Beh ... perlomeno sei coerente.
Avresti tollerato la pulizia etnica dei Serbi cos
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[QUOTE=Xilinx23;969650][ot]
Ok, ognuno sostiene le proprie ragioni, e mi va bene.
Ma, e l'ho gi
[ot]Al momento assimilare Livni o Olmert a Hitler e al nazismo non ha senso.
Ovviamente riconoscendo il massacro che stanno compiendo, ma non
Direi che anche l'apporto di Naomi Klein può essere interessante (io, ad esempio, non sapevo che questa guerra avesse migliorato, e di molto, l'economia di Israele).
Inoltre si lega al discorso sicurezza-libertà personale di mat.
Citazione:
LABORATORIO PER UN MONDO FORTIFICATO
di NAOMI KLEIN
The Nation
Gaza nelle mani di Hamas, con militanti mascherati seduti sulla poltrona del
presidente; la West Bank sull'orlo del collasso; accampamenti dell'esercito
israeliano allestiti frettolosamente sulle alture del Golan; un satellite
spia sopra Iran e Siria; la guerra con Hezbollah a un tiro di schioppo; una
classe politica rovinata dagli scandali che fronteggia la totale perdita di
fiducia da parte dell'opinione pubblica.
A prima vista, sembra che le cose non vadano bene per Israele. Ma ecco
l'enigma: come mai, in mezzo al caos e alla carneficina, l'economia
israeliana cresce come se fosse il 1999, con un mercato azionario ruggente e
tassi di crescita vicini a quelli della Cina?
Thomas Friedman ha recentemente esposto sul New York Times la propria
teoria. Israele "coltiva e ricompensa l'immaginazione individuale" e perciò
la sua gente produce in continuazione ingegnosi progetti ad alta tecnologia,
a prescindere dai disastri provocati dai suoi uomini politici. Dopo aver
analizzato i progetti degli studenti di scienze ingegneristiche e
informatiche della Ben Gurion University, Friedman si produce in una delle
sue azzardate enunciazioni: Israele "ha scoperto il petrolio". Questo
petrolio, ovviamente, si troverebbe nelle menti dei "giovani innovatori e
imprenditori israeliani", che sarebbero troppo impegnati a fare grandi
affari con Google per lasciarsi trattenere dalla politica.
Ecco invece un'altra teoria: l'economia israeliana non sta crescendo a
dispetto del caos che riempie i titoli dei giornali, ma proprio grazie ad
esso. Questa fase di sviluppo risale alla metà degli anni '90, quando
Israele era all'avanguardia nella rivoluzione informatica, essendo tra le
economie mondiali quella più dipendente dal settore tecnologico. Dopo
l'esplosione, nel 2000, della bolla delle dot.com, l'economia israeliana si
ritrovò devastata, affrontando il proprio anno peggiore dal 1953. Poi arrivò
l'11 settembre e d'improvviso nuove prospettive di profitto si dischiusero
per qualsiasi compagnia che affermasse di essere in grado di identificare
terroristi in mezzo alla folla, rafforzare i confini contro gli attacchi ed
estorcere confessioni da prigionieri con le labbra serrate.
Nell'arco di tre anni, gran parte dell'economia tecnologica israeliana era
stata radicalmente riconvertita. Per dirla in termini friedmaneschi: Israele
era passato dalla produzione di strumenti di connessione per il "flat world"
alla vendita di reticolati per un pianeta ridotto all'apartheid. Molti degli
imprenditori di successo israeliani utilizzano la condizione del proprio
paese di stato-fortezza, circondato da furiosi nemici, come una sorta di
esposizione permanente, un esempio vivente di come si possa godere di
relativa sicurezza anche nel mezzo di una guerra costante. Il motivo della
supercrescita di Israele è che le sue compagnie stanno ora laboriosamente
esportando questo modello nel resto del mondo.
Le discussioni sul commercio di armamenti militari in Israele si focalizzano
di solito sul flusso di armi che arriva nel paese. Gli Stati Uniti
fabbricano i Caterpillar usati per abbattere le case nella West Bank e le
compagnie britanniche forniscono le parti per gli F-16. Si sorvola sul
business delle esportazioni di Israele, che è enorme e in continua
espansione. Israele fornisce adesso 1.2 miliardi di dollari in prodotti per
la "difesa" agli Stati Uniti, un incremento gigantesco rispetto ai 270
milioni di dollari del 1999. Nel 2006 Israele ha esportato 3.4 miliardi di
dollari in prodotti per la difesa, oltre un miliardo in più di quanto abbia
ricevuto in sovvenzioni statunitensi. Ciò fa di Israele il quarto maggior
esportatore di armi del mondo, superiore perfino all'Inghilterra.
Gran parte della sua crescita è dovuta al cosiddetto settore della
"sicurezza interna". Prima dell'11 settembre la sicurezza interna, come
industria, esisteva a malapena. Entro la fine di quest'anno le esportazioni
israeliane in questo settore raggiungeranno gli 1.2 miliardi di dollari, con
un incremento del 20%. I prodotti e servizi più importanti sono le barriere
ad alta tecnologia, i droni teleguidati, i sistemi d'identificazione
biometrica, gli strumenti di sorveglianza audio e video, i sistemi di
schedatura dei passeggeri dei voli aerei e d'interrogazione dei prigionieri.
Precisamente gli strumenti e le tecnologie che Israele ha utilizzato per
isolare i territori occupati.
Ecco perché il caos a Gaza e nel resto della regione non rappresenta una
minaccia per gli introiti di Tel Aviv e potrebbe anzi incrementarli. Israele
ha imparato a trasformare una guerra infinita in una fonte di reddito,
presentando lo sradicamento, l'occupazione e la segregazione del popolo
palestinese come un anticipo di mezzo secolo della "guerra globale al
terrorismo".
Non è un caso che i progetti dell'Università Ben Gurion, che tanto
impressionano Friedman, abbiano titoli come "Nuova Matrice di Covarianza per
il Rilevamento di Bersagli in Immagini Iperspettrali" e "Algoritmi per il
Rilevamento e l'Aggiramento di Ostacoli". Trenta nuove compagnie che
producono articoli per la sicurezza interna sono state aperte in Israele
solo negli ultimi sei mesi, grazie in buona parte a generosi sussidi
governativi che hanno trasformato l'esercito israeliano e le università del
paese in incubatrici di progetti per nuove armi e sistemi di sicurezza (una
cosa da tenere a mente nei dibattiti sul boicottaggio accademico).
La settimana prossima le più solide fra queste compagnie verranno in Europa
per l'Esposizione Aeronautica di Parigi, che per l'industria degli armamenti
è l'equivalente della Settimana della Moda. Una delle compagnie israeliane
che partecipano all'esposizione è la SDS (Suspect Detection Systems) che
presenterà il suo Cogito1002, una specie di chiosco bianco, dall'aspetto
fantascientifico, che chiede ai passeggeri dei voli aerei di rispondere a
una serie di domande generate da un sistema computerizzato, tarate sul paese
di provenienza, facendo loro tenere la mano su un sensore di "biofeedback"
.
L'apparecchio rileva le reazioni del corpo alle domande e un certo tipo di
reazioni servono a etichettare il passeggero come "sospetto".
Come accade per centinaia di altre aziende di sicurezza israeliane, la SDS
si vanta di essere stata fondata da veterani della polizia segreta d'Israele
e di aver testato sul campo i propri prodotti sui palestinesi. Non solo la
compagnia avrebbe sperimentato i terminali di biofeedback ai checkpoint
della West Bank; essa afferma anche che "il progetto è sostenuto e
arricchito dalla conoscenza acquisita e assimilata dallo studio di migliaia
di casi di attentati suicidi in Israele".
Un'altra star dell'Esposizione Aeronautica di Parigi sarà il colosso della
difesa militare Elbit, che ha in programma di presentare i suoi velivoli
senza pilota Hermes 450 e 900. Stando a ciò che riferisce la stampa, in
maggio Israele avrebbe utilizzato questi droni in missioni di bombardamento
su Gaza. Una volta testati sui territori, essi vengono esportati all'estero:
l'Hermes è già stato utilizzato al confine tra Arizona e Messico; alcuni
terminali Cogito1002 sono all'esame di un ignoto aeroporto statunitense; e
la Elbit, una delle compagnie che hanno contribuito a progettare la
"barriera di sicurezza" intorno a Israele, si è associata alla Boeing per
costruire, su richiesta della Homeland Security americana, una barriera di
confine "virtuale" intorno agli Stati Uniti per la cifra di 2.5 miliardi di
dollari.
Da quando Israele ha iniziato a segregare i territori occupati con muri e
posti di blocco, gli attivisti per i diritti umani hanno spesso paragonato
Gaza e la West Bank a delle prigioni a cielo aperto. Ma nel corso della mia
ricerca sull'esplosione dell'industria per la sicurezza interna in Israele
(argomento che affronterò in maggior dettaglio nel mio prossimo libro The
Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism [La Dottrina dello Shock:
l'Ascesa del Capitalismo del Disastro, NdT]), mi ha colpito il fatto che
essi siano anche qualcos'altro: laboratori nei quali i terrificanti
strumenti dei nostri stati di polizia vengono testati sul campo. I
palestinesi, che vivano nella West Bank o in ciò che i politici israeliani
chiamano già "Hamasistan", non sono più semplici bersagli. Sono cavie.
Perciò, in un certo senso, Friedman ha ragione: Israele ha trovato il
petrolio. Ma il petrolio non è l'immaginazione dei suoi imprenditori
tecnologici. Il petrolio è la guerra al terrorismo, la condizione di paura
costante che crea una domanda senza fine di apparecchi per sorvegliare,
spiare, contenere e identificare i "sospetti". La paura, a quanto sembra, è
l'ultima arrivata fra le risorse rinnovabili.
Molto interessante eri n. in fondo la paura del nemico anche da noi spinge la gente a votare leghisti e destrorsi
Creare il terrore e creare nemici veri o inventati è un altro grosso business complementare a quello della sicurezza vera e propria dell'articolo citato da erin.
Interessante anche notare che, anche in Italia, l'informazione ufficiale (RAI in testa) sia appiattita sulle veline e sulle manipolazioni delle notizie divulgate da Israele e dai suoi alleati (vedere i vergognosi reportage da Gaza dell'inviato di RAI2 per credere).
Inoltre l'articolo della Klein mi suggerisce un'ulteriore riflessione.
Visto lo stato estremamente avanzato della ricerca e della tecnologia, mi viene da pensare che Israele potrebbe neutralizzare senza problemi e con infinitamente minori danni ai civili la minaccia costituita tanto dai razzi kassam quanto dagli attentatori kamikaze.
Non sono un esperto del campo ma qualcosa tipo uno scudo satellitare, dei rilevatori o cose del genere.
Se Israele, possiede già la tecnologia per combattere una guerra puramente difensiva, come possono giustificarsi i bombardamenti indiscriminati se non in una logica di distruzione e sterminio?
[QUOTE=mat612000;969696]Se Israele, possiede gi
Scusa ma non ho capito cosa c'entri la tua replica con il mio intervento che hai quotato.
Davvero.
Sottopongo un articolo di parte per la critica, anche questa un'analisi interessante.
Citazione:
Distratti da Gaza?
Di Ashley Perry
I combattimenti in corso nella striscia di Gaza occupano intere colonne degli editoriali e le pagine di autorevoli siti web d’informazione nel mondo intero; televisioni e radio trasmettono una marea di notizie e di analisi su ogni dettaglio, su ogni centimetro e ogni angolo delle operazioni. Tutte i principali organismi internazionali come l’Onu, l’Unione Europea e la Lega Araba non discutono d’altro che di Gaza. Ebbene, forse proprio questo è il nocciolo del conflitto e della decisione di Hamas di interrompere la tregua trascinando Israele nello scontro.
In altri termini, si può supporre che il conflitto sia stato voluto e provocato per distrarre l’attenzione da qualcos’altro, qualcosa di assai più pressante.
Solo poche settimane fa i riflettori di tutto il mondo – dei politici e dei mass-media, se non del cittadino medio della strada – erano puntati sull’Iran. La corsa dell’Iran alle armi nucleari costituiva una preoccupazione così pressante che, come ebbe a dirmi un alto funzionario britannico, “ogni membro del parlamento aveva la porta aperta su questo tema”. La situazione era diventata così grave che le nazioni arabe avevano inoltrato richiesta all’Onu di tenere riunioni per discutere dell’Iran. I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania avevano concordato di discutere il dossier del nucleare iraniano con gli stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo più Egitto, Giordania e Iraq: un incontro assolutamente cruciale per la creazione di un fronte unito contro l’Iran. Uno dei partecipanti arabi si era spinto ad affermare che era sorta una nuova “intesa” a fronte della minaccia posta dall’Iran nella regione e oltre. Stati Uniti, Europa e molti altri stavano premendo per l’adozione di sanzioni più dure, che avrebbero sicuramente messo in grave difficoltà l’economia iraniana già di suo in crisi. Persino la Russia, messa di fronte a una tale unanimità sulla questione del nucleare iraniano, non riusciva più a mantenere la sua opposizione all’adozione di sanzioni più severe.
Finché sono duranti i bei giorni in cui il petrolio cresceva fino a 150 dollari al barile, l’Iran poteva tranquillamente permettersi di ignorare le sanzioni come un semplice fattore di disturbo. Ora però, con il petrolio che viaggia appena sopra i 40 dollari (e il greggio iraniano di bassa qualità ancora meno), ha iniziato a profilarsi all’orizzonte il disastro economico: le importazioni dall’estero saranno tagliate, i redditi crolleranno, la moneta iraniana si indebolirà e l’inflazione crescerà ancora di più. Il governo iraniano potrebbe trovarsi davvero in affanno, costretto a scendere a compromessi per evitare sanzioni più pesanti: cosa che il regime iraniano non può nemmeno prendere in considerazione; certamente non quando è a pochi passi dal realizzare le sue ambizioni nucleari.
Passato inosservato fra i fumi della battaglia di Gaza, esiste un rapporto molto importante diffuso proprio negli ultimi giorni del 2008 dal governo francese. Da tempo atteso, il rapporto, preparato per l’Assemblea Nazionale e inoltrato al presidente Nicolas Sarkozy, è il frutto di un lavoro bipartisan guidato da Jean-Louis Bianco, un eminente parlamentare socialista, alto consigliere di Francois Mitterrand negli anni ’80 e ’90. Il rapporto dichiara inequivocabilmente che l’Iran è a “breve distanza” dal procurarsi tutto ciò di cui ha bisogno per costruire una testata nucleare. Per distinguere questo rapporto e garantirgli un’autenticità a prova di contestazione, le sue conclusioni si basano soltanto su fatti ammessi dagli stressi iraniani: un documento che sarebbe dovuto diventare uno strumento fondamentale nel convincere il Consiglio di Sicurezza a imporre quelle sanzioni che tanti ritengono necessarie per piegare l’Iran. E invece – come si è detto – si è perso nei fumi del conflitto di Gaza.
Le impronte digitali dell’Iran su quest’ultimo conflitto sono ben evidenti. Molti nel mondo arabo affermano da tempo che l’Iran sta svolgendo un ruolo fortemente destabilizzante nella regione, ma alcuni in occidente preferiscono non dar loro ascolto. Per dirla con l’editorialista di Dar al-Hayat, Jihda El Khazen, “l’Iran sta giocando un ruolo dirompente e sovversivo sulla scena palestinese: con i 25-40 milioni di dollari che spende ogni mese a Gaza non intende sostenere i palestinesi: intende usarli”.
Di recente un alto diplomatico egiziano ha parlato in modo insolito a un giornalista arabo della indesiderata influenza iraniana nella regione: “Noi cerchiamo di costruire la pace mentre loro la mandano in frantumi. Noi vogliamo alleviare le sofferenze del popolo palestinese mentre loro vogliono che continui a soffrire. Noi vogliamo un Libano laico, democratico e stabile mentre loro vogliono instaurarvi un regime di tipo iraniano sotto il dominio degli Hezbollah”.
Michael Young, direttore del quotidiano libanese Daily Star, sintetizza così: “Manipolando le emozioni che invariabilmente il destino dei palestinesi suscita fra gli arabi, Teheran cerca di ridisegnare gli equilibri di potere nella regione”.
In Libano, la fantoccio dell’Iran Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah, alimenta le fiamme contro Israele e contro gli stati arabi considerati collusi con Israele e l’occidente. Se la situazione a Gaza si calmerà presto, con un cessate il fuoco sottoscritto o imposto, e calerà l’attenzione del mondo, non è improbabile che Hezbollah verrà spinto ad incendiare nuovamente il confine nord di Israele. Forse è proprio per questo motivo che il capo della sicurezza nazionale iraniana, Saeed Jalili, viaggia fra Libano e Siria per incontrarsi rispettivamente con Nasrallah e con il leader di Hamas all’estero Khaled Mashaal. Il che ricorda la permanenza in Libano di Mohsen Rezai, presidente dell’Iranian Expediency Council ed ex comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane, per tutta la durata della guerra dell’estate 2006, a supervisionare le operazioni di Hezbollah.
L’Iran ha un preciso interesse a destabilizzare la regione, e a distrarre l’attenzione dalla vera minaccia costituita dalle sue ambizioni nucleari. È incredibile come il mondo resti incollato a un conflitto che comporta alcune centinaia di vittime, mentre viene ignorata una minaccia che incombe su centinaia di milioni di persone, addirittura su gran parte dell’Europa.
Ma l’Iran ha da tempo imparato quali sono le leve delle emozioni internazionali, e come muovere le sue pedine nella regione. Sarebbe forse ora che la comunità internazionale capisse il disegno e tornasse ad occuparsi pienamente della questione davvero pressante sul tappeto: la minaccia nucleare iraniana.
(Da: YnetNews, 7.01.09)
[quote=Pulsar]Ma l
Altro articolo (preso da un semplice blog), che mi sembra possa ben calzare anche alla nostra discussione
[QUOTE]Io non credo che ci sia nulla di male nel voler difendere Israele in una discussione. Il problema
I Qassam hanno portata limitata, uno scudo satellitare israeliano non sarebbe fattibile. Per quanto riguarda l'Iran, ieri Obama ha detto che, per quanto rappresenti un nemico, gli Stati Uniti intavoleranno con esso una trattativa politica: Bene, molto bene!