera prima del regista anno di nascita 1972), remake del misconosciuto Kiss Me del 1999 di Robert Iscove (anche nella locandina), dove la Capotondi (divetta che ultimamente appare parecchio al cinema, recentemente nel pessimo film allo spray Scrivilo sui muri e questa settimana ne I Vicerè) è Giada, una ragazza sciatta e trascurata nel vestire e priva di trucco che si innamora di un ragazzo dell'alta borghesia dedito unicamente al divertimento in costosi club privè, interpretato dal suo compagno di avventure di Notte prima degli esami Nicolas vaporidis ( che recentemente ha interpretato Cemento armato facendo una parte drammatica). De Biasi abilmente introduce il cambiamento di Giada da brutta e insulsa nell'apparire in maniera graduale, non ha fretta di correre, la dipinge come una ragazza conscia dei suoi ideali e che lascia da parte le facili convinzioni illusorie di una tv trash fatta di veline (come l'inizio con i budini morbidi e dolci da mangiare senza mani iconizza) trasformandola poi successivamente in una schiava dell'amore che per rincorrere il suo sogno si trasforma, priva di pastoie e legami intellettuali non si controlla più e si perde nell'oblio di voler essere quello che il compagno desidera indipendentemente da tutto. Davvero un messaggio ben calibrato, reso ancora migliore dalla trasformazione del suo compagno, che dopo l'inizio per necessità e scommessa prende l'abbrivio di un cammino eciso per migliorarsi, facendo il percoso uguale ed inverso della compagna, quando lei diventa una drogata dei vestiti e lui invece perde la sua inutile vacua libertà per dedicarsi a migliorare non l'aspetto ma l'interno. La verità sta nel mezzo, e perdendo uno un pezzo della propria zavorra per l'altro riusciranno a volare, insieme o meno, senza più problemi.
La filosofia dell'essere rispetto a quella dell'apparire, la cosidetta bellezza interiore, viene scavata e ripresa in una chiave diversa e pregnante, non serve a niente negare la propria bellezza nascondendola dietro un aspetto dimesso (Giada non è brutta, ma solo trascurata) solo per partito preso, l'importante è evitare che questa ti ossessioni (l'amica e coinquilina, interpretata da Elisa Di Eusanio le dice "Non succede niente se per un giorno non ti vesti da zoccola!") facendola diventare una ragione di vita. La Capotondi non esita neppure a lanciarsi in una scena di nudo durante la fase "Monstre", dimostrando di avere le carte in regola per essere una possibile promessa mantenuta del cinema italiano (le bollenti scene di Volevo solo dormirle addosso già dimostravano questa sua inclinazione ed agio a girarle). In mezzo la algida ed altera presenza di Fiamma, l'amica di Ricky, (interpretata da Giulia Steigerwalt) sorta di femme fatale che per gioco e noia vuole ribaltare le teorie del brutto anatroccolo rincitrullito dall'amore, rendendola ridicola e dimostrandole che le cose che possiedi prima o poi ti possiederanno (citandolo da Fight Club), rendendoti schiavo delle stesse. Non ci potrai più rinunciare, non ci sono alternative e possibilità diverse.
Sfruttando il fatto poi che la Capotondi sia laureata in Scienze della Comunicazione, De Biasi modella il personaggio su solide conoscenze per facilitarla nell'interpretazione e nella convinzione delle idee, riprendendo in chiave universitaria (stessa cosa questa per Vaporidis) quella liceale di Notte prima degli esami. Il film ha un buon ritmo, diverte e non annoia, dura il giusto e ha un finale (anche se scontato) di misura a mezzo, rispettando quanto raccontato prima di filosofia. In definitiva una pellicola di basse aspettative iniziali (sembrava l'uso senza idee di due divetti per attirare teen) che invece si rivela una piccola sorpresa spuntata da dove meno te l'aspetti, priva di cose astratte ma piena di discorsi concreti, pronta a giudicare degli aspetti della società illusori e vacui senza mezzi termini per poi dimostrare come sia bello comunque avere certe cose condannate di idea o fare parte e godere le cose dolci di quel mondo che qundo è lontano sbeffeggiamo.
Deludente Vaporidis troppo monotono, ottima e coinvolgente la bifacciale Capotondi che nella versione lustrinata fa davvero girare la testa.
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La leggenda di Beowulf
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disponibile in alcune copie sia in 3d che in digitale 2k nelle sale specializzate
Titolo originale: Beowulf
Lingua originale: inglese
Paese: USA
Anno: 2007
Durata: 102
Genere: fantasy
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: Neil Gaiman, Roger Avary
Casa di produzione: Warner Bros
Interpreti e personaggi
Ray Winstone: Beowulf
Anthony Hopkins: Re Hrothgar
John Malkovich: Unferth
Robin Wright Penn: Regina Wealtheow
Brendan Gleeson: Wiglaf
Crispin Glover: Grendel
Alison Lohman: Ursula
Angelina Jolie: madre di Grendel
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Trama: In un antico regno Danese, Il re Hrothgar è minacciato dalle apparizioni nella sala dei banchetti del demone Grendel, che ogni volta che si festeggia qualche vittoria o si organizzano orgie appare seminando morte e distruzione tra i suoi soldati e il suo popolo. Disperato, viene chiamato ad aiutarlo per sbarazzarsi del demone un coraggioso guerriero di nome Beowulf, possente e di cui si raccontano mirabolanti imprese. Ma a quanto pare Beowulf è bravo con la spada ma nel contempo tanto bravo con la lingua a raccontare fandonie, ed è il momento di sapere quanto sia coraggioso sul serio dato che il demone sta per tornare ora che la sala delle lussurie è stata riaperta ...
Commento: Da un poema epico anonimo di circa la metà dell'VIII secolo. Robert Zemeckis (pupillo di Spielberg e indimenticabile regista della saga di Ritorno al futuro) è da due anni circa che sta pensando a questo ambizioso progetto, cioè di portare sullo schermo il poema epico anglosassone più lungo mai scritto. E si cimenta nell'impresa in maniera atipica, cioè utilizzando la tecnica del motion capture (usata anche nel film Polar Express) che permette di translare in computer grafica movenze e aspetto degli attori.
Utilizzando delle star di prima grandezza come Anthony Hopkins (che nonostante l'età non verdissima è quanto mai produttivo, è in queste settimane nelle nostre sale cinematografiche con tre film), Angelina Jolie (che però appare pochissimo, splendidamente dorata a nascondere le sue grazie, anche lei questa settimana al cinema anche con Un cuore grande) e John Malkovich (che fa Unferth), Zemeckis da una marcia autoriale in più a livello di recitazione filo shakespiriana a questo dramma epico, per poi trasformare i suio attori in pupazzosi figuranti animati immersi in mondi fantastici. Il film visivamente è uno splendore (se trovate la sala che lo proietta in digitale ovviamente preferite questo tipo di formato di visione a quella con pellicola classica), con paesaggi stupendi, mostri giganteschi che si muovono perfettamente, scene di battaglia apocalittiche dell'uomo contro gli abomini della magia e della natura, solo qualche volta dei movimenti in corsa dei cavalli e qualche personaggio nella scene di massa appare un po'scattoso.
A livello di storia, e qua sono le note dolenti, purtroppo siamo di fronte a un prodotto che conserva la linearità del poema epico, con l'eroe che affronta i mostri impavido, flette i muscoli, raccoglie consensi ma macchiandosi di un grave peccato di superbia per colpa anche di un non celato delirio di onnipotenza poi dopo deve fare i conti con le sue colpe. Le variazioni nella trama sono davvero minimali e tutte abbastanza scontate, le destinazioni del manufatto d'oro (autentico protagonista della storia) prive di sorpresa, il comportamento di alcuni personaggi del tutto stereotipato (il consigliere, il guerriero spalla fidato e via dicendo), intendendo ovviamente come lettura stereotipo una trasposizione cinematografica arrivata dopo altre opere che non riguarda la sua origine letteraria che essendo tanto antica è iniziatrice e non plagiatrice.
Ma lo spettacolo nell'ottica del godimento per divertimento è davvero grandioso: le grossolane fandonie raccontate da Beowulf sono rappresentate con un lavoro sopraffino e ridondante (come la voce di Pannofino, il doppiatore di Kurt Russell, che urla come non mai nella sua splendida carriera di prestavoce), la lotta finale è un caleidoscopio di inquadrature mozzafiato che la camera sembra non poter seguire tanto sono frenetiche, le apparizioni a corpo dorato della malvagia madre demone d'acqua (la Jolie) a dir poco suggestive, soddisfacendo appieno un pubblico che è venuto in sala per godersi le imprese muscolari e grandiose di un eroe indipendentemente dalle sue poche variazioni di evento, (con adattamento di scenggiatura da parte di Neil Gaiman e Roger Avary, uno famoso scrittore di comics e l'altro collaboratore alla sceneggiatura di Pulp Fiction e regista di Killing Zoe). In definitva un film che esalta le doti del guerriero/uomo oltre ogni limite come da tradizione scandinava, che vive per tutta la sua durata senza stancare o intorpidire, da guardare molto per la tecnica, sopratutto in un ottica da amanti di videogioco (molte scene sembrano tratte dal games God Of War con protagonista uno spartano di nome Kratos spaccamontagne come Beowulf, e un arma con il nome dell'eroe è presente in Devil May Cry), appesantito da alcune scene pensate per il 3d (vi sono anche alcune copie con questo standard) con oggetti che vengono contro allo spettatore (per valorizzare la tecnica multidimensionale) apparentemente per chi guarda una copia senza occhialetti senza senso. Un buon film privo di vero fascino, dove la leggenda poco approfondita nei risvolti umani, si perde per lasciar posto alla meraviglia del facino della lotta.
Una curiosità: il Grendel è interpretato da Crispin Glover, il George McFly di "Ritorno al futuro", il padre di Marty, mentre l'eroe a tutto tondo è nella vita l'attempato cinquantenne Ray Winstone (The Departed).
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Il nascondiglio
Uscita in sala: 16/11/2007
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Regia: Pupi Avati
Anno di produzione: 2007
Durata: 100'
Tipologia: lungometraggio
Genere: thriller
Paese: Italia/USA
Produzione: Duea Film, Rai Cinema; e Motion Pictures Midwest (Usa)
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interpreti:
Laura Morante (Lei)
Yvonne Sciò (Ella Murray)
Burt Young (Muller)
Treat Williams (Padre Amy)
Tom Röttger Morgan (Lester Murray jr.)
Rita Tushingham (Paula Hardyn)
Peter Soderberg (Las Shields)
Giovanni Lombardo Radice (Vincent)
Angela Pagano (Liuba)
Sydne Rome (Signora Wittenmeyer)
Angela Goodwin (Madre Superiora)
Marin Jo Finerty (Liuba da Giovane)
Chiara Tortorella (Egle Lanzillo)
Marina Ninchi (Signora Shields)
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Trama: nel 1952 durante una notte di neve poco prima di Natale avviene un terribile delitto in una casa dello Iowa gestita in maniera autoritaria da delle suore. Nel 2007 una donna chiamata semplicemente Lei decide di aprire un ristorante nella stessa casa rimasta chiusa per 55 anni. Ma delle strane vocine che provengono dalle intercapedini la impauriscono a tal punto da dover cercare aiuto per scoprirne l'origine che sembra collegata a quanto successo tanti anni prima ...
Commento: Sospeso tra pazzia e ragione, ecco arrivare il nuovo film di Pupi Avati (autore che si cimenta sopratutto in commedie, l'ultima fu La cena per farli conoscere ma che ha un particolare amore per i film a sfondo thriller parapsicologico, indimenticabile la sua ormai lontana La casa dalle finestre che ridono), ambientato non in atmosfere padano/italiche ma nello Iowa, in una zona isolata immersa nella campagna.
La vicenda di Lei (una Laura Morante chiamata a una parte meno impegnativa dei suoi soliti intensi ritratti di donne disadattate o impegnate nella cornaca) si snoda ricollegandosi a un luttuoso fatto successo 55 anni prima durante una fredda notte di Dicembre, quando due ragazze sparirono nel nulla in una grande casa denominata "Dei serpenti" diretta in maniera dispotica e severa da delle suore senza troppi scrupoli.
Lei è un personaggio con gravi problemi psichici dovuti a un terribile evento, e una volta uscita di clinica decide di ricostruirsi una vita aprendo un ristorante ma la malasorte le affida un luogo tutt'altro che ideale per farlo.
Avati decide di far parlare la casa per trasformare le sicurezze del luogo che ci dovrebbe ospitare e proteggere in insicure trappole/prigione, dove l'ospite che ci minaccia è l'atavico inquilino che vede in noi un intruso.
La voce in falsetto che sbiascica l'immortale "Magic Moment" attraverso le grate è perfetta per incutere paure, come lo sono gli sguardi impauriti della protagonista attraverso gli angusti corridoi delle intercapedini, segno della paura di mezzo dello sguardo che abbandona la luce per entrare nel buio più tetro.
Giocando su questi elementi i momenti di suspance sono molto alti, la tecnica ormai lontana di mettere il rumore altisonante per marcare l'evento ancora valida, tutti nella casa è soffuso di vero mistero, il peccato purtroppo non è l'inside (praticamente perfetto per una tipologia di lavoro come questo) ma l'outside, quello che succede al di fuori della casa è del tutto privo di fascino, con momenti quasi imbarazzanti della ricerca della verità e l'incontro con una informatissima pseudo amica (una insulsa Yvonne Sciò) con (guarda caso) figlio a carico che aiuta sempre per aumentare il pathos dato che essendoci un minore presente il coinvolgimento dovrebbe essere maggiore.
Personaggi secondari (che in film di tale ambientazione sono basilari per la buona riuscita del tutto) tratteggiati davvero male, come quello del prete digrignante che sembra lanciare con gli sguardi maledizioni (interpretato da Treat Williams) oppure quello enigmatico di Muller (interpretato da Burt Young, ricordabile per essere stato il Paulie di Rocky). E il tutto non ha neanche le atmosfere magiche Padane che Avati seppe mirabilmente creare, calando così in un gusto italiano della ripresa luoghi che non sanno evocare nulla di davvero empatico con quello che vediamo nella casa maledetta.
Come di solito capita, vengono recuperati nomi ormai scomparsi dalla scena da tempo (troppo anziani probabilmente per fare reality) come l'incartapecorita Sidney Rome, che invece di fare atmosfera dimostrano la mancanza di sinergia con il palcoscenico abbandonato da tempo.
In definitiva Avati con questo film fa un passo indietro costruendo un mezzo lavoro, monotono nelle sue meccaniche di costruzione e prosecuzione del motore della storia, perfetto invece nelle atmosfere degli interni, peccato che la casa del mistero non sia ovunque ma soltanto in determinati momenti del racconto.
Film come di consueto per il regista quando gira questo tipo di prodotti praticamente privo di effetti speciali, da guardare e privilegiare sempre e comunque rispetto ai prodotti scialbi di genere horror teen americani.
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L'abbuffata
Titolo originale: L'Abbuffata
Nazione: Italia
Anno: 2006
Genere: Commedia
Durata: 102'
Regia: Mimmo Calopresti
Cast: Gérard Depardieu, Diego Abatantuono, Donatella Finocchiaro, Paolo Briguglia, Nino Frassica, Donatella Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Lele Nucera, Lorenzo Di Caccia, Elena Bouryka
Produzione: Dania Film, Gagè Produzioni, Istituto Luce, RAI Cinema
Distribuzione: Istituto Luce
Data di uscita: Roma 2007
16 Novembre 2007 (cinema)
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Trama: nello splendido paesino di Diamante, in Calabria, succede davvero poco o nulla. Per sfuggire alla noia e alla assoluta mancanza di stimoli, tre ragazzi volonterosi decidono di girare un film sulla loro terra riprendendo la storia di un amore emigrato trenta prima e che ora sta per tornare. Dopo aver affrontato la placida flemma del paesino per nulla entusiasta dell'idea, i tre decidono di partire per Roma per cercare un grande attore da reclutare. Insospettabilmente, alla fine i loro sforzi sembrano essere stati premiati, ma ...
Commento: Mimmo Calopresti (La felicità non costa niente) dirige con poca fantasia e senza vera convinzione questa pellicola che è un film nel film. Quattro amici, tra cui due fratello e sorella, (interpretati scialbamente da Paolo Briguglia, Lele Nucera, Elena Bouryka, Lorenzo Di Ciaccia), sono determinati a girare un film per dare alle loro vite monotone nel paesello dimenticato una frustata di energia. La composita popolazione di Diamante (splendido borgo della Calabria) però non ne vuole sapere di impegnarsi a fondo, partendo dalle menti più aperte e interessate che dovrebbero essere i primi a doverlo accettare, come il guru cinematografico ritiratosi a contemplazione e che propone film di Fellini alla piazzetta (Diego Abatantuono), oppure il professore ritiratosi che dovrebbe conoscere l'inglese e che non accetta la parte perchè deve tingersi i capelli (Nino Frassica).
Calopresti per uscire dal pantano di una storia ferma e sospesa tra omaggi felliniani e tanti nostalgici (ma in fondo vuoti e platonici) richiami di quanto era bello il cinema italiano del passato (con una incredibile frase aggancio di un ragazzo amante della settima arte vissuto su Giove fino ad ora che non sa chi è Martin Scorsese, facendo dichiarare ad Abatantuono che bel paese in celluloide viene visto con occhio migliore e più critico dagli stranieri), trasferisce poi il tutto con stile da gita turistica a Roma, alla febbrile ricerca della star che potrebbe interpretare il redivivo amore tornato dopo trenta anni come da copione. Siamo di fronte comunque ad un gioco monotono e poco calibrato della logica degli entusiasmi spenti e riaccesi che i quattro anonimi ragazzi male trasmettono, dove tutto tende a cristallizzarsi per omaggiare in lungo e in largo presentando anche delle macchiette orribili (come quella del prete giovane che ripete le stesse cose all'infinito "A Diamante si possono solo avere battesimi, matrimoni e funerali") fino a giungere alla cosa più monotona ed insulsa come la critica alla tv spazzatura durante la trasferta romana. L'apparizione di Flavia Vento è il cameo meno desiderato della storia del cinema, mentre la scena stile Grande Fratello serve per ribadire l'ovvio senza nessuna valida nuova proposizione.
Allungando il brodo con frasi fatte, interviste, piccoli amori infranti e ripresi, intervallando la storia in capitoli-frammento con delle scene delle onde del mare che si infrangono sul molo (luogo d'incontro spirituale dei ragazzi con lo spento e sconsolato guru ormai pietrificato mentalmente nei tempi che furono) tutto si avvicina stancamente verso la fine dopo la grande sorpresa dell'arrivo sconvolgente della star (e che star!), con la morale che in fondo certe volte è inutile tentare di portare cose nuove, dato che i tempi nuovi sono talmente beceri, inutile contaminare il perfetto odierno radicato nel passato, anche se statico.
A questo proposito la chiusura della storia non ammette altre letture, con la scena agonizzante/morituro televisiva, e le luci si riaccendono sull'ennesimo omaggio dopo l'abbuffata (titolo omaggio a Mastroianni più volte citato).
Valeria Bruni Tedeschi fa la fidanzata amorosa (che fornisce la motivazione per cui arriva e si conosce la Star) di Depardieu (convinto chissà come a partecipare a questo film), mentre Donatella Finocchiaro fa la barista del borgo.
In definitiva un film monotono e inconcludente, che pastrocchia con temi da cineforum senza minimamente essere incisivo nel svilupparli, con interpreti presenti solo per dovere di firma che vero entusiasmo, girato quasi come un filmino familiare con la grave colpa che invece si voleva fare altro partendo da dogmi e stili poveri. Tranquillamente evitabile.
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Matrimonio alle bahamas
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Regia: Claudio Risi
Genere: Commedia
Durata: 104'
Cast: Massimo Boldi, Anna Maria Barbera, Biagio Izzo
Trama: dopo una tremenda delusione d'amore, Valentina, che ha vinto una borsa di studio in America, decide di sposare Bob un americano che inaspettatamente si rivela essere ricchissimo. ma la famiglia di lei, milanese/romanaccia buzzonica, all'arrivo alle Bahamas combina dei veri disastri con comportamenti del tutto inadeguati alla situazione ...
Commento: Stavolta il cinepanettone di Boldi è stato anticipato di un mese rispetto al solito per non scontrarsi (e perdere, come l'anno scorso) il confronto con DeSica. Il cipollino nazionale è (ma guarda caso) un padre preoccupato per le sorti della figlia (la bella Lucrezia Piaggio), che deve anche tenere a bada le tendenze del cognato Oscar dalla manolesta troppo facile. Tassinaro milanese di professione che opera a Roma, Cristoforo Colombo (eh si, si chiama davvero così) dovrà saggiamente orchestrare il matrimonio della progenie in una terra ricca e lontana, figlia che si sposa con un ragazzo di estrazione familiare tutt'altro che vicino a quello delle sue umili origini di lavoratore sacrificato ma di buoni propositi. L'amorevole moglie (Anna Maria Barbera in arte Sconsolata) gli sarà vicino nell'impresa mentre il resto del gruppo familiare farà di tutto per rovinare ogni cosa in preda a un delirio buzzicone con comportamenti del tutto inadeguati alla situazione snob. I fratelli Vanzina, responsabili di tanti scempi cinematografici per pubblici oceanici, orchestrano la sceneggiatura di una commedia qualunque, basata su concetti strabusati dove si scontrano le famiglie ricche oltre ogni limite dai comportamenti altolocati con la massa italiana di trasferta che si rivela sempre come delle cavallette impazzite pronte a distruggere ogni cosa al suo passaggio. Sfruttando due tronconi di trama, prima ci fanno capire le motivazioni di un matrimonio tanto affrettato, poi dopo collocano i personaggi che abbiamo conosciuto nella nuova realtà (locations da sogno e yacht principeschi) in modo da preparare a dovere lo scontro culturale per suscitare situazioni che dovrebbero essere ilari e invece sono pedestri.
Le cose, in fondo, sono sempre uguali, con presente la bellona di turno (una procace e provocante Victoria Silvstedt al pieno della siliconica forma fisica in costumi supersuccinti) come era già venti anni fa, con rutti e versi inappropriati vari (giustificati dal dover marcare la natura buzzica dei personaggi), i cugini/parenti messi lì per fare un po' di colore (sono gli orrendi Fichi d'India) e le espressioni contrite di Enzo Salvi sono le mossette e le recitazioni forzate che ormai non fanno più ridere nessuno (e nelle sue imprese ci va di mezzo pure un povero cagnolino, sembra che nei cinepanettoni ormai sia d'obbligo introdurre questo elemento).
Biagio Izzo, che fa il ricco italiano che ha fatto fortuna in America ma ancora innamorato del belpaese, riesce almeno a calibrare un personaggio senza eccedere come fanno tutti gli altri, tutti protesi a difendere la propria classe sociale dal "nemico" esasperando la propria natura. Alla fine abbiamo anche un colpo di scena che chiude la vicenda con tanta fretta e senza farci vedere nuove prospettive perchè sono arrivati i fatidici 100 minuti canonici ed è ora di chiudere baracca e burattini.
Claudio Risi (figlio di Dino Risi) è in regia a fare lo yes man senza scampo, con il solo scopo di riprendere figuranti senza poter minimamente avere diritto di scelta, blindato da una sceneggiatura piatta come deve essere e dovrà essere finchè ci sarà Boldi & Co, che evita addirittura di riprendere tramonti e albe in maniera propria ma usa immagini di repertorio.
Non si può che ripetersi sempre (la recensione dell'anno scorso di Olè era alquanto simile), sono prodotti del tutto innocui ma onesti, idenficati da subito nel loro bassissimo valore di puro intrattenimento che il pubblico conosce a menadito, anche stavolta non c'è nulla di nuovo, per cui chi entra sa cosa trova e non si lamenti dopo. Bisogna accontentarsi delle splendide spiagge che da turisti vedremo solo dopo risparmio notevole, peccato vengano rovinate da figuranti e addirittura rime rap balordamente messe in bocca al figlio di Boldi. Noi non possiamo che confermare questi platonici assunti, se non chiudere la recensione con il segnalare il fatto che giocare d'anticipo senza cercare valore di qualità alla fine non porterà grandi risultati perchè a furia di vedere in maniera sempre uguale conviene prendere un dvd di Natale passato piuttosto che pagare biglietto ogni volta.
Cameo di Solange e Gigi marzullo.
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The Matador
Regia: Richard Shepard
Genere: Thriller
Durata: 90'
Cast: Pierce Brosnan, Greg Kinnear, Hope Davis
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Trama: Per Danny, mite uomo d'affari, che ha avuto la casa devastata da un albero del suo giardino caduto durante una notte di tempesta, sono in arrivo grossi guai finanziari. Una trasferta in Messico per lavoro però gli permette di incontrare Julian, un killer a pagamento in grave crisi nervosa. Incredibilmente due persone tanto diverse potrebbero essere la soluzione dei problemi l'uno dell'altro ...
Commento: il quadruplice interprete di James Bond, Pierce Brosnan (Golden Eye, Il domani non muore mai, Il mondo non basta, La morte può attendere) ha partecipato a questa lineare commedia noir, produzione del 2005, probabilmente perchè al tempo era voglioso di strapparsi le vesti del gentiluomo agente segreto di Sua Maestà interpretando un crudele e insensibile killer a pagamento, tabagista e alcoolista, che tratta le donne come oggetti solo da usare per soddisfare le sue voglie sessuali senza limite (in una scena sembra voglia adescare anche una ragazzina). Il cosidetto "dissipatore di problemi in maniera drastica" è un personaggio estremo, per nulla romantico, mosso solo dai compensi da spendere per vivere al massimo una vita dissoluta. Apparentemente invecchiato più del suo vero stato anagrafico e in una versione baffuta, Brosnan non accetta nessun compromesso, dice una barzelletta oscena (di cui non sapremo mai la fine) a un padre che gli racconta del figlio morto, incancrena di marcio il suo personaggio fino alla svolta, fino a quando cioè il buddy-buddy così strano si forma, quando Danny (Greg Kinnear, presente in Little Miss Sunshine e visto recentemente in Fast Food Nation), in piena crisi finanziaria lo ascolta, si confronta con lui e i due mondi tanto lontani e distanti entrano in osmosi, aiutati anche dalla dolcezza della moglie di Danny (vista ne L'Imbroglio - The Hoax, ideale e perfetta per questa parte acqua e sapone).
Il film è giocato totalmente su questi dualismi agli antipodi, dove un killer crudele senza scrupoli si ritrova imperfetto, nevrotico, sull'orlo della follia, e soltanto il più buono delgi uomini potrebbe ridargli un po' di sicurezza, sopratutto per il fatto che anch'esso dovrà perdere la sua purezza per cercare di risolvere i gravi problemi finanziari che lo affliggono.
Commedia noir non molto riuscita (fa molta fatica a tenere desta l'attenzione nonostante duri solo 90 minuti), deve il suo titolo al fatto che il personaggio di Brosnan adora vedere le corride (c'è una lunga scena in cui Julian e Danny fanno amicizia immersa in una arena dove intanto che i due parlano un abile matador compie il rituale) e come un grande matador agisce con un colpo solo (filosofia de Il cacciatore DeNiro) per porre fine alla vita del bersaglio e chiudere il suo contratto. Il ritmo è molto blando, i fatti salienti che avvengono davvero pochi, l'introspezione morale e umana, anche se da dover fare in chiave comedy, insignificante (fatto grave questo perchè fattore essenziale per un film che parla di paure e nevrosi da stress , anche se dovute a motivi tanto inconsueti da essere un killer) annacquando il tutto molto velocemente e con semplicità. Davvero pateticamente ridicoli i momenti quasi onirici dello stress di Brosnan, con se stesso che vede una sua vittima come se fosse lui bambino, oppure quando si immedesima nell'essere lui il destinatario del colpo di fucile da cecchino. Come è ugualmente senza nessun fascino l'incontro con il terzo polo, la tenera moglie di Danny che annuisce senza problemi a racconti di spargimento di sangue per meri motivi di denaro. Richard Shepard (regista televisivo e che poi avrebbe diretto Richard Gere in The Hunting Party) al tempo era molto acerbo, e per paura di trovare vicoli ciechi di storia, e forse per il fatto che dirigeva due star, evita nel modo più assoluto di approfondire assunti al di là di quelli tratteggiati all'inizio e di cui si è detto, si limita a riprendere senza autorialità lunghi discorsi e banali situazioni, cercando di impreziosire il tutto ogni tanto con qualche perla di saggezza che comunque anche l'essere umano più becero ha del buono dentro di lui.
In definitva una commedia noir a due che non è il peggio del peggio, fila via tranquilla per una serata d'evasione di nessuna pretesa e dalla corta durata, ma troppo semplice e troppo banale che si può comunque di vedere senza nessun problema anche in televisione, che si scorda subito dopo averla vista. Un divertissement disimpegnativo per chi l'ha fatta e recitata, figuriamoci per chi la vede.
Da censurare i fastidiosi cartelloni con scritte gigantesche che appaiono con i nomi delle città ogni volta che il killer itinerante per il mondo raggiunge una nuova destinazione.
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una autentica perla imperdibile
recensione della settimana del 23 novembre 2007 1 di sette
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Across the Universe
Un film di Julie Taymor. Con Jim Sturgess, Evan Rachel Wood, Joe Anderson, Dana Fuchs, Martin Luther, T.V. Carpio, Spencer Liff. Genere Commedia, colore 131 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Sony Pictures
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Trama: Inizi anni 70, il giovane Jude, stanco della vita monotona e ripetitiva dei docks di Liverpool, si reca a New York a cercare nuovi stimoli emozionali. Lì trova una città in fermento culturale creativo ma anche in piena protesta contro la disastrosa guerra in Vietnam che sta mietendo vittime tra i ragazzi Americani. Lì però incontra anche l'amore, che ha la faccia pulita di una ragazza bionda e degli altri giovani in cerca di indipendenza personale. Il gruppo costruitosi attorno alla figura della cantante Sadie sembra rimanere fuori dal coinvolgimento diretto della guerra, se non fosse che all'improvviso uno di essi viene chiamato al reclutamento ...
Commento: Una spiaggia, un uomo solo, improvvisamente arriva il canto che riempie la solitudine e toglie le barriere dello spazio per calare il nostro status di singoli, in nome della musica gli animi si riempiono e non siamo più soli. Così parte questo bellissimo Across the universe diretto da Julie Taymour (autrice di Frida con Salma Hayek) strepitoso omaggio agli immortali versi resi con anima sonora sublime dei Beatles, che fanno da autentico leitmotiv e motore del racconto. Jude (il nome del protagonista è riferito di fatto alla canzone con ritornello che lo ricorda) è il traghettatore di emozioni che unisce idealmente la città dei quattro scarafaggi (una Liverpool grigia e monotona, senza emozioni e dalla vita qualunque) alla America fine anni sessanta sconvolta dalle vicende del Vietnam.
Come per altri film musicali la grande ferita americana (oggi chiusa per via di quelle nuove aperte e in fondo ricordata e ripresa più dal cinema che da altri riferimenti storico/culturali odierni) non è vista direttamente nel suo svolgimento (le scene belliche sono intense ma brevissime) ma quanto più nelle sue conseguenze sull'humus socio culturale della popolazione, con il convivere dell'evento dei movimenti hippie e della pop art del pre/dopo Woodstock. La regista non lesina di fornire iconografie dirette sin da subito, come la scritta Freedom sul ponte vicino al luogo dove Jude e Prudence fanno l'autostop, oppure con frasi al vetriolo che condannano il falso perbenismo (“siete tutti così pulitini, e poi potreste essere quelli che ammazzano a martellate nonna” dice Sadie) o altre che indicano di guardare dentro nell'animo e non solo all'apparenza ( “Non c'è specchio nel bagno” indicando la necessità di andare ben oltre a un lavaggio esterno con il sapone).
Il film vive di incredibili momenti onirici (bellissime sia le coreografie del balletto nella caserma al momento del reclutamento, tante quanto quelle stile Atalante nell'acqua oppure quelle psichedeliche del circo con gli uomini blu) ma il tutto è calato in una atmosfera serissima di condanna alla guerra, di ricerca della libertà personale come quella culturale di tutti senza dover poi diventare come chi si condanna (“credevo che le bombe le usassero gli altri”) per eccessiva folle miopia nel perseguire i propri ideali. Le parole dei Beatles vengono messe addosso a personaggi di ogni estrazione sociale (neri, disadattati, mendicanti, uomini comuni di strada) e modificati di stile, con un gusto incredibile per la sperimentazione intelligente. Impossibile non emozionarsi mentre sui tetti si canta “All you need is love”, mentre tutto intorno parla di odio e di incomprensione, con la legge che teme più i canti di protesta che gli atti criminali densi solo di odio.
Come si sottolinea “La musica è l'unica cosa che riesce ad avere un senso per poter scacciare i demoni” quando l'intransigenza delle parti non permette nessun dialogo.
Le scenografie non sono ricchissime, fondamentalmente l'arte che ne compone gli elementi visivi è abbastanza povera, ma i balletti sono talmente densi di fascino e pieni di arte da lasciare impietriti dall'emozione (e ci scappa pure una citazione de Il grande Lebowsky), in un graduale riversamento dal terreno all'onirico (come dimostra il cambiare del titolo del bar dove vanno i ragazzi da Delicatessen a Psychedelic Delicatessen). Sul lato attoriale (in fondo privo di grandi nomi) bravissimo Jim Sturgess (che fa Jude) mentre la bionda protagonista Evan Rachel Wood (dopo Thirteen e Down in the valley una bella conferma) è il ritratto acqua e sapone di un america che da Happy days diventa da Scream days (facendoci perdonare la citazione di un serial tv del 1974 nella creazione è posteriore alle date degli eventi del film).
Un film in definitiva stupendo, perfetto nel voler trasmettere in maniera completa un messaggio, grandioso nel chiudere un cerchio narrativo e dalla narrazione originale e suggestiva utilizzando le canzoni immortali di un tempo che fu. Attraverso l'universo d'accordo, ma anche attraverso l'animo di noi tutti per un film imperdibile che non deve per nessun motivo essere tralasciato, indipendentemente che piaccia il film musicale o meno in quanto buca completamente il genere per rivolgersi a tutti noi in maniera completa, donando un messaggio di pace e amore unico non platonico. Perderselo sarebbe davvero imperdonabile, anche se non si capisce perchè ogni tanto i sottotitoli italiani (essenziali in un film che muove le immagini e il racconto con la comprensione dei testi delle canzoni) spariscono senza senso. Guest star Bono Vox nella parte di un folle imbonitore stile circense.
Hey Jude ...
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Factory Girl - la vera storia di Andy Warhol
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Un film di George Hickenlooper. Con Sienna Miller, Guy Pearce, Hayden Christensen, Jimmy Fallon, Jack Huston, Armin Amiri, Tara Summers, Mena Suvari, Shawn Hatosy, Beth Grant. Genere Biografico, colore 90 minuti. - Produzione USA 2006. - Distribuzione Moviemax
recensione 2 di 7
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Trama: Edie Sedwich è una ricca ereditiera con un passato oscuro fatto di scabrosi segreti per via di vicende legate al padre occorse quando era ragazzina. A metà degli anni Sessanta, annoiata e senza particolari stimoli, incontra il cantore della pop art Andy Warhol. Affascinata dalla sua arte si perde nel suo mondo perverso e trasgressivo, che le costerà parecchio a livello economico e dal quale sembra davvero non riuscire ad uscirne nonostante la dipendenza da droghe le possa costare davvero molto per la salute ...
Commento: I film su Andy Warhol (ricordiamo “Ho sparato ad Andy warhol” del 1996 di Mary Harron) di solito non sono incentrati principalmente sulla figura dell'artista in se stesso, ma si dedicano soprattutto a raccontare gli effetti normalmente devastanti che l'influsso estremo e fuorviante dell'artista legato alla possenza dei genitali maschili ha (nel film in alcuni punti arriviamo ad autentiche odi su centimetri e fascino della forza del fallo, compreso quello di un cavallo), effetti che non vengono evitati neppure con disperate fughe per fare ritorno alla realtà abbandonata per immergersi completamente nel mondo della cosidetta “Factory di Warhol”, il suo capannone arredato in maniera spartana e originale secondo un gusto del tutto personale dove si girano i filmini amatoriali che molte volte sono stati tacciati a giusta logica di pornografia.
Edie Sedgwick, la Factory Girl del titolo, (interpretata da una Sienna Miller, presente in Casanova, a dir poco strepitosa, pronta ad abbruttirsi e a spogliarsi senza nessun problema, calata perfettamente nella parte) di fatto la fuga la tenta metaforicamente correndo come una disperata per una New York tempestata di Warhol Style (il famoso poster al negativo di Marilyn è davvero dappertutto), sin dall'inizio del film che poi si sviluppa come un lungo flash back che ne racconta la storia partendo dall'inizio dove il lungo baratro di droga e sesso era iniziato. Warhol viene descritto come un genio estroverso ma volubile, che definisce il cinema capriccioso nei business e che cerca di essere pessimo facendolo però bene. La cosa più suggestiva è sicuramente il suo tentativo di sbattere in faccia all'America l'America, dove i lati nascosti che vengono chiusi allo sguardo esterno lui li porta in superficie rivoltandoli come un calzino, senza problemi se siano maschili o femminili (“Tu sei il re delle checche” dice il padre di Edie a Warhol). Con il senso di oggi per la guerra antifumo di fatto è straniante vedere tanta nicotina sullo schermo, con addirittura nugoli di persone che fumano allegramente in una sala cinematografica senza nessun problema. Warhol alla fine degli anni sessanta era diventato un riferimento delle culture eversive, per cui anche la sua musa Edie si trasformò in questo, diventando eccessiva e in continua necessità di trovare nuove forme di proposizione spinti da droghe e sesso facile, tenendo conto che il genio artistico era anche un uomo estremamente legato a quanto le persone lo ispirassero.
La Factory di fatto diventa un rullo compressore di persone, usate e gettate senza problemi. Tra l'altro la dipendenza dall'appartenere a quel mondo è totale (di fronte all'ennesima dimostrazione di assoluto menefreghismo nei suoi confronti Edie dice “Io non riesco ad odiarlo!”), e neppure il possibile amore verso un famoso cantante folk la fa uscire dal baratro la convince ad uscire. Sarà solo quando fisicamente ci sarà un altra musa presente (prima una ragazza praticamente uguale a Edie, un clone buono tanto come l'originale per sottolineare il disprezzo per le persone e il fascino solo estetico più che umano diu Warhol per le cose, poi una fascinosa tedesca alta e possente simbolo più maschile che femminile sogno fallico/ermafrodita contemporaneo) che Edie capisce tutto ma ormai sarà troppo tardi e dopo un lungo periodo di cura (ogni tanto si vede la Miller che imita delle interviste post evento in cui si sta disintossicando) morirà a soli 28 anni.
Il regista George Hickenlooper (lo ricordiamo per The Killing Box del 1994) intervalla fascinosi bianco e nero dei filmini amatoriali alla vicenda vera propria, tutta girata con fotografia sgranata per sottolineare il tono del film di persone sempre incomplete alla ricerca continua di obbiettivi che in fondo di preciso non sanno neppure loro dove possono portare.
Il ritratto della sfortunata brevemente temporanea musa di Warhol è appassionato, coinvolto ed interpretato benissimo (oltre alla strepitosa Sienna Miller anche Guy Pearce, che era protagonista in Memento, tratteggia un ottimo Warhol spocchioso e altero nei comportamenti), senza nessuna edulcorazione o antipatici formalismi di stile (il divieto ai 14 anni di fatto è per le scene di nudo ma soprattutto per quelle di iniezioni di droga che potrebbero dare un messaggio fuorviante di essenza imprescindibile valore artistica nell'atto). Un film da vedere senza nessun particolare tipo di background, efficace ritratto dedicato ad una ragazza ricca ingenuamente incapace di gestire il fascino che un artista totalmente fuori dagli schemi ha esercitato in lei, consigliato per una serata di impegno e di approfondimento non pesante su un artista controverso (consigliata la visione abbinata con lo stupendo Across the universe sugli schermi in questi giorni).
Sui titoli di coda miniinterviste agli invecchiati protagonisti del tempo e una del 1971 al vero Warhol.
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1408
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recensione 3 di 7
Un film di Mikael Hafström. Con John Cusack, Samuel L. Jackson, Mary McCormack, Jasmine Jessica Anthony. Genere Horror, colore 104 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Lucky Red
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Trama: le stanze d'albergo si sa sono inquietanti di natura. Mike è un autentico esperto di esse, da quando ha perso la figlia cerca disperatamente di riuscire a scoprire l'esistenza di fantasmi dentro a qualcuna di esse, ma apparentemente la ricerca non dà frutto alcuno. Un giorno gli perviene una cartolina in cui c'è una sinistra segnalazione “Dolphin Hotel, non entrare nella 1408”. Speranzoso che sia la volta buona, si reca nel luogo per provare la veridicità sulla maledizione della stanza e dei suoi 56 misteriosi omicidi/suicidi ....
Commento: Da un racconto di Stephen King. Niente case disperse nelle campagne oppure dimore grigie e diroccate per questo film dal titolo solo numerico del regista Mikael Hafström (Derailed - Attrazione Letale del 2006), ma un grande albergo lussuoso nel centro della New York di tutti i giorni.
John Cusack (lo ricorderemo soprattutto per Alta Fedeltà dal romanzo di Norby) è il protagonista praticamente unico (Samuel L.Jackson appare praticamente per 5 minuti ma con una presenza di gran classe) di questo thriller a sfondo parapsicologico/esoterico dove una stanza (non una casa) maledetta proprio non vuole saperne di essere accogliente nei confronti di chi ospita ne tantomeno come in questo caso di chi la sfida. Il racconto, lo diciamo subito, purtroppo è claudicante e senza troppa fantasia, diretto oltretutto con poca energia e fantasia da un regista probabilmente troppo inesperto per agire al confronto di produzioni di questo tipo (effetti sufficenti racchiusi in pochi metri quadri ma inquadrature assolutamente anonime che si limitano ad essere leggermente diverse solo per quelle dall'alto, cercando di creare una sorta di presenza maligna sulla testa del protagonista). Di contro a una buona progressione della costruzione del mistero nelle sue spiegazioni, partendo dal bodynovelcount nella stanza chiusa del direttore Jackson fino all'incontro con mobili e arredamento prima anonimi e poi minacciosi, c'è purtroppo una continuazione del tutto priva di fascino su cosa avviene, con azioni ripetitive e meccanismi fin troppo abusati che dopo un po' stancano. Accostamenti banali d'idea con futuri eventi nei quadri, finestre che portano fuori in una specie di mondo tasca parallelo, cambiamenti di clima privi di ogni spessore narrativo (un termostato maledetto), la supertecnologia che non aiuta nulla in quanto servono nervi saldi e piena convinzione dei propri mezzi, accatastano minuti che alla fine sono solo per riempimento della metratura, rese oltretutto ancora più banali dalle citazioni di altre opere di King poco convincenti, come la radio derivazione di Christine (senza contare per quella della casa maledetta più famosa, quella di Psycho 1 presente sulla tuta da sub).
Gli spaventi poi non sono efficaci, male articolati e senza il giusto senso dell'inganno verso lo spettatore che non si dovrebbe aspettare il loro arrivo.
Cusack tra l'altro non ha proprio la faccia da ruolo per questo tipo di interpretazioni, tenendo conto che effettua espressioni sempre uguali di stupore sena mai voler caricare l'intensità, e la differenza si vede nel breve spazio dove arriva Jackson che domina completamente.
Se poi tenete conto che il finale è del tutto privo di vero fascino e di grande originalità, potrete ben dedurne che alla fine da salvare c'è davvero poco.
In definitiva un film dagli spaventi innocui e dal pathos praticamente nullo, ottimamente orchestrato in campagna pubblicitaria da un ottimo trailer e con un tema affascinante, affidato in maniera totale ad un interprete solista inadatto e ad un regista di valore anonimo che prende spunti da temi che avrebbero fascino in altre ambientazioni, che regala ben poche emozioni durante il suo percorso, colpevolizzando nel giusto una trama ripetitiva e poco ispirata che sarebbe stata salvata solo da un finale e spiegazione eccezionale dei come e dei perchè che purtroppo non è pervenuta. Intrattenimento con brividi innocui da cinema leggero di seconda serata.
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Milano-Palermo : il ritorno
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Milano Palermo - Il ritorno
Un film di Claudio Fragasso. Con Giancarlo Giannini, Raoul Bova, Ricky Memphis, Simone Corrente, Romina Mondello, Gabriella Pession, Libero de Rienzo, Enrico Lo Verso. Genere Azione, colore 95 minuti. - Distribuzione Buena Vista
seguito di Palermo Milano solo andata.
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Trama: il ragioniere della mafia Turi Leofonte ha passato 11 anni in carcere per le sue colpe, dopo aver collaborato da pentito con la giustizia. Ora è libero, ma rischia di finire nelle ire di Rocco Scalia, il nuovo boss nel frattempo insediatosi, intenzionato a mettere le mani su un tesoro nascosto da Leofonte, che secondo le intenzioni di questi dovrebbe finire invece per i nipoti. Per il trasporto all'inverso rispetto a quello iniziale viene chiamato ancora Nino Venanzio e la sua squadra. La partenza da Milano viene però messa subito in pericolo da una misteriosa talpa che rivela al boss Scalia il percorso studiato da Venanzio che dovrebbe essere segreto ...
Commento: undici anni dopo Claudio Fragasso (mediocre regista di horror di serie b che si firmava Clyde Anderson) torna a raccontare la vicenda del pentito di mafia Turi Leofonte (Giancarlo Giannini) e del suo rapporto di odio/fiducia con chi lo scorta, cioè l'ufficiale calabro Nino Venanzio (Raoul Bova). Facendo il percorso all'inverso, questo rapporto si trasforma, diventa una sorta di rispetto dovuto anche perchè il ragioniere della mafia smette di usare solo con i numeri e dimostra buoni sentimenti verso i propri cari in pericolo. Film di ampia derivazione televisiva (le meccaniche sono praticamente identiche a quelle della "squadra" o di "distretto di polizia") vive i suoi momenti migliori (di fatto gli unici) sulla tensione degli inseguimenti e degli spari, che occupano gran parte del film, cadendo in maniera verticale poi in situazioni ridicole quando le pistole non parlano e si devono mostrare invece i sentimenti oppure i rapporti umani. Riprendendo situazioni da Padrino (sottolineate dalle ottime musiche di Pino Donaggio) la battaglia urbana iniziale avviene sotto una cupola mentre si stava assaporando il suono di una romanza, e ci ricordiamo del lavoro di Coppola anche quando il piccolo Toni deve prendere una decisione sull'autistico Stefano, a paradigma di un baby Michael Corleone. Fragasso all'inizio prima di partire con il lungo inseguimento e la continua sequela di sparatorie (la trama è tutt'altro che approfondita, in fondo è tutta qui) ci mostra che anche i poliziotti hanno una famiglia (la Pession e Libero de Rienzo sono divisi per una scappatella di lui ma il figlio li può riunire), facendolo addirittura dire al pessimo Ricky Memphis per dare coraggio a uno sfiduciato Raoul Bova, come una famiglia hanno anche i criminali e Turi lo sta dimostrando. Tra cadute di tono paurose (la tragica scena della piazza con Chiara in braccio a Venanzio è a dir poco ridicola), discutibili artifizi tecnologici per arrivare ai punti di incontro e alle locazioni dove si nascondono gli obbiettivi, sbagli situazionali davvero grossolani (in alcuni momenti si vedono persone passeggiare o lavorare tranquille mentre infuriano botti e spari), parte una colossale serie di combattimenti ed inseguimenti con ogni possibile mezzo o arma da fuoco, che rende il film scorrevole e movimentato.
Peccato che un film come questo debba giocoforza basarsi anche su altro, non può cristalizzarsi sulla sola azione, e difatto quando le cose si calmano sembra di assistere a una banale puntata dei serial tv sopra citati in quanto il momento dell'approfondimento è totalmente inesistente, privando di vere emozioni il tutto.
Di fatto Giannini recita utilizzando un centesimo delle sue grandi capacità, mentre gli altri si adeguano senza ribellarsi , anzi, con gioia, al taglio televisivo che Fragasso ha voluto dare favorito da un casting ad hoc per questo obbiettivo. Mentre Lo Verso digrigna espressioni crude circondato da picciotti cattivi da operetta (il personaggio della Femme brutal, Domino, è a dir poco orrendo) per tratteggiare un vendicativo boss della mala per riparare ai sorti subiti dal padre, gli unici a donare emozioni al di fuori di furiosi combattimenti sono i due piccoli interpreti di Stefano e Tony, il primo con le sue credibili espressioni attonite, da bimbo osteggaito all'ingresso della comprensione del mondo (e capacità da Codice Magnum), e il secondo con l'animo di chi deve diventare grande troppo presto e nel modo del tutto sbagliato. I piccoli incontri tra i due ragazzini sono intensi, due mondi diversi che non si capiscono ma che si incontrano.
In definitiva un film che non ha particolari pregi, che si può vedere assolutamente slegato rispetto al primo, le spiegazioni sono ampie ed abbondanti di quanto (poco) è successo nel capitolo precedente, che vola veloce per via delle numerose scene d'azione, ma che purtroppo allo stesso tempo ce ne scordiamo con uguale facilità per via della totale mancanza di una cifra stilistica filmica precisa, e le frasi ridondanti che ogni tanto si sentono ("per me vivere o morire è lo stesso dolore") accentuano solo il senso di una visione di poco conto che vuole darsi dignità oltre i suoi meriti reali. Ridateci gli onesti poliziotteschi di una volta ...
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MEIN FUHRER - LA VERAMENTE VERA VERITA` SU ADOLF HITLER
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(Mein Führer - Die wirklich wahrste Wahrheit uber Adolf Hitler)
Un film di Dani Levy. Con Helge Schneider, Ulrich Mühe, Sylvester Groth, Adriana Altaras, Stefan Kurt, Ulrich Noethen. Genere Commedia, colore 89 minuti. - Produzione Germania 2007. - Distribuzione Videa - CDE
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Trama: Germania, 1944. Hitler è stanco e depresso, non riesce ad uscire da uno strato di prostazione personale per la guerra ormai persa e per il sogno della razza ariana e della grande Germania in decadimento. Goebbels, preoccupato di quanto sta accadendo, decide di chiamare da un lager nazista un professore ebreo di recitazione che dovrebbe ridare energia al fuhrer. Il compito è tutt'altro che semplice, oltretutto gli intrighi di palazzo che si stanno tramando potrebbero rendere il risultato della parata della rinascita e dell'orgoglio ben diverso dalle aspettative del cancelliere ...
Commento: il compianto Ulrich Mühe (protagonista splendido del film premio oscar Le vite degli altri e purtroppo recentemente scomparso) è Adolf, un professore ebreo di recitazione che abbandona il lager per cercare di ridare forza e vigore ad un Hitler ormai spento e sconsolato per la guerra ormai persa (la vicenda è ambientata alla fine del 1944). Goebbels, il cancelliere promulgatore delle idee del terzo reich, ha pensato bene che organizzando una parata nella Berlino fintamente rifatta (e invece distrutta dalle bombe alleate) con un Fuhrer (il cantante Helge Schneider) al massimo della forma l'orgoglio nazionale poteva essere ritrovato.
L'idea di base del film diretto da Dani Levy (ha diretto Zucker! che in Germania ha guadagnato molto bene) è quella che molte volte è più importante recitare e fingere di essere convinti di quello che si deve dire, anche se ciò non corrisponde alla realtà, per cercare di arrivare all'obbiettivo anche con l'inganno. L'opera di rassicurazione e convincimento di un Fuhrer ormai mentalmente depresso passa attraverso l'odio che questi ha per gli ebrei, di fatto il dualismo che si crea tra i due protagonisti è quello dell'allievo che deve prendere dal maestro i dettami e la forza per poi usarla per schiacciarlo, se avesse un professore tedesco ad aiutarlo non si avrebbero gli stessi stimoli. Come dimostra lo splendido cartellone, però l'astuzia di inculcare idee proprie facendole sembrare quelle che servono ad altri è un mezzo molto più fine e degno di menti molto più preparate. Chi si avvicina a questo film, realizzato da ebrei, non pensi assolutamente di trovarsi di fronte a una pellicola ridanciana che mette tutto in burletta, qui la satira è grottesca, malinconica e calibrata, non ci sono battute sguaiate o situazioni comiche pure, ma solo comportamenti paradossali che un regime dispotico e autoritario provoca non solo da parte di chi lo subisce (gli ebrei) ma anche da parte di chi lo compone (gli stessi tedeschi), arrivando alla nevrosi. Per cui assistiamo continuamente a saluti meccanici inutili inneggianti al fuhrer, seguiamo le riunioni dei capoccioni tedeschi sicuri all’apparenza ma che non sanno che pesci pigliare, cose che non ci fanno certe ridere ma soprattutto pensare a quanto una società possa divenire alveo di infermità mentale se non correlata da una logica di valori costruttivi, cosa che invece gli ebrei di contro sono disposti a fare con il loro sapere e con el loro capacità.
Film come questo ovviamente devono scontrarsi nel ricordo del capolavoro di Charlie Chaplin “Il grande dittatore”, ma ovviamente senza arrivare a tali punti di lirismo e poesia, questo film di Levy ha una sua precisa dignità, raccontando non Hitler ma quanto più il suo mentore spirituale per la ripresa cognitiva.
Grazie ad una strepitosa prova d’attore di Muhe, che costruisce un personaggio sfaccettato e malinconico, i tedeschi vengono resi come i romani di Asterix, convinti di ordire dei piani che loro credono di comandare e che invece la furbizia di un piccolo disprezzato ebreo ritorce loro contro. Il loro Fuhrer viene plagiato, modellato, ricondotto su strade passate di sicurezza di se stesso ma non con convinzione, ma come un burattino che giocherella nella vasca da bagno con una navetta di palstica. L'uomo leader sparisce, rimane solo il simbolo del tutto innocuo, anzi scomodo per gli stessi tedeschi, di una vuota utopia. E il circolo narrativo si chiude con chi ora può guardare con soddisfazione la sconfitta non tanto dell'uomo ormai minato da insanabili conflitti interni al di là della finzione ordita da Goebbels, quanto più della sua idea di oppressione, in una Berlino fasulla tanto quanto chi comanda.
Il film è chiaramente di parte, la satira colpisce solo unilateralmente, ma la costruzione ci fa capire che la morte dello stesso fuhrer ormai alla deriva (che viene anche a dormire in mezzo una famiglia di ebrei) a quel punto sarebbe dannosa per lo stesso popolo della stella di David, perchè gli stessi tedeschi (che confondono addirittura ormai l'Adolf ebreo con quello vero) vedendo come è ridotto il loro condottiero si convicerebebro a chiudere per sempre la partita con il mondo.
Non entrate in sala chiedendo risate facili, qui siamo davvero in un altra ottica, è un film grottescamente impegnato che riprende spunti aperti da La caduta con Bruno Ganz, richiede una dose di attenzione particolare, che alla fine premierà i vostri sforzi con una sodisfazione cognitiva davvero buona. Lasciate perdere cose più facili ma vacue, e premiate questi buoni spunti intellettivi, anche perchè purtroppo è l'ultima occasione per applaudire un grande professionista scomparso troppo prematuramente.
Sui titoli di coda delle impressioni davvero surreali e durante il film inserzione di immagini di repertorio.
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Il risveglio delle tenebre
(The Seeker: The Dark Is Rising)
Un film di David L. Cunningham. Con Alexander Ludwig, Ian McShane, Frances Conroy, Christopher Eccleston, Gregory Smith, Amelia Warner, James Cosmo, Jim Piddock. Genere Azione, colore 94 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 20th Century Fox Italia
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Trama: Will ha un destino di cui è ignaro, è il depositario di un mistero da lungo tempo tenuto celato, che potrebbe far spostare l'ago della bilancia della battaglia millenaria tra luce e tenebre. Giunto il momento che le tenebre si stanno scatenando, il gruppo dei vetusti lo toglie dalla sua vita semplice con i suoi fratelli per rivelargli il segreto che porta con sè ...
Commento: Primo adattamento cinematografico di una serie di romanzi della scrittrice Susan Cooper, questo The Seeker:The dark is Rising (in Italiano hanno tradotto solo la seconda parte per non rivelare il grande mistero che cela Will, il ragazzo protagonista) è un poco fantasioso e monotono film fantasy sospeso tra passato e presente, realizzato presentando una cornice familiare del tutto anonima di un padre con 6 figli. Uno di essi è l'inconsapevole Ricercatore, destinatario del segreto e delle capacità in lui latenti che possono sventare i terribili attacchi del cavaliere delle tenebre (esatto, uno solo, interpretato da Christopher Eccleston senza nessun pregio particolare, cattivo tratteggiato in maniera davvero anonima). Alla ricerca dei sei segni per sventare il male (segni da conservare in una cintura artefatto) Will, scopertosi eroe dopo essersi sentito lo sfigato di turno per lungo tempo, dimostrerà a tutti quanto coraggio possiede per impedire che il mondo cada preda del terrore e del gelo.
La necessità di sfornare un film fantasy a tutti i costi da proporre nel periodo prenatalizio (prima che arrivino i colossal pigliatutto) ha convinto i produttori e i distributori ad attingere anche ai romanzi della Cooper, peccato che lo abbiano fatto affidando la regia a uno spento ed anonimo David L. Cunningham (ricordiamolo per Fight for freedom, sicuramente migliore di questo) che ha svolto il compitino da perfetto yes-man.
La trama, di per se neppure fantasiosa, viene sviluppata in maniera monotona e sbrigativa, con viaggi nel tempo talmente veloci da risultare ridicoli (manderemo Cunningham a scuola da Doc Brown di Ritorno al futuro) alla ricerca dei sei segni della luce, e tutto, a partire dal clan dei vetusti ( capitanati da Ian McShane e da Frances Conroy, la Ruth di Six Feet Under) appare e si mostra dal segreto come se fosse la cosa più scontata del mondo ("Ciao, siamo il clan dei vetusti eredi dei templari" con risposta"Dammi il 5 bello, mi sento un po' sfigato ma ci starò dentro a fare il ricercatore e la missione"), tutto quello che avviene è privo di qualunque interesse ed emozione, ogni cosa altamente prevedibile mentre anche gli effetti speciali alla cg segnano il passo.
Si voleva fare una specie di Ponte per Therabithia in chiave veramente fantasy (il bel film di questa primavera invece lo era solo per via della necessità di uscire dalla relatà ed era uan contaminazione visiva limitata), con il tutto giocato tra le diverse epoche (presente e passato) per accontentare il numero di spettatori più alto possibile, sia gli amanti dell'epico in costume (anche se di costumi ne vediamo davvero pochi) sia di quelli delle commedie adolescenziali (presente pure un timido tentativo di innamoramento e i rapporti difficili con i fratelli più grandi).
Si parlava prima dei viaggi nel tempo, che sono talmente fulminei da essere assenti, con brevissime inquadrature che poco utilizzano le scenografie e i rari costumi allestiti (surreale il momento del regalo dell'orologio ...), togliendo qualunque sapore epico alla vicenda.
Durando solo 94 minuti non si può parlare di torpore vedendo questo film, finisce per fortuna presto, il problema vero e reale è che se si devono fare film di genere fantasy per forza e sopratutto con tale pochezza, sarebbe bene che uscissero solo in home video per non intasare una programmazione già troppo piena che penalizza i lavori di qualità nell'esposizione in cartellone.
In definitiva una pellicola anonima come poche, noiosa e che si muove insapore tra le insicurezze giovanili patetiche del protagonista (un biondo ed antipatico Alexander Ludwig) che non trova sbocchi di gloria nella vita reale, mal sorretto da un cast svogliato e che neppure nel lato tecnico si segnala.
Evitatelo con cura in quanto se non floppa clamorosamente il rischio di altre trasposizioni cinematografiche dei libri della Cooper è molto alto.
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a venerdì! 7 di 7 conclusa!
Lezioni di cioccolato
Uscita in sala: 23/11/2007
interpreti:
Luca Argentero (Mattia) Violante Placido (Cecilia) Neri Marcorè (Corrado, il Maestro) Hassan Shapi (Kamal) Carlo Giuseppe Gabardini (Milo) Monica Scattini (Letizia) Francesco Pannofino (Luigi) Ivano Marescotti (Ugolini) Marco Marzocca (Osvaldo, Nonno di Kamal) Regina Orioli (Clara) Francesco Lagi (Parrucchiere) Walter Corelli (Direttore)
Medhi Kraiem (Amed, l'Operaio)
soggetto:Fabio Bonifacci , Christian Poli (Collaborazione)
sceneggiatura: Fabio Bonifacci , Christian Poli (Collaborazione)
montaggio: Danilo Torre
costumi: Sonu Mishra
scenografia: Alessandro Vannucci
fotografia: Giovanni Cavallini
suono: Giuseppe D'Amato
aiuto regista: Milena Cocozza
produttore: Riccardo Tozzi Marco Chimenz Giovanni Stabilini Matteo De Laurentiis
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Trama: Mattia è un imprenditore senza scrupoli che non si tira indietro pur di concludere affari costruendo case di lusso a basso costo. Un giorno un operaio egiziano non in regola si fa male e viene ingessato. Per sfuggire alla denuncia alle autorità Mattia vuole convincerlo a prendere dei soldi, ma il manovale rinuncia in cambio del fatto che il cinico padrone diventi fintamente egiziano e gli faccia vincere un concorso per mastri cioccolatai a cui doveva partecipare lui. Costretto dal ricatto per non finire in prigione, Mattia conoscerà inaspettatamente un nuovo modo di vivere le cose e delle persone davvero particolari. Ma più pasticcione che pasticcere riuscirà a far reggere l'inganno fino al giorno dell'esame?
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Commento: il sapore e il gusto del cioccolato sono sempre state delle cose che hanno solleticato la fantasia degli artisti, il cioccolatino lo scarti dall'involucro e poi ne assapori prima il guscio più duro e poi il ripieno che è molle e delicato, un po' quando una bella donna si spoglia e poi si concede. Di fatto il regista Claudio Cupellini (aveva realizzato precedentemente solo un episodio del film a sfondo calcistico 4-4-2) non lesina a trasmettere questo concetto, solo che lo ribalta sulla esistenza del cinico Mattia (Luca Argentero, ex del Grande Fratello tv), che per salvarsi dalla denuncia di un operaio egiziano che si è fatto male lavorando in nero per lui e senza le necessarie protezioni (interpretato in mnaiera divertentissima dall'eclettico Hassan Shapi, tutto mossette ed espressioni particolarmente accentuate), deve spogliarsi del suo carico di superbia, della sua arcigna sopravvalutazione di se stesso e sopratutto degli abiti firmati, il telefonino ultimo grido e la vettura di lusso. Ed ecco così che l'insapore e spregevole uomo d'affari sporchi si addolcisce, viene lavorato dagli eventi per mostrare lati nuovi e migliori. L'incontro con Cecilia (Violante Placido, in una parte di ragazza complessata da dei traumi passati e che come da tradizione non ci fa mancare un bel nudo artistico parziale) diventa poi la molla per risolvere i propri problemi in maniera radicale, in quanto grazie a lei e Kamal non si vuole più tornare al punto d'origine.
Vengono a contatto e confrontati mondi e stili diversi, Europa e Africa si trovano e si mischiano, i pregidiuzi vengono messi alla berlina in maniera non macchiettistica oppure solo per essere politically correct. Notiamo come l'incontro con un fioraio pakistano avviene con grande dignità di spiegazioni di modi e fatti della sua terra d'origine, Kamal ha una dignità propria imparagonabile alle costrizioni delle sue condizioni lavorative, mentre gli europei sono molto più basilari e sciatti, come il personaggio di Luigi (Francesco Pannofino, strepitoso doppiatore, riconoscerete prima la sua voce di lui) sempre alla ricerca dell'alcool e delle donne, oppure quella degli altri studenti della scuola di cioccolato (i laboratori della Perugina, il film è ambientato totalmente in Umbria) che vedono il corso come una sola occasione per mettersi in mostra ed ereditare le aziende dolciarie dei padri.
Il dualismo tra Mattia e Kamal diventa alla fine un fondersi progressivo, dove man mano che passa il tempo la grande tempra morale dell'egiziano esce alla grande a migliorare come un grande ripieno in osmosi lo squallido esistenziale dell'italiano che lo tiranneggiava.
Argentero come attore non è certo un grande interprete, anzi, si notano parecchie indecisioni e delle sbavature, ma sente parecchio il personaggio, portando con la sua buona volontà una recitazione come si diceva non precisa ma spontanea. La figlia di Michele Placido si muove invece molto più sicura, e anche in questa parte brillante si rivela decisiva per far cambiare le sorti della bilancia del gradimento, con una femme di bell'aspetto nevrotica e schizzata che passa da stati umorali agli antipodi in un batter d'occhio. Chiude il cerchio degli interpreti principali Neri Marcorè in una versione lungo capelluta, che fa il maestro cioccolataio dalle grandi massime che vanno in controtendenza ai sistemi edili di Mattia/Kamal.
il ritmo del film è molto frizzante, le situazioni si intersecano senza sosta e la sceneggiatura mai blanda. La simpatia di Hassan Shapi straripante ed efficace contribuisce a marcare i momenti del film nelle variazioni di situazione in maniera ottima. Stupiscono sopratutto i dialoghi, sempre calibrati, mai sguaiati, in un compendio preciso delle situazioni presentate.
In definitiva una commedia italiana davvero di buon gusto, dolce e con il giusto sapore retroamarognolo, che ha come ciliegina al suo interno un finale non scontato e dei sani valori di racconto. Da premiare senza problemi per una serata all'insegna del divertimento intelligente. Il messaggio dentro il cioccolatino è assolutamente valido.
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Nella Valle Di Elah (In the Valley of Elah)
CastTommy lee Jones, Charlize Theron, James Franco, Susan Sarandon, Josh Brolin, Jonathan Tucker, Jason Patric, Frances Fisher, Rick Gonzalez, Barry Corbin
Regia Paul Haggis
Sceneggiatura Paul Haggis
Durata 01:54:00
Data di uscita Venerdì 30 Novembre 2007
GeneriGuerra, Drammatico
Distribuito daMIKADO
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Trama: Un anziano poliziotto militare americano in pensione, non ricevendo notizie del figlio reduce dalla guerra in Iraq dal quale è appena rientrato, inizia una indagine personale per scoprire che fine abbia fatto.
Dopo l'orrenda scoperta del suo cadavere fatto a pezzi e poi bruciato, mette da parte le angosce per la tremenda perdita e aiutato da una coraggiosa poliziotta cerca di scoprire gli assassini del figlio e far luce sull'intera vicenda ...
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Commento: Paul Haggis dopo i fasti e i premi vinti con Crash torna alla regia con una vicenda molto americana di segreti e di angosce legate alla nuova grande ferita targata USA, quella cioè legata alla guerra dell'Irak. (“L'unica soluzione per il problema Irak è una bomba atomica” si dice nel film). Rispetto ai film sulla guerra del Vietnam, i film che trattano dell'argomento sopra specificato, non entrano direttamente nella scena della battaglia mostrando grandi avvenimenti campali e terribili lotte all'ultimo sangue, (un caso ma solo parzialmente contrario fu per esempio Jarhead), come anche per l'Afhganistan (un esempio in questo senso è il recente “Un cuore grande” con Angelina Jolie) ma vivono di eventi collaterali a quanto di orrendo vissuto dai soldati americani. Questo Nella valle di Elah (titolo legato alla lotta tra Davide e Golia e che viene specificato nella pellicola, chiaro riferimento al fatto che il gigante americano se sottovaluta gli avvenimenti può fare una brutta fine anche in confronto a cose infinitamente meno forti di lui) non sfugge alla regola della pellicola non “on the battle field”, e ci racconta le angosce e le paure di un padre coraggio (uno strepitoso Tommy Lee Jones, prova da oscar la sua) di fronte ad un avvenimento tremendo come la perdita del figlio, avvenuta in maniera per lui incomprensibile, non sul campo ma a pochi metri dalla caserma in America, dolore atroce per un vecchio soldato avvezzo al dolore dato che ha già perso precedentemente un altro figlio. Lee Jones tratteggia la faccia dura di un uomo che non può piangere, che abbandona le angosce esterne visive (lasciate maggiormente alla moglie, una ottima come sempre Susan Sarandon in una parte comunque defilata) per concentrarsi nel dolore infinito alla ricerca della verità. Rimaniamo estasiati da tanta perfezione recitativa, con il volto dell'attore al limite del distaccato e del determianto contemporaneamente.
All'altra attrice premio Oscar (per Monstre), la stupenda Charlize Theron in versione mora e senza lustrini, viene invece affidata la parte di una coraggiosa poliziotta che affianca il genitore distrutto nella sua lotta personale. Parte anche la sua di secondo piano, composta e senza sbavature, che ovviamente viene offuscata dal protagonista a tutto tondo.
La vicenda, bisogna dirlo per indirizzare a giusto gusto il possibile spettatore, si dipana per le quasi due ore di visione (114 minuti) in maniera tutt'altro che movimentata, il discorso affrontato da Haggis è puramente emozionale, le scene di azione sono limitate a pochi minuti, come del resto lo scenario Irakeno occupa ben poco all'interno della pellicola limitandosi ai filmati-flashback contenuti nel cellulare del figlio scomparso. Pellicola decisamente vigorosa, apre i sentimenti senza cadere mai nel patetico patriottico o nell'illusorio, affronta coraggiosamente il tema mostrando atti impuri collaterali di una guerra sporca che come il Vietnam lascia ferite indelebili nell'animo e nella psiche, film talmente puro e privo di variazioni vere di tono da rendere le motivazioni della morte del figlio secondari, dedicandosi pienamente alla fine dell'ideale di grandi illusioni che una bandiera sventolata perennemente rovesciata non esita a mostrare, in uno scavo psicologico davvero degno.
Film dedicato ai bambini innocenti vittime delle guerre, da vedere senza esitazioni, godendo pienamente di una superba prova attoriale e di una trama lontana dai clamori e dai botti Hollywoodiani tutta incentrata sui valori personali di famiglia, dovere, patria che tradisce. Pellicole così sono le benvenute per poter di nuovo emozionarsi spontaneamente senza che siano introdotti vacui e inutili elementi di disturbo spettacolare.
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Il diario di una tata
Il diario di una tata
(The Nanny Diaries)
Un film di Shari Springer Berman, Robert Pulcini. Con Scarlett Johansson, Laura Linney, Paul Giamatti, Nicholas Reese Art, Alicia Keys, Chris Evans, Nathan Corddry. Genere Commedia, colore 105 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 01 Distribution
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Trama: Annie Braddock è una ragazza di bell'aspetto neolaureata. Non trovando una giusta collocazione nel mondo lavorativo si ritrova quasi casualmente a fare la Tata di un bambino di una famiglia altolocata. Ma quello che sembra un ingresso idilliaco dentro un mondo di fiaba si rivela invece un terribile scontro di culture e abitudini tra lei e la sua altezzosa datrice di lavoro ...
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Commento: i registi Springer German e R.Pulcini riprendono e omaggiano (a più riprese) l'immortale film madre di tutte le tate della Disney Mary Poppins, inserendo nella trama la splendida Scarlett Johansson, studentessa di buone maniere, alle prese con una madre superba della alta borghesia newyorchese (l'algida ed altera Laura Linney, ricordiamola per Kinsey).
La trama è abbastanza vuota e scontatissima, la giovane inesperta entra in un mondo di sogno non suo anche se sconsigliata dall'amica del cuore (una splendida Alicia Keys), che di fiabesco ha solo gli orpelli materiali strumentali ma è privo rispetto emozionale. Si sa, poi l'animo puro combattendo la sua battaglia indomita riuscirà comunque a farsi forza nei contrasti e nelle differenze dei ceti sociali, superando l'impotenza economica con quella spirituale ed umana.
Per accentuare il concetto di Tata=donna di servizio, signora=altolocata tenuta e pretenziosa, la splendida Scarlett Johanson viene vestita in modo qualunque ordinario, mentre la splendida come non mai Laura Linney (davvero una battaglia di bellezza ad altissimi livelli) è vestita con splendidi capi a tubino oppure di grandissima classe.
Era interessante l'idea di inserire in un contesto Sex and the city il film sulla tata dai ricordi anche della serie televisiva a lei dedicata (ampie le derivazioni dalla serie televisiva, a partire oltre che da New York alle Manolo Blanik, al nome del dolce spasimante, Aidan, interpretato dalla fiammeggiante Torcia Umana dei Fantastici 4 della Marvel Rick Evans), ma non ha davvero un riscontro di grande movimento sullo schermo. Il film gira parecchio a vuoto su se stesso, si ripete in continuazione nelle meccaniche di confronto, è poco divertente e il contenuto dallo sfavillante contenitore davvero povero. Alla fine ci si annoia parecchio vedendo il pusillanime comportamento della ricca signora e le contromosse della dolce tata preoccupata ormai solo per il bimbo e non più per il suo futuro economico, mentre il lato in cui si scava nelle porcherie del marito che vengono ignorate per etichetta e il non sporcare la propria immagine agli altri, la ciliegina insapore messa sopra una torta con gli ingredienti giusti per fare una buona commedia ma dal sapore risaputo che le nostre papille gustative cinematografiche ormai riconoscono come privo di quel tocco di classe e gusto in più oltre al buon presentarsi. Di fatto è inutile continuare a battere sugli stessi tasti per tutto il film, introdurre un personaggio maschile bello, buono e corretto (tutti sprezzanti nell'alta società, mariti amici e signore, ma lui guarda caso il massimo del trovabile) per poi ridurre il tutto a una filippica patetica per darci la moralina sull'essere madri prima che signore viziate.
Un lavoro che poteva essere decisamente migliore, concentrato tutto sul cast e non sulla storia, poco coinvolgente e decisamente privo di vere virtù reali che quelle introdotte a forza con blandi concetti senza vera capacità non fanno sentire. Se vi piacciono le due splendide attrici, i ricordi Sex and the City con i suoi outfit da sogno, potrà forse accontentarvi, per gli altri vale davvero la pena dirigersi verso altre commedie, di Big (l'eterno grande amore di Carrie Bradshaw, la protagonista del serial tv più volte qui citato) in questa pellicola c'è davvero poco.
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Come d'incanto
titolo originale : Enchanted
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Cast Amy Adams, James Marsden, Susan Sarandon, Patrick Dempsey, Timothy Spall, Rachel Covey, Idina Menzel, Matt Servitto, John Rothman, Joseph Siravo
Regia Kevin Lima
Sceneggiatura Bill Kelly
Durata 01:47:00
Data di uscita Venerdì 7 Dicembre 2007
Generi Live-Action, Animazione, Commedia
Distribuito da BUENA VISTA INTERNATIONAL ITALIA
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Trama: La principessa Giselle vive in un mondo di fiaba tra animaletti premurosi in una foresta incantata. Un giorno viene salvata da un giovane e bel principe azzurro, che le giura amore eterno. I due devono sposarsi subito come nelle migliori fiabe, peccato che si sa dove c'è un regno c'è anche una regina malvagia che è tra l'altro la matrigna del principe, la quale pensa bene di liberarsi della sgradita nuora mandandola nel mondo reale nella città di New York ...
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Commento: Lasciata da parte oramai da tempo la battaglia classica dei cartoni di Natale per evidente incapacità creativa rispetto alle case concorrenti che propongono prodotti più vari e spigliati, affidandosi solo ai prodotti da lei distributi ma creati dall'ottima Pixar, la Disney cerca di tornare ai vecchi fasti nel tempo del panettone con un film misto, con inserti a cartoni di stile classico che poi tracimano nel normale film con personaggi veri, senza però mischiare sullo schermo contemporaneamente le due tecniche (stile Roger Rabbit per intenderci) se non per brevissimi limitati momenti oppure con i movimenti del tenero ma furbo scoiattolo Pip.
La storia di Giselle parte come un immenso pout pourri di citazioni dei grandi classici della casa di Burbank, dove la dolce principessa è un po' Biancaneve e un po' Alice, ma anche Bella addormentata nel bosco e riprese di storie varie altre che vi lasciamo al piacere di scoprire.
Lo scopo del regista Kevin Lima (affezionato Disney Man e regista di Tarzan) nel film è introdurre in un mondo non suo un personaggio fatato, quasi facendo una sorta di Shrek educato e composto, che mette alla berlina i luoghi comuni delle fiabe poco adatti al crudele mondo di oggi con i suoi ritmi forsennati e le sue aride strumentali convinzioni. Quando Giselle (interpretata da una brava Amy Adams, ottima con espressioni attonite e ingenue, suo ultimo film nel 2006 con Ricky Bobbit) entra nel nostro mondo lo fa attraverso un tombino, paragone spirituale di un nuovo viaggio cominciato dal basso e con l'incontro sgradito con un barbone sporco e sdentato, da subito deve scontrarsi (non c'è più tempo per saluti e canti "Benvenuta a New York!" le dice il tenero avvocato divorzista Robert, interpretato da Patrick Dempsey) con la nuova realtà anche se lei si ostina a crederlo solo un viaggio in una landa sperduta e oscura. Lo scontro culturale tra due mondi tanto distanti (i cartoni con stile classico poi sono ovviamente zeppi di personaggi tenerissimi, cerbiatti, dolci uccellini e teneri topini, mentre nel mondo reale ad aiutarla ci sono scarafaggi e topi di fogna) è mostrato con grande delicatezza, la regia è bravissima a non perdere il contatto con il passato da subito ma a trasformare il personaggio da fiaba nel corso del cammino, movimentando il tutto con l'arrivo dell'ingenuo Principe protagonista di goffe avventure in un mondo che non capisce (interpretato da James Marsden, ultimo film il recente Hairspray) e dell'oscuro Nathaniel (interpretato da Timothy Spall, il codaliscia di Harry Potter e il Calice di fuoco), ma sopratutto con l'arrivo dell'esuberante e prezioso, oltre che devoto, scoiattolo Pip, dalla mimica in CG stupenda, espressivo e divertente (la gag del porta abiti è a dir poco strepitosa) che ha il compito di sorreggere il Principe goffo che crede un pullman un mostro da abbattere e infilzare.
L'osmosi tra i due mondi è divertente, leggera e movimentata, ci si commuove di fronte alle canzoni fuori tempo e fuori luogo, e la simpatia e la bravura degli attori fanno scorrere via divertente il film senza perdere l'istinto iniziale di raccontare che certe cose da fiaba in fondo sono solo un'illusione improponibile, buone per sognare in un comparto stagno per uscire dalla monotonia ma che non possono sorreggere una vita intera ("Non so che farò domani, come potrò mai dire per sempre?"). Poi però purtroppo, al momento di tirare le somme con l'arrivo della regina malvagia sulla scena (la grande Susan Sarandon, sugli schermi questa settimana anche con La valle di Elah), il film non osa nulla e si perde parecchio, con una trovata risolutiva banalissima e un finale di sapore del tutto platonico, che rimane in linea produttivamente ma scialbo e prevedibile.
In definitiva un buon film, realizzato bene e con garbo, che diverte e commuove (non dimentichiamo il bel balletto al Central Park, colorato e fantasioso che confronta rap con favola), raggiunge bene l'obbiettivo prefissato, finalmente integra validamente canzoni con storia (e la Disney da tempo questo non sapeva più farlo), ripropone le amate animazioni classiche che fecero la fortuna e l'arte della Disney, peccato che poi alla fine perde quel valore amarognolo malinconico che lo aveva contraddistinto. Un grande passo avanti comunque rispetto al poco fastoso recente passato, un film da gustare per le feste che può far scappare la lacrimuccia ai più teneri che vorrebbero almeno per un momento cadere in un pozzo profondo per ritrovarsi in un mondo di fiaba.
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La musica nel cuore - August Rush
La Musica Nel Cuore - August Rush (August Rush)
Cast Freddie Highmore, Keri Russell, Terrence Howard, William Sadler, Jonathan Rhys Meyer, Alex O'loughlin, Robin Williams
Regia Kirsten Sheridan
Sceneggiatura Nick Castle, Paul Castro, Kirsten Sheridan
Durata 01:40:00
Data di uscita Venerdì 30 Novembre 2007
Generi Drammatico, Fantasy
Distribuito da MEDUSA (2007)
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Trama: Rick Evans è un ragazzo di 11 anni cresciuto senza ne padre ne madre che ha un gigantesco talento naturale per la musica. Ogni suono di strada viene letto e trasformato in armonia. Deciso a trovare i suoi veri genitori (che non ne conoscono neppure l'esistenza, in quanto il padre e la madre, entrambi musicisti, per vari motivi o lo credono morto oppure non sanno che è nato) scappa dall'istituto che lo ospita per recarsi in città. Purtroppo il suo talento viene scoperto dal "Mago", un sedicente personaggio di strada vestito country che ha scopi di lucro precisi nei suoi confronti che gli darà un nuovo nome, August Rush ...
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Commento: Kirsten Sheridan (più sceneggiatrice che regista pura, ha scritto In America-Il sogno che non c'era del 2004) dirige questo filmetto a sfondo artistico musicale in maniera vuota e anonima come poche. La trama parte dall'assunto che da un amore talmente intenso (anche se di una sola notte) tra due musicisti puri, non possa non scaturire un grande risultato genetico improntato sulla loro passione (della serie anche se non nasce nell'ambiente e non viene toccato dall'habitat circostante l'illuminazione comunque esiste). E così su un romantico terrazzo allietato da una musica di strada celestiale, Lyla Novacek (una Keri Russell dalla faccia pulita come non mai e grande musicista di strumento classico, presente in Mission impossible 3) si concede all'estroverso cantante rocker melodioso di una band Jonathan Rhys-Meyers (apatico con poco impegno e lì solo per mostrare la sua apssione per la musica, che ricordiamo invece per la grande parte in Match Point di Woody Allen), poi dopo la notte d'amore sublime le strade si dividono con la stessa magia (che grande amore, tanto forte e indissolubile da non permettere un nuovo incontro contro il mondo crudele e cattivo) peccato che il seme nato sotto le stelle venga fatto perdere da una bussola davvero maligna.
(e tra l'altro lei non trova il modo di contattare un rocker di una band in vista per avvisarlo almeno che sta ospitando il suo primogenito). La fiera del pacchiano continua con l'incontro del bimbo disperso ormai undicenne (tralasciando il come e chi ha corrotto l'ospedale per occultare alla madre il piccolo) che parla al suo tutore di istituto nero di buon cuore (Terrence Howard, fresco protagonista de Il buio nell'anima). Ma la musica repressa troppo ora va liberata e le strade della città sono pronte per l'arrivo di una nuova star. Inutile dire che se già la prima mezz'ora è sconfortante, piena di nullità ultramielose, il resto è ben peggio. Il piccolo Rick/August (interpretato dal volonteroso ed incolpevole Freddie Highmore, visto in Arthur e il popolo dei Minimei) viene contattato dal"Mago" (Robin Williams) che non è altri che una versione country moderna del Fagin di Oliver Twist con tanto di corte dei miracoli e piccoli vagabondi accoliti, stavolta non ladruncoli ma musicisti in erba, che vivono in un teatro abbandonato. Williams cerca di tratteggiare il personaggio di un bastardo duro e senza cuore, ma la pochezza della trama confina il suo buon esempio in un angolo accucciato, troppo interpretativo di un personaggio flaccido per un film tanto stucchevole. Si arriva a certi punti dove ci si chiede se il ragazzo invece di essere ispirato sia stordito ( ha 11 anni ma non ne fa una logica di cosa nella vita) tanto si mette nei guai senza senso alcuno per provocare la lacrimuccia facile. L'odissea minoritaria di questo genio musicale in erba ha picchi di follia davvero inconsueti, irrispettosi per lo spettatore, quando si eseguono note celestiali suonando la chitarra come se fosse un bongo, si trova la comunità dei neri e sa pure suonare l'organo in chiesa, mentre i due genitori si riconvertono alla musica dopo 10 anni ispirati dall'onda lunga melodiosa del figlio che suona (vedere per credere).
Si salvano almeno le musiche (classiche e non) che ogni tanto si odono nel film, in un film con la musica nel cuore era almeno il minimo, ma anche queste vengono rovinate dalla pessima ambientazione e dall'inutile inserimento delle azioni dei protagonisti in cerca di una scialuppa di salvataggio e dell'ultimo ciak. E così tra una corsa in metropolitana, accadimenti davvero poco credibili nelle meccaniche, si arriva stancamente al finale utile solo per alzarsi dalla poltorna del cinema e chiudere questa poco edificante esperienza.
Un lavoro davvero povero sotto tutti i punti di vista, registicamente privo di qualunque invenzione, che per piacere deve trovare dall'altra parte un ricettore dal cuore zucchero caramelloso cosparso. Gli altri si astengano senza nessun problema.
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The Kingdom
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The Kingdom
Un film di Peter Berg. Con Jamie Foxx, Chris Cooper, Jason Bateman, Jeremy Piven, Danny Huston, Richard Jenkins, Ashraf Barhoum, Ali Suliman. Genere Poliziesco, colore 110 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Universal Pictures
Trama: una squadra di supesperti dell'FBI viene inviata sotto stretta copertura politica in Arabia Saudita per investigare su un terribile attentato che si è consumato su un centinaio di civili Americani che risiedevano lì per lavoro. Arrivati sul luogo trovano da parte delle autorità competenti una diffidenza unita a una voglia di non coinvolgerli più di tanto anche da parte dello stesso consolato americano. Trovare i colpevoli sarà durissima, ma hanno dalla loro un alleato fidato e inaspettato ...
Commento: Il buon attore Peter Berg (pupillo del grande regista Michael Mann, che invece qui è produttore, ed autore come regista della commedia del 1998 Cose molto cattive con Cameron Diaz) dirige questo action movie dalle forti tinte terroristico investigative che si lascia andare a dei botti roboanti solo nell'ultimo quarto di pellicola.
La trama è semplicissima:in Arabia Saudita, (accusata di forti collusioni con il terrorismo dopo che si seppe che 15 su 19 dirottatori dell'11 Settembre erano figli suoi), numerose famiglie di tecnici americani sono presenti sul suolo per supervisionare l'estrazione del petrolio ed aiutare i tecnici locali. Un giorno durante una partita di softball un terribile attentato sconvolge l'opinione pubblica americana come quella saudita, il cui giovane principe è deciso a tutti i costi di dimostrare che il suo paese con i terroristi ha solo da perderci e non ne è il mandante. Però dato che gli investigatori mediorientali non sono per nulla all'altezza, per non far perdere la faccia al sultanato viene mandata in gran segreto una task force di abilissimi investigatori dell'FBI dal grande fiuto. Peccato che quando arrivano siano troppo bravi ed iniziano addirittura a essere degli incomodi per tutte e due le nazioni.
Il film cerca di darsi da subito un tono cronachistico con l'inizio esplicativo della situazione sui titoli di testa (abbiamo anche una suggestiva animazione di un aereo che sta per schiantarsi contro le torri), per continuare poi man mano a presentare i protagonisti sullo schermo con sovrascritte che ci indicano nome, grado e corpo di appartenenza (sia per i Sauditi che per gli americani).
Il film non è un puro action movie convenzionale, la vendetta dopo il delitto è più ragionata del solito, la squadra investigativa (capitanata da un arcigno Jamie Foxx, altro pupillo di Mann e premio oscar per Ray, affezionato padre e chioccia per i devoti pulcini che comanda) per lungo tempo non spara un solo colpo, tutto si muove cercando il particolare che potrebbe portare al colpevole, in un ambiente diffidente e con lo stesso consolato americano che preme perchè i Boys se ne tornino a casa al più presto con un premio di consolazione ma non quello vero, credendo di aver assolto ai compiti e vendicato i due colleghi scomparsi. Purtroppo Berg non è certo un gran regista, e l'investigazione tra battibecchi e mugugni prosegue vacua e monotona sia nelle meccaniche che nella scoperta dei nuovi pezzi del puzzle, con frasi altisonanti ("Noi americani non siamo senza peccati, sono io il primo a dirlo, ma il nostro lavoro lo sappiamo fare bene") e la continua esposizione delle idee del leale e bravo collega saudita (Ashraf Barhoum) che con quei cattivoni proprio il suo paese non c'entra nulla.
Dopo un po' vedere questa squadra di omaccioni e superdonna (che deve mettere una coperta per coprire le castissime tette) che si contiene per dare un tono artistico di plusvalore al film stanca, gente come la Garner (bella e brava protagonista del serial Tv Alias) oppure Chris Cooper (indimenticabile il suo padre marine in American Beauty), sono fatti per il movimento, e difatto tutto sembra bollire sotto la trama pretesto per dire allo spettatore in cerca di piogge di proiettili (da far invidia a Black Hawk Down) che presto l'azione arriverà.
E che azione, dopo un patetico colpo di scena quanto mai telefonato, l'ultima parte del film è praticamente priva di parole, coperta di soli urli, spari, botti e guerriglia urbana con le pallottole che, come da buona tradizione cinematografica non finiscono mai. Utilizzando anche una buona fotografia che esplode letteralemnte in quel momento, opera tanto per cambiare di un italiano, Mario Fiori, la mano registica cambia completamente, da insicura e piena di incertezze e minusvalori si trova ad essere valida e competente, e viene il forte dubbio che Michael Mann sia intervenuto pesantemente ad aiutare il suo pupillo lasciato fino a quel momento orfano.
Si chiude con un messaggio bilaterale farneticante, dove la soluzione del problema sembra davvero estrema.
Comunque affidare un tale pastrocchio action/political/investigativo a un regista praticamente esordiente è stato un grande azzardo, e i difetti di una pellicola che alla fine non è ne carne ne pesce vengono confermati pure dal reclutamento in una parte secondaria importante di Jason Bateman, bravo caratterista sopratutto di commedie ma completamente fuori parte qui.
in definitiva un film che voleva darsi un tono e ha fallito il bersaglio, risultando monotono per il troppo girare intorno al vero momento e motivazione per cui è stato concepito. Lo spettacolo d'azione comunque alla fine non manca, il problema è che bisogna attenderlo troppo ma sopratutto senza senso.
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Paranoid Park
Un film di Gus Van Sant. Con Gabe Nevins, Dan Liu, Jake Miller, Taylor Momsen, Lauren Mc Kinney, Olivier Garnier, Scott Green. Genere Thriller, colore 90 minuti. - Produzione Francia, USA 2007. - Distribuzione Lucky Red
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Trama: Portland. Il sedicenne Alex, appassionato skaters, accompagna un amico al parco apposito per poter sfogare la loro passione sportiva, unico vero momento di grande interesse in una vita monotona e senza particolari stimoli. Un incidente avvenuto nella stazione dei treni, con la misteriosa morte del sorvegliante, minaccia però di cambiare questo incedere monotono e ripetitivo della quotidianità dei ragazzi.
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Commento: Dal romanzo omonimo di Blake nelson. Il talentuoso regista/pittore indipendente Gus Van Sant (diresse anche Nicole Kidman e Uma Thurman) torna alla regia con un film dedicato interamente ai ragazzi e alla sua città di nascita, Portland, raccontandoci il disagio e l'esistenza di un sedicenne del liceo locale (Alex, interpretato da Gabe Nevins, ottimo nell'asciutezza e compostezza di una interpretazione mai fuori dalle righe e compassata come richiesto dal copione) che si trova suo malgrado accidentalmente invischiato in un brutto fatto di cronaca locale, la morte di un sorvegliante della stazione dei treni.
Il tipo di racconto ricorda moltissimo quello del suo precedente Elephant, dove il disagio giovanile lì esplodeva in atti violenti ed inconsulti di morte all'interno dell'ambiente scolastico, qua invece nel parco delle paranoie (luogo dove vanno gli skaters a provare i loro numeri sul cemento di appositi mezzi tubi grafitati con le bombolette) il disagio implode, i protagonisti adottano una tecnica di chiusura nel loro paradiso riserva, il parco appunto, per trovare la serenità e l'interesse scintilla di vita che nelle normali attività della società non trovano.
Alex non è un ragazzo privo di soldi oppure di comodità, ma è privo, insieme al fratello, di un vero faro guida per la sua vita, con genitori che stanno divorziando e che non sanno minimamente gestire la situazione dei figli.
Questa mancanza di vere logiche lo porta a disinteressarsi al partecipare a tutto, rimanendo apatico anche di fronte ad un amplesso con la bella fidanzatina (scena girata con una perfezione e tenerezza cristallina, mostrando nulla facendo capire tutto il senso di visione opposto di coinvolgimento con sguardi e carezze) ma anche di fronte al terribile evento che lo vede protagonista, del quale preferisce non fare parola a nessuno (davvero surreale la scena del binario con il povero sorvegliante completamente staccata dal contesto generale del film in quanto ad iconografia di visione).
Con la flebilissima trama gialla, in pratica un pretesto per sottolineare e non vero motore di racconto, Van Sant ci narra di come per essere veramente degni del loro interesse, dobbiamo coinvolgere maggiormente i ragazzi ad interagire e alle attività, capendo ed aiutando, senza mai reprimere, altrimenti li relegheremo in riserve come di fatto è Paranoid Park, sorta di isola felice di maggior interesse della guerra in Irak (della quale Alex dichiara di non volersi minimamente interessare senza leggerla sui giornali dopo averla presa come scusa di disinteresse mentale durante il rapporto/confronto con le ragazze).
Film di regista e non di attori (praticamente tutti esordienti o quasi), Van Sant gira in Super8 e 35MM le sue astrazioni mentali donando sin dall'inizio (come in Elephant) una sorta di quadri naif strepitosi con camera fissa in cui si muovono sul paesaggio le auto o i protagonisti, in un apertura ciclica di giorno e notte che si rincorrono. Notevole l'uso della tecnica del mostrare la solitudine esistenziale come un deserto, dove i protagonisti si muovono in lunghi corridoi vuoti, e le grandi concentrazioni avvengono solo nel parco degli skaters, ma incredibile è anche l'aspetto femminile del racconto, dove le ragazze sono le uniche ad avere il piglio di affrontare le cose in maniera ferma e decisa rispetto all'impermeabilità emozionale dei ragazzi ("Comprerò io i preservativi" e "Non mi puoi mollare dopo aver fatto l'amore con me"). Ci sono delle scene cinematograficamente perfette come quella del litigio silenzioso, oppure quella della doccia mondaproblemi, realizzate nel modo più semplice e asciutto da un regista che come tutti i grandi sa far privilegiare l'arte partendo da cose tecnicamente povere (e i brevi commenti musicali sottolineano perfettamente il tutto).
Siamo di fronte a un lavoro completo, sentito e coinvolto, un racconto semplice ma completo di chi vorrebbe farsi scivolare addosso il mondo ma non può perchè alla fine le cose ti rincorrono, ma per nulla difficile da seguire nel suo svolgimento, privo di qualunque orpello, per cui purtroppo la maggior parte del pubblico potrebbe disinteressarsi a una pellicola totalmente dedicata alla riflessione, nella quale un regista che non ha paura di essere dalla parte totalmente del suo disagiato protagonista, prova a darci un nuovo grande quadro da mettere nella memmoria.
In questo periodo natalizio ci sarà altro tempo per le cose innocue e colorate, non ci rovineremo certo le feste, ma le impreziosiremo, se godiamo di un piccolo intenso bel film come questo.
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The Hitman
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Regia: Xavier Gens
Genere: Azione
Durata: 100'
Cast: Timothy Olyphant, Dougray Scott, Olga Kurylenko
Trama: Creato in laboratorio, preparato con severi metodi d'allenamento, l'agente 47 è un sicario d'eccezione, un Hitman appunto. Privo di emozioni e sentimenti, può uccidere chiunque in favore dell'organizzazione e dello scopo. Un giorno a San Pietroburgo l'organizzazione gli affibbia una missione davvero difficile : uccidere il presidente Russo. Ovviamente ci vuole ben altro per spaventare l'assassino totale, ma le due belle lunghe gambe che spuntano all'orizzonte possono invece rappresentare qualcosa di nuovo ed inaspettato ...
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Commento: Dal game della Eidos. Ed ecco che alla industria del cinema in crisi di idee, si accende una nuova fantastica lampadina, perchè non fare uno dei film più facili della storia su uno degli assassini seriali in missione più amati dei videogiochi? Ed ecco che così viene prelevato il pelatissimo Killer 47 (che sta per il numero affibbiatogli dai suoi mentori) con tanto di codice a barre in testa, messo davanti a una missione ritenuta impossibile (uccidere un presidente Russo) ma con tante armi in mano e sopratutto tanti cattivoni da massacrare. La trama è tutta qui, con l'inserimento della bella Olga Kurylenko a fare bella e inutile presenza (concedendosi dei nude look davvero da infarto).
Io sparo tu muori, l'unico leitmotiv di una trama davvero a cervello zero (ad un certo punto poi un ingresso ovviamente non dalla porta di apertura fa vedere due ragazzi che giocano ad Hitman per Ps2), dove i colpi di scena sono del tutto assenti, i combattimenti una sequela di stupidaggini situazionali a ripetizione, degne delle comiche più di un action movie vero e proprio. Timothy Oliphant (scelto dopo il diniego del muscolare Vin Diesel, se avesse accettato chissà il codice a barre sulla nuca nera come usciva), che aveva partecipato al Kinghiano L'acchiappasogni, fa il killer senza pietà inarrestabile in maniera del tutto credibile in quanto totalmente privo di personalità, (mai parte e paga fu più facile ...), se non fosse per quei piccoli interludi amorosi dove probabilmente neppure lui credeva possibile avvenissero nel copione. L'inesistente regista Xavier Gens (opera prima) chiamato da Luc Besson (produttore del film) a fare lo yes man totale, ovviamente fa di tutto perchè l'insipida vicenda non venga diretta ma soltanto filmata, cercando di lasciare agli altri attori protagonisti (che vengono dalle serie tv più svariate come Desperate Housewives, Prison Break e Heroes) più briglia sciolte che può. Non si capisce davvero perchè non è stato chiamato a dirigere Uwe Boll, uno dei peggiori director disaster della terra, perchè in fondo una"non trametta" come questa lui l'avrebbe trasformata in un carrozzone dell'assurdo privo di ogni logica ma sicuramente stupidamente ironizzante. Sempre meglio qualcosa di brutto che il nulla di brutto.
Chi si avvicina a questo film lo deve fare pensando che sta andando a vedere uno spettacolo per bocche molte buone a tutta grancassa, totalmente a cervello vuoto, privo di qualunque piega thrilling, dalla trama minimale, e tutto relegato alle sparatorie che sono la parte totale del film, ma sono inserite in contesti tutti uguali ed innocui, ripetitivi nelle meccaniche senza dare nessun valore al lavoro. Dicono che il sonno della ragione crea mostri, Il sonno della creatività ha creato Hitman, auguriamoci che i produttori si sveglino davvero presto prima di realizzare altre trasposizioni videoludiche talmente orrende.
La mancanza di un protagonista duro e crudo come per esempio Jason Statham (quello dei Transporter), non permette neppure di conferire quella sorta di assurdo onirico che qualche volta salva questi filmetti, altra balordaggine produttiva, e il rimpianto aumenta sapendo che nel 1991 il mitico al contrario Chuck Norris partecipò ad un film che si intitolava Hitman (avevano il richiamo giusto e non ci hanno pensato, il texas Ranger pelato sarebbe stato davevro suggestivo, e i suoi mitici calci rotanti a ripetizione il sale da intervallare ai monotoni colpi di pistola che vediamo in questo film).
Un film talmente brutto che fa rimpiangere la mancanza del tasto chiudi partita sulla poltrona del cinema, che non soddisferà neppure i fan più accaniti del game in quanto a differenza di questo il tasso di coinvolgimento è zero.
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La promessa dell'assassino
Titolo originale : (Eastern Promises)
CastViggo Mortensen, Naomi Watts, Vincent Cassel, Donald Sumpter, Michael Sarne, Jerzy Skolimowski, Sinéad Cusack
RegiaDavid Cronenberg
Durata01:40:00
Data di uscitaVenerdì 14 Dicembre 2007
GeneriThriller, Drammatico
Distribuito daEAGLE PICTURES
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Trama: Londra. Nel periodo natalizio una ragazzina quattordicenne muore di parto. La levatrice che l'ha assistita senza riuscire a salvarla, cerca di indagare su chi potrebbe essere il padre della bimba. Tutto potrebbe far ricondurre a un fatto di violenza pedofila eseguito da una capo della mafia russa. L'indagine diviene da subito oltremodo pericolosa, e soltanto un coraggioso appartenente al clan di nome Nikolai sembra volerla aiutare veramente, mentre anche i suoi stessi familiari cercano di scoraggiarla dal continuare le scottanti indagini ...
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Commento: il grande regista franco-canadese David Cronenberg, autore di grandi lavori e considerato uno dei director più visionari ed eccessivi dell'epoca moderna (vedere per credere il suo cosidetto ciclo della filosofia carne, con la manipolazione delle fisionomie dei corpi), prosegue il trend iniziato nel 2005 con History of Violence virando completamente verso uno stile più reale di racconto e di azzeramento dell'astrazione visuale. Stavolta Viggo Mortesen (protagonista anche del precedente film sopracitato di Cronenberg) è il grandioso protagonista che tratteggia un ritratto di killer senza scrupoli della mafia Russa che deve giocare di bilancino per giostrare i suoi sentimenti verso la coraggiosa levatrice (interpretata dalla brava e bella Naomi Watts, che era la lady di cui King Kong si innamorava nel film di Peter Jackson) e contemporaneamente non tradire il suo clan, il cui capo sembra si sia macchiato di un orrendo crimine. Il clima natalizio della pellicola contrasta fortemente con le immagini (non visionarie ma durissime) che vediamo sullo schermo, come se Cronenberg ci tenesse a sottolineare che le cose brutte succedono sempre e le feste sono solo congiunture temporali che non inficiano assoutamente sulla crudezza delle azioni dell'uomo. La storia è brutale, parla di atto di pedofilia con morte susseguente della povera madre bambina, le azioni/reazioni innescate dall'indagine della levatrice violentissime, in una spirale senza fine che lascia solo sangue per strada. Cronenberg con la sua arte filmica di altissimo livello riempie le scene di grandi momenti di impatto (la scena dei bagni, l'arrivo della bambina gravida nella farmacia, l'abbandono nelle acque dei corpi) donando alla trama del film, semplice e lineare storia di vendette e punizioni, una grande tensione di base ed un fascino tutto autoriale al lavoro. Lo spettatore, anche il fan più accanito legatissimo alla lunga fase dei film visionari ed astratti del regista e che magari vede sgraditamente questa nuova tipologia di racconto del tutto slegato da temi paranormali o d'amalgama, riesce a leggere nel dipanarsi degli eventi le simbologie del corpo tatuato oppure il sangue perso sono comunque delle icone diverse ma non meno pregne di quanto sia importante preservare la propria integrità morale prima di quella fisica, dove le persone più indifese (i bambini) sono l'ago della bilancia per la vita che deve proseguire donandogli una serenità che certi atti basici e primordiali possono solo corrompere. I grandi temi del film sono l'onesta contro i sorprusi verso i piccoli, la caparbietà (che va contro anche ai voleri della propria famiglia che cerca di dissuadere la levatrice dall'indagine che scotta), per finire con la determinazione senza paura nel combattere anche per ciò che viene definito un valore perso, anche perchè se si scava in ogni persona, anche la peggiore, possiamo estarre del buono.
Mortensen è bravissimo a portare sulla scena i disegni di Croneberg, killer/autista esistenziale perfetto, (non esita neppure a recitare completamente nudo nella strepitosa e durissima scena dei bagni), la tensione rimane sempre altissima e non si concede mai un momento di stanca, riuscendo ad elevare ad attore anche il non eccelso Vincent Cassel (fa il figlio sessuomane del boss, ma di fatto molte volte lo vediamo solo in parti defilate quando non recita al fianco della moglie Monica Bellucci) che qui riesce ad essere convincente nella cruda ottusità del personaggio che interpreta.
Un film davvero ottimo, che supera in intensità l'iniziatore del nuovo corso registico History of Violence che viveva parecchio di stereotipi meno affascinanti di questi, realizzato con maestria e che ci costringerà ad avere dei validi moti emozionali di condanna (che portano a una riflessione sugli argomenti trattati) sia per la crudezza di quello che racconta e per certe immagini forti che possono turbare gli spettatori meno avvezzi alla visione di sangue e tagli di varie genere.
D'altronde se si vuole dare un messaggio forte e preciso non si può tergiversare nascondendo la cruda realtà, e non aspettatevi che sia Cronenberg ad occultare la sua prosa dietro immagini tenue o più consolanti.
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La bussola d'oro
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Cast Nicole Kidman, Daniel Craig, Eva Green, Jim Carter, Tom Courtenay, Clare Higgins, Sam Elliott, John Bett, Magda Szubanski
Regia Chris Weitz
Sceneggiatura Chris Weitz
Data di uscita Venerdì 14 Dicembre 2007
Generi Azione, Avventura, Fantasy
Distribuito da 01 DISTRIBUTION
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Trama: Nel mondo parallelo di Lyra ogni essere vivente è accompagnato da una trasfigurazione animale (detta Daimon) instabile in continua trasformazione nelle fasi più giovani della vita, e il legame empatico che si crea tra le due entità è totale, fino ad arrivare alla morte di una a seguito del decesso dell'altra. L'ambigua e bellissima signora Colter sembrerebbe avere scoperto un terribile segreto che riguarda questo legame e coinvolge la giovane Lyra e il suo Daimon Pan in una pericolosa avventura tra le terre ghiacciate dominate dal popolo degli orsi ...
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Commento: Avvertenza importante: è il primo capitolo di una trilogia tratta dai romanzi "Queste Oscure Materie" di Philip Pullman, per cui la storia alla fine del film rimane completamente sospesa.
La New Line Cinema cerca di rinverdire i fasti della trilogia del Signore degli anelli con questa ambiziosa trasposizione cinematografica fantasy contaminata, che ha nel cast diverse star di prima grandezza come l'algida e bellissima Nicole Kidman (che interpreta l'ambigua cattiva del film) e il novello 007 Daniel Craig (che invece fa la parte del buono), di Eva Green (bond girl di Craig e qui bella strega volante con arco) per concludere con la partecipazione del cow boy style a tutti i costi Sam Elliott (che praticamente riutilizza gli stessi abiti del recente Ghost Rider con Nicolas Cage). La vicenda raccontata in questa prima parte della trilogia tratta dai libri di Philip Pullman (i prossimi saranno La lama sottile e Il canocchiale d'ambra) narra della strana società di uno dei tanti ipotizzabili mondi paralleli dominata da una casta di persone detta "Il magistero" (sorta di oligarchia dal controllo totale sulla società), dove ci sono dei territori ai margini dominati da varie multiformi etnie anche non umaniformi come quella degli orsi, che vivono in stato di semilatitanza in lande disperse, rispetto al grande potere centrale che domina una società tecnologicamente avanzatissima. L'ipotesi del film è che il controllo per poter essere totale deve agire sin dagli albori sulle due configurazioni del giovane cittadino (sia quella reale che quella dello spirito anima guida, che ognuno ha, configurata in un animale detto Daimon, dove l'empatia è talmente totale da far morire uno in conseguenza della scomparsa dell'altro), impedendo ogni moto di ribellione rispetto a chi comanda. Chiunque si opponga deve giocoforza confrontarsi con la forza fisica della repressione. La vicenda si svolge partendo da una bambina di undici anni che vive teoricamente in piena tranquillità (interpretata dalla giovane Dakota Blue Richards), costretta a una fuga precipitosa dopo aver ricevuto una sorta di dorata macchina rivela verità (La bussola del titolo).
La trama è davvero complessa ed eterogenea (d'altronde il mistero avrà tempo altri due film per dipanarsi), perchè si passa da ambientazioni popolose ed industrializzate (affascinanti le macchine volanti stile aeromobile Zeppelin e le visioni dall'alto degli abitati) a quelle di una sorta di pianura gelata, ma anche i protagonisti dopo essere stati i politici e gli scienziati diventano invece gli zingari, i pirati, gli orsi, o cow-boy volanti.
Gli animali, sia i Daimon che gli altri, parlano, colloquiano con tutti e vengono ascoltati e capiti, in una sorta di correlazione di idea che li porta a trasfigurarsi come umani. Un mondo fantasy tanto composito anche di elementi non proprio completamente correlati tra di loro, potrebbe di fatto essere affascinante, una possibile voglia di dire una parola nuova e diversa, però di fatto alla fine troppe diversità accatastate fanno stridere il tutto facendolo sembrare un pasticcio mal lievitato piuttosto che una torta saporita partendo da elementi gastronomici agli antipodi.
La vicenda ha di fatto un suo fascino conformato dal visivo di base, gli effetti sono buoni (lontanissimi da quelli stupefacenti della trilogia di Jackson comunque), il movimento delle controparti animali e degi orsi è morbidissimo come le futuristiche macchine ben congegnate nel design, ma purtroppo la vicenda latita a decollare, troppo relegata alle fughe della bimba coraggiosa (alcune davvero troppo rocambolesche, in fondo non è proprio di base una avventuriera) e alle entrate affascinanti della Kidman (sempre stupenda ed emozionante in abiti fascianti bellissimi), mentre tutto l'insieme risulta stirato e forzato, con i personaggi secondari che entrano nella trama quasi a casaccio e senza una logica ben precisa.
Bisogna tener conto che probabilmente il regista Chris Weitz (About a Boy del 2002), trovandosi di fronte a un romanzo così complesso e che ha un primo capitolo dove praticamente quasi nulla viene svelato (contrariamente ad altre trilogie che comunque tutte le motivazioni base erano esplicate da subito mentre rimaneva in sospeso la modalità d'attuazione) ha preferito giocare parecchio nella trasposizione accellerando tempi ed azione, i personaggi sono pochissimo caratterizzati o analizzati, facendo risultare il prodotto godibile a livello di fruizione alle famiglie (la scena campale finale è un veloce concentrato di azione totale), ma con un fondo di emozionalità narrativa e di fascino quasi nullo, non possiamo certo dire di considerare l'orso ex-alcoolizzato carismatico oppure la Kidman una grande cattiva, come del resto la credibilità della Green in versione streghesca è quasi nulla per come ci viene proposta. Il tentativo di girare stereotipi del fantasy in un frullato con altro in definitiva fallisce, non miseramente ma comunque non ci porta certo ad attendere con particolare ansia il seguito della vicenda, come del resto il valore politico di fondo del film di cui si parlava prima si disperde dopo averlo abbozzato.
Bisogna dire che comunque bisognerebbe attendere tutto l'insieme (il secondo e il terzo film) per poter dare un vero giudizio reale, dato che una volta che tutta la trama è stata dipanata potremo dire se i tasselli che alla prima parte hanno un po' deluso poi invece hanno creato un buon quadro completo. Parlando solo di questo capitolo, in definitiva senza cercare valori diversi o vere soddisfazioni, il film può divertire in superficie per la sua colorata visualità ma purtroppo non si converte in nulla di concretamente convincente.
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L'amore ai tempi del colera
(Love in the Time of Cholera)
Un film di Mike Newell. Con Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno, Benjamin Bratt, Catalina Sandino Moreno, Hector Elizondo, Liev Schreiber, Fernanda Montenegro, Laura Harring, John Leguizamo. Genere Drammatico, colore 138 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 01 Distribution
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Trama: Florentino Ariza è un giovane di belle speranze che si innamora perdutamente, inizialmente ricambiato, della bella Fermina Daza, giovane donna di Cartagena. Il padre di lei però ha ben altri progetti matrimoniali e costringe la figlia ad andarsene lontano mettendo Florentino nella disperazione più totale. Passano gli anni inesorabilmente ma nonostante lei si sposi con un altro e abbia dei figli lui non abbandona minimamente l'idea di coronare il suo sogno lunghissimo d'amore. Dopo 53 anni qualcosa accade ...
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Commento: Giovanna Mezzogiorno, dopo aver ben interpretato vari, più o meno intensi, personaggi femminili, trasloca in America per il suo primo film targato USA sotto la direzione di Mike Newell (eclettico nel fare commedie come 4 matrimoni e un funerale oppure dei gangster movie come Donnie Brasco). Il film a cui la nostra brava e bella connazionale decide di partecipare è un ambizioso progetto, portare sullo schermo uno dei romanzi d'amore per eccellenza, quel "L'amore ai tempi del colera"di Gabriel Garcia Marquez, ritratto di un uomo (interpretato dal bravo Javier Bardem, su cui tutta la pellicola si regge, ricordiamo la sua eccezionale prestazione in Mare Dentro di Amenabar) follemente innamorato di uan donna (Fermina, interpretata dalla Mezzogiorno) tanto da attendere un arco di tempo lunghissimo (53 anni a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo) per cercare di coronare un sogno d'amore. La storia è quanto mai semplice, partendo con un lungo flashback dopo che è accaduto un fatto atteso in maniera spasmodica da Florentino, si ripercorre la strada separata che i due protagonisti hanno fatto divisi ed allontanati sullo sfondo di una Cartagena minata dalla guerra civile e dal colera. Cercando di consolarsi per il fatto che Fermina sia assolutamente inavvicinabile senza mai far calare il suo amore, Florentino si consola come può con un nugolo interminabile di altre donne (ne tiene il conto su un diario) ma di base la sua infelicità è totale ed incolmabile tanto da portare anche alla pazzia per il dolore la vecchia madre. Newell orchestra un affresco che sembrerebbe all'inizio di grande fascino dato che l'arco narrativo copre oltre mezzo secolo, ma non riesce minimamente a dare spessore e consistenza alla vicenda, che dopo l'inizio tenero e zuccheroso, tende a ripetersi in maniera monotona e noiosa ribadendo sensazioni e concetti superiori con poco impatto emotivo. Lo spettatore non si ritrova ammaliato e coinvolto, anche perchè il contorno situazionale (la guerra civile, il colera e la povertà generale) non si sente, non ci si immedesima nel momento storico come si dovrebbe per rendere il tutto completo (prendiamo l'esempio di Via col vento per dare un idea di che concetto vogliamo esprimere) anche se ci viene detto in quale situazione i due amanti paralleli si trovano, ed anche i paesaggi fluviali e forestali perdono di fascino sembrando gli incolpevoli ospiti di una vicenda con colori smorti. Errori ovviamente gravissimi, che fa cadere verticalmente il film di qualità, e complice anche una Mezzogiorno insufficente, spaesata e senza verve (il trucco che rende i due man mano sempre più vecchi è molto buono ma probabilmente gli ha nuociuto affaticandola) tutto il girato si regge unicamente sulla ottima interpretazione di Bardem, grande tratteggiatore dell'anima tormentata di Florentino che non trova pace, una visualizzazione perfetta di colui che le donne desiderebbero avere come compagno fedele e incrollabile di fronte a tutto, che sacrificherebbe tutto se stesso per amore. Nonostante ogni tanto sia coinvolto in scene del tutto gratuite e illogiche (come quella dell'amplesso con la vedova durante i combattimenti furiosi e le cannonate oppure quella dell'amante che non si toglie i segni del colore sul corpo), l'attore non cede a un adattamento cinematografico inconsistente e frettoloso (le musiche di Shakira poi sono un inutile compendio sonoro senza valore) e man mano il suo personaggio diventa il centro della nostra attenzione catalizzando e facendolo affezionare. Una prova davvero da Oscar, vedremo se l'Academy Awards lo considererà. Partecipano poi senza graffiare Benjamin Bratt (che fa il dottor Juvenal Urbino che combatte il colera) e il ben più incisivo, ma purtroppo in altre occasioni, John Leguizamo (il padre di Fermina).
In definitiva un film sull'amore totale ed eterno che non si ama, che cerca di essere d'atmosfera con qualche immagine ricercata, pieno di frasi altisonanti che non fanno da fascinosa e profumata chiosa su quanto visto ma solo da affermazione dovuta vuota ed inconsistente per essere private del loro messaggio per colpa di un contesto povero, che valorizza un personaggio per meriti non suoi ma dell'attore, che può piacere, magari lasciando qualche lacrimuccia (si dice nel film "Il cielo piange per Fermina" nel momento che piove), nella sua integralità solo a chi ha il cuore (molto) tenero e si accontenta di vedere raccontato e non contestualizzato. Il grande romanzo di Marquez nel suo fondo narrativo è rispettato, peccato che questo film non ne faccia sentire il vero profumo, come quello dei numerosi fiori mostrati.