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Ps : i love you, non è mai troppo tardi per dirlo
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Regia: Richard LaGravenese
Sceneggiatura: Richard LaGravenese, Steven Rogers
Attori: Hilary Swank, Gerard Butler, Lisa Kudrow, Harry Connick Jr., Gina Gershon, Kathy Bates, Jeffrey Dean Morgan, Ryan Everett Canfield, Marcus Collins, Tony Devon
Produzione: Alcon Entertainment, Grosvenor Park Productions, Wendy Finerman Productions Distribuzione: 01 Distribution Paese: USA 2007 Uscita Cinema: 01/02/2008
Genere: Commedia, Drammatico
Trama: Holly ha recentemente perso l'amato marito Gerry, deceduto per un tumore al cervello. La tragedia l'ha resa una donna schiva e inconsolabile, che ha perso ogni voglia di proporsi e vivere con nuovi obbiettivi.
Mentre le amiche e la madre cercano in ogni modo di consolarla, il giorno del suo trentesimo compleanno arriva un pacco contentente una torta, una lettera e una registrazione vocale. Sono dei messaggi postumi di Gerry che ha preparato conscio della sua prossima dipartita per la moglie, che la invitano ad essere gioiosa e riprendersi seguendo le indicazioni che lui man mano le scriverà. Le lettere arrivano progressivamente ad una ad una indicando cose da fare e strade da percorrere e Holly sembra a poco a poco riprendersi. Ma ...
Commento: La splendida e brava Hilary Swank (doppio oscar protagonista per Boys don't cry e Million Dollar Baby) è l'interprete principale di questa commedia agrodolce piena di buoni sentimenti (anche troppi e da biglietto degli innamorati di Peynet a volte) che si dipana dopo una terribile perdita. Gerry e Holly vivono modestamente ma sono innamoratissimi, hanno dei progetti per la loro vita e vorrebbero trovare il modo di sbarcare il lunario avendo anche almeno un figlio. Ma se Cupido ha colpito alla grande, il destino bastardo e beffardo toglie da questo mondo Gerry per sempre. Holly non ne vuole sapere di una vita senza di lui, ma prima di morire il suo amore, prevedendone la grande crisi, le ha preparato delle lettere che le indicano come e che deve riprendersi.
Decisamente, traendolo dal libro di Cecelia Ahern, il regista Richard LaGravenese (che ha diretto il semisconosciuto Kiss nonostante avesse varie star come Holly Hunter nel cast e prossimamente dirigerà ancora la Swank nel prossimo Freedom Writers) inforna un film preconfezionato nel più zuccheroso dei modi, lo fa sgonfiare prima con la tragedia e lo lievita dopo con il sistema più romantico di sempre : quello delle lettere tra innamorati, la carta vergata a mano piena di grandi frasi d'amore che mai e poi mai verrà sostituita dalla tecnologia più spinta (volete mettere se Gerry avesse preparato mail e non questo tipo di comunicazione?).
Decisamente mettere in campo delle facce (e fisici) completamente e pienamente pregni di bellezza aiuta molto a far sognare gli animi teneri, ma quando si annacqua e si esagera nell'insipido la cosa risulta troppo artefatta, troppo fasulla e senza credibilità di riscontro. Si vede così con poca crdibilità la coppia perfetta ed invidiata per antonomasia, da subito il muscolare Butler (non a caso Re Leonida in 300) si mostra gentile e premuroso, la Swank esibisce una lingerie da urlo e tante buone intenzioni, le amiche sono vicine e pronte ad aiutare (Lisa Kudrow, famosa nel serial Friends per il ruolo di Phoebe, fa la semininfomane Denise, Gina Gershon, incredibile bellezza nella sua maturità, è l'amica sposata seria e riflessiva) e la madre (il premio oscar Kathy Bates), non esita a fare di tutto per togliere la figlia dal pantano emotivo/esistenziale. Tutti meccanismi magari oliati ad arte per far presa su un pubblico femminile o dal cuore tenero, ma che alla resa dei conti nel monotono (e abbastanza scontato) procedere delle lettere e della vicenda stanca, annoia e neppure i meravigliosi paesaggi d'Irlanda possono salvarci dal torpore che ci coglie.
Non ci sono stacchi emotivi validi, non si coglie (nonostante la bravura della protagonista) quell'ellissi del ritorno alla vita totalmente diversa dalla congiunzione con il limbo della disperazione.
Evidentemente il percorso lineare della vicenda non doveva e non voleva mai mettersi in discussione, si è cercato molto il raffinato ma anche il mieloso (discorsi che avrebbero fatto la gioia dell'orsetto goloso Winnie the Pooh se fosse stato in sala), per logica di continuazione e conclusione. Il messaggio ovviamente c'è, mai cedere e finchè c'è vita c'è speranza di riprendersi, ma è un messaggio da cioccolatini e non agrodolce di considerazione amara.
Il tema della comunicazione dopo la morte o di difformità temporale è già stato tracciato, molto simile nei meccanismi fu La casa sul lago del tempo con la coppia Bullock/Reeves, oppure il famosissimo Ghost, ma, anche se con intenzioni diverse, My Life con Michael Keaton, e questo film non aggiunge in fondo nulla di nuovo.
Gradevoli tutti gli attori decisamente, belle alcune battute ("Sei sposato?Sei Gay?Hai un lavoro?"), alcune situazioni (il karaoke sfrenato della Swank con danza) e piacevoli le canzoni che Butler o altri intonano (incredibilmente tutte con i sottotitoli), questa è in definitiva una buona commedia americana dei sentimenti, che parla e vive d'amore, che non può non far scendere la lacrimuccia, ma davvero troppo scontata e per pura scelta (può essere buona o cattiva a seconda della ricezione e il gusto personale) decide di vivere in un mondo suo tra le nuvole e non sulla terra. Paesaggi troppo stupendi, sentimenti troppo stupendi, parole troppo stupende, e il troppo a volte non va bene neppure con un indirizzo tanto marcato perchè se fatto in ottiche particolari lo fa sembrare inverosimile, troppo indotto a martellate e senza vera proposizione a pelle. Anche se davvero, ci duole ammetterlo, di fronte alle commedie sentimentali italiane siamo davvero su un altro pianeta di soddisfazione, sempre e comunque.
Da notare che il trailer ha una fotografia sgranata e ingiallita che nel film non c'è minimamente.
Ps:in fondo meglio sempre dei sentimenti edulcorati che la mancanza dei sentimenti, ma basta dosare lo zucchero e la pillola va giù ...
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Sogni e delitti
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Cast Colin Farrell, Ewan McGregor John Benfield, Clare Higgins, Andrew Howard, Sally Hawkins, Richard Lintern, Jennifer Higham, Lee Whitlock, Emily Gilchrist
Regia Woody Allen
Sceneggiatura Woody Allen
Durata 01:48:00
Data di uscita Venerdì 1 Febbraio 2008
Generi Drammatico, Poliziesco
Distribuito da FILMAURO (2008)
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Trama: Ian e Terry sono due fratelli che cercano di sbarcare il lunario in qualche maniera nella Londra di oggi. Purtroppo, pur non avendo a disposizione grandi capitali, hanno due terribili vizi : Ian quello delle donne belle e costose, Terry quello del gioco. Dopo aver contratto debiti per forti somme, sono disperati e apparentemente senza via d'uscita possibile. Chiedono aiuto al ricco zio venuto a trovarli, questi acconsente ad aiutarli, però prima c'è una richiesta davvero difficile da soddisfare prima di consegnare i soldi che servono ai due fratelli ...
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Commento: Woody Allen torna a dirigere un nuovo thriller londinese (sua nuova patria ormai dopo l'abbandono spirituale e artistico degli sfondi new-yorchesi) dopo gli ottimi Match-Point e Scoop. Qui non c'è la sua nuova musa Scarlett Johansson e Woody non recita, ma in compenso abbiamo una coppia di superstar ad interpretare il ruolo dei due fratelli nei guai finanziari. Terry (Colin Farrell, ha recitato anche per Malick ne "Il nuovo mondo") è un meccanico con il vizio del gioco pesante, Ian (Ewan McGregor, famoso Obi-Wan Kenobi della saga di Star Wars) ha l'abitudine di frequentare donne con abitudini costose che non può minimamente mantenere.
Passato il confine possibile dei debiti, l'unica soluzione sembra quella di accettare una proposta indecente dello zio che si trova nei guai. La cosa richiesta è tutt'altro che facile da eseguire, e provoca terribili ansie e problematiche per due persone divise tra onestà e i rischi di avere le spalle al muro dei creditori o di perdere la onerosa bella fidanzata.
Unica oasi di pace sembra essere la loro amata barca in cui spesso si ritirano a pensare.
Allen ormai ha sviluppato una predisposizione incredibile per il genere thriller di classe, dopo i tanti capolavori esistenziali del passato, e in questo Sogni e delitti (anche se il titolo originale "Cassandra's dream" ha molto più fascino) non abbandona il seminato così ben costruito con i due film del grande distacco dall'amata New York precedente.
Dopo un inizio teatrale dei titoli come si conviene al suo gusto (comunque anche i credits finali sono uguali come stile e musica), parte questa vicenda umana bipolare, dove dopo aver compiuto un atto tutt'altro che lecito per salvarsi, i due fratelli non riescono a trovare la pace interiore e sono pervasi da terribili sensi di colpa che si materializzano in incubi (da cui la motivazione del titolo). Qui il conflitto di classe ricorda un po' quello di Match Point dove l'arrivismo arrivava al parossismo per entrare in una determinata cerchia, qua invece abbiamo sia questo fattore (con Ian che vuole entrare nelle abitudini di un ceto sociale del tutto inarrivabile per lui) che quello della incoscienza, dove un tranquillo meccanico felicemente sposato con una dolce compagna viene rovinato dal vizio del gioco, dell'alcool e del fumo. Siamo di fronte al solito lavoro di bilancino perfetto, con Allen che giostra sapientemente le emozioni sorretto dalla coppia di attori in maniera splendida. Sopratutto da Farrell, davvero bravo, con il personaggio più difficile da trasporre, pieno di vizi e tic nervosi (non abbandona mai la sigaretta, cinema davvero di controtendenza questo, sempre buio e corrucciato, con la barba perennemente incolta), e oltretutto molto più umano del fratello e con sentimenti più genuini, dato che i suoi guai derivano non dall'apparire a tutti i costi ma quanto più dall'incoscienza di giocare ogni volta il tutto per tutto. Purtroppo, ci duole dirlo, questo bel lavoro artistico/tecnico di Allen (sempre perfette le scelte di inquadrature e location, con l'ennesimo scorcio sberleffo del Tower Bridge e del palazzo "proiettile" a lato, sinonimo di nuovi scenari, e messaggio verso coloro che a suo dire non l'hanno mai capito veramente, comunicando che lui sa immortalare bene sia New York tanto quanto Londra), pur essendo comunque molto valido, non ha il fascino e la penetrazione emozionale degli altri suoi lavori, dove Match Point, sopratutto, e Scoop, riuscivano a dare un colpo noir intenso senza mollare mai la presa. Qua alcuni punti sono un po' ripetitivi, c'è un certo autocompiacimento a filmare scene uguali (l'andirivieni delle jaguar, i messaggi verso l'inadeguatezza del reggere delle posizioni sociali, alcuni confronti tra i due fratelli) e a limitarsi a proseguire il racconto senza brusche ellissi di variazione (tranne che nell'inevitabile centro e nel finale). Quel che ne viene fuori nel complesso sembra una trasposizione Hitchcokiana delle tragedie greche (ampiamente citate nel film), che per il suo svolgersi lento e progressivo (per meglio evidenziare il lato umano contrastato della storia) potrebbe annoiare qualche spettatore che magari sperava in un lavoro con diverse prospettive rispetto a quelle presentate, dove il lato noir/thriller in fondo è solo un sussulto rispetto ai ragionamenti sui sensi di colpa e alle scelte morali (che in Match Point erano condensati nello splendido finale). Probabilmente la voglia di produrre che da sempre contraddistingue Allen (uno dei più prolifici grandi autori dell'ultimo trentennio) lo ha portato a filmare comunque partendo da una idea isolata e non da una completa genesi dell'affresco narrativo. In definitiva un film comunque valido, troppo ben fatto con la solita classe per mancarne l'appuntamento, con valide recitazioni, anche se non aggiunge nulla a quanto detto o visto nel passato sia dell'occhialuto regista o del cinema in generale. Provaci ancora Woody! Noi saremo comunque qua ad attenderti perchè il fascino della tua arte e dei tuoi lavori è impagabile.
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Caos calmo
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Cast Nanni Moretti, Valeria Golino, Isabella Ferrari, Alessandro Gassman, Hippolyte Girardot, Silvio Orlando, Manuela Morabito, Charles Berling, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak
Regia Antonio luigi Grimaldi
Sceneggiatura Nanni Moretti, Laura Paolucci, Francesco Piccolo
Durata 01:52:00
Data di uscita Venerdì 8 Febbraio 2008
Genere Drammatico
Distribuito da 01 DISTRIBUTION (2008)
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Trama: Pietro è un affermato top manager in una azienda che cura interessi televisivi. Mentre si sta rilassando sulla spiaggia con il fratello Carlo, due donne rischiano di annegare. Senza esitare i due compiono il salvataggio nonostante gli ampi consigli di non tentarci da parte degli altri bagnanti. Tornato a casa dopo l'impresa trova la moglie morta nel prato per colpa di un fulmineo malore. A quel punto decide di dedicare la sua vita alla figlia di 10 anni Claudia, decidendo di sedersi sulla panchina della scuola a meditare, tralasciando carriera e lavoro. La sua strana permanenza in quel luogo lo porterà a diventare confessore e conoscitore di svariati personaggi.
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Commento : Tratto dal libro best-seller di Sandro Veronesi. Nanni Moretti dopo l'antiberlusconiano Il Caimano, torna al cinema con una storia intimista e molto profonda, dove è attore e sceneggiatore, non come di solito anche regista. Dietro la macchina da presa troviamo Antonello Grimaldi, di derivazione televisiva con Distretto di polizia 2, bravissimo a sfruttare la grande fotografia autunnale di Alessandro Pesci e a cercare sempre inquadrature con le giuste angolazioni degli sguardi delle persone. La storia di questo manager televisivo eroe (salva due donne con l'aiuto del fratello all'inizio del film, per poi essere beffato dal destino trovando a casa la moglie morta subito dopo) viene raccontata con un occhio profondo per il dolore di non potersi liberare delle proprie ansie, necessità che ha ognuno di confrontarsi e poter dire serenamente una parola di conforto senza patemi a uno sconosciuto oppure a qualcuno che si ama che però ormai si sente lontano. Così un semplice saluto (come nel tenero gioco del telecomando che apre la macchina, oppure il sorriso verso la sconosciuta con il San Bernardo, una affascinante Kasia Smutniak) diventa necessità irrinunciabile, appuntamento inconsueto e semplice di piccola oasi di serenità. E così Pietro Paladini, che si distoglie quasi totalmente dalla carriera e dalla attività lavorativa (vi rimane a contatto solo per via degli incontri con i colleghi o per la segretaria che lo raggiunge al cellulare), per contemplare su una panchina e dare un senso diverso diverso alla sua vita, diventa il centro della comunicazione di tante persone, che finalmente possono fare riferimento a lui per quello che con gli altri non riescono a compiere, il poter sfogarsi con serenità. E lui raccoglie le ansie di Marta (Valeria Golino) cognata in crisi emotiva per via di una gravidanza che non può condividere con l'uomo che ama, quelle dei colleghi (francesi e italiani, compreso l'esistenzialista e umano Silvio Orlando, che ha una sua particolare idea della trinità), della donna che lui ha salvato, che si scopre essere una fedifraga passionale (Eleonora, una conturbante Isabella Ferrari), ma anche di un microcosmo infinito di personaggi laterali che culmina con l'apparizione del grande Roman Polanski. E tutto questo mulinare di situazioni è davvero un Caos apparentemente calmo, che poi dopo alla fine ribolle ed esplode di vita vissuta assorbendo patemi senza dare segno di reazioni, in una scena di sesso fortissima per i canoni del cinema a grande penetrazione (scusate il gioco di parole) nazionale, dove non c'è divieto se non un “consigliata la visione ai minori di dodici anni solo se accompagnati dai genitori”. La scena in questione (trattata dai media solo come fonte per dare linfa pubblicitaria al film, ma è molto valida anche all'interno della trama) è davvero forte, ai limiti del sadomaso, sorprendente nelle meccaniche di avvenimento pensando che ha Moretti come protagonista, ma completamente ideale per il film, avviene senza che te l'aspetti e apparentemente slegata dal contesto narrativo, completativa di uno stato d'animo che passa dal ricevere e dare senza reazione a una autentico scambio liberatorio di passione. E alla fine ancora una volta il padre si ritrova accanto alla figlia per poter ricominciare il suo corso umano, ma stavolta diverso nelle meccaniche in una sorta di valori compresi ed azioni meno utopiche. Film di chiara ispirazione Bergmaniana (impossibile non pensare Al posto delle fragole e alla sua filosofia meditativa con una trama simile), vede finalmente Moretti abbandonare le contestazioni politiche pure, per dedicarsi alla esistenzialità dell'uomo, in un ruolo in cui lui si cala perfettamente, coinvolgendo nella qualità di interpretazione Alessandro Gassman,
il fratello/zio di Claudia guascone e cazzeggiatore, ma che arriva a ragionare validamente sulle strade percorse da altri senza rinunciare al proprio stile di vita (la moda, la canna occasionale, i ritrovi mondani). Grimaldi ragiona e illustra per segni, un anello buttato in un tombino che consapevolizza le scelte, un cellulare che ricongiunge con il mondo che si è abbandonato, un piatto di pasta troppo ricco rispetto a uno stile di vita scarno, un invito per condividere il dolore, e alla fine tanta ipocrisia di chi era collega e si ricongiunge a Pietro per raggiungere un arrivismo che lui avrebbe a portata di mano e che non gli interessa più minimamente.
Un lavoro davvero validissimo, un film sentito ed umanamente splendido, un andirivieni di calme emozioni lucide e sentite che si immagazzinano fino ad esplodere ed implodere, una vera boccata d'ossigeno per un cinema italiano che quando mostra l'impegno e il disinteresse per i temi vacui si solidifica proponendo storie limpide, valide e multiformi.
La scena di sesso violento che vedrete non è lì solo per dare pubblicità (poi ovviamente viene usata dalla produzione come presentazione anche a fini di puro lucro), ma è perfettamente incastonata nel quadro generale, affresco di sentimenti, controllabili o meno, che vanno oltre le aride liste che il protagonista stila nella sua mente per dare ordine che nella società di oggi non può esistere.
In definitiva non perdetevelo assolutamente, sarebbe un vero peccato non assistere a questa sarabanda di emozioni calme e caotiche, che vede un cinema anticommerciale per la massa, nello svolgimento, guardare soprattutto all'etica dell'ìimportanza del singolo.
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30 giorni di buio
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Regia : David Slade
Cast Josh Hartnett, Ben Foster, Melissa George, Danny Huston, Craig Hall, Joel Tobeck, Mark Rendall, Elizabeth Hawthorne, Nathaniel Lees
Sceneggiatura Stuart Beattie
Durata 01:53:00
Data di uscita Venerdì 8 Febbraio 2008
Generi Thriller, Horror
Distribuito da MEDUSA (2008)
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Trama : la città di Barrow nell'Alaska sta preparandosi ad affrontare il terribile periodo di buio totale che durerà 30 giorni consecutivi. Mentre chi non vuole vivere questo terribile periodo di stasi della luce fugge, lo sceriffo rimane ad organizzare il tutto per i residenti. Improvvisamente uno sconosciuto arriva da una misteriosa nave nella cittadina portando con sé una terribile compagnia di mostruosi vampiri assetati di sangue. Senza il respiro del giorno, riuscirà il manipolo di eroi a resistere un mese intero alla terribile minaccia ?
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Commento: Sam “Spiderman” Raimi produce, coadiuvato dall'amico Robert Tapert, vecchia conoscenza dai tempi della Reinassance Pictures, questo originale, almeno nello spunto di base, 30 giorni di buio con un attacco di vampiri in atto (sembra l'assunto sfortunato di Pitch Black, tre soli che vanno in eclissi dopo tempo immemore in maniera ciclica proprio quando arrivi sul pianeta e guarda caso i nemici sono sensibili alla luce) film tratto dalla graphic novel americana di Steve Niles e Ben Templesmith edita dall'editore di fumetti Dark Horse.
Diretto da David Slade (praticamente un esordiente, di suo abbiamo solo Hard Candy del 2005), il film comincia davvero bene, (dopo la sigla iniziale suggestiva con le crepe del ghiaccio che sembrano arterie e vene) con le ambientazioni gelide e ghiacciate dell'Alaska a fare da sfondo all'arrivo della nave maledetta (i richiami vampireschi ovviamente si sprecano in questo caso), con il misterioso nuovo arrivato che vaga per la città con alle sue spalle il sole che sta minacciosamente calando. L'atmosfera è davvero cupa, si sente a pelle che sta arrivando qualcosa di terribile a minacciare la comunità infreddolita, e mentre si fa conoscenza dei vari eroi (Stella, interpretata da Melissa George, vista non molto tempo fa in Turistas, e lo sceriffo Eben Oleson, il Josh Hartnett di Black Hawk Down) si nota che la minaccia sta agendo in maniera subdola per isolare e rendere più debole la resistenza dei rimasti (il cui numero viene mostrato in un cartellone all'inizio del film).
Per incupire in tutto si è fatto un buon lavoro di fotografia che si scurisce e diventa bluastra quando appaiono le creature, mentre i giochi di controluce tra nebbie artiche e fondi bianchi sono davvero buoni per nascondere alla vista l'entità dei pericoli che man mano si presentano. Scoperta la minaccia, il manipolo di sopravvissuti si barrica in una soffitta, ma ovviamente non possono rimanere per un mese in quel luogo, e allora comincia una fuga per la sopravvivenza nei vari luoghi della città che abbiamo conosciuto prima, quando tutto era calmo.
Purtroppo dopo il buon inizio, il film si proroga in maniera banale e con delle scelte di sceneggiatura davvero stranianti, accomiatate da un ritmo blando dovuto all''imprudenza registica che a volte si perde nel descrivere cose inutili, con degli eroismi a volte addirittura ingiustificati e perdendo man mano lo smalto iniziale con il quale era partito. La tensione incomincia a perdersi, delle recitazioni non certo sublimi e delle caratterizzazioni poco convincenti (compresa quella di Danny Houston che fa Marlow, mentre Ben Foster fa lo straniero) fanno perdere il senso di disperazione e di impotenza di fronte a un nemico apparentemente insuperabile. Ci sono piccoli fasci di storia davvero ridicoli (la lampada, la conoscenza di nuovi superstiti messi lì solo per aumentare il numero della carne sacrificabile, alcune fughe improponibili e tentate), che ci fanno pensare che tutto sia lì solo per accumulare e non arricchire. Anche la grande svolta finale (appena vista, in versione contraria, in un film di recente successo di cui non vi possiamo dire il titolo per non rovinare la sorpresa) è davvero banale.
Per quanto riguarda il look dei vampiri (che non sono propriamente solo dei semplici succhiasangue palettabili nel cuore e allontanabili con l'aglio) siamo di fronte a una trasposizione dark di effetto scenico ma piuttosto fragile di credibilità, con una dentatura da squalo e non solo i canini sviluppati.
Comunque gli effettoni splatter (invero non molti) sono oltremodo buoni (i soldi di Zio Sam si vedono) , con la volontà di mantenere un valore crudo e quasi casereccio nelle mutilazioni (effettuate con asce e lame di vario genere) senza dimenticare la loro credibilità.
Un lavoro corretto come riprese, con la scelta di non far vedere in maniera completa i momenti di combattimento diretto uomo/creatura muovendo la telecamera all'impazzata, che però si mostra in discesa nelle sue accezzioni di paura/tensione/credibilità, perdendo man mano quello spunto di base buono che aveva.
Josh Hartnett ce la mette tutta per fare l'eroe a tutto tondo, ma non riesce minimamente a dominare la vicenda facendone solo parte, dove la sua influenza sul gruppo è praticamente inesistente in quanto si sceglie di vivere di continue diaspore per arrivare alla durata necessaria per distribuire il film.
In definitiva un horror movie che si distingue dalle innocue produzioni di genere, che colmano la programmazione degli europlex, per un buono spunto e una realizzazione tecnica efficace, ma che non riesce ad andare oltre a una fruizione di semplice trascorrimento di tempo in quanto la sua prosecuzione è molto meno affascinante del suo inizio.
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La guerra di Charlie Wilson
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(Charlie Wilson's War)
Cast Tom Hanks, Emily Blunt, Amy Adams, Shiri Appleby, Ned Beatty, Shaun Toub, Faran Tahir, Rizwan Manji, Ron Fassler, Rachel Nichols
Regia Mike Nichols
Sceneggiatura Aaron Sorkin
Durata 01:37:00
Data di uscita Venerdì 8 Febbraio 2008
Genere Drammatico
Distribuito da UNIVERSAL (2008)
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Trama: Il racconto, da un libro di George Crile, tratto dalla cronaca vera e segreta dell'imprenditore e deputato Charlie Wilson, che ricercò sovvenzioni in maniera sotterranea grazie a vari partner sul finire degli anni '80 la guerriglia afghana contro la Russia sovietica. Amante delle donne e delle cose belle, capace di circondarsi di un entourage fatto di sole affascinanti e capaci collaboratrici, Wilson e la sua partner commerciale Joanne Herring finirono con le loro azioni per sconfiggere il comunismo russo/sovietico in Afghanistan ma inconsapevolmente armarono anche i talebani e Osama Bin Laden.
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Commento: Il raffinato Mike Nichols (ricordiamo la sua bella regia ultima nel camerale Closer, dirigendo anche lì Julia Roberts) è il regista di questa ottima pellicola, cronaca vera di un fatto semi - segreto virato in chiave di commedia brillante, ma senza mai abbandonare il tono serio e completo di un racconto lucido e preciso di un fatto successo realmente davvero grave : l'armamento involontario dei Talebani e di Osama Bin laden per sconfiggere la Russia sovietica impegnata nella campagna di guerra in Afghanistan.
Mentre il governo Americano non poteva entrare direttamente sul campo ad intervenire per non rischiare la guerra nucleare contro l'allora altra grande potenza, scegliendo strategie indirette come il boicottaggio delle Olimpiadi, Charlie Wilson (Tom Hanks) sovvenzionò, aiutato dalla ricca texana Joanne Herring (una splendida Julia Roberts, capace di sfoderare, in cinta di 4 mesi e a 40 anni, un bikini da capogiro e una chioma argentata old style nella pettinatura) in maniera sotterranea l'acquisto di armi per un miliardo di dollari (con capitali americani, ebrei, sauditi e pakistani) destinati ai Mujaheddin, celando gli intenti affaristico/politico come grande impegno umanitario per difendere la popolazione inerme.
Uomo eccentrico e puro texano (bretelle, stivali da cow-boy e camicie in stile) Wilson aveva un entourage di sole splendide ragazze, capitanate dal suo braccio destro Bonnie (la bravissima Amy Adams, recentemente vista in Come d'Incanto) sempre fedelmente al suo fianco. Tra inganni ed intrighi, sarà determinante l'aiuto di Gust, un agente della cia in rotta di collisione con l'intelligence (interpretato da uno strepitoso Philip Seymour Hoffman, recitazione sopraffina ancora una volta). Questa parata di premi Oscar (Hanks, Roberts, Hoffmann) diretti da un regista come Nichols, garantisce un risultato di incredibile fascino, di perfetta congiunzione/confronto tra i palazzi dorati dei ricchi texani dai grandi ricevimenti, e le distese aride e brulle dove i poveri afghani stremati dalla guerra vivono faticosamente. Se partiamo dalla splendida Julia Roberts che esibisce vestiti firmati e d'alta moda, le segretarie di Wilson vestite sempre con sensuale puntiglio, in mezzo il trasandato ma risoluto agente Cia, e finiamo con i bambini mutilati dalle bombe inesplose o dalle mine, vediamo che l'affresco visivo/narrativo si compone di più strati, attraversa diverse situazioni per arrivare sempre al punto finale : ogni azione che in questo momento sembra perfetta, non importa se buona o cattiva, contiene in se il germe dell'errore o del danno per chi la compie (come nel racconto illustrato nel finale da Gust). E così contro il destino scandito da grandi frasi ("Combatti questa guerra e vincila Charlie, è in ballo qualsiasi cosa, compresa la tua virilità" oppure "per 5000 dollari ogni due anni hai il diritto di chiamarmi Charlie, per 10.000 puoi chiamarmi Betty Sue e ti pulirò le grondaie"e per finire"Metti una bella donna nella mano sinistra e una portaerei nella destra e vedrai cosa guardranno") nulla può la precisione, l'arrivismo puntiglioso e le grandi manovre.
Il film ha un ritmo strepitoso, non c'è un solo secondo di stanca o forzatura per tirare avanti, tutto fila via liscio e chiaro, le parole sono esplicate in maniera splendida e gli attori superano se stessi per inglobarsi perfettamente nella vicenda alla quale tengono molto. La Roberts appare sulla scena come una Dea imprimendo la sua immagine (bellissima la frase "Sgualdrine!" nel bar rivolta alle collaboratrici di Wilson che si aspettavano ben altro saluto), Hanks è uno spassoso gigione che vive tra belle donne e grandi palazzi lussuosi coltivando il suo obbiettivo, Hoffman un grandissimo agente senza peli sulla lingua, determinato in quanto avvezzo alle vicende sporche della politica. In definitiva scegliere uno spettacolo di questo tipo significa premiare un grande lavoro collettivo multistrato (regia, recitazione, sceneggiatura) che dona grande fascino ma anche molte riflessioni post visione, tutte splendidamente condensate nella scena iniziale dello stinger sparatoci in faccia. E' molto bello poter ragionare, discutere, riflettere, partendo da un film che non ha preteso una terribile attenzione a tutto (ma non va assolutamente visto come puro intrattenimento, non lo è per nulla) e nel contempo ci ha anche divertito brillantemente in alcuni punti del suo racconto. Sarebbe un vero peccato perdersi una simile occasione di intelligente riflessione per rifugiarsi in prodotti diversi solo perchè la realtà di quanto raccontato ci sembra tanto lontana.
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Asterix alle olimpiadi
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Cast Clovis Cornillac, Gérard Depardieu, Alain Delon, Franck Dubosc, Benoît Poelvoorde, José Garcia, Nathan Jones, Vanessa Hessler
Regia Thomas Langmann, Frederic Forestier
Sceneggiatura Olivier Dazat, Thomas Langmann
Durata 01:57:00
Data di uscita Venerdì 8 Febbraio 2008
Generi Avventura, Commedia, Fantasy
Distribuito da WARNER BROS. PICTURES ITALIA
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Trama: Il giovane gallo Alafolix, abitante dell'unico villaggio della sua patria che resiste all'invasione romana, si innamora perdutamente di irina, una principessa greca che condivide e ricambia la sua passione. Peccato che anche il crudele Bruto, il figlio di Cesare, la voglia avere in sposa. Per risolvere la controversia il re greco decide di dare la figlia in sposa a chi vincerà le olimpiadi. Per aiutare l'amico a coronare il suo sogno d'amore Asterix e Obelix partono alla volta della Grecia, dove dovranno vedersela con gli intrighi e gli inganni di Bruto.
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Commento: Asterix è un fumetto di grande culto in Francia (non per niente sui titoli iniziali viene definito "Tratto dall'opera di Goscinny e Uderzo) che da noi in Italia è nel ricordo e nella simpatia sopratutto degli adolescenti degli anni 80, mentre la generazione successiva non ha potuto apprezzarlo a dovere vista la scomparsa del suo autore e una ridotta successiva produzione di Uderzo ( ovviamente anche il cambio dei tempi e una minore ingenuità di base ha contibuito a questo minore attecchimento d'interesse). Cinematograficamente parlando Asterix al cinema è stato protagonista di altri due film ( Asterix e Obelix contro Cesare, con Roberto Benigni e Missione Cleopatra con Monica Bellucci), e in tempi non troppo lontani ha avuto un ennesimo adattamento a cartonoi animati (Asterix e i vichinghi).
Il budget di questo film, tanto per restare in tema, è a dir poco faraonico. Grandissime scenografie degli scenari grechi contraddistinguono la produzione, nomi di grande richiamo appaiono in parti più o meno piccole (vediamo anche un cameo di Zinedine Zidane e di Tony Parker, il cestista marito di Eva Longoria) mentre ci sono anche degli otitmi effetti speciali per quanto riguarda il momento di usare i poteri derivanti dalla bevanda magica o per la forza intrinseca acquisita permanente di Obelix, caduto da piccolo nel pentolone della pozione.
In questo terzo capitolo, oltre al confermato e immancabile Gerard Depardieu che fa Obelix, troviamo a interpretare Asterix invece di Christian Clavier la new entry Clovis Cornillac (Una Lunga Domenica Di Passioni), la nuova bellona di turno è Vanessa Hessler (doppiata malissimo e che ha dichiarato di non aver mai letto Asterix prima di avere la parte) mentre il grande protagonista, quello che ruba la scena a tutti e domina il film è Benoît Poelvoorde (iniziò la carriera con l'incredibile film per stomaci duri Il cameraman e l'assassino).
Poelvoorde (Bruto) non è minimamente intimorito di avere al suo fianco degli autentici mostri sacri come Alain Delon (davvero carismatico il suo Cesare, vanesio ed egocentrico dietro i suoi meravigliosi occhi azzurri) e si impadronisce della scena in maniera autoritaria, ordisce complotti contro tutti e si inventa trappole degne di Willie Coyote per detronizzare uccidendolo l'augusto padre. Faccette, smorfie, battute a raffica, Poelvoorde è la molla di ogni trama, il veicolo su cui tutto si poggia. Senza la sua interpretazione così multiforme, usufruire di questo film sarebbe stato davvero meno valido. Come attori italiani abbiamo Paolo e Luca (quelli di Camera caffè, componenti di un trio di giudici altamente corruttibili) mentre il cast viene completato dall'incredibile apparizione di Michael Schumacher e Jean Todt, che fanno parte della scena altamente spettacolare (omaggio chiaro a Ben Hur) delle bighe. L'ex campione tedesco guida una biga chiaramente rossa, si diverte un sacco a mimare un pit-stop e alla fine viene consacrato dal tabellone che lo dichiara "Per sempre il migliore". Per quanto riguarda le similitudini fumetto/film il racconto varia (e di parecchio) ovviamente "Asterix alle olimpiadi" edito nel 1976 ma prende anche spunto da Asterix e il falcetto d'oro. Inserendo come sempre delle novità e delle cose moderne in chiave antica (come i tabelloni delle posizioni della gara delle bighe, il commentatore simil brasiliano, i camei ad hoc per illustrare le invenzioni sportive apparentemente folli del capogiudice fino ad arrivare a una spada laser) la narrazione assume un tono di simpatia e di scorrevolezza maggiore (hanno comunque abbandonato il piccione Sms per tornare a Telegrafix), aiutata dalla simpatia di tutti i personaggi candidi e teneri anche in una cattiveria di base (i nemici romani sono sempre da operetta). Davvero un opera visivamente poderosa comunque, che parte con dei bellissimi paesaggi collinari pieni di intense tonalità di verde ripresi dall'alto, per poi esplodere letteralmente in parchi, anfiteatri e arene di grande suggestione. I quasi 80 milioni spesi si vedono davvero tutti, i costumi sono sfavillanti e l'impianto scenico brilla per grandezza. Come qualunque regista francese anche Frederic Forestier (che ha girato nel 2003 Le Boulet sempre con Poelvoorde) avrà avuto i polsi che tremavano quando ha iniziato a girare le scene (ricordiamo che in patria Asterix è un mito intoccabile), ma ben coadiuvato da Thomas Langmann (sceneggiatore e interprete del film sopra citato), ha saputo mantenere la mano ferma, riuscendo a dare un film pieno di ritmo, trovate efficaci, battute a iosa e personaggi diversi e vari (abbiamo anche l'ex Wrestler Humungus, il gigantesco boxeur che combatte con Alafolix) oltre a qualche citazione intelligente e interessante (la preparazione della biga come se fosse l'amata Ferrari da parte di Schumi è davvero azzeccata).
In definitiva un film davvero divertente, gigantesco nella costruzione, che varia la storia del fumetto ma lo rispetta completamente nelle caratteristiche morfologiche di base donandoci un intrattenimento sincero e genuino, educato e movimentato, ideale corroborazione da rilassamento in sala.
Chi ha amato il fumetto amerà anche questa terza versione cinematografica, chi non lo conosce potrà assistere a uno spettacolo comprensibile in quanto non serve praticamente nessun background per poterlo vedere con tranquillità.
Complimento alla Warner che l'ha distribuito, e grazie al grande Alain delon per averci deliziato con una interpretazione gigiona e autoironica. Ave!
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Non c'è più niente da fare
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Non c'è più niente da fare
Bobby Solo
Non c'è più niente da fare
è stato bello sognare
un grande amore sincero
ed un felice futuro
da vivere insieme per sempre con te
La vita ci ha regalato,
qualcosa da ricordare
il nostro amore sincero
ed un felice futuro
qualcosa che il tempo
non cambierà mai.
E domani forse troverai quello che vuoi
e domani forse ciò che voglio troverò
ma so già
che fra noi
niente mai cambierà
basta solo che ti ricordi che anche se...
Non c'è più niente da fare
e' stato bello sognare
la vita ci ha regalato
dei lunghi giorni felici
qualcosa che il tempo non cambierà mai.
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Cast Rocco Papaleo, Alba Rohrwacher, Paolo Ruffini, Isabella Cecchi, Valeria Valeri, Raffaele Pisu, Andrea Buscemi, Lucia Poli, Carlo Monni, Cristiano Militello
Regia Emanuele Barresi
Sceneggiatura Emanuele Barresi, Francesco Bruni
Durata 01:34:00
Data di uscita Venerdì 8 Febbraio 2008
Genere Commedia
Distribuito da EAGLE PICTURES (2008)
Trama: una sgangherata compagnia teatrale non professionista, chiamata profeticamente i Perseveranti, si barcamena tra mille difficoltà per gestire una commedia dentro un teatro in cui sono in affitto a 50 euro al mese. Tutte persone di estrazione sociale diversa, vivono una vita monotona e grigia la cui unica consolazione è la recitazione serale. Avvicinandosi la nuova rappresenatzione il clima è euforico, ma il padrone del teatro dove recitano e fanno le prove decide di non concedergli più il locale per darlo a una molto più remunerativa banca.
Disperati, i perseveranti si barricano nel teatro decisi a portare a termine il loro lavoro. Ma ...
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Commento: Emanuele Barresi (alla prima sceneggiatura e regia dopo un passato di attore) dirige questo film teatral camerale con un intento ben preciso : dare un piccolo segnale di speranza ed avvertimento perchè non vengano dimenticate le piccole compagnie teatrali amamtoriali che con mille difficoltà sopravvivono più per il grande impegno di persone comuni dopolavoranti che per l'interesse di enti o associazioni comunali. Un tentativo davvero encomiabile nelle intenzioni (come sottolineano le note alla fine del film) ma davvero film poco riuscito, se non nullo a conti fatti.
Questa vicenda di persone che vivono grigie e infelici della loro vita di fatto ha il fiato corto, si dipana in maniera poco interessante e non ha davvero una sua dimensione di esistenza valida. Partendo da un inizio con i titoli in stile Woody Allen, con i titoli in bianco su nero, che adeguano all'idea di un lavoro teatrale, molte volte poi negli esterni si sceglie la tecnica, sempre Alleniana, di far entrare le persone in un locale dove poi non li segue la camera ad accompagnarli, non facendoci capire cosa succede. Lavoro straniante che serve per un thriller piuttosto che una simile commedia nella commedia (con tanti riferimenti a Rumori fuori scena). Il gruppo di persone eterogeneo con tanti problemi muove i suoi passi in maniera solo schizzata e senza veri ritratti di tormento o sofferenza di essere in una tale situazione, come l'impiegata della Coop (Alba Rohrwacher, al cinema questa settimana anche con Moretti in Caos calmo) che disperatamente non trova l'amore, il direttore di scena che lavora al mercato del pesce e si incatena per impedire che gli addetti lavorino a trasformare il teatro in banca, i due vecchietti arzilli (Raffaelle Pisu e Valeria Valeri, quest'ultima simaptica nella sua arzilla sapienza e passione) che passano le giornate in attesa solo delle prove serali, ormai unica consolazione di una vita al termine e di una terza età grigia, l'avvocato (Rocco Papaleo, appena visto nell'ultimo Pieraccioni) che passa di letto in letto per non pensare a un matrimonio fallito, il manovratore delle luci Ivan (Paolo Ruffini, visto in vari cinepanettoni) che alla fine è quello più serio e sereno. E tutti ad intermittenza intonano la canzone di Bobby Solo "Non c'è più niente da fare" per ribadire la propria disperazione. Il ritratto di un gruppo di dopolavoristi che Barresi vorrebbe indicare come esempio di sacrificio per il teatro povero e tanto appassionato dell'italica penisola (la vicenda si svolge a Livorno), però si muove inconsistente davanti ai nostri occhi, e difatti la vicenda è soporifera come poche fino alla rappresentazione povera della Cavalleria Rusticana, avvenuta nonostante e comunque rispetto agli ostacoli. Il momento in cui i personaggi parlano e battibeccano dietro le quinte (ricordando appunto Rumori fuori Scena) ha una sua simpatia di fondo, ci si intenerisce di fronte a quei visi che non afferranno quel poco di felicità che hanno bisogno per sistemare le loro vite qualunque, ma è davvero poco per giustificare i soldi spesi e capire le buone intenzioni di fondo.
Certo, è noncinema di base ma teatro ripreso dalla camera, amatoriale di valore, che vuole sfruttare un mezzo popolare di massa per coltivare una idea e un amore di genere.
Barresi manda a picco il suo lavoro perdendosi dietro a una serie di vicende sparse e singole dei personaggi per tirare le fila in fondo riuniendo il gruppo, ma avrebbe fatto meglio a concentrarsi a dare magari meno sottotrame e qualcosa di più interessante, valido e performante da seguire.
Il cinema italiano di serie B, per mezzi e capacità, cerca una volta tanto di impegnarsi per dare un messaggio e un segno di amore per l'arte senza secondi fini, purtroppo in maniera davvero inconcludente e incapace (gli unici segni d'arte vera sono le magliette di Ivan e i manifestini delle varie opere appese).
Non serve a nulla però dare messaggi che sono volantini dilatandoli a pellicola, frammistando inutili noiose vicende in attesa della rappresentazione, in definitiva annoiando senza nessuna speranza il pubblico in sala.
Della serie, non c'è niente da fare, l'impegno senza idee non basta.
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Parlami d'amore
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Cast Carolina Crescentini, Andrea Renzi, Max Mazzotta, Geraldine Chaplin, Giorgio Colangeli, Silvio Muccino, Aitana Sánchez-gijón
Regia Gabriele Muccino, Silvio Muccino
Sceneggiatura Gabriele Muccino, Silvio Muccino, Elena Majoni
Durata 01:55:00
Data di uscita Giovedì 14 Febbraio 2008
Generi Drammatico, Commedia
Distribuito da 01 DISTRIBUTION (2008)
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Trama: Sasha è un fuoriuscito da una comunità per tossicodipendenti, dove era stato inserito fin da piccolo per il fatto di essere figlio di due drogati. Imparato il lavoro di rivitalizzatore del legno, a 25 anni vuole emanciparsi e coronare un sogno d'amore incontrando la figlia del ricco patron Riccardo, Benedetta, della quale si era infatuato vedendola durante le numerose visite della ragazza a Borgo Fiorito, dove Sasha stesso si adoperava per aiutare gli altri ragazzi ad uscire dal tunnel della dipendenza. Ma durante il viaggio in macchina per recarsi al suo nuovo lavoro nella villa del patron, un incidente con la quarantenne Nicole sarà veicolo e portatore di nuove prospettive inaspettate di vita, sopratutto perchè Benedetta rivela segreti davvero inaspettati ...
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Commento: Incredibile ma vero, Silvio Muccino, il ragazzo interprete di vari film del fratello Gabriele, che sbiascicava pesantemente frasi prima di recarsi dal logopedista, regista di videoclip musicali e sceneggiatore di piccolo rango, decide di cercare una fase creativa più matura, si auto impone uno stop recitativo di due anni (ultima presenza al fianco di Carlo Verdone ne Il mio miglior nemico), scrive un libro a quattro mani con Carla Vangelista, da cui ora trae il suo primo lungometraggio da regista/sceneggiatore (anche se pesantemente aiutato con una co-regia). Donandosi un look più selvaggio con capelli lunghi e barba incolta, Muccino Junior racconta la storia di Sasha, un ragazzo uscito da una comunità per tossicodipendenti, che incontra a causa di un incidente stradale, Nicole, una donna quarantenne con un passato burrascoso in amore e che ora è sposata con un uomo a cui non dà nessuna ammirazione. Sasha ha un obbiettivo, conquistare Benedetta, la figlia ricca e bella di Riccardo, il patron della comunità di Borgo Fiorito. E chiede a Nicole di dargli consigli per riuscire nell’impresa galante, peccato che la viziosa ereditiera si dimostra ben diversa da come lui la credeva.
L’ambizioso neo regista si circonda di seri professionisti per cercare di dare una immagine colta del suo romanzo, gestendo la scena solo colmandola di citazioni più o meno occulte (abbiamo in primis Eyes Wide Shut, poi Il portiere di notte, Arancia meccanica e altre citazioni, tra cui quella davvero poco autorevole del Cartaio dove Muccino era attore) e dimenticando completamente di dare interesse alla vicenda. Si nota una cura particolare nella illuminazione degli ambienti di cui Sasha deve rivitalizzare le parti in legno (lavoro probabilmente imparato in comunità), come se fossero degli interni da set teatrale, ma purtroppo i figuranti si muovono come delle parodie di icone sparpagliate sulla scena senza troppo senso a vari livelli, partendo dal boss di provincia, alla ribelle e ai suoi compari annoiati che sembrano partoriti da delle controfigure di personaggi di esperti giocatori di poker. Muccino vuole mostrare il suo lato colto, non quello della vicenda, e questa cosa infastidisce particolarmente senza dare nessun valore al lavoro finale.
Ci sono troppe incongruenze forzate, il rapporto con la donna matura avviene e si sviluppa senza senso, misuriamo le nostre aspettative di racconto con delle banalità evidenti, dove le scene eversive dedicate alle iconografie partorite dai costumi non lasciano il segno, il personaggio della Crescentini (Benedetta), commercialmente dipinto come se fosse la dark lady più hot dell’ultimo decennio, è minimale e vuoto di ogni personalità (veniva da Notte prima degli esami ed era meglio che rimaneva confinata in quell’ambito), la cagnetta Oliva l’unica a recitare a dovere, insieme a una parziale relativa prova della Gijon, e il duo di amanti diversi (ancora una volta al centro di un film italiano il rapporto ambiguo tra due generazioni, genialmente presentato come se si fosse scoperta l’acqua calda) fa ridere nei colloqui al cellulare, è imbarazzante nelle lezioni di galanteria (tenendo anche conto che si deve conquistare una cocainomane viziosa tutt’altro che moralmente integra che di queste cose se ne frega bellamente, come evidenziato nella scena in cui ascoltano la musica, celestiale per Nicole e una lagna per Benedetta) chiudendo con la poco credibile capacità da supereroe di Sasha di giocare al poker, rimanendo flemmatico e perfetto in ogni occasione fino a che capisce che il suo sogno d’amore è una follia e allora perde ogni freddezza rischiando il tutto per tutto.
L'approfondimento del discorso della dipendenza da droghe, e la sua tragedia (Sasha non è drogato ma è stato abbandonato dai genitori tossicodipendenti) è affidato all'amico che compare all'improvviso chiedendo ad un ex-disperato di colmare la sua disperazione, peccato che anche questo aspetto sia inserito a forza solo per muovere la vicenda del poker e non per reale voglia di esprimere concettualità.
Si vuole dare anche una idea di libertà proponendo L'atalante di Vigo che scorre in tv, per poi riprendere una location spiaggistica-marina di contemplazione, ma anche questo risulta un banale esercizio di statico omaggio e non da sensazioni particolari a chi la vede.
Si parla d’amore con Nicole, (interpretata con viso emaciato e fondamentalmente triste dalla italo spagnola Aitana Sanchez Gijon, che però qui fa la francese, vista precedentemente in L’uomo senza sonno e in Io non ho paura) analizzando in maniera precisa ogni possibile risposta e comportamento di Benedetta, per poi non utilizzare nulla di quanto detto come se fosse più importante vedersi a parlarne che applicarle. Di fatto Muccino segue il cinema delle urla del fratello, agitando le mani davanti al viso e dando aria ai polmoni in ogni momento sia che serva o non serva (la scena del bar è eloquente) per dare vigore al tutto, ma a furia di vedere aria fritta assommata a delle scene visivamente corrette come visualità (pregio assolutamente innegabile) il tutto risulta noioso, prevedibile, assolutamente incapace di dare vere concrete sensazioni di coinvolgimento.
In definitiva un film che è un gradino superiore a quanto prodotto e visto negli ultimi mesi dal cinema italiano sull’argomento (l’amore), anche e soprattutto per via di una correttezza realizzativa di base, ma che purtroppo non riesce a rendere credibili i suoi personaggi e a dargli il giusto spessore per far muovere la narrazione in maniera interessante, limitandosi a stereotipi veramente nulli. La buona volontà di fare un film corretto e valido va riconosciuta, magari con il tempo Silvio Muccino saprà essere meno autonarcisista nel farci vedere quanto bel cinema ama, per cercare di realizzare un lavoro che dimostri quanto può aver imparato dai grandi del passato a scuola di cinema, e non solo una vuota voglia di riportare, come se per dipingere una camera ci limitassimo a tappezzarla di poster.
Così è solo l'ennesima banale storia di sopravvivenza ad un amore contrastato, che non farà da esempio per evitare altri moccia film, non riuscendo a capire perchè è un lavoro di interesse culturale artistico nazionale.
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There Will Be Blood (Ci sarà del sangue) aka Il petroliere
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REGIA
Paul Thomas Anderson
SCENEGGIATURA
Paul Thomas Anderson
DISTRIBUZIONE Buena Vista
PROTAGONISTI
Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Dillon Freasier, Ciarán Hinds, Barry Del Sherman, Kevin J. O'Connor
Paul F. Tompkins, Sydney McCallister
Durata : 158 minuti
genere: drammatico
nazione Usa - data di uscita 15.02.2008
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Trama: Daniel Plainview ha un terribile fiuto per trovare l'oro nero. Siamo in california a cavallo tra la fine del milleottocento e l'inizio del novecento, e grazie a un avviso avuto da un contadino, scopre un giacimento gigantesco di petrolio venuto in superficie dopo un terremoto. Con il figlio adottivo al seguito, Daniel parte per sfruttarlo completamente, ma il suo arrivismo e il suo sfrenato cinismo lo porteranno a scontrarsi con un predicatore della chiesa locale, e oltretutto i primi incidenti non tardano ad arrivare durante i lavori di trivellazione. Uno di questi, particolarmente grave, sembra segnare la fine di un sogno, ma Daniel è tutt'altro un uomo che si arrende davanti alle difficoltà ...
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Commento: Daniel Day Lewis, il grandioso protagonista de L'ultimo dei Mohicani e di Gangs of New York, premio Oscar per "Il mio piede sinistro" (anche qui ha una gamba protagonista, ma è menomata invece che attiva ed è la destra) prende letteralmente in pugno questo film dalle forti premesse e dalla realizzazione ineccepibile come stile, ma fiacco per ritmo di narrazione degli avvenimenti, sta in scena praticamente ovunque, e come un novello John Wayne disegna al contrario (buono per cattivo) e in maniera uguale un personaggio carismatico, totalitario, cinico e vigoroso che domina e riempie i paesaggi. Sembra che l'arrivista Daniel Plainview sia il vero regista del film, non il pur bravo, e raro nel produrre, Paul Thomas Anderson (divenuto famoso con l'ottimo Magnolia e assente dal 2002 dopo Ubriaco d'amore con Adam Sandler), dato che tutto il film dipende da lui, gli altri personaggi sono solo pedine di poco conto (compreso il personaggio del predicatore, interpretato da un valido Paul Dano che fa anche un altra parte) facilmente manovrabili.
La storia è molto semplice (e qui sta il difetto del film e che non giustifica la sua durata monstre), un uomo, Daniel appunto, cinico ed arrivista oltre ogni limite (lo vedrete nel film fino a che punto si spinge) ha un autentica incredibile naturale capacità di scoprire giacimenti petroliferi, e lui stesso si autodefinisce"Cacciatore di petrolio". Un giorno per merito di una soffiata interessata, ne scopre uno colossale ("Un oceano di petrolio") e sbaragliando ogni possibile ostacolo, con qualunque mezzo, decide di metterci le mani addosso a tutti i costi, accompagnato nell'impresa dal figlio adottivo, che ha perso il padre biologico quando era infante, morto in un incidente sul lavoro proprio mentre estraeva il prezioso liquido con Daniel. Solo l'invasato predicatore della chiesa locale sembra dargli qualche grattacapo, ma il cercatore di petrolio non è tipo da scendere a compromessi.
Davvero interessanti da vedere gli immensi paesaggi, notevoli le scene degli uomini coperti di oro nero estratto dalla melma a prezzo di fatiche incredibili, ma purtroppo il film gira parecchio su se stesso, stenta a decollare diluendosi in tante cose molte volte inadatte, e affida la sua sopravvivenza all'interpretazione (assoluta e da Oscar) del suo protagonista, che con i sorrisi beffardi, le cattiverie gratuite e le ciniche mete, ci fa dimenticare che la pellicola in alcuni punti ci sta raccontando poco o niente. Se analizziamo concretamente il racconto ci sarebbe lo spunto per farlo reggere al massimo 110 minuti, non si approfondisce nulla (le sofferenze dei lavoratori/estrattori anche se raccontate sono accantonate velocemente concentrandosi solo sul singolo, e sempre e solo su Daniel) e viene dato uno spaccato molto modesto della società del tempo. La parte migliore risulta essere quella del finale, venti minuti circa, dove il Daniel Day Lewis Show raggiunge l'apice di onnipotenza, un autentico OMF, one man film, ricordando Al Pacino nell'immortale discorso dell'Avvocato del diavolo. Vengono i brividi di fronte a tanta bravura interpretativa, tanta forza e sanguigna espressività, e il significato del bel titolo americano (Ci sarà del sangue, quello italiano preferisce ricordare il titolo del libro da cui è tratto il film,"Oil!") esplicato con efficacia sparata in faccia allo spettatore senza pietà.
Un vero peccato che Anderson si sia fermato alla costruzione di un grande ritratto anzichè di un affresco (come fece molto meglio Scorsese sfruttando Lewis per un altro personaggio duro come quello del macellaio di Gangs of New York), abbia dedicato ogni sforzo in questo senso cedendo alla possibilità di essere meno unilaterale, diventando blandamente descrizionista dell'ambiente humus abitativo rispetto a quello personal descrittivo.
Si esce dalla sala con una sorta di malcontento occulto, quasi pensando a un bel film che non ci è piaciuto e per colpa (merito ovviamente) di un mostruoso attore non ci accorgiamo neppure del perchè. Il cinismo su cui si muove Daniel farebbe venire in mente le ultime guerre del petrolio moderne, con parallela diversità che lui non ha bisogno di scuse o blande motivazioni per la sua lotta al raggiungimento della ricchezza. E anche le motivazioni di certi comportamenti non sono minimamente celate ("i miei uomin i non vengono in chiesa perchè devono produrre quotidianamente e devono riposare, non possono perdere tempo con lei" si sente dire il predicatore), piuttosto portate con orgoglio quasi a bandiera di uno scopo di vita. Daniel non si è curato di una gamba spezzata per diventare ricco, figuriamoci se lo fa per il bene dell'anima, valore incorporeo che lui non riconosce minimamente, solidamente legato ai valori terreni del denaro da accumulare con frenesia (e per il quale si vende, ogni tipo di obbiettivo può valere un azione contraria a principi o dogmi "Abbiamo la tubazione!"). Il film poi fa vedere il rapporto con il figliastro come una sorta di doverosa scorta di buonismo, ma da quest'uomo totalitario nel proprio ci si deve aspettare di tutto e di più (e di fatto il primo pozzo lo dedica non a lui ma alla bambina che potrebbe essere di scorta e sostituzione mancando il bimbo per ogni possibile caso). Non possiamo dirvi il perchè per non togliervi la sorpresa di un passaggio chiave, ma anche questa cosa è tutta nell'insieme e nell'ottica di approfondire Daniel e mai di vedere come gli altri si rapportano a lui.
In definitiva un film fondato, costruito su e che vive unicamente per il grandioso protagonista/dominatore, eccessivamente lungo e con qualche passaggio inutile, che racconta in maniera priva di grandangolo una vicenda che poteva essere descritta come uno spaccato della società e non quella di un uomo, che alla fine non stanca solo e unicamente perchè Lewis la prende per mano e se la porta sulle spalle. E' una visione consigliata senza ombra di dubbio, la sua caratura tecnico filmica è molto valida, ma è un peccato perchè il tutto poteva essere raccontata molto meglio e senza tutte quelle inutili sbavature di racconto che ne hanno fatto un albero pieno di rami corti ed invisibili facendo risaltare soltanto il tronco solido e massiccio, dando un appagamento finale decisamente superiore a quanto Lewis, e in fondo non il film, ci ha dato.
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John Rambo
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Cast Sylvester Stallone, Julie Benz, Matthew Marsden, Reynaldo Gallegos, Jake La botz, Tim Kang, Paul Schulze, Ken Howard, Linden Ashby
Regia Sylvester Stallone
Sceneggiatura Art Monterastelli, Kevin Bernhardt, Kevin Lund, Sylvester Stallone, Jeb Stuart
Durata 01:33:00
Data di uscita Venerdì 22 Febbraio 2008
Generi Azione, Drammatico, Drammatico
Distribuito da WALT DISNEY STUDIOS MOTION PICTURES, ITALIA
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Trama: John Rambo ha deciso di escludersi dalla civiltà per restare da solo con i suoi sensi di colpa e recidere il suo passato violento di ex militare rifugiandosi nell'eremo della foresta Birmana. Purtroppo la guerra civile che c'è nel paese asiatico e i continui massacri non gli permettono di vivere completamente isolato, soprattutto perchè una spedizione medica umanitaria americana viene presa prigioniera dai crudeli militari locali che agiscono con mano spietata. A John non resta che cominciare per l'ennesima volta a flettere i muscoli per pacificare il suo animo inquieto entrando in guerra ...
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Commento: Sylvester “Sly” Stallone ormai ha ampiamente capito che la sua maturità anagrafica purtroppo non corrisponde a una nuova stagione recitativa (come invece accade per altri suoi colleghi ex-protagonisti di film d'azione, vedi Clint Eastwood e Tommy Lee Jones, a tutti i livelli ormai grandi artisti e autori completi in ogni senso, che stanno donando al cinema moderno delle autentiche perle) e allora continua a rifugiarsi nelle sue icone sicure, dove in fondo le parole sono già scritte da tempo e la recitazione un trascurabile ed inutile dettaglio.
Ma mentre Rocky Balboa poteva essere un decente tramonto di un campione nostalgico, questo John Rambo (notare la ripetizione dell'idea del titolo, con nome e cognome, per mettere a tutto tondo l'uomo e non il personaggio) è solo ed unicamente un lungo gioco al massacro di potente visualità (effetti davvero truculenti che giustificano il vm 14, con ossa e carni spappolate senza tregua) nascosto dietro un falso intento perbenista di denunciare una insostenibile situazione di oppressione in atto in Birmania. Lo stesso Sly ha sbandierato ai quattro venti di voler dare un messaggio forte di protesta e conoscenza attraverso il cinema di massa (e gli incredibili due cartelloni iniziali più le scene di repertorio potevano confermare questa ideologia almeno negli intenti), ma alla fine dei fatti è tutta aria fritta, dove i pensieri vengono velocemente accantonati e tutto parte presto e velocemente, in una gara a chi tira il colpo più forte.
La trama è di una semplicità disarmante, un gruppo di medici cattolici si avventura nella foresta Birmana a recare aiuti, ma la truce soldataglia massacra gli abitanti e prende prigionieri gli occidentali. E il povero John, dai sogni/ricordi atroci in bianco e nero del first blood, non può far altro che di malavoglia riprendere l'arco in mano (usato anche per pescare) e cercare di liberare il gruppo di volontari. Spalleggiato da dei mercenari, il massacro sotto la pioggia battente può iniziare.
Inutile fare i bacchettoni oppure le menti perbeniste che storcono il naso, di fronte a film simili l'impatto visuale è quello che conta, personaggi come Rambo dopo il primo interessante (e lontanissimo nel tempo) capitolo, non hanno davvero niente da dire oltre che la favola del pugno duro, quello che infastidisce è il voler mascherare con un fasullo impegno politico/etico scene totalmente fini a se stesse, che possono andar bene per chi vuole uno spettacolo di questo tipo, ma per carità lasciamo onestamente da parte ogni altra velleità, rendendo e giustificando il vacuo vedere solo per quello che vale, un cercato personale appagamento del gusto per l'amore dell'action movie massacro filmico, che di aderenza con la realtà ne ha solo perchè riporta scene violente senza approfondirle e in maniera ripetitiva, in fondo se c'erano intenti reali ne bastava uno di quadro per scuotere la coscienza e non una mostra. Di fatto chi vuol assistere a Sly che non si rassegna al decadimento dell'età avrà pane per i suoi denti, ci sono combattimenti nella giungla furiosi, teste staccate, giugulari strappate con le mani, una esplosione apocalittica (senza esagerare nella definizione) con un gusto splatter smaccato e prepotente, dove il sangue sprizza a fiotti. Tra l'altro ovviamente si parla molto poco, e in maniera scontata come poche, John è mono espressivo come sempre (e come piace ai suoi fan) e quando l'adrenalina dell'azione manca ci troviamo di fronte a una pellicola a dir poco sconfortante , dove addirittura il granitico protagonista sembra più Hulk che altro, e obbedisce solo perchè c'è la dolce dottoressa (interpretata da Julie Benz, bionda e che è il massimo del candore) che gli ha toccato il cuore, valore di obbedienza decisionale tanto quanto dovuto solo al suo ex comandante venuto a chiedergli di fermare la sua furia nel primo episodio (“Sono venuto a proteggere voi da lui e non lui da voi”). Una fiera delle banalità oltremodo ingloriosa e infausta, completata dall'irriverente citazione di Apocalypse Now con il viaggio in barca sul fiume (che poi di sentirlo chiamare barcaiolo dagli altri mercenari fa davvero ridere)
Regista, sceneggiatore, protagonista, Sly davvero non sa più che fare per tirare alla fine questo combat movie privo di ironia e vera logica di esistere (che belli i tempi dell'onesto “Commando”) se non quello di tornare sulla scena con l'unica seconda cosa che sa davvero fare per farsi amare dal pubblico moderno, visto che i lodevoli tentativi del passato di disaffrancarsi dalle due icone sono naufragati miseramente. Inutile propinarci campi pieni di morte per scuotere le nostre coscienze quando tutto il contorno è privo di spessore, non abbiamo personaggi a cui affezionarci ma solo della carne da cannone da mettere sulla scena, affidando tutto a quanto sangue esce e senza minimamente accennare alle motivazioni che hanno portato a questa sanguinosa situazione, perdendo ogni connotazione di plusvalore.
In definitiva un film grande e grosso più del suo protagonista, pieno zeppo all'inverosimile di ripetizioni e banalità, da vedere con lo stomaco forte per le sue scene splatter, che alla fine colpisce solo alla sensibilità di gusto degli animi deboli ma non certo alle nostre coscienze intellettive.
Può anche andare bene così per chi cerca questo tipo di spettacoli fini a se stessi, entri e sai che vedi, la realizzazione tecnica è buona (un plauso anche agli stunt in questo senso oltre che a Sylvester per aver messo in competizione il suo fisico a 62 anni) ma per favore Sly, se dovessi dare un seguito a questo John Rambo preoccupati solo di accontentare i tuoi fan e lascia stare ogni altro discorso, l'onestà di fondo avrebbe appagato molto di più che la sbandierata elemosina di predica per darsi un tono inesistente.
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Sweeney Todd - Il Diabolico Barbiere Di Fleet Street
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Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street
(Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street)
Un film di Tim Burton. Con Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen, Laura Michelle Kelly, Timothy Spall, Anthony Stewart Head. Genere Musical, colore 116 minuti. - Produzione USA, Gran Bretagna 2007. - Distribuzione Warner Bros Italia
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Trama: Benjamin Barker è un barbiere vive la sua vita felicemente con moglie e figlia adorate, ma un giudice di laide ambizioni medita di rompere l'idillio familiare per conquistare la dolce sposa. Con l'inganno allontana e rinchiude il marito accusandolo di frodi non commesse. Dopo anni il barbiere, completamente cambiato nei connotati e carico di odio, riesce a tornare a Londra da uomo libero e medita vendetta. Ad aiutarlo una locandiera in disgrazia, e le lame da barba, cesellate in argento, e gelosamente custodite negli anni. Purtroppo viene a sapere della morte della adorata moglie e che la figlia è reclusa dallo stesso uomo che l'ha rovinato in una camera. E' il momento che il timido barbiere sparisca, entra in scena il pericoloso e demoniaco Sweeney Todd!
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Commento: il grandioso accoppiamento artistico Tim Burton (regista) e Johnny Deep (attore), al sesto film assieme, ci regala un nuovo grande appassionante film, tratto dall'opera teatrale di Stephen Sondheim e Hugh Callingham Wheeler, basato sulla sete di vendetta per sanare un grande torto subito. Ma si sa, il sangue chiama sangue e la spirale di odio rischia di travolgere chi l'ha innescata con ben altre intenzioni.
Coadiuvato dalla moglie di Burton, Helena Bonham Carter (che aveva fatto coppia con lui anche ne La fabbrica di Cioccolato), Johnny Deep, bravo come sempre, costruisce un personaggio carismatico e controverso, che si trasforma nel diabolico Sweeney Todd dopo essere stato un timido barbiere amante della dolce famiglia (grandioso il contrasto a colori flou contro il gotico scuro successivo).
La vendetta è un piatto che va gustato freddo, ma quando si aspetta troppo probabilmente non si riesce più a dosare la resistenza all'appetito, per cui la mano fondamentalmente buona e misurata viene superata dalla cieca furia senza limiti. E i pasticci di Miss Lovett (“I peggiori e i più disgustosi di Londra”) possono solo essere i giusti armadi dove nascondere gli scheletri di un animo ormai totalmente perso, privo di riferimenti e di speranze.
Burton è grandioso, come sempre, nel dare alle scenografie una terribile tinta gotica scuro opprimente, in linea e conforme con l'animo del personaggio che cambia ed evolve, gioca meravigliosamente, assistito da una fotografia superba, con personaggi che sembrano danzare macabramente più che recitare (e la connotazione canora da musical aiuta in questa otica, ovviamente per chi non lo sapesse il film è in gran parte canoramente vocalizzato con brani in inglese e ben sottotitolati in italiano senza sbavature). Anche attori del tutto in parti anomale come Sacha Baron Cohen (che fa un barbiere ciarlatano italiano, tutti lo ricordano per i dissacranti e grottescamente scanzonati personaggi di Borat ed AliG) sono ampiamente credibili, Jamie Campbell Bower (Il marinaio amico del barbiere prima che diventasse il crudele Todd) e Alan Rickman (il bieco giudice Turpin, ricordiamolo per il Severus Piton di harry potter) con Timothy Spall (il fido e laido messo, presente anche lui nella saga di Harry Potter, in Il prigioniero di Azbakan) fanno da perfette spalle alla coppia di conviventi senza scrupoli, rendendo l'horror musical dal chilometrico titolo uno spettacolo appagante, interessantissimo per lo sviluppo di ogni lato tecnico che propone e coinvolgente come pochi.
Tra l'altro Burton non dimentica di inserire uno spezzone onirico e scostato da tutto il resto (il pic nic sul prato) dove si cerca il lato della famiglia ormai perduto (Figlia diventato figlio e moglie sostituita) cercando di dare una speranza e un obbiettivo diverso da quello di una vendetta diventata un peso ormai insopportabile e che tarda ad arrivare. Si rimane stupefatti di come Deep canti con tanta grazia un testo tanto cosparso di nere sfumature, di come il color fumo di Londra (quanta cenere cosparsa su questa città derivata da tutte le nostre scure ansie) faccia da perfetta culla alla vicenda .
E anche una semplice sedia da barbiere può coltivare insieme a una pulizia del viso di fondo e di architettura di costruzione il più oscuro dei volti.
Le due ore di intimal/horror passano con uan velocità inaudita, siamo compressi e folgorati da quanto vediamo, il tempo scorre all'indietro tanto quanto si riduce la purezza dell'animo del protagonista, sperando in continuazione di vederlo resistere per allungare il nostro piacere nel poter godere di tanta artistica inventiva al servizio di una opera teatrale.
Carne trita, pasticci maleodoranti pieni di scarafaggi, abiti puliti e sgargianti indossati da persone malate nell'animo, tutto ci parla di come l'apparire non è mai come l'essere, ogni cosa prende una via riducente e trasformante con la semplicità e il candore di un volo di farfalla in sottofondo di note
luccicanti d'oscuro.
In definitiva uno spettacolo sublime, una ennesima grande lettura che un visionario del nostro tempo non manca di dare, sorretto dal suo perfetto attore feticcio in forma strepitosa e che senza paura affronta anche la prova recitativa del canto, calato in una realtà di fantasia diventata oggettivamente reale e credibile. Non è decisamente uno spettacolo che può essere nelle corde e nel gradimento di tutti, il genere musical non è mai stato amatissimo nel nostro paese, ma veramente perdere questo lavoro per una mancanza di confortevolezza delle abitudini filmiche è privarsi di un segno che la magia del cinema può dare, come è un peccato preoccuparsi se racconta una storia venata di rosso senza andare oltre i suoi significati interiori dell'animo contrastato che lotta per un valore a cui dare il giusto peso. Certo che dopo questa esperienza non sarà facile sedersi dal barbiere con la stessa tranquillità, ma sicuramente è stato meraviglioso sedersi sulle poltrone del cinema
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Non è un paese per vecchi (No country for old men)
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Non è un paese per vecchi
(No Country for Old Men)
Un film di Ethan Coen, Joel Coen. Con Tommy Lee Jones, Javier Bardem, Josh Brolin, Woody Harrelson, Kelly MacDonald, Garret Dillahunt, Tess Harper. Genere Thriller, colore 122 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Universal Pictures
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Trama: Llewelyn Moss è un onesto ex saldatore in pensione, amante della caccia e che vive tranquillo con la sua amata moglie. Un giorno si trova per caso di fronte a un regolamento di conti per via di una grossa consegna di eroina, dal quale scaturisce una strage che gli fa trovare una borsa con due milioni di dollari all'interno. Deciso a tenersi i soldi, anche se conscio dei pericoli, l'ex marine elabora un piano per poter occultare il tesoro. Ma non ha fatto i conti con un pazzo schizofrenico deciso anche lui a mettere le mani sul malloppo per assolvere al suo compito di killer ...
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Commento: Dal romanzo di Corman McCarthy. Grande attesa e probabile pioggia di Oscar per questo film dei fratelli Coen, i geniali cineasti che ci hanno dato autentiche perle del cinema come Il grande Lebowski oppure Arizona Junior, ma ci sono tanti altri film da loro girati che meriterebbero la citazione (non ultimo Mister Hula Hoop). Per questo noir/thriller/road movie ad alta tensione, hanno reclutato un trio di attori di grande spicco, una star ormai specializzata in ruoli intimisti e disillusi come Tommy Lee Jones che fa lo sceriffo esistenzialista(che con la Valle di Elah ha fornito una strepitosa interpretazione da Oscar), Josh Brolin (visto anche in Planet Terror) che fa il cacciatore onesto e buono d'animo che deve gestire l'occasione della vita, ma sopratutto lo strepitoso Javier Bardem (il grande protagonista di Mare dentro), Anton Chigurh, il lucido pazzoide che come un mastino è deciso a tutto pur di recuperare il grano e assolvere il suo compito.
Cinema di grandissima qualità questo dei Coen, come prevedibile i due fratelli abbinano grandi scenari aperti, scene thrilling di tensione, inventiva geniale e una spruzzata marcata di amarezza.
La trama ha il suo troncone principale in un lungo inseguimento tra due persone (Brolin e Bardem) che cercano di accaparrarsi il bottino ma sopratutto, nel caso del secondo, devono rispondere a una inesauribile sete di sangue e a un codice distorto e folle d'onore che prevede che il giudice della vita e della morte sia una moneta.
Armato di una bombola per sparare l'aria compressa utilizzata in ogni tipo di maniera, il personaggio dell'oscuro killer ("Il padre di tutte le carogne") è uno dei cattivi più luciferini e convincenti di tutti i tempi, arma totale e inarrestabile alla cui presenza le strade e gli alberghi si vuotano, nessun segno di vita oltre le sue vittime, la polizia non si vede praticamente mai al suo inseguimento diretto o in conflitto con lui, in zone dove si spara furiosamente nessun curioso mette il suo naso al di fuori delle finestre, come se fosse calata l'apocalisse o Satana direttamente.
Con occhi spenti ed espressione assente, Bardem tratteggia questo personaggio dalle poche parole e dalle morali folli in grande stile, donandoci una interpretazione a tutti i livelli perfetta nella sua semplice azione fisica (niente corse folli, niente sparatorie con balzi o salti da atleta).
Le scene sono gestite con grande maestria, si ha una impressione di oppressione totale come se le azioni del fuggiasco Moss siano sempre e solo delle brevi scappatoie, delle brevi soleggiate con la nera tempesta in arrivo, ma è anche vero che in fondo è l'unico avversario che il terribile antagonista rispetta.
Geniali nei loro manufatti artigianali sono anche le trovate di come il bottino viene nascosto o ritrovato, tecnologia statica in un valore di omaggio moderno (tra l'altro essendo ambientato nel 1980 non si vedono ovviamente cellulari o altre cose di questo tipo, è anche bello vedere le persone con i vecchi cari telefoni fissi in mano).
Il cinema dei Coen è un cinema di semplicità in una tecnica sopraffina, dove le cose avvengono nella maniera più inaspettata e straniante (vedi le armi usate, i conflitti a fuoco anomali e le indagini condotte dallo sceriffo quasi con apatica rassegnazione di un risultato fallace), donano allo spettatore una sorta di mancata tranquillità personale, anche perchè non c'è nessun dogma di cinema/sicurezza in ciò che vediamo, le istituzioni sono completamente assenti e sembra di essere in un far-west moderno dove i conti si regolano per le strade e la vita altrui presa con facilità.
Fotografia di grande impatto, trama a sezioni che si sviluppa in maniera perfetta, finale straniante e difficile che ci fa uscire dal cinema quasi insoddisfatti e incompleti, questa terra che non è un paese per vecchi (il titolo italiano una volta tanto è perfetto e corretto) ci fa capire che diventare anziani in un mondo tanto complesso e difficile non sarà davvero facile.
E' comunque cinema particolare e bisogna affrontarlo con la giusta preparazione di visione, ci sono lunghi momenti in cui la trama è statica, a volte i discorsi dello sceriffo sembrano delle chiacchere da saloon di vecchi annoiati e il finale multistrato è complesso, da interpretare post visione con la giusta filosofia di completamento di quanto abbiamo visto, e non è certo il pubblico di massa che può ritenerlo uno spettacolo di facile fruizione nonostante una durata non extralarge.
Dobbiamo comunque rimarcare che il cinema necessita come il sangue (scusate l'ironica frase) di questi prodotti d'autore, in quanto ci possono far capire che ci sono sempre artisti che in nome di un racconto atipico possono donare iconografie da trasportare nel tempo e non facili panacee scaccianoia. Non abbiate paura del rispetto dei dogmi del facile cinema (per esempio il personaggio di Woody Harrelson arriva quasi come una mosca a disturbare il duello tra i due contendenti che combattono privi di qualunque regia occulta, mentre invece lui fa il fattorino sistema conti a comando), abbiamo bisogno di inventiva e prospettive atipiche per toglierci di dosso la patina di esistenze qualunque in sale buie.
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Un uomo qualunque
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Regia : Frank Cappello
Cast Christian Slater, Elisha Cuthbert, Sascha Knopf, Jamison Jones, Michael Deluise, David Wells, Frankie Thorn, William h. Macy
Durata 01:35:00
Data di uscita Venerdì 22 Febbraio 2008
Generi Commedia, Drammatico
Distribuito da ONE MOVIE (2008)
Trama: Bob Maconel è il classico impiegato oppresso dai suoi colleghi e dai suoi capi, che vive una vita del tutto anonima in una casa con dei pesci e un televisore sempre fuori sintonia. Ridotto ormai alla disperazione più totale e senza speranze, prepara una pistola con sei colpi per fare una strage in ufficio. Ma un suo collega lo precede nell'atto da lui preparato, d'istinto Maconel lo uccide salvando la vita ad altre persone. Diviene un eroe, la vita improvvisamente per lui cambia completamente, ma la sua disperazione di base lo attanaglia comunque anche in un diverso contesto. Riuscirà a sopravvivere a quanto ha inaspettatamente conquistato?
Commento: Christian Slater (visto l'ultima volta in Bobby del 2007) è Bob Maconel, un impiegato con calvizie incipienti, occhialoni e baffetti, perennemente oppresso dal suo capo ufficio, che non viene minimamente considerato da nessuno e che vive in una casa qualunque parlando con dei pesci e con il televisore perennemente fuori sintonia. Medita da tempo una strage collettiva per vendicarsi dei continui sorprusi morali in ufficio, ma il giorno che decide di farla davvero un suo collega lo precede: d'istinto si trova ad ucciderlo e per tutti diviene un eroe. Questa terribile vicenda di mobbing che sfocia nella vendicativa follia viene girata da Frank Cappello (unica prova precedente con Fino alla fine del 1996 con un allora sconosciuto Russell Crowe) con diversi stili, parte dall'onirico (con il dialogo con i pesci, i primi piani sugli occhi della folle preparazione del piano poi non verificatosi), poi si concede alla commedia sentimentale (l'incontro con la splendida Elisha Cuthbert, famosa per essere stata la figlia di Jack Bauer di 24, e la sicurezza economica della scalata sociale), per virare nella tragedia (la fine delle illusioni, testimoniata e iconizzata dal televisore che dopo aver finalmente trasmesso pulito ritorna ad essere fuori sintonia) che chiude il film.
Il problema delle esplosioni di follia a seguito di oppressioni mentali/spirituali o di insoddisfazioni, è stato ampiamente trattato anche in altri film (ricordiamo anche Un giorno di ordinaria follia con Michael Douglas), ma la novità di questo caso è che il protagonista vive la vicenda allo specchio (vede l'altro fare quello che doveva fare lui), ne riceve benefici diventando carnefice dei suoi progetti, realizza dei sogni impossibili smettendo le folli azioni (parlare con i pesci rossi pensando che gli rispondono) e si reintegra nella società con una posizione di singolo inserito e non isolato (con la vicina che dopo 5 anni che vive lì lo considera un nuovo inquilino). E in mezzo una tenera sezione con una storia d'amore dovuta al fatto che una delle vittime, non uccisa e rimasta paralizzata tranne che dal collo in su, si ritrova in carrozzella e lo riempie di un nuovo istinto : quello di avere una ragione precisa di vivere.
Il dramma è mostrato con grande forza (risultato sorretto da un Christian Slater ispirato e volonteroso), ci si mette terribilmente nei panni di questo povero impiegato oppresso e si parteggia per lui, peccato che la presenza della stupenda ma evanescente Elisha Cuthbert, qua in versione mora, su una sedia a rotelle sia del tutto fuori di credibilità. Inferno, paradiso, inferno, il film sembra dirci che non ci sono delle vere possibilità di grandi e improvvisi scalate sociali in un mondo che vive di compromessi (i riferimenti al sesso in ufficio per ricevere promozioni sono continue e totali) per chi stava alle soglie, non si sa gestire il successo e tutto avviene solo per covenienza/conseguenza e non per rispetto, ci si ritrova a dover vivere credendo in chimere perdendo la luce della realtà.
E il salto verso il basso delle origini è a quel punto tremendo, impattante e ormai senza paracadute.
Saltato fuori da dove meno te lo aspetti, questo dramma umano lascia il segno perchè tratteggia le ipocrisie e le disperazioni in maniera chiara, senza giri di parole e colpisce nel segno (bello anche il personaggio interpretato da William H. Macy, il capufficio amante che parla senza peli sulla lingua quando gli conviene e accomodante quando gli conviene) dando un ritratto della disperazione davvero efficace.
Un plauso a Slater per questo personaggio che vive di folli percezioni, ma davvero un pollice verso per aver scelto il casting femminile solo in base alla bellezza (necessaria e funzionale al senso della storia) ma senza guardare minimamente alla bravura.
Senza questa grossa pecca che ne abbassa la qualità, e un centro film poco convincente anche per colpa sua, questo straniante prodotto di bassa distribuzione sarebbe stato non solo una buona alternativa di visione ma anche una valida proposizione completa. Ci sono le emozioni che dona un grande protagonista, una storia straniante e straziata, dei buoni concetti ben iconizati. Direi che le zone di soddisfazioni siano ampiamente presenti.
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Jumper
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Un film di Doug Liman. Con Hayden Christensen, Jamie Bell, Diane Lane, Samuel L. Jackson, Michael Rooker, Rachel Bilson, Max Thieriot, AnnaSophia Robb. Genere Avventura, colore 88 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione 20th Century Fox
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Trama: David Rice ha uno strano potere, riesce a trasferirsi da un luogo all'altro solo pensando a dove andare dopo aver visto la località in una foto. All'inizio il suo potere sembra una fortuna, gli permette di visitare luoghi esotici senza spese e perdite di tempo, ma dopo poco il sogno finisce perchè lui non è l'unico al mondo con questo dono e oltretutto una setta di fanatici da loro la caccia senza lasciargli scampo. Riuscirà il giovane a non coinvolgere la sua fidanzata nei guai in cui si è cacciato e a fare ogni volta il salto giusto?
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Commento: Heroes, la serie tv dall'esito di ascolti poco confortanti in Italia, che presentava vari supereroi confrontarsi tra di loro per sopravvivere o primeggiare, comincia a far proseliti al cinema, ispirando questo figlio degenere che a tutti gli effetti potrebbe essere uno spin off apocrifo (cioè "la presenza di un eroe estratto da" come nel gergo dei comics di carta, al cinema uno spin off potrebbe essere il film di Wolverine oppure quello di SIlver Surfer) dato che il suo protagonista ha un potere che ricorda tantissimo quello di uno di loro (Hiro, che oltre che nello spazio si muoveva nel tempo). Partendo da questo spunto principale, il regista Doug Liman (non un perfetto sconosciuto, dato che ha diretto Mr & Mrs Smith e The Bourne Identity) prende uno dei divi giovanili bello, dalla faccia pultia e ben rasata come Hayden Christensen (L'Anakin della nuova saga di Star Wars), lo mette contro a uno degli attori più decaduti di Hollywood come S.L.Jackson (oramai banalizzatosi a mille a furia di fare particine inutili, qui è in versione capello bianco e barba nera), ci infila una spruzzata di esotico e di storico nei paesaggi, e lo banalizza all'infinito con una serie di situazioni tutte uguali prive di qualunque attrattiva.
La produzione ha dovuto litigare molto per fare le riprese in Italia ambientate nel Colosseo, e purtroppo la ragione del vile denaro ha avuto partita vinta anche contro la preservazione di scenario incolpelvole, di uno spettacolo squallido di uno dei più bei capolavori storici della città eterna.
La trama: un ragazzo scopre di essere un "Jumper" dotato del potere di saltare dove vuole solo immaginando il posto di arrivo visualizzandolo in una foto, fa la bella vita per un po'di tempo mangiando anche panini sulla testa della Sfinge e ascoltando musica proprio lì, rapina banche materializzandosi nel caveau e poi tornando a casa con il bottino (con doveroso onesto biglietto"poi li ritorno", in fondo David è un bravo figlio Usa e lo fa solo per sollazzo, se questi poteri li ha li deve usare, capiamolo, ma come li possa poi ridare non si sa visto che potrebbe farlo solo poi rubando a qualcun altro). Però la festa dura poco, ci sono anche i cattivoni, i cosidetti paladini comandati da un crudele capo che li stermina con una trovata particolare a cui sono sensibili (anche i Jumper hano la loro kriptonite). Le cose si fanno difficili, e il nostro tenero eroe (con squittante insopportabile fidanzata al seguito) deve allearsi con un altro Jumper, lui scostante e solitario, ma molto più scafato di lui.
Banalità oltre ogni limite (si usa il Jump anche per spostarsi di mezzo metro), noia mostruosa (si salta un sacco di volte senza senso solo per arrivare in luoghi diversi per presentare un catalogo turistico di ambienti), trama insipida con cattivi da buttare al macero, non avendo altre possibilità il film gioca sul gigantesco ad ogni passo (oltre a se stesso il jumper può portare anche degli oggetti nelle cicatrici delle porte spazio che lo mandano in ognidove) dove io ti tiro un sasso e tu mi tiri una montagna.
Ne deriva per lo spettatore una sequela di sbadigli più lunga di quella dei salti, le locazioni (si va pure in Cecenia) tanto diverse quanto strettamente inutili, protagonisti da prendere a sberle (Jackson in primis).
Ci si veste alla moda, si rapina vestito da rapinatore anche se non si usano chiavi o attrezzi (non siamo così stupidi da non capire che atto sta facendo per doversi dare tale iconografia), le porte chiuse si aprono solo perchè lui va dall'altra parte del cancello (come se ci fosse uan chiave dentro), e si fa tutto nel nome della gioia del brufoloso adolescente che attende l'uso inutile e poco spettacolare del potere.
Si citano i Marvel Team Up (cioè l'uso di due eroi diversi nella stessa avventura in maniera occasionale) non pensando che la qualità di questi fumetti era davvero pessima (non come quella di questo film comunque).
Alla fine l'unico salto che facciamo degno di questo nome è quello dalla sedia per uscire il più velocemente dalla sala appena si accendono le luci. In definitiva un film che può piacere solo a un pubblico di adolescenti in giornata senza pretese in cerca di divertimento facile e di bassa lega, ma è talemnte banale che anche loro si troveranno soddisfatti solo perchè i pop corn sono stati saltati a dovere senza bisogno dei Jumper. Il film ha comunque un pregio: dura solo 88 minuti. Non sprecate tempo anche se è poco.
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Rec
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Cast Manuela Velasco, Pablo rosso Struz, Manuel Bronchud, Vicente Gil
Regia Jaume Balagueró, Paco Plaza
Sceneggiatura Jaume Balagueró, Paco Plaza
Durata 01:25:00
Data di uscita Venerdì 29 Febbraio 2008
Genere Horror
Distribuito da MEDIAFILM (2008)
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Trama: Angela Vidal è una giornalista dilettante che sembra aver trovato la sua grande esclusiva, mentre è con dei pompieri per fare un reportage, li segue in una trasferta che sembra di totale routine in un condominio. Invece appena entrati nel luogo entrano in contatto con una misteriosa minaccia che il governo sembra conoscere dato che prontamente circoscrive tutto l'abitato impedendo a chiunque di uscire. Intrappolati e con il terribile pericolo che li minaccia, Angela e il suo cameraman sono decisi a tutto pur di riprendere ogni cosa e darne testimonianza. Certo, prima bisogna anche sopravvivere ...
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Commento: Jaume Balagueró (qui con Paco Plaza in aiuto regia e sceneggiatura), autore spagnolo prolifico e specializzato nel cinema horror di varie destinazioni/direzioni, (titoli come Fragile, Nameless, Darkness sono suoi), si cimentano con la tecnica "povera" della ripresa diretta con camera a mano (come se si facesse un film amatoriale) resa famosa dal grande successo internazionale di The blair Witch project e rispolverata (con tanti soldi di budget) dal recente Cloverfield di JJ Abrams. In questo caso l'amatorialità è dichiarata da subito, con la trama che ci comunica che la giornalista di una tv locale (che sembra una liceale che sta facendo un film per il giornale della scuola, bionda e con treccine) contatta i pompieri per un reportage, partecipa a una loro apparentemente uscita banale, per poi essere presente con la sua camera a delle agghiaccianti scene dovute a una misteriosa minaccia che costringe il condominio e i suoi abitanti in uno stato di quarantena imposta dal governo, che impedisce a soccorsi e soccorritori di uscire all'aperto.
Assistiamo a un primo tempo come doveroso soporifero per farci conoscere i protagonisti della storia, poi dopo Balaguerò e Plaza agiscono di progressione e ci conducono man mano in una interessante paurosa storia condominio inside, intendendo con questo termine un microcosmo pauroso che per la sua circolare stretta ambientazione impedisce grandi fughe aumentando il senso di prigionia e impotenza, per poi letteralmente esplodere con uno dei finali più agghiacchianti che si siano mai visti negli ultimi tempi utilizzando un misto di lerciume, buio, sperimentazione e colpi di scena da far evitare assolutamente ai cardiopatici.
Davvero interessante come con l'utilizzo della camera a mano in presa diretta si possa esplorare le abitudini delle persone (le interviste sono al limite dell'ilarità e coinvolgono diverse etnie come quelle orientali, o inclinazioni diverse come quelle gay, o anziani che perdono la memoria, che parlano di stupidaggini mentre incombe la misteriosa infezione continuando a criticare gli altri condomini per le solite banali liti di convivenza, volendo globalizzare il mondo in una stanza, o meglio in un palazzo) e poi possa farci entrare dentro l'azione in maniera totale e completa, come se noi fossimo lì sul posto.
Ci sono delle ingenuità di base piccole nel dettaglio (si trova una chiave in pochi secondi in mezzo a un mazzo di cento, i condomini sono macchiette che possono contrastare con l'ambientazioen di pericolo poco caratterizzati attorialemnte) ma si perdono nell'ansia imperante del tutto amplificata dalla camera a mano.
Avvisiamo subito di non mangiare prima del film perchè la camera è a dir poco psicopatica nei movimenti nella parte iniziale, poi si rende meno nemica della visione appena si arriva nel condominio infestato, con dei movimenti ovviamente sempre veloci e frenetici (d'altronde pure il coraggioso uomo camera, che logicamente non si vede mai, deve salvarsi mentre riprende) ma più morbidi, si stabilizza intelligimente per dare respiro allo spettatore (con delle volte che viene appoggiata per terra facendo vedere solo dei piedi o con del buio totale in cui si sentono solo le voci) e poi dopo confortevolizza il tutto con delle inquadrature fisse che riprendono una scena circostanziata (per esempio quella del bagno, chissà perchè con sbarre a serranda e chiusura a chiave).
Ma ci preme parlarvi del finale: gli ultimi venti minuti circa sono a dir poco strepitosi, ricordando il cinema di Fulci e Bava (il grande Mario ovviamente) con le loro iconografie del terrore, dove un articolo di giornale ricordava potentemente cose seppellite nel tempo ma attualmente pericolose di maledizioni nostrane. Il volo del terrore spicca al diapason (dopo averlo lentamente bollito al fuoco), si fanno salti sulla sedia di paura e tutte le certezze/sicurezze della vita vengono a mancare a poco a poco (spazio/luce/percezione) dove il lercio, il marcio e lo sperimentativo da pazzia hanno il sopravvento. Non ci sono vere innovazioni filmiche in questa pellicola, tecniche e modi sono consueti e collaudati, ma la pellicola è valida sopratutto perchè non è mai conciliativa, non si preoccupa di usare anche i bambini o i disabili (qui poi il grasso è bello è usato in modo del tutto personale) o gli eroi, come se ci fosse una sorta di parimenti di giustizia nel voler dare a tutti il concetto che non ci sono personaggi invulnerabili perchè bisogna restare politicamente correct a tutti i costi.
Un horror film di grandissimo impatto emotivo che potrebbe far storcere il naso ai teen appassionati di innocue forti emozioni solo visive e non emotive (di fatto le peggiori), qui le armi usate per difendersi sono minime e minimali, c'è solo qualche colpo di pistola, nessun uso delle armi da taglio e solo delle mazzette sfondaporte usate dai pompieri che vengono nella disperazione buone per altri usi. Gli effetti sono del tutto artigianali come piacerebbe a Stivaletti & Co. o ai tempi dell'Argento furioso e glorioso, le ferite fatte con le tecniche del tempo che vale e non di quello che accomoda usando il computer, fa davvero bene al nostro senso dell'horror vedere piaghe che vengono perforate da siringhe oppure delle bocche sanguinolente old style.
In definitiva un film pauroso come pochi che ci inchioda nel finale, ma anche dalla grande progressione man mano che scorre, dalla corta durata per via della camera a mano in rispetto dello spettatore, dove il mistero ci attanaglia dandoci una grandiosa sensazione di impotenza. Speriamo ora che non ci sia la moda dei film con questa tecnica, per non rischiare una caduta di qualità nella serialità, certo che questo nuovo figlio spagnolo (che state sicuri verrà saccheggiato immondamente dagli Americani mettendo una attrice on spot al posto della sconosciuta Manuela Velasco, e magari senza handcam) è davvero pregno di grande impatto. Non perdetevelo ed evitate senza tema i leccalecca americani che diventano numero senza essere niente. E per precauzione, controllate che il tasto rec del ricordo sia funzionante, non meriterebbe davvero di essere accantonato in fretta per la frenesia di accumulare altro.
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Prospettive di un delitto
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(Vantage Point)
Un film di Pete Travis. Con Dennis Quaid, Matthew Fox, Forest Whitaker, Sigourney Weaver, William Hurt, Saïd Taghmaoui, Ayelet Zorer, Edgar Ramirez, Eduardo Noriega. Genere Thriller, colore 90 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Sony Pictures
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Trama: Durante un summit internazionale, a Salamanca in Spagna, sul terrorismo il presidente degli Stati Uniti viene ucciso in un attentato. La ricerca del colpevole procede secondo otto visioni diverse di vari personaggi presenti sul luogo che costruiscono ripartendo ogni volta dallo stesso punto con la loro storia personale la visione totale. Alla fine della ricostruzione diversificata potranno emergere delle pericolose versione ambigue ...
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Commento: Otto prospettive differenti per descrivere un unico avvenimento tragico. Un po' Lost con i suoi flahback e flashforward (e il protagonista di questo serial, Matthew Fox, il dottor Jack dell'isola non sembra davvero messo lì a caso) e un po' 24 (action in tempo determinato con azione serrata), questo lavoro del regista Pete Travis (al suo attivo solo Cold Feet del 1998) ci mostra cosa varia per la vita di ogni persona l'essere protagonista oppure spettatore di un tragico avvenimento, se poi l'avvenimento è il summa delle tragedie politiche come la vita troncata di un presidente (nel luogo e da parte di chi si vuole combattere organizzandosi con un Summit), anzi del presidente, visto che il grande William Hurt incarna la figura dell'uomo più potente del mondo che viene ucciso (nessuno spoiler in atto, la cosa avviene subito al primo momento) il tutto si amplifica all'infinito.
Il film riprende questo tragico fatto all'inizio, poi dopo utilizzando una specie di riavvolgimento visivo da videoregistratore ricomincia tutto dalle ore 12.00 in punto per varie volte.
Sigourney "Ripley" Weaver è la regista di una tv americana (chiamata GNN con ovvi riferimenti alla CNN) arrivata a Salamanca per riprendere l'avvenimento, che in cabina di comando vede gli avvenimenti con tante camere diverese (come parafrasi e contatto ideologico delle prospettive del film), Dennis Quaid è l'arcigno detective della sicurezza con un passato particolare che non si rassegna mai, il grande Forest Whitaker è il turista che filma con la sua videocamera le circostanze e i dintorni della tragedia in maniera amatoriale, Eduardo Noriega è il poliziotto spagnolo della sicurezza, infine Fox è il collega deciso e determinato di Quaid.
La narrazione ad andata e ritorno è serratissima e non concede tregua, ha delle sorprese di retroscena non scontate, e sopratutto procede chiara senza mai far andare fuori di testa lo spettatore per seguirla.
Gli inseguimenti in auto sono spettacolari, numerosi crash contraddistinguono il visivo (i soldi spesi non sono solo per il cast stellare) rendendo il pastiche politico/action coinvolgente oltre che roboante.
In mezzo ai professionisti della difesa e alle congiure (e ai ricordi oltre che dell'11 settembre anche dell'11 marzo spagnolo), ci sono le determinanti storie di piccoli uomini e cittadini comuni che si ritrovano ad essere protagonisti involontari dello scenario tragico. Davvero una strana commistione quella di vedere tecniche collaudate in televisione (ed eseguite comunque di base con gusto cinematografico come da insegnamento appreso ed eseguito da professionisti del cinema come Kiefer Sutherland) sul grande schermo, ma la cosa funziona perfettamente a livello dinamico e visivo.
Certo, siamo di fronte ad un ennesimo figlio dell'11 settembre, come del resto il contemporaneo Rendition in uscita nelle sale lo stesso giorno, ma stavolta non ci troviamo di fronte solo a un pallido unico sbandieramento dell'onore e della patria, tutto potrebbe essere connotatto come una indagine "Del chi è stato?" che per dargli una grande ridondanza (e richiamo) allarga di importanza e orizzonti i protagonisti, visualizzando tutte le prospettive e le visioni e non solo una unica. Il pubblico che si avvicina a questo prodotto non nuovo ma atipico (un esempio di formula c'era anche nel thriller/glamour Signori il delitto è servito, tratto dal gioco da tavolo Cluedo, anche se in chiave del tutto diversa) ha lo stimolante gioco delle diverse propsettive da sviluppare potendo verificare a mente aperta e in prima persona che l'attenzione del regista abbia collegato tutto per bene. D'altronde da sempre il pubblico vuole poter giocare mentalmente anche con ciò che vede, e qui il sintomo di gioco funziona perchè il film non è verboso e il ritmo indiavolato. Logica vuole che alla fine venga fuori L'American Way of Glory, Quaid incarna il classico americano che lotta senza mai arrendersi di fronte al nemico, che è furbo e determinato ("Questi americani si credono sempre un passo davanti agli altri") ma la cosa non viene a disturbare in quanto non abbiamo davvero il tempo di pensare dato il tornado continuo di avvenimenti.
Quello che si può rimarcare a questo film è la mancanza di un approfondimento (improponibile in simile intento di totale action intrattenimento) di qualche concetto sublimale non mansueto o consueto (in fondo vive di stereotipi).
In definitiva una pellicola dal grandissimo ritmo action non originale ma atipica, che soddisferà gli amanti di genere a sfondo politico (blandamente approfondito e grandemente gonfiato) ma anche l'occasionale spettatore che cerca solo stimolante divertimento puro facile da assimilare.
Gli obbiettivi sono questi e sono raggiunti con una cifra stilistica mediocre, se si vuole altro e di meglio sono settimane grasse di cinema e non è dura scegliere variazioni di profondità più marcate. Se vogliamo rilassarci senza rimpiangere il biglietto questo film è l'ideale, senza troppo badare a contenuti che non ci sono sulla sua conformità di cartellone mostrata e che poi non arriva.
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Rendition detenzione illegale
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Rendition - Detenzione illegale
(Rendition)
Un film di Gavin Hood. Con Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal, Meryl Streep, Alan Arkin, Peter Sarsgaard, Omar Metwally, Yigal Naor. Genere Thriller, colore 120 minuti. - Produzione USA, Sudafrica 2007. - Distribuzione Eagle Pictures
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Trama: La "extraordinary rendition" è la cosidetta presa in consegna speciale illegale di un cittadino Usa sospettato di terrorismo e deportato in un carcere segreto dove sotto tortura viene costretto a parlare.
E' quello che capita a uno stimato e ricco cittadino musulmano padre di famiglia e sposato con una donna americana, apparentemente inchiodato senza scampo da delle telefonate ricevute da un riconosciuto terrorista internazionale.
Disperatamente la moglie chiede aiuto per la sua liberazione credendo ciecamente nella onestà del marito, ma le sue invocazioni sembrane essere solo delle grida inutili verso i palazzi del potere. Intanto i terroristi islamici stanno elaborando un piano che prevede l'eliminazione fisica del crudele capo della polizia locale mediorientale, brutale torturatore al servizio degli Usa, se non che sua figlia ...
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Commento: Si può torturare un uomo fino a farlo confessare a forza? Questo Rendition-detenzione illegale prende spunto dal fatto vero che si possa per motivi di collegamento terroristico deportare e segregare per interrogarlo in odi più o meno leciti, sicuramente non mostrati, qualunque collaborazionista. Motivazioni e misure straordinarie, ovviamente post 11/09, che il governo Americano ha varato per rendere ancora più sicura e stabile una situazione diffiicle da gestire. Per quando riguarda la trama del film, il prigioniero è un cittadino Musulmano Americano di origini egizie affezionato padre di famiglia, Anwar El-Ibrahimi, (l'attore Omar Wetwally, bravo a sottoporsi a scene crude e violente), che delle telefonate inchiodano come collaborazionista (lui è un chimico e potrebbe aver agevolato la preparazione delle bombe per i kamikaze). Brutalizzato sotto gli occhi impotenti di un osservatore della Cia (Jake Gyllenhall, uno dei due cowboy gay di Brokeback Mountain), da un capo della polizia egizia cinico e torturatore, ha l'unica speranza di avere la moglie determinata a liberarlo (una strepitosa Reese Witherspoon, ormai matura attrice, dopo el prime innocue prove, che recita con il pancione e in maniera convincente) che si muove contro tutto e tutti nei palazzi del potere. Altra protagonista di questo bello e interessante film è Meryl Streep (deputata cinica a servizio della Cia dai sorrisi perfidi ed ironici, sempre molto sicura di se stessa).
Gavin Hood (il regista di Il mio nome è Totsi, premio oscar come miglior film straniero nel 2005) dirige una pellicola asciutta, priva di sbavature inutili che ci racconta di come è facile cadere nel tranello della grande retata per credere di compiere il più possibile opera di prevenzione contro il terrorismo, come dice la Streep nella sua frase emblematica "Meglio avere 7000 persone tranquille anche se ne paga una innocente", facendo una difesa di massa contro i diritti del singolo. Certo un ragionamento che nella salvaguardia di massa non fa una grinza, il problema viene quando qualcuno dei forse innocenti e creduti sicuri colpevoli sei tu, oppure un parente o un amico stretto di famiglia. La scelta e le decisioni del paese a quel punto non sono molto chiare. Altro figlio dell'11/09, abbiamo anche un aereo che sembra voler cozzare in volo contro la famosa stele della pace, ad icona e dimostrazione del riferimento.
Le difficoltà di agire con vera logica di ragionamento sparando nel mucchio, vengono elaborate con le scene in luoghi chiusi, bui (la prigione di tortura), dove le indagini sembrano sempre ad un punto fermo, mentre il marciume dei grandi poteri viene nascosto da palazzi luminosi e perfettamente scintillanti solo di facciata, dove la povera moglie disperata si muove come se fosse nel deserto.
Hollywood e il cinema in generale, da tempo non hanno più paura di parlare, e questa nuova polla di vergogna sommersa viene messa alla berlina tanto quanto l'arrogante comportamento del capo della polizia locale mediorientale dai metodi brutali, che si ritrova il calderone del fanatismo che porta al suicidio per la guerra santa, ma anche la figlia coinvolta che per amore non connota più le ragioni del giusto.
Ragioni di Stato, sentimenti, etica, una visione dei musulmani estremisti ma anche quella dei sani ed onesti, sono mostrate nel film, raggiungendo una vitalità particolare nel momento dei confronti personali tra i personaggi.
Non ci sono mai veri sorrisi lungo il cammino, ma solo ironiche frasi a dimostrazione del giusto come risposta, o terribili silenzi dopo domande che fanno una grande immensa paura.
Si cita Shakespears per difendere il concetto di umanità, si brutalizza il verbo con violenza ("Tu picchia tua moglie ogni giorno, tu non lo sai perchè lo fai ma lei si") per difendere la estorsione della presunta colpevolezza, ma alla fine i danni e le conseguenze di un atto di vigliaccheria fatto per la logica di una difesa della massa hanno conseguenze solo di umiliazione e non di risoluzione comunque, dove i mezzi non giustificano il fine.
Interessante vedere come i terroristi kamikaze sono manovrati da una mano crudele e molto più assassina della loro ("sono solo ragazzi" dice piangente una madre affranta che ha perso il figlio, che non è compiaciuta del gesto del figlio come la logica della follia da fanatismo potrebbe suggerire) sono il corollario di una storia sporca e dannata dove gli Usa si misurano con la loro recente difficile storia priva di eroismi e di grandi imprese che lavano la ferita da trasmettere al tempo futuro.
Non potranno mai giore le perosne coinvolte in tali fatti, non solo perchè non potranno dirlo a nessuno, perchè non danno relae soluzione, mentre anche i musulmani onesti dovranno vivere con il coltello fra i denti senza mai trovare serenità di comportamento anche nel nuovo status di emigrati riconosciuti.
Strepitosa la Whiterspoon, ottima la Streep (autentica ombra sulla vicenda e grande burattinaia di impatto) bravo Gyllenhall nei suoi sguardi persi, ma davvero valida la sezione mediorientale del film con le loro paure incarnate da un asino con il suo carico caduto che blocca la strada.
In definitiva un ottimo film di denuncia, asciutto e coinvolgente, con delle interpretazioni valide che soddisfa qualunque serata diversa da quelle di un innocuo intrattenimento, per parlare di uno degli aspetti sommersi delle conseguenze della tragedia che ha cambaito il volto del decennio.
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Persepolis
Persepolis
Un film di Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud. Genere Animazione, colore 95 minuti. - Produzione Francia, USA 2007. - Distribuzione Bim
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Trama:La vita autobiografica di Marjane Satrapi, tratta dal suo fumetto e trasposta in film sotto forma di cartone animato. Le paure, le difficoltà di una donna in cerca di libertà nella Teheran dai tempi della caduta dello Scià di Persia al rigido regime degli ayatollah. Tra privazioni del proprio gusto personale e difficili viaggi all’estero, Marjane cresce e si consapevolizza della condizione delle donne musulmane e di quanto è difficile viverne la condizione.
Commento: Acclamato all’ultimo festival di Cannes dove ha vinto il gran premio della giuria, arriva finalmente in Italia il film d’animazione di Marjane Satrapi che narra la sua vita nella Teheran del velo, del proibizionismo per le donne e della repressione del pensiero e delle libertà. Cresciuta in una famiglia progressista e quindi venuta a contatto con realtà diverse rispetto a quelle di altre sue coetanee, grazie a dei viaggi in Europa e una passione particolare per le letture e la musica occidentale, sviluppa un gusto proprio reazionario che la porta a scontrarsi con i pasdaran del governo venuti al potere dopo la caduta dello scià di Persia. Lì scopre che l’ideologia di libertà è totalmente fasulla dopo un iniziale stimolante momento di entusiasmo, accetta suo malgrado di tenere il chador (il velo islamico), poi durante la guerra tra Iran e Irak emigra in Austria dove conosce nuove persone ma incontra tante difficoltà per la disillusione di trovarsi in un posto diverso da quanto si aspettava. Il ritorno in Iran dopo una cocente delusione d’amore corrisponde alla sua piena maturità e presa di posizione, conscia ormai di tutti gli sbagli commessi dal suo paese nel gestire la comunità femminile e il potere.
Alla fine, meno male che dopo inammissibili ritardi questo bel film viene distribuito dalla Bim nelle sale italiane.
Sarebbe stato un vero peccato perderselo per colpa della miopia del mercato cinematografico italiano, teso a promuovere e mettere in vetrina solo prodotti di facile richiamo e vacuo impegno.
Marjane Satrapi dirige (traendolo dal suo fumetto), coadiuvata da Vincent Paronnaud, con uno stile di animazione molto particolare, con i personaggi 2d che sono derivati dalla tecnica quasi underground del disegno schizzato e semplice, con giochi perfetti di luci ed ombre, lontano dagli scintillii del 3d, quasi totalmente in bianco e nero e solo con sprazzi di colore quando si è fuori dalla narrazione passata, stile completamente ideale per la tipologia di storia che viene mostrata sullo schermo.
La storia di questa ragazzina (poi donna) anticonformista che indossa il velo, scarpe nike e una scritta “Punk is not ded” ascoltando i Bee Gees e la musica Metal Rock, per trovare nella piena maturità sulle note di Eye of the Tiger le sue connotazioni complete, è davvero penetrante, ci appassiona e ci lascia stupiti di trovare una realtà tanto difficile per il nostro gusto occidentale, che conoscevamo sicuramente ma che forse non abbiamo mai davvero soppesato a dovere, in quanto pensavamo magari che le donne iraniane non si ponessero il problema di come esternare dei gusti occidentali in quanto non si preoccupavano di conoscerli neppure. L’incredibile è che a un certo punto del film, vedendola tanto emancipata e sofferente, pensiamo che se Marjane riuscisse ad arrivare in Europa o in America trovava la sua felicità, invece la regista ci racconta che non è proprio così, in quanto in fondo i problemi, anche se ben diversi, da affrontare ci sono lo stesso, solo che non c’è nessuno che ti impedisce di gestire il tuo look oppure la tua camminata per strada (“non deve correre così ancheggia troppo” gli dice il pasdaran “e allora non guardate le mie chiappe!” risponde lei).
In Europa l’odio o l’invidia come la dabbenaggine sono uguali nel privare anche se si manifestano in forma diversa, dove l’amore per l’arte è una scusa per farsi uno spinello, come il fatto che la padrona di casa in Austria è grezza e insofferente verso ogni sua necessità. E quando poi crolla per la disillusione di un amore tradito, sembra che tutti i grandi sogni che poteva realizzare fuori dalla sua Teheran vengano spazzati senza nessuna pietà su delle panchine che la ospitano in mnaiera inadeguata.
Sembra quasi che il dover fare le cose in sotterranea in Iran (le piccole feste proibite come i ritrovi illegali) renda il tutto più vero in quanto si è tutti uniti nelle difficoltà, mentre la libertà totale rimanda a delle cognizioni meno concrete che fanno vivere le emozioni in maniera leggera e poco personale, parlando della guerra come un avvenimento fico o delle lotte ideologiche per nulla studiate e capite come una sorta di icona rock (come dimostrato dagli annoiati amici che si lamentano di passare il natale in famiglia, proprio in faccia a lei che adora i suoi genitori liberali).
Molto importante il personaggio della nonna, moderno e ispiratorio, che dimostra come la radice di pensiero delle donne iraniane anche di un altra generazione, abbia vissuto non solo il desiderio di non obbedire alla severa legge islamica (parla del chador come di una sorta di maschera claustrofobica, porta perle e ha sempre una acconciatura ricercata) ma anche di cercare un senso a quanto sono obbligate a fare senza trovarlo. Emblematica la scena del respiro del mare.
Da sottolineare anche le scene nell‘istituto d‘arte, dove una modella completamente coperta da lunghe vesti che sembra una pera tutta uguale da qualunque punto la guardi, mancanza di forme ed elementi visivi, impedendo ogni sviluppo di studio. E la ribellione contro questa privazione del mostrarsi che avviene successivamente, dove i maschi invece possono permettersi qualunque cosa, uno dei discorsi più belli sulla libertà di espressione personale.
Un film come si intuisce composito e disilluso, dallo stile anticonformista nel mostrarsi al pubblico (e non poteva essere diversamente) che non deve essere visto come un passatempo, ma che non è per nulla criptico, difficile o che parla per enigmi. Il messaggio è chiarissimo, parte e arriva diretto e completo, permettendosi di divagare a volte nelle forme e nelle espressioni dalla sua oscurità di base (dovuta alle scene di repressione o di privazione in Iran).
La versione italiana purtroppo ha la voce completamente inadatta di Paola Cortellesi (in quella francese abbiamo Chiara Mastroianni e Catherine Deneuve), troppo carica, eccessivamente squillante per il tipo di racconto, anche se dobbiamo ammettere che l’ideale sarebbe vederlo in lingua originale (magari con la Satrapi stessa che parla) con i sottotitoli.
In definitiva un gran bel film, per pensare e riflettere senza scorticarsi il cervello, su quanto possa essere difficile convivere con le difficoltà di tenersi pensieri e stili di vita dentro un vestito che non vuoi portare.
E, soprattutto, che non basta cambiare locazione geografica per risolvere tutto, in quanto anche se la possibilità di espressione è più libera, bisogna sempre sapersi gestire a dovere in quanto maggiore è la consapevolezza che ci sono minori problemi di sopravvivenza, più facile è il dover guardarsi da chiunque in quanto possono e vogliono prendersi anche quello che non t‘aspetti per puro divertimento oppure crudeltà, privandosi di ogni ideologia, in modo peggiore di chi ti toglie la libertà ma almeno te lo dice e ti da i rigidi parametri di riferimento
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La rabbia
Un film di Louis Nero. Con Franco Nero, Níco Rogner, Giorgio Albertazzi, Tinto Brass, Lou Castel, Arnoldo Foà, Philippe Leroy, Corso Salani, Corin Redgrave, Faye Dunaway. Genere Drammatico, colore 104 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Altro Film
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Trama: Un cineasta di grandi speranze e aspirazioni artistiche marcate, cerca di fare un film non allineato e molto personale, ma nessuno dei produttori che incontra, tutti diversi tra loro, compreso uno hard, gli vuole concedere il budget per realizzarlo. Caduto in una forte forma di malinconia, perde qualunque fiducia nell'arte e decide di dedicarsi a cose più redditizie e facili come rapinare banche, ma occhi occulti lo stanno giudicando senza pietà ...
Commento: Louis Nero è uno dei registi più difficili e criptici che la cinematografia odierna propone, ed è quasi incredibile che questa contorta e velleitaria pellicola sia arrivata nelle sale (e potete scommeterci che ci starà ben poco per i motivi che andremo ad elencare di seguito). Autore di tre film completamente scevri di qualunque logica di soddisfazione del grande pubblico, arditissimi e di completa sperimentazione, a soli 31 anni è colui che ha realizzato un film di 123 minuti composto da un unico pianosequenza (Pianosequenza, per l'appunto), uno sulla follia e le allucinazioni in un ospedale (Hans, del 2005) e uno nientemeno che sul Golem in una visione completamente personalizzata. In questo La rabbia (con presente il suo mentore coproduttore che lo ha praticamente adottato e dallo stesso cognome, Franco Nero, senza di lui probabilmente questi arditi sperimentalismi a basso costo non ci sarebbero stati) si narra in forma iconoclasta di un autore di cinema che prepara una sceneggiatura di grande impatto e brillantezza (non sapremo mai quale fosse, magari quella del film che stiamo vedendo) ma che nessuno vuole far diventare un film vero e proprio. Felliniano nell'inizio e in molti segni del proseguio, tutta la scena è completamente oscura, i personaggi di contorno sono praticamente immobili mentre lo sperduto e fiduciato protagonista si muove in piazze deserte e scenografie scarne e dalle inesistenti strutture, prive di ogni orpello, le musiche sono praticamente assenti e tutto è affidato alla parola. Si parla fuori campo del film (due autori lo stanno scrivendo con una vecchia macchina a nastro?) e a un certo punto il protagonista parla con il pubblico, appaiono man mano delle figure che danno grandi verità difficili da interpretare (uno spazzino, un orientale e altri figuranti smorti e privi di vita) mentre la ricerca spasmodica della porta giusta nella spiaggia grigia e deserta (ovviamente in forma allucinatoria e onirica) testimonia la difficoltà di trovare la persona giusta. Alla fine appare anche il grande saggio (un cane), mentre il mentore che dava coraggio (Franco Nero) si rifugia nel bere per la disperazione di non trovare una collocazione alla sceneggiatura da parte del suo pupillo. Incredibile ma vero il cast (anche se sono cammei più o meno corti) è di volti noti. Vediamo apparire Giorgio Albertazzi (che bello risentire la sua strepitosa voce), Faye Dunaway (splendida per la sua età), Philippe Leroy, Arnoldo Foà e Lou Castel.
Inutile dire che Nero (Luis) si immedesima nel giovane di belle speranze, citando tra l'altro il suo lavoro in totale Pianosequenza come cosa non funzionante e rifiutata, la Rabbia del titolo è proprio per il fatto di vedere le sue opere tanto impegnate completamente snobbate da tutti e dal cinema in generale, sinonimo di un decadimento autoriale, tutto teso a nutrirsi di facili placebi. Favolosa a questo proposito la battuta di Tinto Brass (in uno dei pochi momenti completamente colorati del film) che mentre palpeggia la porno starletta sulle ginocchia gli dice che le poesie si possono anche recitare, basta farlo mostrando un bel sedere, come il produttore che gli dice di togliere il pezzo dello spazzino solo perchè appesantisce la trama anche se valido di discorsi.
Certo che sottoporsi a tali e tanti sperimentalismi statici (durata del film 104 minuti) è un impresa che richiede una preparazione fisica e mentale particolare, il messaggio alla fine viene dato, ma è di una assimilazione durissima, disperso nelle pieghe di un avvilente compiacimento nel discorrere lento e monotono, nel togliere ogni traccia di vita a tutti i costi come se la sensazione di morte imminente (del cinema) sia sempre presente. Dopo un po' lo spettatore si trova di fronte a una pellicola tanto lontana da tutti i canoni di cinema da poterla apprezzare solo se dedito a studi della scuola di cinema del Dams (stessa di Nero), locazione dove sarebbe dovuta rimanere per approfondimento e apprezzamento guidato, vuole solo alzarsi a tutti i costi (vi assicuro che ho visto molti dei miei compagni di sala farlo) e lasciare questo grido di dolore nel deserto della sua criptica proposizione.
Gli intenti possono anche essere buoni, ma se ci ragionamo bene questo film era più interagibile come trasmissione radiofonica, di fatto chiudendo gli occhi e ascoltando solo i flemmatici discorsi pesantissimi si riesce a interpretarlo meglio, dargli la giusta connotazione di verbo in quanto il visivo è solo un pastrocchio di dettami cinematografici figli della pittura di Magritte e dell'ispirazione priva di gagliarda simbolica poesia di Fellini e delle commedie povere di Bertolt Brecht. Consigliamo a Nero per il suo prossimo sperimentalismo cinematografico una pellicola completamente con inquadratura fissa di circa due ore sulla sala di cinema dove si proietta un suo film per rendersi conto di come proporsi su larga scala con pellicole tanto ardite, ma fondamentalmente vuote, non abbia nessun senso.
In definitiva un film impossibile da vedere se non in una ottica di studio cinematografico sperimentalista, difficilissimo da mandare giù per le sue immagini statiche e completamente inerti, per i suoi verbosissimi discorsi separati tra loro, dove l'interazione con lo spettatore è catatonica e non abbandona mai le tinte fosche. Il messaggio c'è, il fatto di starlo a sentire per intero un impresa davvero ardua, nonostante i bei nomi conivolti nelle riprese, e la tanta e troppa aurea di pessimismo (nel finale poi i due autori alla macchina da scrivere spiegano perchè evitare o dare l'happy end, in modo logicamente pacato e senza la minima emozione) unita a una troppa sicurezza del regista di dare il messaggio giusto proponendosi come unico portatore del vero verbo cinema, ci portano a desiderare di non essere mai entrati in sala e lasciare il regista solo con le sue masturbazioni mentali da filosofo disilluso di possedere un'arte che non lo capisce.
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Il mattino ha l'oro in bocca
Un film di Francesco Patierno. Con Elio Germano, Laura Chiatti, Martina Stella, Carlo Monni, Raffaella Lebboroni, Fiorenza Pieri, Gianmarco Tognazzi, Umberto Orsini, Gerardo Amato, Pietro Fornaciari, Francesco Casisa, Corrado Fortuna, Dario Vergassola, Donato Placido. Genere Commedia, colore 100 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Medusa
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Trama: La storia di Marco Baldini, a cavallo tra gli anni '80 e '90, fiorentino emigrato a Milano per fare il commentatore a Radio Deejay, dove tra alterne fortune trova il successo nel lavoro. Purtroppo Baldini ha un terribile vizio, quello del gioco e delle scommesse, in particolare quelle legate alle corse dei cavalli. Paradossalmente il successo in radio gli arride tanto quanto aumentano i debiti, costringendolo ad affidarsi agli usurai. Riuscirà ad uscire da questo circolo vizioso senza ricadere nelle ire di chi pretende il pagamento di lucrosi interessi ?
Commento: Seconda regia per Francesco Patierno (dopo Pater familias del 2003), che dal romanzo autobiografico di Marco Baldini estrae un film sulla insicurezza delle persone nel sapersi gestire nei momenti migliori, di disaffrancarsi dalla loro vita d'azzardi per riprendere coraggio e dignità. Omaggio della Stangata (e citata nella pellicola, la frase scritta fino all'ossessione da Jack Nicholson in Shining, almeno per come è messa nella edizione italiana del film di Kubrick, non c'entra nulla, il titolo allude al fatto che Baldini ha guadagnato un sacco di soldi facendo il commentatore radiofonico alle 7 del mattino), racconta la vita di un ragazzo fiorentino di belle speranze come Marco (Elio Germano, buon caratterista dopo la prova al fianco di Scamarcio con Mio fratello è figlio unico) che fa le prime prove in una radio locale Toscana, per poi essere notato ed emigrare a Milano alla corte di Radio Deejay, ad alta diffusione nazionale, dove viene apprezzato, lautamente pagato e può rimpinzare il portafogli ... di usurai ed allibratori. Infatti Baldini ha un terribile vizio compulsivo per il gioco, per le corse di cavalli e il poker, che lo porta praticamente alla rovina. Dovrà chiedere aiuto a chiunque per cercare di uscirne (con scarsi risultati) mentre paradossalmente il suo successo cresce tanto quanto la sua disperazione.
Chi si avvicina a questo film cercando uno spaccato musicale del periodo (fine anni 80, inizi '90) resterà ampiamente deluso, tutto è concentrato sulla storia dell'uomo disperso e corroso, che ha in se però una sorta di dono per parlare stupendamente in un microfono. Ci sono ovviamente delle note del periodo, però non è minimamente esplorato nulla, non ci sono aneddoti di giudizio detti da qualche figurante, delle perspicaci elaborazioni musicali. Il personaggio Baldini il suo lavoro lo propone solo per mostrare come riesce ad essere convincente parlando nel microfono "on air", non con la musica ma con le battute, e con le buone presentazioni di situazione da discutere.
Passano quasi inosservate le presenze femminili di Martina Stella (la fidanzata insofferente e lamentona) e della mocciana Laura Chiatti (l'impiegata comprensiva dell'ufficio delle corse dei cavalli che vuole toglielrlo dai guai), tanto quanto ci si concentra su Germano, che arriva anche a fare la voce fuori campo per precisare meglio alcuni concetti e situazioni. Come si può capire non certo un lavoro originalissimo, dove le difficoltà filmica sono legate all'evitare bloopers temporali (e uno c'è evidente, un francobollo di posta prioritaria inquadrato proprio in primo piano) come macchine con targhe europee e altro di simile (si rivedono le care vecchie lire, i telefoni bianchi e le cabine telefoniche). In questo senso il lavoro è sufficente, ci si immedesima abbastanza bene nell'età di quasi venti anni fa circa, e il nome di radio Deejay per i trenta/quarantenni è evocativo, però la mancata introspezione oltre la vicenda base, alcune forzature di racconto poco convincenti (l'incontro con la Chiatti per esempio) e dei personaggi macchietta non proprio riuscitissimi (come il compagno di trasmissione grezzo Rosario, detto per l'appunto l'animale) rendono il tutto abbastanza vacuo e con poche prospettive di angolazione di racconto. Tra l'altro viene citata una fobia davvero assurda, quella di non riuscire a dormire con in camera qualcuno, per cui Baldini non può stare coricato nelle braccia di Morfeo con fidanzate o mogli.
La situazione dopo un po' diviene monotona e ripetitiva, il giro di cose sempre più stretto (guadagno, perdo il doppio, guadagno e perdo il triplo) e lo spettatore incomincia ad annoiarsi in attesa di collegare l'inizio con il finale (tutto è visto come un lunghissimo flah-back), perdendo in un certo senso anche la eventuale voglia di attendere la mossa risolutiva per uscire dal gorgo degli affari d'azzardo.
Mancando l'introspezione e i retroscena del periodo legando storia singolo con aspetti di crescita esterni, il lavoro risulta certamente scorrevole per la sua blanda trma non tortuosa, ma davvero vuoto di particolare interesse, tenendo conto che, senza offendere Baldini, non si sta parlando di un personaggio enigmatico o carismatico, ma di un uomo qualunque dalla doppia vita non certo con aspetti esaltanti o affascinanti da raccontare, per cui lo spettatore non ha veri appigli a cui affezionarsi.
Tra i personaggi di contorno troviamo Donato Placido (facile confonderlo con Michele, i tratti sono praticamente identici), Dario Vergassola (il Big Boss della radio) e Gianmarco Tognazzi.
In definitiva un film di per se abbastanza scialbo e inutile, pochissimo profondo e troppo lineare, privo di originalità, con delle recitazioni men che mediocri (escludendo il protagonista sufficente), teso totalmente a riportare una biografia personale che non eravamo certo in pena di attendere, e dove i momenti di disperazione sono quasi allegramente superati da un entrata nella esazione delle scommesse ippiche, con il messaggio che non si impara mai dai propri errori.
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Cenerentola e gli 007 nani
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Cenerentola e gli 007 nani
(Happily n'Ever After)
Un film di Paul J. Bolger, Yvette Kaplan. Genere Animazione, colore 87 minuti. - Produzione USA, Germania 2007. - Distribuzione DNC - [Uscita nelle sale venerdì 7 marzo 2008]
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Trama: La matrigna di Cenerentola si impossessa dello scettro del potere che governa le favole e che ne può alterare gli equilibri, sconvolgendo tutte le trame uguali da anni e alterandone i finali felici. Toccherà a un lavapiatti e ad Ella (diminutivo di Cinderella) mettere le cose al posto giusto sconfiggendo la cattiva matrigna.
Ma un esercito di cattivi è stato chiamato a difendere il nuovo oscuro ordine di cose, con tanti nemici riusciranno nell'impresa i due eroi ? Tra l'altro il primcipe azzurro non è per nulla utile ...
Commento: Dopo i tre Shrek arriva un nuovo cartone irriverente verso le favole, guarda caso dai produttori dei primi due capitoli della saga dell'orco verde. Questo nuovo prodotto 3d (il primo del genere che arriva dalla Germania) concentra le sue attenzioni su questo assunto : cosa succederebbe se la bilancia dell'equilibrio delle favole andasse verso il lato oscuro (iconizzato da una luna) ? Di fatto esiste un libro che scorre all'infinito raccontando le storie sempre uguali, e una bilancia con un ago che deve stare sempre in mezzo. Quando il mago guardiano si reca a giocare a golf per un periodo di ferie, i due sciagurati aiutanti (che sembrano tratti da Pumba e Timon del Re Leone) non sanno contrastare la matrigna cattiva, e tutto il mondo delle favole va in subbuglio. Un manipolo di eroi dovrà riportare tutto alla normalità.
Lavoro che cita e prende in nuova prospettiva varie storie, oltre che a Cenerentola, (Cinderella, infatti la protagonista si chiama Ella) abbiamo la bella addormentata nel bosco, Biancaneve, da cui i nani del titolo italiano, (che ovviamente storpia in toto quello originale, Happily n'Ever After, "la felicità non sempre arriva", riferendosi alla nuova prospettiva dei mancati Happy End), visti come dei marines in tenuta da combattimento nanesco, Raperonzolo e altre ancora.
Nulla di nuovo purtroppo sotto il sole di questo film, le situazioni che presenta sono figlie di tanti altri cartoni già visti (come non pensare a Mago Merlino Disney della Spada nella roccia vedendo partire il capo guardiano?) e la trama non è poi così interessante, si muove veloce e senza arresti di ritmo, ma abbastanza prevedibile, con la scontata alleanza del povero lavapiatti (e qui si potrebbe ancora pensare a Semola del film Disney citato sopra ) e la bella.
L'unico personaggio davvero ben caratterizzato e che fornisce qualche interessante dato statistico da riportare è il vanaglorioso e narcisista principe azzurro (già messo alla berlina dagli Shrek dove fa il cattivo) che è più preoccupato della sorte del suo ciuffo biondo che di quella del paese delle favole, immobile nel pensiero fino al punto di non fare nulla se non l'ha letto nel suo libro-manuale del principe azzurro. Tra l'altro la versione italiana ha dalla sua che è doppiato stupendamente dal grande Luca Ward, che si deve essere divertito un sacco a dare quelle connotazioni frivole alla sua calda vocalizzazione. La versione imbelle dell'eroe (insieme a quella dell'addormentato de La bella) è un concentrato di spasso e di parole inutili gettate al vento senza coraggio, dove la spalla alla fine prende il sopravvento.
Davvero comunque troppo poco per un film si formale e corretto, ma purtroppo che non lascia nessun vero segno.
In definitiva un film gradevole me semplice, di fantasia limitata (contrariamente al suo indirizzo favolistico di connotazione da cui prende spunto) e indirizzato a un pubblico di famiglie con bimbi in età prepuberale, con valore di animazione nella fascia medio/bassa dei prodotti 3d ma tutt'altro che esaltante, per uno spettacolo sicuro e tranquillo a favore dei piccoli ma che deluderà per mancanza di spudoratezza (che contraddistingueva gli Shrek) chiunque abbia collezionato qualche anno in più nella sua vita. Non alzatevi subito alla fine del film, c'è un ending-scene sui titoli di coda.
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Grande grosso e ... verdone
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Cast Annamaria Torniai, Marco Minetti, Carlo Verdone, Claudia Gerini, Geppi Cucciari, Eva Riccobono, Roberto Farnesi
Regia Carlo Verdone
Sceneggiatura Carlo Verdone, Pasquale Plastino
Durata 02:11:00
Data di uscita Venerdì 7 Marzo 2008
Generi Commedia, Comico
Distribuito da FILMAURO
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Trama: Tre storie diverse non colelgate interpretate da Carlo Verdone per raccontare di tre uomini totalmente lontani uno dall'altro. Nella prima un boy scout romano sposato con una donna sarda deve affrontare il funerale della anziana madre, nella seconda un professore rigido e insopportabile insegna come si conquistano le donne, nella terza un cafone presuntuoso in vacanza cerca di conquistare una donna a taormina, con la moglie che sembra volergli rendere pan per focaccia tradendolo con una sua vecchia fiamma che ha partecipato a uno show televisivo ...
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Commento: Carlo Verdone quando nel 1981 faceva Bianco, rosso e verdone, per omaggiare il tricolore, ci teneva a dire che la v era minuscola e non significava necessariamente il collegamento a lui. In questa riproposizione ad episodi (tre sempre tre) dopo 27 anni la cosa sempre non essere più minimamente importante, dato che alla quarta volta cinematografica (contando anche un Sacco Bello e Viaggi di nozze) che si ripercorrono più o meno le stesse strade con piccole variazioni di tono, i problemi vanno ben oltre al titolo. Nella prima storia vediamo come un attempato boy scout (Verdone), sposato con una boy scout conosciuta ad un campo di addestarmento (Geppi Cucciari, nota per Zelig), abbia un sacco poco bello di problemi a portare alla sepoltura la madre improvvisamente venuta a mancare, con il fratello in Australia che ha strani motivi per non tornare subito. Episodio esilissimo questo del cosidetto "Candido", dove le situazioni sono tutte nei battibecchi con il cinico gestore delle pompe funebri. Strade consunte della risata, come quella del funerale macabramente ironico e grottesco, che fatte alla romanaccia e non all'inglese non sanno di nulla. L'episodio finisce senza un minimo di vera capacità di essere divertente e convincente nel suo svolgersi, oltretutto la parlata "strana" dei due figli non ha il minimo senso.
Il secondo episodio è il più interessante dei 3, nel quale un professore (che con i suoi comportamenti pesanti e cervellotici rende la vita impossibile al figlio) deve cercare di soddisfare un personale intenso appetito sessuale e contemporaneamente far incontrare le gioie del sesso al figlio, timido pianista impacciato. Trovata la ragazza adatta, tenera e dolce, ben presto capiremo come mai le tre mogli dell'uomo sono morte prematuramente. Episodio più variegato, recitato molto bene da macchietta (tipo quando fa la camminata con il saltello) e con delle espressioni maggiormente significative, questo divertente siparietto ha dalla sua di mettere anche qualche ambiente inconsueto per un simile film (si vedono anche le catacombe) e di proporre delle spalle a Verdone maggiormente introdotte e sviluppate rispetto al primo episodio.
Nel terzo episodio arrivano le donne, il sesso che attira e la cafonerie. Verdone e la Gerini sono una coppia in crisi con figlio, totalmente coatti e grezzi, che vanno in vacanza a Taormina cercando di ristabilire tra loro un collocquio e un rapporto, visto che ormai il figlio parla con loro solo a cartellini colorati. In questo episodio esplodono i corpi della Gerini (davvero in grande spolvero fisico) e della modella Eva Riccobono, ma la narrazione si appiattisce nelle situazioni più insulse che si potevano ideare, con una lungaggine senza senso e con delle trovate scontatissime, non si ride davvero di gusto e si hanno delle imbarazzanti presenze visive (come quella di Roberto Farnesi che è reduce dallo show "L'isola dei primitivi") oltre che a un continuo cercare di ridurre i vestiti delle due attrici.
Il film è grande e grosso, ma di durata, 131 minuti sono davvero troppi per dire tanto poco e alla fine è facile stancarsi cercando di arrivare alla parola fine. Parafrasando l'operato di Stallone che sembra possa fare solo Rocky o Rambo, anche il suo collega di chiusura di cognome, Verdone, abbia solo l'opportunità di avere pubblico solo ripetendosi all'infinito con le sue macchiette sviluppate decenni addietro. Un brutto passo indietro per il pupillo di Alberto Sordi, che ci propone nomi nuovi (oppure ci fa vedere lo sviluppo del futuro di alcuni, come Leo il vacanziere di Ladispoli che si è sposato con al macomeriana Tecla) per i suoi personaggi con situazioni vecchie e comportamenti uguali.
In definitiva un film davvero povero, monotono che cerca di attirare con il grottesco macabro, il pedante filosofico, il sensuale preponderante di sederi e seni modellati, ma che alla fine è solo aria fritta, che dimostra la stanchezza di un autore che senza vere idee ingrandisce e ripropone cose davvero troppo limitate per prendere nuova logica di esistere. E la durata eccessiva lo rende ancora più indigesto.
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a marsè ma sei sempre al cinema?......beato tu
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bhe la scorsa settimana poco, erano solo due. eh si ... sta settimana ce vivo. son 6 ... ecco il primo ... (orrendo pure)
Tutti i numeri del sesso
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Cast Simon Baker, Winona Ryder, Leslie Bibb, Robert Wisdom, Patton Oswalt, Mindy Cohn, Dash Mihok, Neil Flynn, Thom Bishops
Regia Daniel Waters
Sceneggiatura Daniel Waters
Durata 01:42:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Commedia, Drammatico
Distribuito da MOVIEMAX (2008)
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Trama: Rod Blank sembra un uomo felice e realizzato, manager d'azienda che commercializza hamburger, una fidanzata modello che sta per sposare, degli amici che gli vogliono bene e sopratutto biondo e bello. Quando un mattino la sua assistente apre le mail che lo riguardano, una contiene una strana lista che lo riguarda, con segnate tutte le donne con cui ha avuto una relazione, ma anche tutte quelle con cui l'avrà in futuro. Incuriosito e stimolato dal fatto che avrà un incredibile successo come maschio, lascia perdere matrimonio e fidanzata per dedicarsi ad accontentare sessualmente signore di qualunque tipo. Intanto però una misteriosa Darl Lady sta mandando in coma tutti gli uomini che attira con la sua bellezza, si incontreranno le loro strade in questo strano karmasutra?
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Commento: Ci sono molti motivi per cui si inserisce l'elemento "sesso" in un film, quello sicuramente più abusato è di creare dietro un motivo quanto mai futile un nugolo di belle donne che si spogliano senza nessuna ragione apparente, solo per sodisfare gli appetiti facili di un pubblico a cui piace la fase consolatoria di divertirsi con un po' di pepe senza dover impegnare minimamente qualsiasi cognizione, cinematografica o meno. Questo banalissimo "Tutti i numeri del sesso" (il titolo originale, ovviamente più sensato, parla invece della possibilità di avere sesso e morte) segue il poverissimo trend sceneggiativo senza variare minimamente interesse e tonalità, permettendosi persino di citare "Il paradiso può attendere" e "Arancia Meccanica" (dove una delle scontate donne con cui il fortunato/malcapitato avrà da misurare la capacità delle sue prestazioni si chiama Alexis De Large). La cosidetta trama parla di Roderick (Simon Baker, dedicatosi anche ai film horror con la saga di The Ring, quello americano ovviamente, e la Terra dei morti viventi di Romero) è uno yuppie di grande successo, che venuto a conoscenza di una infallibile lista di donne con cui dividerà il letto nel futuro, molla matrimonio e carriera per dedicarsi solo al felice compito di cancellare, in maniera sequenziale, man mano i nomi dal foglio di carta. Peccato che intanto che lui scalda letti e donne, ci sia in giro Death Nell (Winona Rider, caduta ormai davvero in basso nonostante una bellezza di base conturbante, che dopo A Scanner Darkly e The Darwin Awards ci poteva far sperare di meglio), una pericolosa e folle icona del male che punisce i maschi che attira con uno stato di narcosi non si sa quanto permanente.
Come si vede dall'incipt di base siamo veramente su concetti terra a terra della commedia americana per porcelloni, se non fosse che almeno queste erano oneste ed autoironiche, qui invece il regista Daniel Waters (nel 2001 diresse lo sfortunato Brad Renfro in Maial campers) cerca addirittura di darsi un tono giallo noir completamente privo di qualunque sostanza, pure moralista, dicendoci che in fondo il sesso illusorio che la società ci propina a quintali per motivi consumistici fa anche male, non bisogna perdere la bussola per delle chimere che alla fine stancano (e ci credo) e ti alsciano pure privo di fondamentali requisiti umano/familiari. Peccato che il messaggio contro sia fatto abusando di questo sistema, con bella carne femminile in visione di qualità e nessuna vera altra alternativa di interesse. Non volendo essere cattivi nella totalità possiamo cercare di salvaguardare almeno il look fascinoso della Dark Winona, che appare pochissimo e solo come intersezione della sequela infinita di prestazioni dell'infaticabile emulo dell'italico Siffredi, la Ryder ce la mette tutta per bilanciare fascino, humour grottesco e sensualità torbida, ma alla fin fine tutto scompare dietro alla tabula rasa mentale del film.
Citare come si diceva il "Paradiso può attendere" abusando dell'ambientazione bianca soffusa (ma abbiamo anche degli ancestrali contabili giustamente allupati, visto il film siamo in idoneità di situazione), portandolo ai massimi livelli di tecnologia con i destini governati da un supercomputer e dalle e-mail (se ne arriva una con solo una data cominciate a preoccuparvi ...) è banalissimo e inutile, oltretutto lo spettatore di questi siparietti inutili non se ne fa nulla in quanto ormai l'attenzione e l'aspettiva dopo un film piatto e uguale, è tutta tesa solo ad aspettare la bella successiva della lista da vedere, quasi che fossimo davanti a un catalogo di playmate. Per allungare il brodo Waters ci mette una tartaruga in diarrea, una fat-girl amante dei trichechi, un autobus di school girls vergini ("Quanto sangue c'era intorno?" chiede uno degli amici), due super lesbiche in fondo bisex che fanno le farfalle, le seguaci di Death Nell che impazzano per la città, una squillo all'apparenza vanesia che invece fa il mestiere per gli studi del figlio, uno stupro di una ottantenne lebbrosa, una veterinaria che si preoccupa dell'inutile esistenza del carrello di centro fila che non viene mai usato, la segretaria (ovviamente lesbica pura e dura per evitare che finisse nella lista incasinando troppo) sempre precisa puntuale ed attenta in quanto superiore alla sua fatale emissione di attiranti ormoni irresistibili.
Come si vede un corollario di situazioni insipide e inutili, tutte scuse che potevamo evitare senza problemi per giungere diritto al sodo del volere del regista e del compitino, cioè il nude look (aspettatevene uno davvero hot) e la fine della lista.
In definitiva un grosso lecca lecca per porcelloni americani in cui non dobbiamo cadere in trappola, vestito falsamente da noir grottesco, che ci prende in giro senza darci nessuna reale nuova visuale se non quella di attendere con ansia la fine della lista quasi fossimo al supermercato a fare la spesa, oltretutto abbiamo un sacco di alternative più valide con altra merce per far fruttare i soldi del biglietto se ci vogliamo accontentare solo di (belle) donne in galleria e rassegna, dare 102 minuti della vita per un film che alla fine ci dice "E la morale di tutto questo? Chi se ne frega!" è quasi ricevere un insulto dopo aver dato. inutile da dire, evitare con cura.
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Water horse - la leggenda degli abissi
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(Water Horse: The Legend of the Deep)
Un film di Jay Russell. Con Emily Watson, Alex Etel, Ben Chaplin, David Morrissey, Priyanka Xi, Marshall Napier, Joel Tobeck, Erroll Shand, Brian Cox. Genere Avventura, colore 110 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Sony Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 14 marzo 2008
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Trama: La leggenda del mostro di LochNess vista attraverso gli occhi di un bambino, nell'incantevole scenario del lago durante la seconda guerra mondiale, dove una strana ed affettuosa amicizia nasce e si sviluppa in maniera davvero inconsueta. Riusciranno le dimensioni, e le difficoltà della tragica congiuntura planetaria del tempo, a non influire sul rapporto tra il gigante acquatico e il bambino?
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Commento: Tratto dal libro di Dick King-Smith, autore di Babe, maialino coraggioso. Di solito è difficile nella produzione cinematografica moderna riuscire a coniugare un film divertente per le famiglie e nello stesso tempo dargli un plusvalore di interesse anche per i grandi che si sentono quasi solo degli accompagnatori della prole. Come successo nei due Babe, anche questo Water-Horse riesce nell'impresa, e se vogliamo anche molto meglio, senza essere melenso oppure scontato. Come ogni bella storia che si rispetti, partiamo dai giorni nostri dove un anziano del luogo racconta l'incantevole storia di una amicizia inconsueta ad una coppia di scettici ragazzi/turisti (nelle interruzioni del flash/back i due hanno le espressioni incantate di coloro che ascoltavano il racconto di Rose nel Titanic di Cameron), evento successo durante la seconda guerra mondiale sulle rive del lago di Lochness. Angus (interpretato dal bravo Alex Ethel, il protagonista di Millions) trova un uovo gigantesco, che presto si schiude e apre alla vita un esemplare tenero ed affettuoso di un mammifero non ben identificabile. Il cucciolo però cresce presto a dismisura e la loro tenera amicizia sembra doversi incrinare ben presto. In più la diffidenza degli uomini e dei soldati rischia di provocare un disastro irreparabile.
Davvero un plauso a Jay Russell (Squadra 49, altro film flash-back, e Il mio cane skip, che dimostra la sua adeguatezza a narrare storie di tenere compagnie) che ha saputo ricreare l'atmosfera storica del momento senza inquinare la bellezza e l'integrità del paesaggio da favola (uno dei soldati lo ammira e il suo capitano gli dice che purtroppo non sono lì per quello, ricordando che l'evento c'è ed è presente, pur senza mai vedere un nazista per tutto il film), donandoci dei rapporti multistrato (mamma/figlio, bambino/essere marino, inserviente/famiglia) di grande spessore e tenerezza. Nel procedere delle storie di solito gli effetti speciali prendono la parte del leone e sovraespongono la loro presenza, qua (pur essendo di eccellente fattura, la calvalcata sottolacustre è davvero emozionante per come è fatta) invece arricchiscono i dettami, sottolineano gli stati d'animo, ampliano gli orizzonti di visione. Inutile dire che la parte più tenera è quella dell'inizio, con l'incontro e la successiva conoscenza del cucciolo, intervallata dal disturbatore di turno, l'arcigno cane Bulldog del cuoco che non vede di buon occhio il nuovo strano arrivato (nei trailer poi vedete l'incontro tra Churchill il cane, e Crusoe, questo il nome del mostro marino, ormai grande, ma che nel film finito curiosamente non è uguale), con il continuo spostarsi per non far capire ai grandi che c'è qualcosa in casa che potrebebro non capire e prendere per il verso sbagliato. La seconda fase, quella del forzato esilio nel lago (le dimensioni contano) è quella della consapevolezza e della fine dell'innocenza, con l'incontro scontro con la realtà più grande di una inossidabile amicizia.
Il ricordo del padre è l'insegnamento migliore per il piccolo Angus, a cui vengono a mancare i riferimenti fisici ma mai quelli spirituali, tenendo il capanno in ordine e impedendo a Crusoe di mangiare le scarpe (parafrasi del cammino futuro da compiere sicuro con tale eredità di consiglio), ma nel contempo senza erigere barriere a priori, con coloro che giocoforza arrivano nella sua vita, come il tenero inserviente che pare conquistare il cuore della sua mamma e che poi sarà il nuovo amico umano.
Tutto perfetto, calibrato, divertente, umano e senza sbavature, e da notare che anche se l'originalità di base manca, questa è una storia già scritta e modificata dallo scrittore (come non pensare alla megacitazione di Flipper e di E.t.?), nulla viene davvero ricondotto nella memoria ma quanto più ben esposto senza eccedere nelle tentazioni di esagerare per stupirci, visto che l'intento è invece emozionarci.
Piccolo difetto ad essere pignoli l'orgoglio scozzese che fa dire al regista che il paesino disperso ha comunque avuto 20 uomini-eroi morti, ha fatto la sua parte di gloria nella guerra, oppure quello di presentare il milite come educato e compunto in tutti i suoi reparti, compreso l'arcigno cuoco, ma sono dettagli del tutto trascurabili e per nulla incidenti nell'economia del film che punta a ben altro.
Perfetta la scelta degli attori, madre coraggio de Le ceneri di Angela, Emily Watson fa la genitrice ormai sola che protegge ciò che gli rimane fino all'eccesso con determinata tenerezza, riempiendo la recitazione di sguardi pudici quanto semplici, Ben Chaplin (ha lavorato nientepopodimeno che con Malick in "The new World") si inserisce nella famiglia senza voler interrompere o predominare, accogliendo con curiosa sicurezza l'ingombrante nuovo arrivo (al contrario degli altri che fanno fatica ad accettare il diverso), David Morrissey (Basic Istinct 2) fa l'ufficiale deciso di buone maniere e convinto di avere a disposizione il miglior esercito del mondo, e davvero un piacere vedere nelle vesti del narratore Brian Cox (che fu Hannibal Lecter in Manhunter - Frammenti di un omicidio di Michael Mann).
In definitiva un film davvero valido, dalla validissima ambientazione visivo/storica, colmo di cose davvero buone, intrattenimento non solo adeguato ma performante per le aspettative di tutta la famiglia, senza mai perdere di tono. Una bella favola per sognare ed emozionarsi mantenendo i canoni della realtà e mai entrando in quelli della innocua e vacua fantasia fine a se stessa, accontentando grandi e piccini.
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10000 a.c.
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Cast Steven Strait, Camilla Belle, Cliff Curtis, Omar Sharif, Marco Khan, Mark Simmons, Tim Barlow, Mona Hammond
Regia Roland Emmerich
Sceneggiatura Roland Emmerich, Harald Kloser
Durata 01:48:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Avventura, Drammatico
Distribuito da WARNER BROS. PICTURES ITALIA
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Trama: nel 10.000 ac gli uomini vivono cibandosi delle carni dei giganteschi mammuth che migrano in branchi. Ma un giorno arriva una donna dagli occhi azzurri, che parla di un popolo di guerrieri demoniaci che miete morte e distruzione per renderli in schiavitù, con quale scopo preciso non si sa. Quando l'orda arriva, ai cacciatori sopravvissuti del villaggio non resta che mettersi all'inseguimento di coloro che gli hanno rubato le donne e gli amici. Insofferenti delle continue vessazioni, anche altre tribù non esiteranno ad unirsi alla compagnia di eroi ... ma le insidie, anche quelle naturali, sono molteplici.
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Commento: incredibile Roland Emmerich, lui è come un Dio impazzito e può tranquillamente permettersi di stravolgere qualunque logica fisico/storica senza nessun problema, decide in The Day After Tomorrow di salvare i superstiti dalla glaciazione bruciando dei libri in un camino, chiude ogni possibile discorso in Indipendent Day con il sacrificio valoroso di un vero americano contro un orda di marziani, nel Patriota fa andare Gibson e gli altri a dei simil caraibi in un villaggio turistico per riposarsi dalla guerra stancante, in Godzilla fa ingoiare una macchina al mostro con occupanti per poi fargliela risputare, am in questo 10000 AC il delirio di onnipotenza va oltre, qui si stravolge tutto oltre ogni limite, clima, zone, abitanti, costumi e animali commistionati senza nessuna logica storica. Possiamo ammirare degli splendidi mammuth ma anche dei cavalli, guerrieri sbarbati e puliti (alla faccia della rigidità storica de "La guerra del fuoco" di Annaud) ma anche piramidi, navi, e un egitto con accanto una zona glaciale, una foresta pluviale ed amenità incongruenti a ripetizione. Tralasciando che lui del bloopers se ne fa un baffo e da errore lo fa diventare regola, dicendoci che questo è il mondo alternativo di Emmerich (anzi, forse lui pensa che quello sia il vero periodo storico e quello dei testi un falso) e ci può mettere quello che vuole senza problemi, viene davvero difficile da credere che qualcuno possa affezionarsi a un tale minestrone di cose del tutto campate per aria, come se invece del sale si possa mettere lo zucchero per cuocere una bistecca e gustarla lo stesso.
Trama devastante nella sua concezione, unisce i gusti architettonici del regista, che non contento di creare un mondo assurdo a parte, ci propina la piramide di Stargate (l'Egitto gli piace, anche a noi, ma il problema è che quest'Egitto è quello di Emmerich) con delle venature messicano/azteche, strutture comandate da un Dio impalpabile nelle fattezze e dei sacerdoti dalle foggie degne di una festa mal riuscita in maschera (e dalle unghie lunghe e dorate). La trama, davvero facile da riassumere in poche parole, è che arriva in un villaggio (credevate che si viveva nelle grotte vero? comunque niente grattacieli) di cacciatori di mammuth (troppo facile cacciare altro, credete che gli eroi di Emmerich siano di cartone?) una ragazza di belle fattezze (appena passata dalla manicure) con gli occhi azzurri. Cattivo presagio, la sventura si abbatte sulla tribù, l'orda con cavalli fa prigionieri/schiavi, la vecchia sputacchiante grande madre (con osso tribale tenuto al mento da un elastico invece di averlo inserito nelle carni, stile Amazzonia) invita i coraggiosi (tra l'altro abbiamo una bella novità, il dualismo tra due eroi) all'impresa, si attraversano foreste pluviali con improbabili Dodo giganti, si conosce un interprete di etnia completamente diversa che meglio di D3bo conversa con tutti quelli che incontra fraternizzando (l'Onu l'ha fatto Emmerich, credete?) e poi eroismi giganti con empatia a profusione sparsa.
Una incredibile sequela di assurdità, pieno di riempitivi senza logica e con una integrazione tempo spazio decisamente nulla. Le sequenze, parlando del visivo puro, della corsa dei mammuth sono eccezionali, e fanno capire dove sono andati i soldi spesi, gli animali hanno dettagli precisi anche nel primo piano e movimenti morbidissimi. Ma, di fatto,il lato tecnico si disperde nel nulla di fronte al disarmante risultato di tutti gli altri comparti.
L'onnipotente regista voleva ricreare una sorta di storia indiana (Mammuth come i bufali, sterminio alla Soldato blu del villaggio iniziale), peccato che di western non ha nulla, ne come respiro (quante ottime contaminazioni abbiamo visto che sanno di old west, vedi gli ultimi Coen) e neppure come fascino, troppo riempito di iconografie che il regista inserisce rievocando vecchi disegni scolastici messi in una cartelletta di cose amate. Il puzzle discontinuo e per armonico ovviamente si
Recitazione volutamente anonima (il regista avrà detto agli attori "Guai a caratterizzare i personaggi, sono stati creati a immagine e somiglianza della mia mente!"), Camilla Belle è stata reclutata solo per via del fatto che Roland ha notato che ha recitato nel "Il mondo perduto", gli occhi azzurri li ha fatti elettronicamente, mentre Steven Strait avendo fatto Sky High - Scuola Di Superpoteri e The covenant (sicuramente film culto del regista) era avvantaggiato in partenza per il ruolo del cacciatore mistico che parla con le tigri ("Io ti libero ma non tu non mangiarmi!")
Poi la voce fuori campo di Omar Sharif è pedante tanto quanto fece il doppiaggio del Leone di Narnia, anche se va scusato visto che quello che deve leggere (cioè il volere del Dio supremo in regia, manco fosse il Ed Harris di Truman Show) è del tutto inutile.
In definitiva un film stupido oltre ogni limite, insulso, fisicamente voluto dall'ego sconclusionato e sconsiderato di Emmerich, che pensa di poter racchiudere tutta la storia in un vaso di pandora. Se va per qualcuno rispetto, ma per carità non apritelo mai in pubblico. Evitare con cura.
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Onora il padre e la madre
(Before the Devil Knows You're Dead)
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Cast Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke, Albert Finney, Marisa Tomei, Aleksa Palladino, Amy Ryan, Rosemary Harris, Arija Bareikis, Leonardo Cimino, Lee Wilkof
Regia Sidney Lumet
Durata 01:45:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Thriller, Drammatico
Distribuito da MEDUSA (2008)
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Trama: Due fratelli sono allo sbando, uno oppresso dai debiti accumulati per il vizio della droga, con un matrimonio in difficoltà e un lavoro che non sa più gestire, l'altro con il matrimonio già fallito e che non riesce a pagare gli alimenti per la figlia. I due decidono di rapinare il negozio di gioielli dei genitori affidandosi ad un balordo, possibilmente sperando che tutto avvenga in maniera incruenta per permettere il rimborso dell'assicurazione. Ma purtroppo qualcosa va storto e la spirale dei problemi che li coinvolge porta un terribile carico di violenza in se ...
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Commento: I grandi leoni tornano a ruggire, dopo un periodo di appannamento con lavori dignitosi ma non eccelsi, e Sidney Lumet (chi non ricorda Serpico e Quel pomeriggio di un giorno da cani) non perde l'occasione di dimostrare ai giovani registi speranzosi di quanto ancora si debba confrontarsi con lui per poter prendere esempio di come una storia intensa, sanguigna e cruenta possa toccare pathos quasi insopportabili nella sua fase finale dopo una costruzione praticamente perfetta.
Tra l'altro Lumet lo fa fa utilizzando le tecniche sviluppate sopratutto in tv e in voga in questo periodo, quella della costruzione a flash-forward e a flash-back, dimostrando di come un sistema che in altre pellicole ha dimostrato di essere facilmente criticabile (come nel recentissimo Prospettive di un delitto) in mano a un grande regista ha nuova vitalità, diversa valenza e grande fascino). La trama ci parla delle difficoltà di due fratelli in piena crisi economica, che decidono di rapinare il negozio di gioielli dei genitori, sperando per questi in un rimborso assicurativo mentre loro vendono il bottino a un mediatore. Nel corso della rapina, eseguita da un balordo del luogo, purtroppo le cose vanno decisamente storte. E qui il loro traballante mondo comincia a crollare del tutto.
Il film ruota tutto intorno all'evento, con delle didascalie che determinano ogni volta quanto manca o da quanto si parte
rispetto alla rapina. Il rapporto sistema narrativo messa in scena è intrigante, la successione degli eventi non lascia respiro e l'analisi psicologica profonda ed intensa. Il lavoro migliore viene fatto sul personaggio di Andy, il fratello maggiore, interpretato dal premio Oscar per Truman Capote Philip Seymour Hoffman, davvero in vena di grandi prestazioni recitative, che dipende dalla droga e che non sa più gestire i numerosi rappezzamenti contabili eseguiti sul lavoro, su di lui gravano le grandi responsabilità familiari, e di conseguenza di non aver saputo ben indirizzare e gestire il fallimentare fratello Hank (Ethan Hawke, anche regista con L'amore giovane) neppure nell'ultima occasione di salvezza per entrambi. Tra l'altro nei gravissimi problemi dei due si inserisce il conflittuale/sensuale rapporto con la moglie di Andy (il premio oscar non protagonista Marisa Tomei, splendida nei suoi 44 anni che si concede dei nudi a dir poco strepitosi), tratteggiato benissimo nelle sue ramificazioni e nelle sue connotazioni psicologiche. E dopo gli inganni, gli errori, le esplosioni violente di ira esplode fragorosa la figura del padre, uno strepitoso Albert Finney (visto al fianco di Julia Roberts in Erin Brockovich) che arriva nella scena continuativa più lunga (senza intervallo di andate o ritorni narrativi) a dare impronta precisa di intenzione e rigore al tutto. Quando i grandi lavorano anche i contorni sono ben delineati (lo spacciatore atipico, il balordo violento) ed ognuno si porta dietro una storia che non si può cancellare e con cui bisogna fare i conti se gli fai un grave torto.
Ritmo molto alto data la scelta di narrazione, ma sopratutto logica di lettura del tutto (la non linearità potrebeb confondere lo spettatore meno concentrato) chiara e comprensiva, ben giostrata nelle prospettive alternate di visione.
In definitiva un gran bel film, intenso, cruento in alcuni momenti, ma sopratutto pregnante nel suo scavo psicologico di fronte a difficoltà insormontabili, cosa devastante nel far vedere quando la logica si perde per la mancanza di tempo di reazione e speranze, non potendo pianificare e lasciando tutto al caso che alla fine non ci assiste se insistiamo troppo a voler esagerare, che non può non coinvolgere in pieno lo spettatore, permettendosi pure nel finale di lasciare un importante punto in sospeso con perfetta logica d'essere. Il titolo italiano non è pessimo, ma quello originale aveva tutt'altro fascino (Prima che il diavolo sappia tu sarai morto). Non perdetelo per nessun motivo.
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Mimzy e il segreto dell'universo
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Cast Joely Richardson, Timothy Hutton, Rainn Wilson, Kathryn Hahn, Kirsten Williamson, Marc Musso, Michael Clarke Duncan
Regia Robert Shaye
Sceneggiatura Toby Emmerich
Durata 01:34:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Family, Fantasy
Distribuito da EAGLE PICTURES (2008)
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Trama: Due fratelli, un ragazzino e una bambina, trovano degli oggetti misteriosi che loro credono giocattoli. Incuriositi li prendono e scoprono che hanno delle strane proprietà cinetico/fisiche. Sopratutto tra la bambina e uno degli oggetti, il coniglietto Mimzy, nasce un rapporto particolarmente intenso, come se ci fosse una sorta di interazione telepate tra i due. Ma quelli che sembrano essere solo degli innocenti compagni di giochi molto particolari si rivelano essere molto di più, suscitando l'interesse delle forze governative capitanate da un gigantesco agente di colore ...
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Commento: Toby Emmerich, lo sceneggiatore di un bel film come Frequency, dove si occupava del fato e delle realtà parallele che derivavano da esso, scrive questa storia all'acqua di rose e tutta miele (che potremmo arditamente definire una specie di Donnie Darko edulcorata per fanciulli) parlandoci dell'incontro tra due fratelli con un coniglio di pezza e delle trottole misteriose. Diretto da Robert Shaye (affezionato attore di alcuni Nightmare e alla seconda regia dopo I ragazzi degli anni '50 del 1990), il film è totalmente improntato ad accontentare un pubblico di famiglie in cerca di buoni sentimenti e visetti simpatici. I due bambini, che sono fratelli nel film, protagonisti della storia, sono la coppia più candida che esista nell'universo, con la piccola perennemente vestita di colori pastello e che stringe affettuosamente il misterioso coniglio di pezza venuto da chissà dove, Mimzy appunto, mentre il fratello occhialuto e di buone maniere, con piccoli problemi di apprendimento a scuola, si dedica a delle trottole con poteri cinetici. Stando insieme ai loro nuovi giocattoli misteriosi diventano ultra intelligenti, e la cosa viene all'orecchio delle autorità che deve scoprire il perchè che c'è dietro a tutto questo, con il rischio di dover brutalizzare l'innocenza strappando la gioia del fantastico che è in tutti noi.
In mezzo abbiamo i due premurosi genitori preoccupati di come vanno le cose, e il professore di scuola del piccolo che fa strani sogni su ponti stellari e decodifica i disegni geometrici alla base del mistero.
Tecnicamente è un film che vuole ricordare molto le ambientazioni di "Incontri ravvicinati del terzo tipo" (tra l'altro uno dei produttori del film di Spielberg produce anche questo film) con delle costruzioni e presenze casalinghe di oggetti misteriosi, ma invece poi effettivamente va ad accostarsi a film di tipo diverso, come potrebbero essere film per bambini del tipo di Navigator.
Purtroppo il messaggio completo del film, costruito nel visivo con un uso davvero minimo degli effetti speciali, e questo lo possiamo anche ritenere un pregio in quanto sarebbe anche stato peggio inserire effettoni inutili in una storia fondamentalmente intimista, risulta banalissimo e privo di vero interesse, assopendo la platea sia di adulti che di piccini pur in una durata al minimo sindacale di 94 minuti.
Di fatto questo Mimzy potrebbe essere benissimo un episodio figlio della serie televisiva "Ai confini della realtà" dilatato nella durata, dove, a differenza dei geniali episodi tv, la sorpresa finale deve colmare un vuoto di narrazione che dura lungo il film. Ovviamente viste le premesse non ci si poteva aspettare un film molto diverso, ma alla fine quello che succede dovrebbe emozionarci data la sua universalità di significato, invece ci arriva blandamente esposto, in maniera poco ferma e del tutto vacua in quanto privo di ogni forza nella sua banalità.
Si trascorrono tempi ripetitivi a dire sempre le stesse cose, ad osservare i bimbi stupiti ma tranquilli, i genitori preoccupati e le autorità che agiscono anonime, tra mantra religiosi (richiami di dei superiori che si figuralizzano nel coniglio) e sguardi entusiastici di fronte all'incredibile poco affascinante.
E cosa davvero inaspettata è il cast di non certo stelle ma neppure sconosciuti. Il capo della agenzia governativa è Michael Clarke Duncan (il gigantesco prigioniero del Miglio verde), Joely Richardson (Nip/Tuck e Maybe baby al fianco di Hugh Laurie, il dottor House televisivo) è la mamma, Timothy Hutton (da recuperare la bella commedia dove è protagonista Turk 182) è il padre.
In definitiva un film per famiglie con bimbi al seguito dai pregi tecnici praticamente nulli, noioso per la sua prolissicità, con un risultato di banale profondità in quanto a comunicazione di messaggio universale per la salvaguardia del futuro sereno e delle nostre coscienze e dei sentimenti, che si può tranquillamente tralasciare anche in un ottica di passatempo per i più piccoli in quanto saranno i primi ad annoiarsi con questi balocchi spogli di idee.
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I padroni della notte
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Cast Joaquin Phoenix, Mark Wahlberg, Eva Mendes, Robert Duvall, Tony Musante, Antoni Corone, Alex Veadov, Katie Condidorio, Burton Perez, Dominic Colon
Regia James Gray
Sceneggiatura James Gray
Durata 01:45:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Giallo, Drammatico
Distribuito da BIM
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Trama: New York 1988. Due fratelli, Joseph e Bobby, completamente diversi tra loro si trovano a confronto : il primo poliziotto di lungo corso, l'altro manager di un locale i cui affari vanno a gonfie vele. Un giorno la mafia russa si infiltra per commercializzare droga con la copertura del ritrovo notturno, e Joseph, con il padre, chiede al fratello di poter essere un informatore al servizio della polizia. Bobby, preoccupato solo di non rischiare di perdere la sensuale fidanzata e i suoi affari, rifiuta, ma un successivo tragico fatto è alle porte ...
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Commento: il titolo originale "A noi appartiene la notte" (come quello italiano stavolta calzante) potrebbe far pensare che ci si riferisca alle bande di malviventi che scorazzano indisturbate sopratutto nelle ore dove vince la luna sul sole, invece la frase è un indicativo di una scritta che portano i poliziotti sulle casacche, dato che i difensori della città combattono il crimine sopratutto nelle ore notturne dove avvengono retate, arresti e azioni programmate. Di fatto in questo film di James Gray (ultima pellicola The yards del 2000) la notte è il momento culminante dei punti cardine che lo compongono, (tranne quello decisivo che segna il dominio totale sulle 24 ore), dove tutto avviene oscuramente con la città che dorme e sembra non accorgersene. Trama di forti derivazioni Scorsesiane, l'influenza del suo The Departed si nota molte volte in questo lavoro, che narra di due fratelli, Joseph (Mark Wahlberg, reduce dalla prova, ancora di poliziotto integerrimo, del film prima citato) che chiede al fratello Bobby (Joaquin Phoenix, il feroce cattivo de Il gladiatore) di fare l'informatore per la polizia del locale notturno che gestisce per debellare un traffico di droga che circola all'interno.
i due sono completamente diversi, uno poliziotto idealista, l'altro manager senza troppe remore che pensa solo a mantenere vizi costosi e sopratutto la stupenda fidanzata (una strepitosa nella bellezza Eva Mendes sensuale come non mai prima). Il dualismo non tarda a venire fuori, nonostante l'arcigno padre cerchi di portare la calma e la ragione (interpretato da un Robert Duvall finalmente al di fuori delle particine di contorno ma in un solido ruolo di non protagonista importante e decisivo, ago della bilancia delle incomprensioni tra i due fratelli).
il film è teso, duro, vibrante, non ha tantissimi inseguimenti in macchina (uno solo sotto la pioggia veramente al cardiopalma) o sparatorie (relegate sopratutto per chiudere gli archi narrativi magari anche con un unico semplice colpo di arma da fuoco), ma ha delle discussioni concitate intense, momenti in cui si legge la tensione e le insicurezze come se fossero una lama tagliente su cui camminare sopra, dato che le decisioni nonostante siano magari anche coraggiose, non sono mai completamente giuste. Qualcosa va sempre storto giocando con argomenti così difficili, non si ha mai la sicurezza che anche cose apparentemente inattaccabili vadano a buon fine, e le tante promesse non mantenute (di vario tipo) presenti confermano questa impossibilità di possedere non solo il tempo determinato (la notte appunto) ma il destino globale. Gray con Little Odessa si era già avvicinato al tema della mafia russa, e qui lo sviluppa come se fosse il cancro dei sogni di grandezza di Bobby il supermanager ("Voglio grandi figli e tanti palazzi") dato che per colpa loro rischia di perdere tutto quello che ha, dovendo prendere quella famosa decisione che farà da catalizzatore di tutti i guai successivi.
Ritmo molto alto, momenti di riflessione intensi, scene di confronto delle vite dei fratelli ottimamente iconizzate (rigida presenza familiare per Joseph, feste sfrenate per Bobby) ha il difetto di mancare di grandi momenti di sorpresa, di fatto gli avvenimenti sono un po'telefonati e qualcosa avviene senza molta logica (difficile essere sottoscorta in quella maniera tanto rigida e poter andar via quando si vuole, come fa la Mendes, senza che il poliziotto di guardia intervenga), la mafia russa vive di stereotipi nei personaggi, ma il livello di gradimento non cala mai davvero in quanto la vicenda rimane interessante, e vogliamo capire i come e i perchè occulti, a tutti i costi.
Il tutto immerso in un'atmosfera plumbea, la fotografia dai colori smorti e la ricostruzione di venti anni fa (più difficile di quanto si pensi, con l'evoluzione tecnologica che galoppa ad ostacolare la correttezza temporale degli oggetti negli ambienti, niente cellulari, niente schermi piatti, si rivedono le vecchie care macchine da scrivere e i pc con floppy disk) adeguata. Meglio la recitazione di Phoenix che quella di Walhberg, qua è un po' defilato e con una parte meno caratterizzata di quella (ottima) eseguita con Scorsese.
In definitiva un film che glorifica la polizia e il suo coraggio, si fa vedere in maniera più che soddisfacente per l'intensità delle situazioni, con una coprotagonista femminile davvero da togliere il fiato (la scena iniziale del film parla da se), non esagera mai nelle situazioni roboanti da action movie che avrebbero rovinato tutto, tratteggia bene i caratteri ma che manca della solidità registica necessaria per fargli fare il salto di qualità, unita a una sceneggiatura che avrebbe dovuto essere più robusta con vere originali soluzioni che qui in fondo mancano. Ma questi Padroni della notte danno davvero un buon soggiorno in sala per l'affitto che paghiamo, il regista affinando man mano le sue capacità potrà anche riuscire al prossimo giro a darci qualcosa di completo e diverso e non solo più che soddisfacente, dato che qualche numero di base si è visto.
Bello poi rivedere Tony Musante anche se in una parte di contorno.
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