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27 volte in bianco
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(27 Dresses)
Un film di Anne Fletcher. Con Katherine Heigl, James Marsden, Edward Burns, Judy Greer, Malin Akerman. Genere Commedia, colore 107 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione 20th Century Fox - [Uscita nelle sale venerdì 21 marzo 2008]
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Trama: Jane è una ragazza dolce e altruista che adora organizzare il matrimonio delle amiche e fare loro da prima damigella d'onore, senza ricevere compensi in denaro ma solo per la gioia di vedere le altre dire il fatidico "Si". Ma dopo 27 volte ella stessa sente il bisogno di compiere il grande passo, cercando il modo di dichiararsi al suo capo che ama in gran segreto. Ma proprio mentre sta per farlo, irrompe la prorompente sorella Tess con il suo carico di sensualità che gli mette i bastoni tra le ruote ...
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Commento: 27 volte in bianco (il tipo di colore nel titolo lo hanno aggiunto i poco fantasiosi distributori italiani dato che volevano giocare anche con il discorso di "Andare in bianco"), narra le vicende corrette e delicate di Jane (Katherine Heigl, che ha appena recitato in Molto Incinta, ma è più famosa per Grey's Anatomy) che vive di matrimoni degli altri organizzandoli alla perfezione (non per lavoro ma solo per diletto), il cui unico vero premio è quello di poter tenere il vestito da damigella d'onore della cerimonia, che essendo a tema vario ogni volta cambia. In mezzo alle battute sempre uguali delle spose ("Lo puoi accorciare e tenerlo come vestito per tutti i giorni"), lei si accorge che in fondo è il momento di conquistare il suo capo, amato in segreto (Edward Burns, qui sottoutilizzato ma è stato interprete al fianco di grandi come Hoffman e De Niro), peccato che il ritorno della bella e sensuale sorella Tess (Malin Akerman, recentemente vista come odiosa compagna di Ben Stiller ne Lo Spaccacuori) rovini ogni cosa. Ma come ogni buona commedia che si rispetti c'è sempre il dolce (e guarda caso bello) canotto di salvataggio, configurato in una persona che prima ignori e poi apprezzi man mano che quello le cose vanno sempre più male (in questo caso è James Marsden, il principe vanesio di Come d'incanto ma famosissimo per aver partecipato a una serie interminabile di telefilm).
Come si può intuire dalla trama, siamo di fronte a una delle tante solite commedie senza pretese e senza vere novità vuole condurci a passare del tempo in tranquillità magari toccando le corde emotive dei cuori più teneri, cavalcando l'onda della moda di inserire trame che circolano intorno a vestiti curiosi e sofisticati e con in mezzo i giornali che pubblicano poste del cuore o gossip matrimoniale (ogni riferimento a Sex and a City è puramente voluto). Diversamente dagli altri film di genere (come potrebbe essere il contemporaneo Tutti i numeri del sesso) questo è correttissimo (fin troppo), non usa minimamente l'elemento corpo femminile in visione (tranne un castissimo corpetto/lingerie della Akerman), non accenna se non brevemente neppure con la parola all'elemento letto (tranne in brevi isolate frasi dell'amica del cuore, ovviamente immancabile, interpretata da Judy Greer) e tutto vuole essere solo un elogio del vero amore, della sinerità da non tradire mai con il compagno/a, di essere felici per la felicità degli altri, essendo sempre e solo se stessi. Tutto si incanala blandamente tra situazioni ormai abusate (il barcone galleggiante con le luci alla sera, il padre/vedovo buono e comprensivo, la sfilata dei vestiti per rinengarli oppure amarli di nuovo) ma la correttezza di fondo lo rende piacevole e scorrevole, anche se il messaggio che la vendetta, fredda o calda, è sempre un piatto amaro, rischia di farlo diventare da frizzante a patetico.
La regista Anne Fletcher (attrice di film per famiglie e che ha diretto Step Up) e la sceneggiatrice del Diavolo veste Prada (Aline Brosh Mckenna) rimangono concentrate tutto il tempo a far indolenzire le mascelle della protagonista per i continui sorrisi di scena, anche gli elementi di disturbo, come la sorella, sono comunque visti con occhio simpatico e mai come dei veri cattivi di sentimento davvero aspro ma solo delle naturali evoluzioni del loro carattere che non sa essere davvero genuino e altruista. Ovviamente c'è anche più di una lezione da imparare confrontandosi con al tenera Jane, se la impareranno la saprete a visione eseguita.
In definitiva una commedia leggera debitoria di tante altre situazioni già viste, decisamente scontata negli esiti e prospettive, con il merito di non cadere mai nella tentazione di perdere il contorno di stile e glamour, che presenta personaggi belli e mai veramente irriverenti, vestiti eccentrici e colorati. Da non perdere solo per i fan della protagonista e a coloro che vogliono cullarsi a tutit i costi in emozioni forse davvero ingrate da far aderire alla possibile realtà, sapendo con i piedi per terra che certe cose avvengono solo al cinema (ma purtroppo il vero problema è che sono state già fatte e viste). Il divertimento leggero da accantonare subito dopo la visione per tutti gli altri è comunque assicurato, facendoci venire voglia tutti di diventare taxisti per assistere a rocamboleschi cambi d'abito.
Menzione d'onore per i titoli di coda, davvero geniali.
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Spiderwick - le cronache
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Regia: Mark Waters
Cast Nick Nolte, Joan Plowright, David Strathairn, Jordy Benattar, Freddie Highmore, Sarah Bolger
Sceneggiatura Karey Kirkpatrick, David Berenbaum, John Sayles
Durata 01:36:00
Data di uscita Venerdì 21 Marzo 2008
Generi Fantasy, Avventura
Distribuito da UNIVERSAL
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- VOCI DELLA VERSIONE ORIGINALE: MARTIN SHORT (THIMBLETACK), NICK NOLTE (MULGRATH), SETH ROGEN (HOGSQUEAL).
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Trama: Una madre con tre figli deve per lavoro recarsi in un altro paese, andando ad abitare in una grossa villa immersa nella campagna. Una sera uno dei figli maschi trova un libro misterioso in un baule, incuriosito lo apre, senza curarsi degli avvertimenti, scatenando la rinascita di una antica leggenda, che vuole che villa Spiderwick sia abitata da creature fantastiche. I tre fratelli avranno il loro bel daffare per tenere a bada coloro che vogliono impossessarsi dei segreti del libro e per risolvere alcuni misteri che erano stati lasciati in sospeso ...
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Commento: Continua la moda, a quanto pare molto remunerativa, di trasporre romanzi oppure libri illustrati (anche minori) al cinema. Stavolta la scelta è caduta su Le cronache di Spiderwick (notare il titolo al contrario adottato al cinema) scritta da Holly Black ed illustrata da Tony Di Terlizzi. Saga composta da 5 libri, narra le avventure di tre fratelli (due gemelli maschi e una sorella) che vengono a contatto con i misteri di villa Spiderwick, dove il vecchio tenutario aveva scoperto la presenza di un mondo fantastico ed, ovviamente, anche del suo lato oscuro, affidando la chiave di tutto ad un libro che non si può distruggere con il fuoco. Tornato alla luce il libro, ovviamente buoni e cattivi tornano a fronteggiarsi.
Diretto da Mark Waters (specializzato in commediole giovanilistiche, per esmpio con Lindsay Lohan in Mean Girls e Quel pazzo venerdì), il film è virato tutto all'ottica del ragionamento che "I bambini soltanto possono comprendere l'irreale" mentre agli adulti questa cosa viene non naturale e solo toccandola con mano (con l'ovvia eccezione del solito studioso che è avanti in quanto a grandangolo mentale, come Arthur Spiderwick, interpretato dal bravo David Strathairn, attore culto di George Clooney che lo ha diretto in Good Night and Good Luck). Come se fossero delle astrazioni piacevoli della nostra mente ed incubi preburali vengono miscelati tutti gli elementi del mondo fantasy resi ad agio della grande massa da Peter Jackson con la sua saga degli anelli, dove però la vicenda perde ogni valore di avventura "around" e si confina in una sorta di limbo/giardino, specchiando i confini dell'ingresso e dell'uscita in maniera riflettente, non facendoci più ben capire chi è in stato di assedio o prigionia. Di fatto introdurre pesantemente l'elemento ragazzi nel film (qui Freddie Highmore, lo stesso di La fabbrica di cioccolato e di La musica nel cuore, fa due parti, quelle dei gemelli Jared e Simon Grace) porta ovviamente a una sorta di conglobazione del possibile esserci in un futuro da eroi da parte dei giovani spettatori (ai quali è fondamentalmente rivolto) ma per gli spettatori meno verdi di età la cosa alla lunga risulta anche abbastanza fastidiosa, in quanto certe volte per renderceli troppo simpatici ce li fanno diventare troppo teneri e insopportabili nella loro genuina purezza (che belli i tempi delle vecchie pesti tutta azione dei Goonies), come le arti della saccente e spadaccina sorella (Sarah Bolger), oppure rendendo i personaggi di fantasia (nell'originale doppiati da Nick Nolte, che fa Mulgarath, oppure Martin Short che fa il bifacciale Thimbletack/Boggart, diventato in italiano Giangoccetto, personaggio che per le caratteristiche ricorda chi ha un tesoro da difendere come lui come il tolkeniano Gollum) privi di spessore e di grande impatto, pur se le connotazioni effettistiche nel rappresentarli sono medio/buone, ma purtroppo troppo debitorie della influenza Disney nel dargli del vero carisma (molte volte ripenserete a Taron e la pentola magica, chiedendoci anche perchè uno dei servi di Mulgarath è vestito proprio da pirata). L'azione non manca, le creature non tardano ad arrivare dopo l'imprudenza che scatena la lotta, ma il tutto tra ingurgitate di miele e gli occhioni sbarrati della madre incredula (Marie Louise Parker, appena vista in Jesse James con Brad Pitt) e strane armi a base di sale e pomodoro, rischia di diventare monotono proprio per il suo incedere non propriamente originale e le sue filosofie di belligeranza tra le parti affrontate senza quel pizzico di cattiveria che servirebbe anche in un film per ragazzi.
C'è grande attenzione anche a far calare l'atmosfera in logiche di visione dove la tecnologia è minima, si vede solo un pc dove la mamma inesperta lavora in ufficio mentre i ragazzi sono brevemente nel paese per incontrare Lucinda (Joan Plowright), e niente cellulari e diavolerie elettroniche, proprio per incontrare e sottolineare semplicità di composizione delle arti magiche (circoli di protezione e affini).
In definitiva un divertimento colorato e innocuo per i piccoli spettatori, un po' meno per i più grandi per la troppa tenerezza di fondo e poca originalità di composizione, dai buoni effetti speciali non ridondanti nella costruzione delle creature, che si vede leggera senza peso sia nel trascorrerla ma anche nel ricordarsela. Il periodo di uscita italiano è quello giusto, quello di Pasqua, per l'ennesima cineversione di un romanzo fantasy per ragazzi corretta e dignitosa.
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Questa notte è ancora nostra
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Questa notte è ancora nostra
Un film di Paolo Genovese, Luca Miniero. Con Nicolas Vaporidis, Massimiliano Bruno, Ilaria Spada, Valentina Izumi, Maurizio Mattioli, Franco Califano, Tiziana Cruciani, Francesco Pannofino. Genere Commedia, colore 98 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Buena Vista - [Uscita nelle sale mercoledì 19 marzo 2008]
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Trama: Massimo e Andrea lavorano nella impresa di pompe funebri del padre del primo, e hanno uan grande intensa passione per la musica, che sviluppano come componenti di un gruppo musicale chiamato "The Becks". Quando gli si prospetta l'occasione di incidere un cd eseguendo una canzone scritta dal padre morto di Andrea, gli viene comunicato che per renderla a dovere serve qualche cosa di esotico femminile per riempire la scena sul palco. I due si scatenano alla ricerca di uan cinese di bell'aspetto e che abbia anche una bella voce. Quando sembra che l'abbiano trovata, comincia una serie di problemi davvero insospettabile ...
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Commento: Il divetto di moda tanto caro alle teen Nicolas Vaporidis (dopo le prova di Come tu mi vuoi e Cemento Armato) torna a lavorare con il gruppo di Notte prima degli esami Fausto Brizzi e Marco Martani che sono presenti in cosceneggiatura, dove la produzione non esita di citare il film in oggetto sin dal logo dei caratteri del cartellone. Coprodotto nientepopodimeno che dalla Disney-Buena Vista, la pellicola narra le avventure grottesco/semiserie di due cassamortari romani, Massimo e Andrea (Vaporidis e Massimiliano Bruno, ), vestiti come una sorta di Blues Brothers, che per evadere dal grigiore del lavoro (è proprio il caso di dirlo) la sera si dedicano alla musica all'interno di una band amatoriale.
Alla proposta/obbligo di un produttore (Franco Califano, in una parte non himself dove è attorniato da belle donne razzialmente divise, in onore della sua proverbiale mania e ammirazione per i bei corpi femminili) di avere una donna di belle fattezze esotiche ("Il culo non canta ma conta!") per avere possibilità di vedere inciso il cd, i due cercano nella comunità cinese chi può essere idonea allo scopo. Ovvio che una volta trovata le cose non saranno facili.
Di facciata sembrerebbe che si possa parlare di un film di problemi di integrazione e scambio di culture razziali, ma la cosa rimane debolissima e altamente superficiale, i due registi Genovese & Miniero (autori di Incantesimo Napoletano) si dedicano spesso e volentieri durante lo scorrimento della pellicola di cose grevi e davvero inconsistenti che ruotano attorno ai funerali visti in film barzelletta (casse da morto per strada, parenti credibili come la felicità di un agnello a Pasqua, telefonini di ultima generazione che hanno campo solo parlando in faccia al morto) piuttosto che dare valore frizzante da commedia intelligente al lavoro completo. Il contorno è abbastanza inconcludente, con i parenti di Jing (la bella Valentina Izumi) parlano con la "elle" stile vecchio fumetto di Tex Willer visto che sono di vecchia generazione, anche se sono in Italia ormai da trenta e passa anni, mentre i figli parlano correttamente la nostra lingua madre, mentre il padre vedovo di Massimo, proprietario delle pompe funebri (Maurizio Mattioli) vive contrastando le abitudini dei cinesi ("Venti anni che sono qui e non ho seppellito nessuno dei loro morti!") a parole ma poi in gran segreto mangia soia e carbonara assieme.
Non mancano neppure le distinzioni di valore in mezzo alle due comunità, in modo da non elaborare in maniera politically incorrect il tutto, con il nonno cinese che propugna saggezza, le signore italiane che non capiscono una cippa di cultura cinese ("Non sono cristiani loro, sono di religione bonsai!") e gli immancabili buzzurri che si pigliano una dose di giusto e inaspettato karatè. Chiude il cerchio un potente padrino della comunità che, non si sa bene a che scopo, vuole fare un matrimonio concordato con la famiglia di Jing per sanare un loro debito.
Il tono della commedia non è greve oppure sboccato (niente nudi gratuiti, per fortuna o per sfortuna dei punti di vista), ma non è neppure interessante oppure veramente coinvolgente, tutto si dipana con piattezza, senza originalità e praticamente si dilata in brodo con battibecchi risibili ed equivoci di scarso valore.
Senza voler essere del tutto cattivi possiamo dire che le canzoni e la colonna sonora di Daniele Silvestri sono gradevoli, anche se non del tutto incastrate perfettamente con le immagini, i cammei di Pannofino (grande doppiatore che fa la parte di un ipocondriaco previdente che prenota oggi il suo funerale perchè domani può essere troppo tardi) e Califano gradevoli (la scena dello studio stile pop con telefono scarpa con tacchi rosso), ma Vaporidis con le sue espressioni rassegnate e le sue incavolature gratuite e non convincenti proprio non regge la scena, che si salva solo per gli interventi caciaroni che danno un po' di pepe.
Questo film con Notte prima degli esami non c'entra praticamente nulla, ma sarebbe bene che questo filone giovanile mostrasse la corda anche al botteghino e non solo per gli evidenti scarsi meriti artistici, in modo che gli autori si dirigano verso cose diverse e più interessanti. Tra l'altro la presenza degli sponsor è a dir poco spaventosa, e si cerca di inquadrarli in maniera sublimale in ogni maniera.
In definitiva un film estremamente povero nella sua globalità, che pecca in molti momenti, divertimento pre o post pizza da prendere con le molle e che può essere soddisfacente al minimo solo a seconda del gusto personale, privo di qualunque approfondimento sociologico e svolte originali. Speriamo che visti i numerosi tentativi e gli altrettanti risultati di poco pregio i produttori non facciano altri film del tipo solo per infilare a tutti i costi Vaporidis nella sceneggiatura.
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Colpo d'occhio
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Colpo d'occhio
Un film di Sergio Rubini. Con Riccardo Scamarcio, Sergio Rubini, Vittoria Puccini, Richard Sammel, Paola Barale, Emanuele Salce, Giancarlo Ratti, Giorgio Colangeli, Alexandra Prusa, Flavio Parenti. Genere Giallo, colore 110 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione 01 Distribution - [Uscita nelle sale giovedì 20 marzo 2008]
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Trama: Adrian Scala è uno scultore rampante di belle speranze che senza troppi scrupoli ruba la giovane compagna di un critico d'arte rimonato, Pietro Lulli. Dopo la fuga dei due amanti e una tragica notizia, improvvisamente le strade dei tre si incrociano di nuovo, e quando sembra che il passato sia ormai definitivamente seppellito i suoi fantasmi riaffiorano violentemente. Adrian improvvisamente diventa un rinomato artista, ma ...
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Commento: Sergio Rubini torna alla regia (dopo La terra del 2006) e alla contemporanea recitazione nello stesso film, con un dramma thriller che sembra estrapolato dal nuovo corso londinese di Woody Allen. Similitudini alleniane davvero evidenti, con l'utilizzo di ridondanti musiche camerali (davvero poco azzeccate in alcune situazioni, in altre perfette), una notevole precisione nell'inquadrare ambienti ed interni, cercare di creare dei personaggi femminili di forte impatto emotivo sulla vicenda (peccato che la riesumata da chissà dove ex soubrette Paola Barale non valga nemmeno un unghia della Scarlett Johansson e la Rivombrosiana Vittoria Puccini sia decisamente sottotono per il ruolo sfaccettato, concedendosi a dei veloci nudi integrali). La trama è una sorta di occulta torbida vendetta dopo il torto, dove il bel scultore Adrian Scala (Scamarcio) vuole salire i gradini della fama a tutti i costi, conquistando Gloria (la Puccini), sentimentalmente riconoscente al ricco ed affermato critico d'arte Pietro Lulli (Rubini). Apparentemente sembra che passato del tempo a Lulli, dopo la fuga degli amanti ed essere stato tradito, non interessi più di Gloria, ma strani avvenimenti fanno presagire davvero il contrario.
Rubini è attentissimo ai particolari tanto quanto Allen : fa tornare dopo la notizia di una tragedia in scena un personaggio mostrando la macchia sulla piazza identica a quella di casa sua fatta quando era ancora presente, chiude il film con una iconografia che sembrava solo transitoria vista prima, mette l'arte al centro del film e ci gioca attorno con frasi sibilline di come alla fine importi di più quanto si guadagni con essa che di quanto si voglia dire al pubblico eseguendola. Ci mostra un dvd di Ordet, capolavoro di Carl Theodor Dreyer, come film supremo da salvare in caso di apocalisse e simbologia del potere divino sulle sorti dell'uomo, sempre che Dio voglia intervenire, riferendosi al fatto che esiste comunque un grande burattinaio che governa tutto e tutti a suo piacimento.
Rubini poi introduce l'importanza dei piccoli oggetti nel film (la collana, il modellino della palla con la mano dipinta e incisa sopra), delle cose semplici che per i vizi del fato possono essere determinanti (sempre come nel caso di Allen).
Tutto il film è pervaso da una sorta di senso dell'oppressione, dell'insicurezza della coppia in fuga dal passato, benissimo instillata nella vicenda da Rubini che mette progressivamente in giusta dose i nuovi elementi che cambiano lo scenario. Girato tra Lazio, Piemonte, Abruzzo e a Berlino, ha dalla sua la ricercata finezza di inquadrare benissimo gli ambienti ed i locali da suggestive prospettive che il luciferino Lulli sembra dominare.
Aspetti negativi del film sono il ritmo molto incostante, la vicenda a volte ristagna in leziosi sipari, la mancanza, come si diceva, di una vera affascinante protagonista femminile di peso e talento, un finale decisamente poco suggestivo e in fondo abbastanza telefonato nella soluzione.
Nota di merito parziale per l'interpretazione di Scamarcio, finalmente fuori dagli innocui ruoli adorati dalle teen, che dopo Mio fratello è figlio unico, cerca di dare nuova linfa vitale alla sua carriera recitativa per ora solo luminosa nel portafoglio. Il film comunque tutto sommato tiene bene, si fa vedere senza problemi particolari se non si hanno pretese impegnative da richiedere, anche se non è sicuramente l'opera di Rubini che vogliamo ricordare in assoluto.
in definitiva un film di stampo e derivazione profondamente Alleniana, che non riesce a convincere in pieno per una presenza scenica femminile non ben improntata, dalla successione di eventi un po' incostante e ripetitiva, ma la trama di fondo è affascinante per il sottobosco di perfidia e arrivismo che la permea, dimostrando la bravura di un attore/regista nostrano anche se qui non è alla sua prova migliore, che riesce a rendere quasi convincente un attore come il volonteroso Scamarcio in evidente voglia di togliersi di dosso i panni remunerativi ma scomodi da idolo delle teen che film precedenti gli hanno affibbiato.
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La volpe e la bambina
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Cast Ambra Angiolini (voce narrante)
Regia Luc Jacquet
Durata 01:30:00
Data di uscita Venerdì 21 Marzo 2008
Genere Documentario
Distribuito da LUCKY RED (2008)
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Trama: Una mattina una bambina che si reca solitamente nei boschi vicino a casa sua dopo la scuola, scorge una volpe che la incuriosisce. Appostatasi per studiarla e per averla come amica, tra i due a poco a poco nasce una sorta di rapporto di fiducia che porta la volpe a farsi trovare sempre più spesso e con minor diffidenza. Quando la bimba le salva la vita da un branco di lupi, il rapporto di fiducia con l'animale è totale. Nasce così una incredibile storia di rapporto uomo/animale immersa nella natura.
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Commento: Il cinema francese non è assolutamente nuovo ai docufilm con protagonisti assoluti gli animali e il loro mondo fantastico. Già in passato l'illustre Luc Besson ci regalò le meraviglie del mare (autentica sua passione) con Atlantis, mentre i registi Marie Perennou & Claude Nuridsany ci illustrarono i misteri del giardino e i suoi piccoli abitatori in Microcosmos.
Luc Jacquet stesso, non è nuovo a film di questo tipo, ci aveva già incantato con il racconto (narrato da Fiorello) della dura vita dei pinguini imperatore ne La marcia dei pinguini.
In questo La volpe e la Bambina gli animali non sono gli unici protagonisti del film, infatti anche l'elemento umano è presente sulla scena con la dolce e tenera Bertille Noel Bruneau, davvero brava e ben istruita a stare sulla scena, dai capelli rossi e lentiggini, che andando per i boschi, situati vicino alla sua casa immersa nel verde, incontra una volpe di cui subito si innamora e con cui cerca una dolce amicizia. A poco a poco tra i due esseri tanto diversi si instaura un rapporto di fiducia sempre più profondo, e mentre la bimba trascorre i suoi pomeriggi dopo scuola scoprendo man mano le insidie e le meraviglie del mondo animale, la volpe deve sopravvivere ai suoi predatori naturali e alla caccia dell'uomo. Alla fine ci sarà una importante lezione da trasmettere al proprio futuro.
Paesaggi incantevoli, magica interazione degli animali con la scena ripresi come se recitassero un copione che sanno leggere (qualche volta ci chiediamo veramente come sia possibile che avvenga), è inevitabile che il pensiero di ricongiunzione vada alla Disney (c'è anche la scena della volpe, novello Red dell'omonimo cartone, che guarda da lontano quasi gelosa la bimba che accarezza il suo cane), ma il film vive di vita propria passando attraverso le stagioni, inverno compreso, dove l'allontanamento dei componenti della strana coppia è inevitabile e ad elastico.
Quando scopriamo cha la bimba sconfigge la paura per aiutare la sua amica (questo possiamo dirlo, siamo di fronte a una ladyfox), vediamo che a quel punto i confini tra mondo animale e umano diventano labili, la piccola può vedere la tana e i nascondigli, intervenire nella vita sociale animale senza che la cosa sia un disturbo. Purtroppo quando il passo diventa troppo lungo e si vuole umanizzare eccessivamente il mondo animale, stravolgendone le basi nonostante la fiducia aquisita, la cosa perde il suo parametro e si rischia di passare a qualcosa di diverso e non idoneo.
La lezione del film è fondamentalmente questa soprascritta, senza farci vedere minimamente il mondo umano (tranne la bimba solo il dito di un cacciatore e nel finale brevemente un piccolo e la sua mamma) ma i due habitat dei protagonisti (la camera della bimba e la foresta), Jacquet ci indica la strada per il modo giusto in cui il rispetto e la curiosità per la natura possano vivere senza creare problemi.
Nel film è presente un prefinale che può lasciare straniti, ma necessario per puntualizzare i pericoli a cui si va incontro se mancano, come sentirete raccontato dalla bimba (con la voce di Ambra Angiolini, calda e morbida dall'inflessione pacata assolutamente idonea) i giusti parametri che si diceva sopra.
Non solo volpi nel film, ma anche orsi, lupi e un respiro puro di vita incontaminata perfettamente sottolineato dalle musiche e dai suoni, che completano la fase artistica in maniera perfetta.
In definitiva un film incantevole, genuino e con una piccola protagonista da ammirare per il suo vestito sempre uguale e il suo zainetto a spalla, che ci ricorda Pippi Calzelunghe e il suo amore per gli animali, realizzato con dolcezza e maestria da un perfetto conoscitore dell'argomento che lo rappresenta sullo schermo in maniera perfetta, lasciandoci il ricordo di una natura che ha preso vita di fronte ai nostri occhi con sentimento e non solo documentaristica. Un film di piccoli protagonisti (per età e dimensione) adattissimo a tutte le età.
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Un bacio romantico - My Blueberry Nights
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(My Blueberry Nights)
Un film di Wong Kar-wai. Con Norah Jones, Jude Law, David Strathairn, Natalie Portman, Rachel Weisz. Genere Sentimentale, colore 111 minuti. - Produzione Francia, Cina, Hong Kong 2007. - Distribuzione Bim - [Uscita nelle sale venerdì 28 marzo 2008]
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Trama : Lizzie ha appena troncato la relazione con il suo fidanzato, dopo aver scoperto che la tradiva. In cerca di conforto si reca nella pasticceria di Jeremy, un uomo tenero ed affettuoso. L'incontro tra i due sembra essere utile per entrambi, ma per Lizzie la voglia di scoprire altre storie ed altre persone è troppo forte e per lei comincia un giro itinerante per vari locali facendo la cameriera alla sera, in modo da guadagnare anche i soldi necessari per l'acquisto di una autovettura, che la porta a conoscere diverse anime tormentate, restando però sempre in contatto postale con Jeremy ...
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Commento: Il regista asiatico Wong Kar-wai (autore di pellicole ottime come In the mood for love e 2046) si cimenta con il suo primo film occidentale con attori americani (coprodotto però dalla Francia) dirigendo star del calibro di Jude Law, Natalie Portman e Rachel Weisz. Però nonostante questo trio di tutto rispetto la protagonista è un'esordiente (al cinema) di fama, la cantante Norah Jones, il cui personaggio funge da catalizzatore per gli eventi del film.
Riprendendo le tematiche a lui care del sentimento e della comunicazione contrastata, Kar-wai con il solito stile affascinante ci racconta delle storie diverse e separate, partendo da quella dell'incontro tra Lizzie e Jeremy nella pasticceria, sorta di osservatori del mondo con animo tenero e pacato (a dimostrazione il continuo armeggiare di lui con la telecamera del negozio a volte sfuocata a volte perfettamente regolata) che vedono storie di uomini e donne vivendo direttamente le loro emozioni, vicende disperate come quella della Weisz, ex moglie di un poliziotto che alla sera affoga la sua disperazione per la separazione nell'alcool, interpretato da David Strathairn, attore culto di George Clooney, per poi continuare con il racconto di una accanita giocatrice di poker (Natalie Portman) che gioca la sua vita continuamente sul filo del rischio economico e che ormai non crede più a nulla, neppure al padre in punto di morte.
Il tutto si chiude stupendamente con l'immagine che lo spettatore porterà a simbolo del film, l'inquadratura praticamente perfetta che si scolpisce nella mente per restarci a ricordo di quanto visto.
Privilegiando per la fotografia il caldo del rosso (il colore delle emozioni forti per antonomasia) siamo condotti per mano senza strattoni e in maniera dolce in questo percorso di storie metropolitane di grande impatto, dove la regia si differenzia continuamente, sottolineando i momenti diversi del vedere e del sentire, rallentando, velocizzando e cambiando le prospettive in maniera mai mono strutturata, utilizzando sempre il comparto fotografico alla perfezione per giochi di colore affascinanti. Quando l'intensa Norah Jones (davvero una bella sorpresa, ma anche gli esordienti sotto la direzione degli artisti prendono vigore) vede le vicende delle persone con cui viene a contatto, è come se il filtro dell'uomo che sta dietro la camera da presa sparisse, entrasse in lei e cogliesse gli attimi felici o meno degli altri per farli propri, bandito accettato dai protagonisti in maniera consapevole, in modo che quanto è stato preso possa essere portato a lezione per completare la propria storia. I rumori metropolitani affogano in una stupenda percezione sonora (la original sound track è veramente strepitosa), canzoni del momento portate a ricordo di una emozione da trasmettere.
Rispetto agli altri lavori precedenti del regista la trama è molto più lineare del solito, si svolge e si segue con meno tortuosità di racconto, probabilmente dovendo incontrare il gusto del pubblico occidentale si è fatto un lavoro in questo senso di limatura delle sfaccettature dei percorsi, ma le immagini e i simboli sono uguali e profondamente iconizzanti.
Come quando le parole nella pasticceria diventano la fusione del gelato sulla torta dei mirtilli (dialogo e comunicazione che si integrano), quando viene superato il bancone nella scena finale per simboleggiare il protagonismo ormai raggiunto con l'esperienza da vivere dopo l'osservazione, quando novelle Thelma e Louise si percorre la strada per giungere alla meta (morale e fisica) destinata viaggiando nella natura brulla e arida, quando i conti del passato ritornano in un biglietto a ricordarci che quanto viviamo non è mai veramente morto anche se nella vita odierna non sembra più entrare direttamente, mentre le lettere che spediamo ora ci collegano a quello che può essere il passato, il presente e il futuro, che una porta chiusa ci impedisca di progredire senza che delle chiavi lasciate su un bancone non è detto che possano aprire.
Il ritmo ovviamente non è incalzante, per far cadenzare e penetrare a dovere le emozioni di ciò che vediamo non si può pretendere che un ottica di racconto calma e riflessiva, anche se il grande impatto visivo non ci fa per niente sentire la sua durata.
In definitiva il lavoro di un artista in trasferta che ci dona un grande ritratto emotivo, dall'intenso fascino visivo sempre in evoluzione, che usa i colori caldi e i particolari per emozionarci in maniera splendida e convincente, nel modo che tanti registi più vacui non riescono a raccontare, in un perfetto connubio di musica e di spirito osservativo/introspettivo che non può non affascinare chiunque voglia pensare di vivere al cinema veri sentimenti, con presente una prova d'attori che ha dato volto vero agli animi tormentati di città che brulicano di storie meritevoli di essere conosciute, indipendentemente dalla vita sempre in corsa che facciamo, in un ottica di disincanto mai veramente rassicurativa del racconto ma che ha sempre in se una fiammella di speranza o nuovi orizzonti da perseguire.
Il titolo italiano non ha merito a quello originale, che si riferisce alle torte di mirtilli lasciate intatte dai consumatori ma che comunque sono dense di sapore, gustate di notte insieme per viverne completamente il profumo.
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Tutta La Vita Davanti
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Cast Sabrina Ferilli, Elio Germano, Valerio Mastandrea, Massimo Ghini, Micaela Ramazzotti
Regia Paolo Virzì
Sceneggiatura Paolo Virzì, Francesco Bruni
Durata 01:29:00
Data di uscita Venerdì 28 Marzo 2008
Generi Commedia, Drammatico
Distribuito da MEDUSA
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Trama: Un giorno Marta, alla disperata ricerca di un lavoro dopo che il fidanzato si è recato in America, incontra una bambina che chiede di farle da baby sitter. Lei accetta e viene a sapere dalla madre che in un call-center stanno cercando personale. Quando entra in questa realtà lavorativa scopre un mondo di mobbing e di privazione della dignità, misto ad assurdi obblighi di comportamenti che dovrebbero esaltare il morale dei dipendenti . L'incontro con un sindacalista esperto in precariato sembrerebbe portare un po' di serenita, ma ...
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Commento: Paolo Virzì è uno dei classici registi che ha sempre voluto rimanere in un ottica di racconto molto particolare e personale, estroverso e spumeggiante, senza mai lavorare con trame accomodanti oppure sicure per la ricezione platonica del pubblico, sia dai tempi dell'esordio con Ovosodo sia proseguendo la carriera con i film successivi, come My name is Tanino oppure Caterina va in città).
Questo tutta la vita davanti narra la vicenda di Marta (Isabella Ragonese, ha esordito con Crialese in Nuovo Mondo), una ragazza che pur di lavorare accetta di entrare a far parte dello staff di una ditta che cerca di vendere un prodotto dalle dubbie qualità, con il ruolo di telefonista al call center per fissare gli appuntamenti dei venditori con casalinghe costrette ad accettare dopo telefonate raggiranti e ingannevoli.
Il luogo di lavoro è dominato dalla team leader Daniela (una Sabrina Ferilli in forma fisica a dir poco splendida), cinica e spudorata, che costringe le ragazze a delle umiliazioni morali inaccettabili oltre che a comportamenti del tutto assurdi (come il ballo iniziale della giornata per dare loro coraggio e fargli credere di compiere un lavoro strabiliante).
Con il tempo Marta vede le sue certezze svanire, i suoi compagni di università che non si sono laureati e hanno abbandonato gli studi (a differenza di lei che ha preso 110 e lode) avere dei lavori migliori del suo e ben remunerati. Senza cadere in disperazione cerca aiuto e appoggio in Giaggio Conforti (Valerio Mastandrea), sindacalista che si offre di aiutarla per rendere la situazione lavorativa meno opprimente. Ma nel mondo del lavoro pieno di invidia e di disperazione, queste cose non sono assolutamente facili.
Cavalcando l'onda emotiva sociale delle difficoltà di chi ha un lavoro precario, condannando implicitamente il passato governo Berlusconi fautore e creatore del precariato (comunque il lavoro migliore al cinema in questo tema, negli ultimi tempi, rimane il Vangelo secondo precario) Virzì realizza una sorta di pellicola onirica con qualche sogno (le coreografie dei balli immaginati da Marta al mattino) e realtà, dove tutti i comportamenti vengono espansi al culmine, ingrossati ed esponenziati per porli in evidenza. Alcuni personaggi che ruotano attorno alla trama vivono vite estreme votate alla realizzazione del necessario numero delle vendite, come Lucio2 (interpretato da uno schizoide Elio Germano, sempre più convincente), oppure si lasciano cogliere dalla disperazione come la poco responsabile Olga (Micaela Ramazzotti, dal bel corpo che non esita minimamente a mostrare), che nonostante abbia una figlia ha delle priorità e delle convinzioni di coerenza del tutto vanesie.
Abbiamo anche i grandi manager come Claudio (Massimo Ghini) che fa fare danze tribali ai suoi venditori senza preoccuparsi minimamente delle dignità morali perse in altri comportamenti.
Per poter essere godibile dal pubblico ovviamente Virzì ha premuto sull'accelleratore in tutti i momenti che poteva, andando in logiche di ragionamento davvero azzardate (come l'accostamento del programma trash televisivo il Grande fratello, continuamente citato ed adorato dalla protagonista, con i grandi filosofi del passato) e giocando sulla emozione della dolcezza della bimba tenuta come baby sitter e della voce delle povere ingenue donne anziane raggirate via telefono, Il tutto cadenzato dalla voce narrante di Laura Morante, mentre prende man mano corpo la fine delle illusioni e si forma il quadro scenico della giungla urbana della sopravvivenza.
Decisamente il sopra le righe qualche volta diventa anche troppo, si perde l'aderenza e la credibilità con la realtà per vivere veramente la tragedia del precariato (alcuni pianti e alcune reazioni sono fuori logica di misura, anche perchè maturate in un ottica che in fondo perdere quello non è propriamente da suicidio), così facendo si annacqua la denuncia ma si rende il tono piacevole e scorrevole (godibilissimi i siparietti con le cariatidi), di facile cognizione ed assorbimento, potendo unire divertimento nel presentare una storia dai contorni fondamentalmente pesanti e problematici della vita intera.
Dal punto di vista di Marta (bella e brava la Ragonese) tutti diventano dei nemici e delle persone da cui è bene diffidare, si perdono le fiducie, in quanto nessuno è più affidabile, la filosofia di pensiero degli antichi di cui lei è maestra conoscitrice diventa una consapevolezza per affinare il coltello della lotta, calpestando per non essere calpestate, arriviste al punto di dare il proprio corpo (ormai commercializzabile anch'esso) per piccole vendette private oppure per soldi nonostante ci sia una bambina che non vede l'ora di stare con te.
Non ci vengono certo raccontate cose nuove, tutto è già ampiamente stato sviluppato da altri lavori e gli scheletri che si tengono nell'armadio non certo affascinanti nel momento che vengono in pubblico (come quelli patetici della Ferilli, che nonostante le sue scarse abilità di recitazione qui è davvero in linea retta con la parte), ma come si diceva il misto di sogno e di esagerazione tiene viva l'attenzione al di là dei bei corpi e dei vestiti succinti che ogni tanto vengono presentati.
Alla fine la tanto desiderata carriera e le disperazioni si frammistano, si interscambiano, tutto si scolora e si amalgama in una sorta di pasticcio informe in cui si sono buttati troppi ingredienti nella forma di sottotrame, vero difetto del film.
In definitiva una pellicola godibile ma blandamente denunciante nell'ottica di coinvolgiomento emozionale per come si mostra anche se il messaggio è chiaro e diretto, valida per chi vuole avere una prospettiva non solo cognitivo/riflettente dello spinoso problema del precariato ma vuole anche sorridere amaro. Certo, maggiore coraggio, maggiore lucidità e meno frenesia avrebbero dato una pellicola di ben altri risultati e non solo genuini buoni intenti.
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Il cacciatore di Aquiloni
- The kite rider -
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Cast Khalid Abdalla, Homayon Ershadi, Shaun Toub, Saïd Taghmaoui
Regia Marc Forster
Sceneggiatura David Benioff
Durata 02:11:00
Data di uscita Venerdì 28 Marzo 2008
Genere Drammatico
Distribuito da FILMAURO (2008)
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Trama: Kabul, 1978. Due bambini, Amir, ricco figlio di un acceso anticomunista, e Hassan, hanno una innata capacità nel vincere le gare di aquiloni. Ma nella giornata che scandisce una loro grande vittoria, un fatto scabroso finisce per rompere la loro amicizia che sembrava inattaccabile. Vent'anni dopo Amir, emigrato con il padre in America per l'arrivo dei Russi nel 1979, riceve una misteriosa telefonata che gli chiede di tornare al più presto nel suo paese. Egli si reca senza esitare, ma nel paese comandato dai talebani con il pugno di ferro ciò che deve fare è tutt'altro che semplice ...
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Commento: Marc Foster ha diretto due film molto apprezzati e conosciuti come Neverland e Monster's ball, e sta lavorando niente popodimeno che alla regia del prossimo, targato nr.22, episodio di 007, e in questo straziante ritratto di un uomo pervaso dai dubbi e dai sensi di colpa tratto dal libro di Khaled Hosseini, apprezzato best seller internazionale, dimostra tutta la sua bravura e le sue capacità registiche, con suggestive inquadrature dall'alto di una Kabul (e di un Afghanistan) in procinto di subire eventi devastanti come l'invasione sovietica e la presa del potere successiva dei talebani. La trama narra di una amicizia finita male per colpa di atto vigliacco e di una decisione di non intervenire ancora più vigliacca se vogliamo, che per vent'anni sembra stare muta senza intersezioni, riallacciando i suoi fili solo quando sembrava ormai completamente seppellita.
I protagonisti sono due bambini di diversa estrazione sociale, Amir e Hassan, il primo ricco ereditiero, il secondo il figlio del suo fidato servo. Il ritorno a Kabul dell'ormai trentenne Amir, trasferitosi con il padre in America per sfuggire alla repressione sovietica, sarà traumatico e troverà una città irriconoscibile.
Foster non cambia moltissimo del libro (introduce una scena d'azione per dare movimento decisamente poco affascinante rispetto a quello che avviene nel romanzo, e anticipa la figura di colui che farà da motore alla decisione di tornare a Kabul per meglio far comprendere allo spettatore alcune cose), ma mantiene intatto lo spirito che lo permea, quello della disillusione, dei troppi cambiamenti che avvengono (il ricco diventa povero, le sicurezze si sfaldano e le delusioni e le amarezze sono continue) e della incapacità di vivere con i sensi di colpa del passato.
Amir (Khalid Abdalla) vive la sua gioventù in amarezza e in controtendenza dei voleri del padre che ha trovato per entrambi la salvezza in America, si laurea senza nessuna gioia, cerca di scrivere faticosamente un libro tra la diffidenza dei parenti e conoscenti ("devi fare il dottore" gli dicono) e poi quando il libro viene ultimato e stampato, deve andare a riprendere i fili del suo passato. Una ironia del destino che ci insegna che i disegni più grandi sono quelli della solidarietà umana da attuare e non il successo economico da perseguire (la scena dell'orfanatrofio abbandonato a se stesso è a dir poco eccezionale in quanto a iconizzazione della necessità di aiutare), di fatto nella seconda parte del film si abbandonano gli agi e le certezze pur di correre a salvare l'onore sporcato nel tempo addietro.
Immagini dure e pesanti, che ci ricordano sotto quale regime si viveva (presente anche la scena della lapidazione di una donna fedifraga, con la privazione dell'identità del burka da indossare anche durante la sua esecuzione), che impediva ogni tipo di felicità e dimostrazone pubblica di colloquio. All'interno è nascosta una terribile verità sotterranea che uscirà in maniera devastante, dimostrando che la tanto decantata fedeltà ad Allah del regime con imposizione di comportamenti impossibili da seguire, nasconde verità scomode e atrocità indegne.
I contrapposti psicologici tra la prima e la seconda fase (innocenza e maturità) altissimi proprio per sottolinearli, come vediamo l'altalena di situazioni in cui vive la famiglia di Amir che passa dalla ricchezza e visibilità afghana all'appiattimento in quella americana, vivendo di lavoretti, mentre man mano si nota come il padre dia dignità alla propria vita eseguendo comportamenti che affossano sempre di più la dignità del figlio oppresso dal passato (la scena con il soldato russo è a dir poco eccezionale in quanto a emotività).
Preparatevi a una trama piena di sorprese inaspettate, per una delle trasposizioni di romanzo più riuscite degli ultimi tempi, riuscendo grazie a una grande prova di regia e a un integrazione ottimale degli ambienti a farci sentire nella zona dove si svolge ciò che vediamo.
In definitiva un film coinvolgente come pochi, potente, emozionante, che tratta gli inaspettati temi scabrosi (ovviamente per chi non ha letto il libro) in maniera perfetta calibrandosi tra le diverse realtà, tirando fuori tutti gli scheletri dall'armadio quando meno te lo aspetti, visione completa ed appagante per una serata di cinema impegnato che si segue senza nessun problema tanto è ben esplicata. E mentre i bambini ci guardano con i loro occhi privi della dignità della fanciullezza privata troppo presto dalle azioni nefande dei grandi, ci sentiamo tutti più poveri per non aver fatto niente per loro. Sono momenti in cui il cinema ci ricorda che le tragedie e gli incubi degli errori personali non finiscono scappando e trovando una nuova realtà di vita, ma continuano a tormentarci senza tregua finchè non le abbiamo riparate.
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Walk Hard - La storia di Dewey Cox
(Walk Hard: The Dewey Cox Story)
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Un film di Jake Kasdan. Con John C. Reilly, Jenna Fischer, Raymond J. Barry, Margo Martindale, Kristen Wiig, Chip Hormess, Conner Rayburn, Tim Meadows, Chris Parnell, Matt Besser, David Krumholtz, Nat Faxon, Jack Black, Jason Schwartzman, Paul Rudd, Eddie Vedder, Justin Long, Jackson Browne, Lyle Lovett, Jewel. Genere Commedia, colore 96 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Sony Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 28 marzo 2008]
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Trama: Dewey Cox da piccolo ha, per errore durante un gioco, tagliato in due con un machete il fratello. Questa colpa non viene minimamente perdonata dal padre, ma il fantasma del defunto fratello lo incoraggia a compiere una missione musicale, davvero un duro cammino, e di essere così grande per tutti e due : diventare una star del rock and roll. Inaspettatamente e nella sfiducia di tutti Dewey riesce nell'impresa, ma mentre arriva il successo giunge anche una pesante dipendenza da droghe e donne. Riuscirà lo spirito musicale che è in lui a ridargli la forza di ritrovare la dignità perduta ?
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Commento: Judd Apatow sta diventando una specie di folletto geniale nell'elaborare o produrre buone commedie parodistiche decisamente spudorate, così come è stato per Molto Incinta e Superbad. In questo Walk Hard si utilizzano i canoni resi famosi dai fratelli Wayans con la loro serie di Scary Movie, parodiando in questo caso i film a tema musicale, Walk the line in testa, già dal titolo e poi dalla conformazione visiva a cui assistiamo (un cantante con famiglia che diventa fedifrago per trovare l'anima musicale gemella).
La trama è ovviamente un pretesto per presentare canzoni (anche irriverenti) e situazioni parodistiche : Dewey Cox ha un fratello con cui gioca regolarmente, un giorno un tragico incidente lo taglia in due (letteralmente) e lui si trova pieno di sensi di colpa e una missione per espiare, diventare una rock star. Sposata e messa numerosamente in cinta una donna che fa di tutto per scoraggiarlo nella sua attività musicale, riesce a trovare i componenti per formare una band e incredibilmente con il brano Walk Hard scala le vette delle classifiche. Con i soldi arrivano vizi, droghe e dissolutezza, che Dewey fatica a respingere aiutato solo dal fantasma del fratello che lo incoraggia.
La commedia grottesco-biopic diretta da Jake Kasdan (figlio di Lawrence) è decisamente decente, il ritmo è divertente e scanzonato, la presa in giro spumeggiante e senza rallenty nella visione. Certo, in prodotti di questo tipo (che in Italia verrà totalmente ignorato, privo di fascino per lo spettatore nostrano perchè presenta anche cose non propriamente tipiche della commedia trash, come le divertentissime canzoni sexualsound fortunatamente totalmente sottotitolate) sono presenti esagerazioni di ogni tipo (vedrete giraffe in casa, cammelli in giardino e nugoli di figli fatti in serie manco fossimo nella casa del Senso della vita dei Monty Pithon, per finire con corpi divisi in due che parlano) e corpi nudi in serie, cosa che non è necessariamente un difetto (oltre a belle donne discinte anche un primo piano di genitali maschili in bella evidenza), ma di fondo regna una serietà realizzativa nel musicarlo fuori dal comune per il genere, una scelta dei vestiti azzeccata, oltretutto la trama si svolge come un lungo flash-back cadenzata da serissime date che ne cadenzano il tempo di riferimento. Non si ride greve come altre volte, ci si accomoda tranquilli a divertirsi consapevoli della totale presa in giro e della sua leggerezza, ma ci si appaga con gli obbiettivi perfettamente centrati, e il film va benissimo per un pre o dopo pizza disimpegnato senza che dobbiamo totalmente essere a cervello zero.
il protagonista, un divertito e disinvolto John C. Reilly (serissimo attore che ha lavorato anche con Scorsese) è un ingenuo che crede ciecamente nel suo dovere di onorare la musica a tutti i costi, e ci delizia con la sua semplicità umana per provocare ilarità di fronte alle sue risposte sconnesse e le sue giustificazioni assurde (le scenette nei bagni con l'offerta di droghe sempre più pesanti sono spassosissime). E mentre il padre continua a ripetere che è morto il figlio sbagliato, lui incontra i Beatles in una sorta di tempio del pensiero (uno di essi, Paul Mc Cartney, è Jack Black in un cammeo) e domina le folle con una musica definita da un simil esorcista "Del diavolo!", facendo ballare in maniera più o meno ortodossa donne, uomini e bambini.
Come si può leggere non si hanno novità a livello di idea o di trama (prendo una cosa, la esagero e la riempio di grosse contraddizioni magari un po'pepate) davvero potenziali, ma la simpatia di cui è pervaso ce lo fa rendere gradevole, passatempo innocuo ma scaltro neppure dei più beceri, privo di linguaggio coperto di parolacce gratuite.
In definitiva un film semplice, gradevole e simpatico, dalla conformazione già vista, con tutti i pregi e difetti del genere biopic che prende in giro, e con tecniche narrative già ampiamente usate, ma che si distingue per la sua colonna sonora estroversa e orecchiabile. C'è molto di meglio da vedere, ma se la serata è all'insegna del completo sedersi e disimpegno sorriderete senza doverlo fare per forza solo perchè avete pagato il biglietto.
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L'amore secondo Dan
(Dan in Real Life)
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Un film di Peter Hedges. Con Steve Carell, Juliette Binoche, Dane Cook, John Mahoney, Dianne Weist, Emily Blunt, Allison Pill, Brittany Robertson. Genere Commedia, colore 98 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Eagle Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 28 marzo 2008]
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Trama: Dan scrive per una rubrica consigli sentimentali, è vedovo e ha tre belle figlie. Chiuso nella sua solitudine e sconsolato per la morte della moglie, nega alla figlia mezzana il rapporto con un ragazzo e alla maggiore la guida dell'auto, andando d'accordo completamente solo con la minore. Quasi a sollievo delle sue difficoltà a relazionarsi, arriva una riunione familiare con i numerosi fratelli e sorelle dai genitori, in una casa immersa nel verde. Mentre è in un negozio per prendere dei libri, conosce una donna dolce e simpatica di si invaghisce subito. Corso a casa per dire a tutti dell'incontro, trova una brutta sorpresa con cui dovrà fare i conti dividendosi tra onestà e desiderio ...
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Commento: Peter Hedges (regista del film Schegge di April con Katie Holmes ma sopratutto autore del libro da cui è tratto il film Buon compleanno Mr.Grape con DI Caprio) confeziona questa commedia dolceamara, film supercorretto che parla di famiglia da rispettare anche se il prezzo da pagare è quello di rinunciare alla felicità non cogliendo l'amore che ti arriva improvviso.
Daniel (Steve Carrell, reduce dalla costruzione di un'arca nel film Un'impresa da Dio) è un vedovo con tre figlie a carico, deluso dal fatto di non riuscire a trovare una nuova compagna, che durante una gita di qualche giorno per recarsi dai genitori trova l'anima gemella in un negozio di libri, Marie (Juliette Binoche in forma fisica eccezionale) donna dolce e simpatica che sembra accettare la sua corte. Peccato che lei sia già impegnata sentimentalmente, e sopratutto lo sia con il fratello Mitch che gliela presenta guarda caso proprio nel week-end dai genitori.
A quel punto Dan deve decidersi se rispettare la famiglia o cogliere l'attimo rubando la donna che potrebbe essere quella giusta per riempire le sue vuote giornate.
Come si diceva, una commedia supercorretta che viene elaborata nel pieno rispetto delle convenzioni del buonismo, con i genitori che fanno le torte e danno i buoni consigli, le figlie con problemi adolescenziali comuni ma dolci e carine, il protagonista che vigila sulla famiglia e sceglie la donna perfetta (simpatica e con cultura oltre che fisicamente ben disposta), i cognati, le sorelle che fanno giochi di società tipici della grande famiglia patriarcale (il mimo o i giochi in giardino) il tutto avvolto in una magica cornice nel verde della natura che costeggia le spiagge di Rhode Island.
Tutto ampiamente funzionale per incantare un pubblico che vuole perderci la lacrimuccia facile e i buoni sentimenti, godendo di un film che più all'acqua di rose non si può. Carell è interprete perfetto nel dare volto a questo scrittore dalle grandi frasi e dal cuore deluso, incapace di liberare emozioni, ma la trama banalissima non si eleva per nulla, prosegue secondo una prevedibilità che definiremmo ironicamente incantevole, non c'è il minimo accenno ad uscire dai binari se non per un breve momento con l'arrivo del personaggio della bella Ruty (Emily Blunt, apprezzata nel ruolo della segretaria di Il diavolo veste Prada) che almeno con delle mosse sensuali colora brevemente un film opaco di vere emozioni, quando invece dovrebbe esserne pieno visto che parla di amore, affetto per le figlie e coerenze comportamentali. Il finale poi è totalmente prevedibile ma sopratutto corretto fino al parossismo, in modo che non ci sia spazio per il male per nessuno, e sui titoli di coda vorremmo aggiungere la parola banale tra i protagonisti.
in definitiva un film visto e stravisto, dolce e correttissimo, che i protagonisti rendono zuccheroso fino alla diabete (c'è una scena nel bowling dove si consuma il massimo del love me tender) appagando un pubblico di cuori teneri per una facilità di lettura veloce e commovente, ma che deluderà in pieno tutti gli altri spettatori che vorrebbero una commedia più corposa che ci possa far sorridere senza sentire nell'orecchio continuamente la parola deja-vu o la noia da troppo perbenismo.
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Non pensarci
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Non pensarci
Un film di Gianni Zanasi. Con Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Caterina Murino, Paolo Briguglia, Dino Abbrescia, Teco Celio, Gisella Burinato, Paolo Sassanelli, Luciano Scarpa, Natalino Balasso. Genere Commedia, colore 109 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione 01 Distribution - [Uscita nelle sale venerdì 4 aprile 2008]
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Trama: un chitarrista rock decide di tornare in famiglia dopo quattro anni di assenza, sia perchè il suo disco non decolla e poi per il fatto di aver trovato la fidanzata nelle braccia di un altro uomo. Quando arriva dai suoi parenti a Rimini trova delle sorprese decisamente poco confortanti, con l'azienda di famiglia mal gestita dal fratello e i genitori all'oscuro di tutto, in più la sorella ha abbandonato l'università per dedicarsi ai delfini di un parco dei divertimenti. Inaspettatamente Stefano prende in mano come può le cose cercando di risolvere almeno i parte i guai finanziari, ma le troppe incomprensioni rischiano di rendere inutili i suoi sforzi ...
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Commento: Valerio Mastandrea (al cinema in questi giorni anche con il film di Virzì sul precariato Tutta la vita davanti) è uno degli attori italiani più interessanti del momento, e si cimenta in questo film che parla dei sogni disillusi di un musicista rock, Stefano, passato dal pianoforte alla chitarra, che torna in famiglia per mancanza di possibilità di proseguire il suo sogno musicale e per aver scoperto il tradimento della fidanzata con un altro musicista, avvenuto apparentemente senza nessun vero motivo. Quando torna in famiglia, il quadro complessivo è a dir poco sconfortante, il fratello Alberto (Giuseppe Battiston, prolificissimo attore nostrano interprete anche de La bestia nel cuore con la Mezzogiorno) che sta divorziando è in pieno dell'esaurimento nervoso, la sorella Michela (Anita Caprioli) si dedica ai delfini e interrompe gli studi, il padre infartuato vive giocando a golf mentre la madre si dedica all'ascetismo. A cercare di salvare l'azienda dei nardini, che produce frutta sciroppata, sarà proprio lui, la pecora nera e dimenticata, l'unico che cercherà in ogni modo di salvare il salvabile.
Gianni Zanasi (dal '99 non dirigeva un film) vira l'etichetta di pellicola musicale a cui si potrebbe pensare vedendo il cartellone, e gira il tutto come uno spaccato familiare in crisi dove il figliol prodigo inaspettatamente tornato scopre gli altarini nascosti, tralasciando completamente l'attività musicale come centro dell'attenzione per dedicarsi solo alle complicate vicissitudini del momento familiare. L'intervento di Stefano, che arriva sul tran tran (termine che in famiglia sembrano non conoscere, come dicono nel discorso a tavola tanto le loro vite segrete sono movimentate) di facciata della vita dei Nardini è all'inizio maldestro tanto quanto i suoi (pochi) fan musicali invasati che non prendono il suo collega che si butta nella platea antistante, rompe la zampa a un cagnolino per errore di foga e porta i nipotini a comportamenti un po' fuori dall'ordinario, ma poi la sua irruenza si lima e si stempera e sembra che solo lui possa salvare l'azienda di famiglia dal tracollo, parla con ricchi politici dal viso pulito ma del tutto inutili (Paolo Briguglia) tesi solo a far splendere la casa di opere e musica come i vecchi feudatari (critica velata e nascosta al mondo reale della politica), e sindacalisti che sono interessati a salvare gli stipendi dei dipendenti. In mezzo il padre che non sa nulla è investito come un ciclone dalle velleità di Stefano, e sembra paradossalemente che tutti gli sforzi che compie diano più fastidi che certezze, quasi che si stesse meglio prima quando lui era lontano a Roma e con la sua chitarra cullava sogni irrealizzabili.
Di fatto il fratello esaurito si perde in sogni folli con una improbabile squillo di alto borgo piena di buoni sentimenti (la splendida Caterina Murino, ex bond girl nell'ultimo Casino Royale), e sembra fregarsene di tutto, il padre perde la sua vacua tranquillità, la madre si sente in obbligo di confidare difficili segreti, per la sorella è un guastafeste che la distoglie dai delfini e le dice di dedicarsi anche a qualcosa di meno nobile ma più sicuro economicamente di cui lei proprio non vuole farsi parte, e alla fine in un discorso da bar è presente a un apparentemente futile consiglio ad un aspirante suicida (che si veste sempre come Keanu Reeves in Matrix). Il bello di tutto questo è che a Stefano queste cose erano estranee, lontane, e l'immagine finale come il prefinale, riconducono al fatto che in fondo gli interventi anche se volonterosi in una situazione oramai irrecuperabile sono quasi fastidiosi, per cui meglio affidarsi a braccia aperte a un volo libero senza certezze ma almeno spensierato, privo di pensieri troppo pesanti che provocano soltanto un accumulo di stress, come andrà andrà.
La commedia tragica è scorrevole e piacevole, ha delle iconografie di buon livello (la migliore è quella del contavelocità del bar, dove si sprona a superare i limti) e usa la colonna sonora in maniera adeguata, senza canzoni pedanti o riempitive, e il tutto fa passare quasi due ore di valido intrattenimento decisamente gustoso, senza essere mai volgare o sboccato, senza nudi gratuiti e mostrandoci come a volte la famiglia ormai consolidata abbia eretto un fortino sulle sue vite ormai regolate dai tempi sempre uguali senza bisogno che arrivi qualcuno ad interrompere sogni placidi. Alla fine altro che salvare aziende e il nome di famiglia (di fatto si cita la Toschi, azienda che produce frutta sciroppata) per dignità, ci sono scappatoie più comode senza nessuno che ci dica verità giuste ma scomode ("Michela è lesbica!").
In definitiva una piacevole e amara commedia sui sogni irrealizzati, recitata e realizzata con garbo, con delle morali non fastidiose e messe a casaccio, spuntata inaspettatamente da dove non te l'aspetti, da preferire senza indugio a commedie molto più vacue in programmazione in queste settimane.
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Cast Nicolas Cage, Julianne Moore, Paul Rae, Tory Kittles, Jessica Biel, Peter Falk, Jim Beaver, Sergej Trifunovic, Thomas Kretschmann, Enzo Cilenti
Regia Lee Tamahori
Sceneggiatura Jonathan Hensleigh, Paul Bernbaum, Gary Goldman
Durata 01:36:00
Data di uscita Venerdì 4 Aprile 2008
Generi Azione, Fantascienza, Thriller
Distribuito da MEDUSA (2008)
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Trama: Cris Johnson ha una incredibile capacità: mago illusionista di professione a Las Vegas, riesce a vedere due minuti avanti il suo futuro e tutto quello che lo può riguardare in questo lasso di tempo. Con questo sistema riesce a vincere ai tavoli da gioco e ad eludere le guardie prevedendo le loro mosse. Tutto sembra andare bene fino a quando il governo non si interessa di lui per risolvere un problema di terrorismo internazionale, oltretutto la misteriosa bella ragazza che lui sogna in continuazione prende vita non solo nel suo futuro ma anche nel suo presente ...
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Commento: Come è caduto in basso Lee Tamahori, dopo essere partito benissimo nel 1994 con l'interessante e sanguigno Once Were Warriors - Una Volta Erano Guerrieri, aveva girato un interessante Bond nel 2003 (La morte può attendere), poi si era perso con l'inutile seguito di XXX ed ora fa un nuovo tonfo con questo pessimo Next.
Film, dalla strada al cinema già percorsa, di un uomo che vede nel futuro (Nicolas Cage, qui in versione superlegnosa al suo peggio e oltretutto in alcuni punti uomo multiplo, una tortura per chi lo odia), peccato che possa avere solo due minuti di preveggenza, tranne che per quanto riguarda una misteriosa donna che vede in continuazione, e soltanto per quello che riguarda la sua vita (in pratica non prevede nulla di quello che non lo riguarda). Vive di espedienti insieme a un vecchio compare (un incanutito e patetico Peter Falk) in una rimessa d'auto, anticipando le mosse delle guardie che lo catturerebbero se non sapesse come agiscono, e facendo l'illusionista in un locale di Las Vegas. Un giorno una affascinante detective dell'FBI (Julianne Moore, unico vero motivo di vedere il film la sua sempre incantevole e arcigna presenza) lo studia e decide di usarlo contro una terribile minaccia terroristica, sfruttando la preveggenza.
Decisamente la fretta di farlo (probabilmente il cast, compresa la bella Jessica Biel qui in versione dolce fidanzatina del destino, aveva ben altri lavori in testa e questo lo ha infilato per paghetta) ha nuociuto parecchio a Tamahori, dato che la trama, già di per se piena di insidie come tutte quelle che parlano di paradossi temporali, viene sviluppata come un compitino di prima elementare senza nessuna vera inventiva, piena di cose davvero poco convincenti (una per tutte, perchè davanti a una televisione il suo potere si espande oltre i due minuti, a comando, solo perchè ci sono dei fissa palpebre?), azione farraginosa, inseguimenti davvero privi di emozione e le uniche scene ridondanti (quelle nel cottage in montagna), sono veramente indegne dei soldi spesi per farle. Oltretutto il finale rinnega ogni dettame che il film ha imposto lasciandoci praticamente di stucco, quasi che dopo la noia sia subentrata anche la facile spiegazione degna dei fumetti primi anni novecento di Little Nemo che tutto può accadere nonostante.
Si procede anche con siparietti commedia (quella nel bar stile Tarantino del suo Pulp Fiction) davvero noioso, dove il giochino del vedo due minuti avanti per cui so viene espanso ad elastico. Cage fa le solite facce attonite, qualche corsetta mentre tutto vola e lui fa rewind e forward mentali in continuazione, la Biel si diletta ad essere la brava ragazza che ha il destino dei bimbi a cuore, la Moore sa che è tanto brava che esserci già basta, si cita Kubrick in maniera più o meno velata (oltre che quella evidente di Arancia Meccanica anche il Dottor Stranamore, sia per il discorso della bomba che per delle veloci immagini in televisione) e carne da cannone in mezzo (poliziotti comparsa e cattivi terroristi super tecnologici e dai delitti che lasciano gli scenari del crimine pulitissimi) gioca a buoni e cattivi nelle sparatorie alla camomilla più placide degli ultimi tempi, tanto con Cage uomo multiplo prevedi tutto la vittoria è sicura.
Bonariamente si potrebbe pensare a un divertimento da aprte degli autori, ma dovrebbero pensare anche che il divertimento non dovrebbe essere solo loro, ma pensare anche a noi che gli abbiamo dato fiducia entrando al cinema giocando tempo (per fortuna poco, 96 minuti) e soldi traditi.
A un certo punto tra preveggenze stiracchiate nel calcolo del tempo delle forbice del potere (quanti secondi mancano? quanti minuti?) si perde la bussola, e il regista che capisce il fatto ci propina sempre soluzioni comode cadendo nella noia più totale.
In definitiva un film brutto e noioso, poco coinvolgente, che se avessimo avuto il potere del protagonista avremmo evitato con gioia.
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The Eye
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Cast Jessica Alba, Parker Posey, Alessandro Nivola, Rachel Ticotin, Chloe Moretz, Tamlyn Tomita, Francois Chau, Karen Austin, Obba Babatunde', Rade Serbedzija
Sceneggiatura Sebastian Gutierrez
Durata 01:38:00
Data di uscita Venerdì 4 Aprile 2008
Generi Thriller, Drammatico, Horror
Distribuito da MEDIAFILM
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Trama: Sidney è una ragazza di Los Angeles, rimasta cieca giocando con dei petardi con la sorella, che ha un talento innato per suonare il violino. Un giorno gli viene comunicato che sono disponibili per lei delle cornee per effettuare un trapianto che potrebbe ridargli la vista. Piena di ansia e nel contempo di felicità, si sottopone all'operazione. Ma dopo aver riacquistato il senso perduto, vede apparirgli degli spettri minacciosi che vogliono dirgli qualcosa e nel contempo minacciarla. Sidney a quel punto deve scoprire che cosa hanno di particolare gli occhi ereditati e a chi appartenevano ...
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Commento: Sin da quando nel 2002 vidi "The Eye" dei Fratelli Pang (dopo ne seguirono altri due film, con ancora loro come registi) la domanda che mi feci subito era questa "Ma se è giusto che i fantasmi siano visti dagli occhi maledetti, come mai vengono anche sentiti?", e mi chiedevo se un giorno gli americani avessero fatto la storia nella loro versione USA di un film horror orientale (cosa inevitabile come in altri casi tipo The Ring e Dark Water, ma anche The Grudge) magari davano una spiegazione a questa domanda. Invece come sempre, senza molta fantasia, si è pensato, con un attesa più lunga del solito, a innestare la star woman (qui Jessica Alba, la donna invisibile dei Fantastici 4, là non visibile e che qua non vede) nella oriental story e basta. Cambiano i luoghi (Messico e Los Angeles) ma non il resto, dove non si capisce bene il senso della riproposizione di una serie che sembra ormai già aver esaurito la sua forza anche nel paese d'origine.
La trama riguarda una dolce musicista cieca che suona il violino, a cui vengono innestati degli occhi appartenuti a una misteriosa donna donatrice. Dopo il primo momento di euforia per l'operazione ben riuscita, purtroppo si apre per Sidney un autentico incubo in cui appaiono spettri di ogni tipo a tormentarla. Risalire alle origini della donatrice è l'unico modo di sapere che cosa fare per uscirne.
Rispetto all'originale le variazioni come si vede sono minimali (in fondo solo il fatto buonista che succede nell'incidente finale, che non possiamo rivelare per ovvi motivi di sorpresa per lo spettatore), tanto che le eguaglianze vanno a finire anche in regia con una coppia a dirigere il film (David Moreau e Xavier Palud, che fecero il ben più povero ma molto più interessante Them, qui in vena di soldi facili) e tutto si perde nel nulla del remake di nessuna utilità.
Di fatto le apparizioni spettrali non sono fatte male, ma l'impatto di sorpresa è molto rarefatto, anche la scena dell'ascensore non colpisce tanto quanto come ebbe nel 2002 l'effetto sobbalzo, forse l'ambientazione americano-occidentale per un certo tipo di storie è davvero liquefante delle sorprese, che vedono la loro esatta collocazione per agire appieno sul nostro subconscio solo se ambientate in terra natia (come dimenticare poi Storie di fantasmi cinesi, davvero valido, dove anche lì era presente il suono di un attrezzo musicale, un liuto, dava il via alla vicenda). Anche per chi non ha visto il film da cui è tratto il remake (diremmo anche fotocopia con bella gnocca, tanto per usare un francesismo spero permesso) non c'è davvero molto di cui spaventarsi, le situazioni sono troppo consolidate e non nuove rispetto a sei anni fa per stupire, e nonostante la Alba provi ad impegnarsi è credibile nella fase come cieca solo nel momento che dorme.
I registi hanno inserito degli orientali come attori per interpretare diversi personaggi secondari per dare ambientazione, ma la cosa non aiuta davvero molto. L'effetto finale è comunque gradevole ed è l'unico ridondante di massa del film.
In definitiva un remake/fotocopia del tutto inutile, assolutamente inutile per chi ha visto il film del 2002, che si sviluppa su canoni già visti per impostare il ladrocinio di idee e stili senza profondere il minimo impegno artistico di nuova versione, sperando come sempre che il pubblico dimentichi in fretta e non riconduca per forza. Di fatto questo testimonia solo la scarsità di idee imperante nel cinema horror sopratutto, e non certo un omaggio oppure una riscoperta.
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Gone baby Gone
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Cast Casey Affleck, Michelle Monaghan, Morgan Freeman, Ed Harris, Amy Ryan, Mark Wahlberg, Amy Madigan, John Ashton, Mark Margolis, Matthew Maher
Regia Ben Affleck
Sceneggiatura Ben Affleck
Durata 01:54:00
Data di uscita Venerdì 4 Aprile 2008
Genere Drammatico
Distribuito da WALT DISNEY STUDIOS MOTION PICTURES, ITALIA
Trama: Una bambina di 4 anni, Amanda, viene rapita misteriosamente, le condizioni in cui versa la famiglia non sono agiate per cui non si può pensare ad una richiesta di riscatto, e spunta l'ombra terribile del sospetto che dietro a tutto questo ci sia un pedofilo. Chiamati a fare le indagini per ritrovare la bimba, Patrick e Angela si troveranno di fronte un tragico sottobosco di situazioni difficile da gestire e inaspettato ...
Commento: Ben Affleck (l'interprete del Marvelliano Daredevil, la cui unica valida performance è riconducibile a HollywoodLand, per il quale vinse la coppa Volpi come miglior interprete al festival di Venezia) non è mai stato un grande attore, e negli ultimi tempi dopo la grandiosa interpretazione in L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford la critica internazionale elogiò in una volta sola in maggiore maniera, più di lui in tutta la sua carriera, il fratello Casey, capace di recitare alla pari senza nessuna paura di fronte a un mostro sacro come Brad Pitt. Intelligentemente, dovendo trasporre il romanzo omonimo di Dennis Lehane (in italiano lo trovate come La casa buia), lo stesso che ha scritto Mystic River da cui è tratto il bel film di Clint Eastwood, ha pensato di dedicarsi solo alla regia, reclutando il fratello di belle speranze e due star del calibro di Ed Harris e Morgan Freeman. La trama del film è tragica, e può ricordare da vicino l'episodio di cronaca con protagonista la piccola scomparsa mentre era in vacanza con i genitori, Madeleine McCann, ma, come viene ricordato nel film, non solo, visto che per la pedofilia, oppure per altri motivi, i bimbi scomparsi, sopratutto nelle zone disagiate della città, sono molti e di alcuni non si viene a sapere più nulla.
La piccina scomparsa in questo caso è una biondina di 4 anni, Amanda, con madre che si dedica all'alcool e sniffa droghe. la zia, disperata, recluta due investigatori, Patrick (casey Affleck) e Angela (Michelle Monaghan, vista insieme a Ben Stiller ne Lo spaccacuori), che si buttano nella vicenda con sentimento senza pensare solo al pagamento della prestazione della ricerca. Via via che il pessimismo di non riuscire a trovare viva la piccola pervade la coppia, l'indagine porta alla ribalta numerosi risvolti tragici, inaspettati, che il potere costituito cerca di nascondere in ogni modo.
Ben Affleck dirige il tutto sempre con un occhio particolare per cercare di indirizzare il film riempiendolo di chiaroscuri, in modo da far risaltare la cappa tragica che lo deve pervadere, riprendendo le strade dei sobborghi di Boston come un calderone inadeguato per ospitare l'innocenza e il gioco dei bambini. I personaggi sono tratteggiati benissimo, spacciatori, drogati, papponi, pedofili e prostitute non sono mai dei macchiettistici mini boss di quartiere oppure delle pallide icone poco credibili, ma dei consapevoli uomini e donne che vivono portati dalle loro maleodoranti pulsioni interne che non sanno frenare e dalla voglia di denaro facile per arrichirsi, corrosi da un ambiente che non permette a loro modo di vedere altre possibilità. Lo sporco si respira appieno, e quando i due assi (Freeman e Harris) vengono calati sullo schermo, giunge anche il respiro del potere che dovendo combattere questo humus stratificato di violenza e orrore, si cannibalizza la genuinità e viene contaminato dal marcio, con metodi brutali di azione e stategie tutt'altro che morali. Rimangono puri solo i due detective, la coppia che non accetta compromessi, e il sorriso amaro di Angela è il mostrare la difficoltà degli sforzi di Patrick che sembra ogni volta cozzare contro un muro di gomma, purtroppo non solo contro quello del crimine.
Casey Affleck è bravissimo a fronteggiare senza nessun timore reverenziale le due vecchie star come se fosse un consumato interprete sulle scene da anni, il discorso finale con Freeman ne è un esempio tanto quanto quello sul tetto con Harris. Nel film c'è spazio anche per l'azione (sparatorie notturne, agguati e appostamenti) e per le sorprese (la trama si muove davvero in maniera inaspettata e sorprendente negli scambi di traiettoria), ma non per la facile moratoria, in quanto il finale può venire interpretato in maniera diversa a seconda della propria sensibilità, speranzoso oppure malinconico, lasciando allo spettatore la voglia o meno di chiudere l'arco narrativo con un retrogusto di amarezza senza speranza anche agendo nel giusto, oppure se vederla come una scappatoia impossibile dall'humus tanto deteriorato che però porta con se il seme di un nuovo corso migliore.
In definitiva un gran bel film, figlio della lezione di Mystic River sopratutto nei chiaroscuri di fotografia, ma che si muove in maniera del tutto personale, coinvolgendo, emozionando, riempiendo le iconografie sporche dei personaggi in maniera perfetta, senza mai perdersi in paludosi discorsi di facile moratoria, che merita ogni attenzione nel seguirlo, premiando un attore che ha voluto migliorarsi in altro ruolo, e mettendo alla luce le capacità di chi di fronte all'arte consolidata del palcoscenico assorbe le lezioni e si misura senza temere.
Nelle sale italiane purtroppo rimarrà ben poco e con scarsa penetrazione, la fretta imposta di vederlo verrà premiata con la soddisfazione di uscire magari storditi per l'incredulità ma anche pregni di emozioni.
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Amore bugie & calcetto
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Cast Claudio Bisio, Angela Finocchiaro, Claudia Pandolfi, Filippo Nigro, Giuseppe Battiston, Chiara Mastalli, Pietro Sermonti, Max Mazzotta
Regia Luca Lucini
Sceneggiatura Fabio Bonifacci
Durata 01:55:00
Data di uscita Venerdì 4 Aprile 2008
Genere Commedia
Distribuito da WARNER BROS. PICTURES ITALIA (2008)
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Trama: Per un gruppo di sette amici legati tra loro per diversi motivi (parentela, amicizia o lavoro) il calcetto amatoriale a 5 è l'unico modo per scaricare le ansie e le tensioni della settimana. Quando al più anziano di loro viene diagnosticato di non poter più doparsi, in quanto a rischio infarto, per aumentare le prestazioni sessuali e quelle sportive, la squadra sembra cadere nello sconforto e pare non poter più arrivare al traguardo di vincere il campionato per giocare una partita con vecchie glorie del calcio come premio. Ma i pensieri sono anche ben altri, perchè la vita sembra voler riservare a tutti dure prove diverse da quelle della legge del fare goal ...
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Commento: Luca Lucini (dopo aver diretto il prenditutto teen 3 mt sopra il cielo e L'uomo perfetto, ambedue con Scamarcio protagonista) migliora le proprie prestazioni con una commedia a sfondo pallonaro amatoriale sceneggiata da Fabio Bonifacci. Di fatto questo Amore bugie & calcetto,l'abc della vita moderna, (parafrasando il titolo di Sesso,bugie e videotape del 1989) racconta di 7 amici che vivono delle vite contrastate, chi, come Piero (Andrea de Rosa, interprete brizziano di Notte prima degli esami) si ritrova con la fidanzata in cinta di un figlio non suo ma di Adam, il portiere della squadra, altri come Lele (Filippo Nigro) è in profonda crisi con la moglie (Claudia Pandolfi) per la difficile gestione dei due figli e per la mancanza di sesso, oppure come Vittorio (Bisio) che deve fronteggiare la calata di un gruppo di francesi (fortuita coincidenza del ricordo della vicenda Alitalia di questi tempi) che vorrebbe acquistare la sua azienda di macchinette per il caffè (che sponsorizza la squadra di calcetto) a prezzo di saldo. Tra l'altro Vittorio è un sessuomane indisciplinato che si dopa per giocare, divorziato (l'ex moglie è la Finocchiaro), prende viagra per stare con una ragazza di 30 anni più giovane di lui, per cui i problemi dell'azienda e del calcetto passano in secondo piano dato che rischia un infarto. Il calcetto è l’unica valvola di sfogo per tutti, che si ritrovano sul campo da gioco per scaricare la tensione e per poter ritrovarsi assieme a gioire nonostante tutti i problemi incrociati e paralleli che hanno.
Una commedia dolce amara che Lucini dirige con mano felice, raggranellando sullo sfondo del campo da gioco pulsioni e tensioni della vita moderna disparate, utilizzando la voce narrante del Mina (il giornalistico Battiston, al cinema in questi giorni accanto a Mastandrea in Non pensarci) durante le partite, per raccontare gli effetti di quanto succede fuori che diminuiscono o aumentano le prestazioni, molto più del doping che uno di essi utilizza. Sette uomini che corrono dietro a un pallone per cercare una risposta nella vita, una panacea di soluzione dei problemi valida alla fine solo sperare di dimenticare almeno per un breve periodo.
Le vicende comunque sono mostrate ottimamente, Bisio è bravo a fare il cinquantenne che non ha morale, a catalizzare l’attenzione, e vista la grande rosa di problemi mostrati (il divorzio, la paternità non voluta, la famiglia) si poteva cadere nel facile, il patetico o il consolatorio vacuo. Invece senza calare di ritmo si alternano bene (buono il lavoro di struttura in questo senso) le partite alle vicende, non si danno risposte universali ma giuste speranze, come si fa tra compagni di squadra che si danno coraggio nei momenti difficili. La Pandolfi fa davvero un bel personaggio, quello della mamma in crisi di identità, che mette controvoglia vestiti sadomaso che la stringono in una sorta di privazione della spontaneità (“accidenti a questi lacci!“) e cerca in tutti i modi di riprendere il rapporto con il marito senza mai voler affondare come hanno fatto gli altri uomini o donne sposati del film, mentre la Finocchiaro è godibilissima nelle sue espressioni sarcastiche e nelle sue parole taglienti al poco serio ex marito Bisio. In pratica non si sorride per divertimento, ma è piacevole vedere le situazioni paradossali di questi calciatori in preda a una crisi di nervi che sembrano ingarbugliarsi sempre più, in una commedia agrodolce che non si perde in parolacce, in nudi gratuiti e in situazioni placebo abusate per portare a termine il compitino da svolgere, divertendo ma al contempo facendoci pensare in un ottica credibile, possibile e aderente alla realtà. Chi dopotutto non va a calcetto (come a tennis o pallacanestro) per cercare di giocare un campionato diverso da quello della vita, dove si possono avere nuove chances di vittoria che possono dare un impulso dove serve veramente e dove non si può e non si deve perdere.
Lucidamente il mondo di questi uomini è il nostro possibile mondo, gonfiato magari perché siamo al cinema e dobbiamo anche aggiungere elementi che magari non sono poi tantio consueti nella vita, buona o cattiva di tutti i giorni, ma il film è pieno di belle frasi (“Dov’è la crisi? Cerchi un posto per le vacanze ed è tutto pieno!”) al vetriolo che vogliono anche essere le nostre chiacchiere dopo partitella o del bar dove discutiamo, facendoci sentire il film gustosamente nostro e non solo monotonamente nostro delle cose della routine, perché si sa che la vita di tutti i giorni raccontata come è sarebbe l’inutile visione di immagini che non sono interessanti da rivedere.
E ha ragione il Mina quando si appare magari brevemente nella dura partita della vita, dando il colpo duro, decisivo che cambia il risultato dell’esistenza facendoci sentire grandi anche se per poco.
Corriamo, corriamo, per tutto il giorno dietro alle cose da fare, l’importante è che alla fine degli sforzi abbiamo i risultati che cercavamo, superando i problemi e i dispiaceri alternandoli e dolcificandoli con le gioie, come i bicchieri dei due coniugi alla fine riuniti dicono che una squadra coesa è talmente forte da raggiungere ogni obbiettivo, e quando si sfalda e si perde la fiducia tanto vale arrendersi.
In definitiva un film a base pallonara che sfocia intelligentemente nel sociale, raccontandoci i problemi di un nucleo di persone più o meno qualunque tutti diversi, buon ritratto della vita moderna che non si ferma mai piena di logorii.
Si sorride ma sopratutto si riflette, senza patetici incontri di immagini vacue per lo spettatore, dote non comune del cinema italiano di questi tempi, che sa raccontare decentemente una storia, finalmente senza doverci mettere per forza inutili iperbole di situazioni.
Partecipano in cammei diverse vecchie glorie del calcio italiano, come Schillaci e Tacconi.
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Juno
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Cast Ellen Page, Michael Cera, Jennifer Garner, Jason Bateman, Olivia Thirlby, Allison Janney, Rainn Wilson, J.k. Simmons
Regia Jason Reitman
Durata 01:32:00
Data di uscita Venerdì 4 Aprile 2008
Generi Commedia, Drammatico
Distribuito da 20TH CENTURY FOX ITALIA (2008)
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Trama: Juno, nome derivato dalla Dea Giunone, è una ragazzetta sedicenne del Minnesota, amante della musica, scaltra e intelligente. Un giorno decide di fare sesso con un ragazzo per cui ha preso una cotta giovanile, ma purtroppo il rapporto non protetto la lascia tra la sua incredulità in cinta. Decide di far nascere il bambino per darlo poi in adozione a una coppia che non ne può avere per fare un atto di bontà, peccato che la coppia scelta, ricca e apparentemente perfetta, abbia dei problemi di non poco conto al suo interno. Juno deve decidere che fare, e la scelta è tutt'altro che facile ...
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Commento: Trionfatore al festival di Roma, questo Juno di Jason Reitman (autore del ficcante e interessante Thank you for smoking) è un film deliziosamente divertente, pieno di battute spiritose e dotato di un autoironia fuori dal comune, con la piccola grande protagonista (Ellen Page, che era la Kitty Pride degli X-men) a fare da mattatrice su tutta la vicenda in maniera sublime, dominando la scena in lungo e in largo e dando prova di grande maturità, decisionismo e assoluto controllo (tranne ovviamente nel momento in cui avrebbe dovuto proteggersi dalla gravidanza indesiderata). Il film ci racconta della sedicenne Juno, che ha un telefono hamburger e la stanza piena di poster, alle prese con un piccolo fondamentale errore : ha fatto sesso con un suo coetaneo, Paulie Bleeker (uno stralunato e bamboccione Michael Cera, visto in Superbad), masticatore di tic-tac gusto arancio e del tutto inconsapevole di come gestire un rapporto, ed è rimasta in cinta. Detta la cosa tra non poche difficoltà ai genitori, padre biologico e matrigna, decide coraggiosamente di non abortire ("Là puzzava di dentista!") e di portare a termine la gravidanza, per poi donarlo a una coppia di coniugi trovata per annuncio, Mark (Jason Bateman) e Vanessa (Jennifer Garner, l'affascinante Sidney Bristow di Alias e recentemente al cinema con bateman in The Kingdom), peccato che il clima della coppia che sembrava in un primo momento idilliaco poi si riveli del tutto diverso. Juno è a un bivio e deve decidere per il meglio.
La bellezza del film si fonda sopratutto sui dialoghi al vetriolo impostati dalla ragazzina terribile, che non accenna mai a smettere di dominare la situazione e che a tutti i costi vuole che le persone capiscano il suo obbiettivo, si rendano conto che la cosa piombata su di lei è gigantesca ma non per questo non viene controllata, la giovane età non conta nulla se esiste il decisionismo. E così impartisce lezioni di vita a Mark, un possibile padre, ma anche un eterno Peter Pan, più vecchio d'età ma molto più immaturo di lei per gestire un figlio, sfida la scuola sfilando orgogliosa con il pancione sotto lo sguardo di tutti i suoi coetanei e i professori, risponde alla matrigna che la accusa di non poter avere cani per colpa sua, guida l'auto per diverso tempo per fare la spola a portare ecografie che sortiscono effetti disparati.
E ogni volta una frase viene sparata come pietra tombale sui discorsi, una chiosa e un paletto fissato e Juno ne esce fuori. Il merito della forza della sceneggiatura (premio oscar) è di un autrice esordiente, Diablo Cody, eccentrica ragazza piena di tatuaggi che ha eseguito sceneggiature sulla rete ed ora è corteggiata dalle Major. il ritmo è movimentatissimo, Juno nonostante il fagiolo (come lo chiama lei) percorre le stagioni (scandite da una didascalia animata e dalla corsa del gruppo di studenti podisti di cui fa parte Bleeker) e si fa trovare nei vari luoghi sempre in movimento, pronta a scandagliare zone e persone per tenere tutto sotto controllo, segno di maturità acquisita e di vero coraggio che sprona l'azione. Belle anche le musiche, perfettamente intonate al film, mentre la sigla iniziale animata è a dir poco strepitosa, che ci fa intendere quanto questa coraggiosa ragazzina/mamma non abbandoni mai la sua ingenuità e la sua età anche se fa azioni da grandi. il finale poi è quello perfetto, calibrazione esatta della scelta pensando al tipo di personaggi e a quanto si è visto, che non può far altro che accontentare tutti.
Certo, il film non raggiunge vertici artistici aulici, si tratta pur sempre, per quanto intelligente e sarcastica, di una commedia giovanile "dolcemente in cinta" più riuscita del solito, ma il valore finale è di soddisfazione per aver visto uno spettacolo che fa sorridere spesso, quasi grottesco nella parametrazione tra la decisa Juno e l'imbranato padre biologico ("Mia madre usa la candeggina anche sui colorati"), che ci parla di coppie in crisi per l'impossibilità di essere se stessi o per la paura del nuovo che viene a interrompere la stabilità e il tran tran di cose sicure e consolidate. ma non dobbiamo avere paura del nuovo quando questo porta una vita nuova tra di noi, Juno ci dice che se arriva quando non è il momento dobbiamo non impedirne la nascita ma solo variare le scelte fino a trovare quella giusta, perchè il nuovo seme abbia le stesse nostre possibilità nostre di sbagliare magari, ma comunque anche la possibilità di essere qualcosa.
Belli i siparietti che avvengono quasi sempre con gli adulti seduti, dove escono fuori le piccole invidie e le insicurezze che la situazione porta a scoprire.
In definitiva una imperdibile commedia intelligente, briosa, spigliata e zeppa di dialoghi al fulmicotone, grandi e piccole verità espresse benissimo, mai volgare, interpretata magnificamente dalla protagonista totalmente in parte, ideale per sorridere di gusto e nel contempo avere una gradita lezione di stile e di coraggio da seguire da parte di questa ragazzina costretta a lasciare, ma che non vuole buttare, una parte importante di se stessa.
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Oxford Murders
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Cast John Hurt, Elijah Wood, Leonor Watling, Julie Cox, Burn Gorman, Anna Massey, Jim Carter, Alan David, Alex Cox, Dominique Pinon
Regia : Alex De la Iglesia
Sceneggiatura Jorge Guerricaechevarria
Durata 01:47:00
Data di uscita Venerdì 11 Aprile 2008
Genere Thriller
Distribuito da WARNER BROS. PICTURES ITALIA
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Trama: 1993. Martin, un brillante giovane studioso di matematica, giunge nella università di Oxford con l'intento di incontrare uno dei suoi miti viventi, il professor Arthur Seldon, per stupirlo con le sue rivoluzionarie teorie. Ma Seldon è un vecchio spocchioso e superbo, e quando un serial killer inizia a mietere vittime secondo un disegno matematico, non vuole minimamente collaborare alle indagini insieme al giovane. Inizia una gara tra i due per chi arriva primo a catturare l'omicida ...
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Commento: Alex de la Iglesia, apprezzato regista spagnolo autore del giallo condominiale La Comunidad e del grottesco Crimen perfecto (curiosamente un titolo che si poteva adattare anche a questo film) dirige questo thriller a sfondo numerico tratto dal libro best seller di Guillermo Martinez, un matematico argentino.
La trama ci racconta di Martin (Elijah Wood, che ormai e per sempre resterà per tutti legato all'immagine dell'hobbit Frodo del Signore degli anelli), un giovane appassionato di matematica che con l'intento di stupire un vecchio professore (John Hurt, che tra poco rivedremo nel quarto capitolo di Indiana Jones) con teorie innovative si reca ad Oxford, ospite di una vecchia signora appassionata dello scarabeo e che vive con la figlia. Quando la anziana donna muore, il vecchio e il nuovo corso dell'evoluzione del pensiero numerico dovranno fronteggiare, da rivali nello scoprirlo, la minaccia di un serial killer che agisce con logica matematica.
Come si vede un giallo da college con tutti i crismi, solo che invece di avere come protagonisti dei teen intelligenti e coraggiosi (e il più delle volte per nulla credibili), si ambienta dalle parti del Codice da Vinci con la rivalità tra il vecchio e l'anziano. La trama si muove complessa e metodica tra elucubrazioni di numeri che si trasfigurano in simboli geometrici, tra ospedali (la compagna di Martin, Lorna, la procace attrice Leonor Watling, che non esita a mostrare più volte il suo florido seno, fa l'infermiera, mestiere che onestamente recita più come se fosse una sensuale pin up piuttosto che una crocerossina), aule di università dove si disputano teorie, e racconti di persone che rese pazze dai calcoli matematici che eseguono in continuazione arrivano a perdere anche gli arti diventando dei torsi umani viventi (il gusto horror di De La Iglesia in qualche modo doveva, anche se pur minimamente, uscire dopotutto). Per tre quarti del film si rimane attaccati alla trama, gustandosi la buona prova recitativa di John Hurt (davvero belli i suoi monologhi recitati con gusto teatrale) e quella volonterosa di Wood, e cercando di capire la logica del mistero che avvolge la vicenda, disputando il senso del pensiero tra la ricerca di una successione matematica perfetta che pervade le logiche, o se la catena di delitti avviene con l'influenza dell'imprevedibile fattore X, poi dopo un po' però la cosa perde di mordente, complice il fatto che la soluzione finale non è proprio brillantissima e la dualità tra i due protagonisti è intervallata dalle effusioni amorose dei due amanti in maniera ingiustificata. De la Iglesia poi deve giostrare la vicenda con il problema, non da poco in una trama a sfondo giallo, che i protagonisti non sono mai in vero pericolo di vita (come accade di solito a chi sa troppo), dato che il killer colpisce solo le cosidette vittime“impercettibili”( anziani che sono malati terminali), per cui far inchiodare alla sedia diventa difficile, e lo spettatore si trova come davanti alle parole crociate della settimana enigmistica che rispetto a un film thriller (anche se di base concettuale senza alto tasso di adrenalina).
Comunque la sua bravura registica ce lo fa godere come se fosse un buon divertissement, anche se visto il cast (e Wood in “Ogni cosa è illuminata” aveva dimostrato di saper fare qualcosa d'altro oltre al fantasy) si poteva anche sperare di avere qualche cosa di più coinvolgente, ma dato che è tratto da un romanzo le pecche di sceneggiatura non sono da addebitare ovviamente al film in se stesso, mentre dobbiamo riconoscere la capacità di ambientare e di adattare, anche se le troppe ambientazioni (discorsi nelle chiese e nelle biblioteche oppure nelle librerie) possono ricondurre al film sul Codice da Vinci.
Le musiche sono ridondanti per sottolineare i momenti di ansia, ed è presente un concerto pirotecnico che ricorda la vicenda di Guy Fawkes, il protagonista di V for Vendetta, con costumi e maschere annesse.
In definitiva un enigma matematico non troppo impegnativo e digeribile al punto giusto, comprensibile ed intervallato da ampie spiegazioni delle varie logiche deduttive, ma freddo per colpa del suo humus di base (la matematica) e poco coinvolgente per la mancanza dell'ansia riferita ai destini dei protagonisti, che si svolge meccanico tra dualismi e deduzioni, che non valorizza a dovere i momenti salienti per delle banali variazioni nei momenti topici, anche se vive in una correttezza registica di base. Piacerà moltissimo ai cultori della settimana enigmistica, per gli altri sarà un giallo nella media di buona fattura che si scorderà presto.
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Alla ricerca dell'isola di Nimh
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Alla Ricerca Dell'Isola Di Nim (Nim's Island)
Cast Abigail Breslin, Jodie Foster, Gerard Butler
Regia Jennifer Flackett, Mark Levin
Sceneggiatura Mark Levin, Jennifer Flackett
Data di uscita Venerdì 11 Aprile 2008
Generi Commedia, Family, Fantasy
Distribuito da MOVIEMAX (2008)
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Trama: Alexandra Rover è una scrittrice di romanzi di avventura pesantemente condizionata dal terrore di uscire fuori di casa. Quando una bambina che vive su un isola sperduta nell'Oceano le manderà un messaggio di aiuto, avrà non poche difficoltà per autoconvincersi che il mondo esterno non è poi così avverso, dovrà prendere un aereo e giungere a Nim, paradiso nel nulla. Per fortuna ad aiutarla nella sua impresa c'è un eroico avventuriero, peccato che ...
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Commento: Jodie Foster ha voglia di divertirsi, dopo essere stata l'indimenticabile Clarice Sterling del Silenzio degli innocenti, ha fatto anche pellicole con storie difficili nella sua carriera (come in Sotto accusa dove era una ragazza stuprata in un bar su un flipper, vicenda tratta da una storia vera), stavolta torna al cinema con uno dei suoi amori giovanili stile Disney (ricordare Tutto accadde un venerdì è d'obbligo), la commedia disimpegnata buonista per famiglie, tanto dolce dove neppure un ragno che disturba e terrorizza trova la sua fine durante la pellicola.
La Foster è Alexandra, una scrittrice di romanzi d'avventura di successo (il cui protagonista è la versione maschile del suo nome, Alex Rover, un eroe a tutto tondo che stile Indiana Jones attraversa il pianeta per vivere strabilianti avventure) malata di agorafobia (la paura di uscire di casa, un esempio al cinema lo diede in versione seria e non scanzonata, come questa, Sigourney Weaver in Copycat), a cui giunge una mail da parte di una bimba che vive su un isola, battezzata come il suo nome, Nim, (la dolcissima Abigail Breslin, la vera protagonista del film, con amici animali annessi), che non vedendo tornare il padre Jack (Gerard Butler, appena visto in P.S:I love you, qui nella doppia parte dell'avventuriero immaginario e del padre coraggioso) si preoccupa e manda la richiesta d'aiuto a colei che è la più inadeguata di tutte per svolgere il compito, credendola il vero Alex Rover senza macchia e senza paura, eroe invece inesistente dei libri che divora in continuazione.
Il segno iniziale che vediamo in questa commedia è quello del padre che è il nostro eroe, dato che la piccola immagina e trasfigura il personaggio di fantasia tale e quale come il genitore, senza influenze iconografiche dato che le copertine e le immagini dei libri non riportano mai il viso del protagonista, un eroe che non vive di gloria per le sue imprese quotidiane magari banali di vita giornaliera, ma che lo è per i suoi figli, per l'amore che gli dona e per i sacrifici che fa per come vengono allevati.
Come si vede un messaggio in autentico stile Disney che abbraccia la famiglia e se la tiene stretta, difendendola in una cornice dorata di un paesaggio splendido ed incontaminato, e i registi Mark Levine e Jennifer Flackett (regista e sceneggiatrice di Innamorarsi a Manhattan, altra commedia con bambini protagonisti) non esitano anche a mostrare come la vita di città e gli agi possano anche banalizzare i concetti fortificanti di pura sopravvivenza facendo venire una torma di turisti ad infestare l'isola vergine, dove lo scienziato e la bimba ne hanno pieno rispetto e gli altri la vedono come un oasi da depredare e vivere senza vero fascino.
Il richiamo a Salgari con la scrittrice è inevitabile (il prolifico autore di Sandokan scrisse dettagliatamente di foreste e luoghi esotici senza mai viaggiare), oltretutto si mostra come ormai internet possa essere il tramite per poter vivere una vita incontaminata sia nella realtà che nella fantasia, dove la bimba che vive realmente l'isola può mandare mail senza che l'ambiente ne subisca danno e rimanere in contatto con il mondo, e contemporaneamente la scrittrice che vive falsamente mondi esotici possa informarsi sulla rete per come costruirli.
Gli animali amici (al computer o meno) ovviamente sono tenerissimi (una foca, un gabbiano e una iguana), sorreggono la bimba nel momento difficile quando il padre perde la tecnologia e la rintracciabilità (il satellitare) e coniugano il dovere della natura di proteggere chi li ama, sia quando gli elementi (monsoni e tempeste) si devono sfogare, per loro base di esistenza e non per cattiveria post indotta come potrebbe essere per l'uomo, sia quando la tranquillità permette ogni attività in serenità. In difficoltà e nella gioia, il matrimonio uomo/ambiente dovrebbe essere vissuto con queste logiche per poter sviluppare la sua forza costruttiva.
Si fa di tutto per armonizzare, non esistono nel film veri cattivi, non ci sono momenti in cui non ci sia tenerezza, che raggiunge il culmine quando si configura la madre e moglie perduta in una balena di Collodiana memoria. Curiosi tra l'altro i disegni animati stilizzati dell'inizio e della fine, che contrastano con la tecnologia che muove il film.
La Foster e Butler nulla possono comunque con la simpatia estrema della piccola Breslin, che ha un candore recitativo che risale al suo dna e non a qualunque scuola o corso possa aver partecipato, tanto si adatta alla scena, quasi un passaggio ideale tra gli inizi della quarantaseienne attrice/regista e lei.
Ambientato in Australia, nonostante il buonismo imperante di fondo, i paesaggi non sanno di cartoline che non vivono, ma si mostrano con orgoglio per integrarsi con chi li vive, suo malgrado o meno.
In definitiva una commedia per famiglie dolce, delicata e dagli intenti naturalistici, colloquio perfetto per portare i figli al cinema facendoli divertire in maniera intelligente e sviluppativa del senso dell'importanza di vivere gli ambienti ma non contaminarli, ovviamente il pubblico che vuole cinema con della cattiveria anche minima dentro deve rivolgersi ad altro perchè resterà altamente deluso, oltretutto il tasso avventuroso è praticamente zero e lo si stempera altalenando situazioni personalmente complicate (l'agorafobia) oppure i rischi (il padre isolato o la scena dell'elicottero) senza ansia particolare perchè l'immagine e la regia ci fanno sapere, dandocene la sensazione, da subito che comunque tutto va sicuramente a buon fine, dato che la natura rispetta chi la ama.
Viaggiare costa molto, questo è un piccolo ingresso a basso costo per cercare di vivere almeno nell'immaginario zone difficilmente accessibili economicamente, e comunque il film, onestamente, sin dal trailer e dal manifesto non negano intenzioni, logiche e senso del racconto che poi troviamo sviluppate senza sorprese.
Attendiamo la Foster a prove diverse e più impegnative ovviamente.
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Shoot'Em Up - Spara o muori!
(Shoot'Em Up)
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Un film di Michael Davis [I]. Con Clive Owen, Paul Giamatti, Monica Bellucci, Stephen McHattie, Greg Bryk, Daniel Pilon. Genere Azione, colore 90 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Eagle Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 11 aprile 2008]
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Trama: Smith è un uomo in impermeabile dalla pistola facile che adora mangiare le carote, una sera mentre è assorto su una panchina salva un bambino da dei killer che lo vogliono morto a tutti i costi. Deciso a capire il motivo di questa cosa, intrapprende una guerra personale senza limiti contro una potente organizzazione capitanata dal folle psicopatico Hertz. Dopo aver chiesto aiuto a una prostituta per accudire il bambino, scopre che serviranno coraggio e sprezzo del pericolo oltre che uno smodato e non convenzionale uso delle armi per vincere la partita ...
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Commento: Diventerà sicuramente un film cult questo "Shoot em'up" a cui i titolatori italiani hanno aggiunto un stavolta azzeccato "Spara o muori". Di fatto la storia assolutamente oltre di questo giustiziere in impermeabile (un Clive Owen in vena di esagerare totalmente e divertirsi, ma attore serissimo e riconosciuto dopo aver fatto Closer e aver lavorato con Spike Lee) è una lezione presa ed imparata, e anche se gonfiata pur se sembrerebbe impossibile, dai film del Transporter e di Crank con Jason Statham, dove le situazioni sono totalmente paradossali, fino ad arrivare ad una scena di sesso mentre piovono pallottole e la coppia copula a seconda di dove Smith deve sparare, ma ne potremmo citare almeno una ventina di cose totalmente esagerate (come i bossoli dei proiettili che cadono sul pancione di una gestante, il cordone ombelicale tranciato da un colpo di pistola, il giubbotto antiproiettile usato in maniera inaspettata per il bimbo, oppure dell'uso davvero folle delle carote).
La trama è ovviamente solo un pretesto per poter condurre delle spettacolari sparatorie, folli inseguimenti, capriole e spari multipli in movimento degni del miglior John Woo, dove ovviamente le leggi fisiche vanno a farsi benedire e rimane solo lo stupore per l'inventiva folle degli sceneggiatori.
Smith salva un neonato in maniera rocambolesca a suon di carote (peggio di Bugs Bunny) e pallottole, lo difende dal ritorno degli sgherri che Hertz (un Giammatti in versione folle e psicotica) gli scatena contro a valanga, aiutato solo da una prostituta dalle grandi mammelle che producono eternamente latte (la solita Bellucci che fa la bambolona inerte, disposta a fare lavoretti per strada ma di buon cuore, che qui parla anche in dialetto meridionale in alcuni tratti con la solita voce odiosa), per poi trovarsi a dover regolare i conti in ogni possibile situazione di pericolo (anche nei cieli).
Quello che stupisce di fronte alla minimalità della trama è la sequenza impressionante di invenzioni geniali e bislacche dell'uso delle armi (e delle carote), si inizia a sparare dal primo minuto e i brevi attimi di mancanza delle pallottole sullo schermo sono compensati da sesso, ragionamenti al limite della follia ("Quando non sente l'heavy metal piange, per cui la madre ne sentiva parecchia di quella musica quando era in pancia!"oppure "Una pistola è meglio di una moglie perchè gli puoi mettere il silenziatore!") e paradossi di ogni tipo che i due gigioni protagonisti in vena di scherzi orchestrano magnificamente con presenza inerte ma ormonalmente valida della Bellucci.
Non bisogna fare i bacchettoni a tutti i costi, questi sono film grossi, leggeri e fini a se stessi ma tutt'altro (in questo caso sicuramente) che stupidi, in quanto ci sono momenti esilaranti, momenti in cui vedere certe cose assurde (compresi i titoli di coda tutti da gustare) ci fa dire "Ma come accidenti hanno fatto a pensarlo ?", portando tutto sul piano del minestrone grottesco di un passatempo senza problemi di domandarsi il perchè e il per come. Owen sfoggia una performance fisica di ottimo livello, aiutato anche da un grande lavoro eseguito dagli stunt ben diretti e orchestrati nelle coreografie delle sparatorie, autentici balletti di sangue sparso che avvengono a più riprese.
In definitiva un film esplosivo, esagerato, grosso e assolutamente senza limiti, nato e concepito per stupire a tutti i costi con il solo visivo e fisico, dalla trama esilissima, dove la parola logico non esiste per lasciare spazio a una sfrenata fantasia nelle particolarità di situazione, mentre le pistole tornano ad essere quelle belle e care di una volta che non smettono mai di avere i colpi in canna. Peccato che con una lady di maggior carisma sullo schermo (chissà se fosse stata presente una Jolie) la cosa sarebbe risultata ancora più valida, mentre con lei che ci fa oltretutto vedere ben poco del suo statuario fisico, sentirla e vederla non è certo una grande esperienza.
Entriamo e divertiamoci senza problemi, queste non sono cose serie, ma una volta tanto un po' di carrozzone rutilante non ci può fare del male, isolando la coscienza del segno cinema per lo spettacolo fine a se stesso ma che comunque ha dietro di se un interessante lavoro di costruzione per stupirci con l'assurdo non banale.
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La seconda volta non si scorda mai
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Cast Alessandro Siani, Clara Bindi, Sergio Solli, Daria D'antonio, Elisabetta Canalis, Paolo Ruffini, Marco Messeri, Fiorenza Marchegiani
Regia Francesco Ranieri martinotti
Sceneggiatura Alessandro Siani, Francesco Ranieri martinotti
Durata 01:40:00
Data di uscita Venerdì 11 Aprile 2008
Genere Commedia
Distribuito da MIKADO
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Trama: Napoli. Giulio durante una monotona rimpatriata tra vecchi compagni di scuola ritrova Ilaria, una bella avvocatessa di cui si innamora sin da subito. Il caso vuole poi che il fidanzato di lei voglia comprare una casa tramite l'agenza immobiliare in cui Giulio lavora, e il nuovo incontro gli fa decidere di tentare il tutto per tutto pur di conquistarla, nonostante le differenze sociali e i problemi derivanti dalla figlia di Ilaria. Ma purtroppo le difficoltà non sono solo queste, perchè la famiglia di lui ...
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Commento: Alessandro Siani ha voluto fortemente questo blandissimo progetto all'ombra del Vesuvio, un po' per cercare di omaggiare con la recitazione il suo idolo scomparso Massimo Troisi e per riuscire a togliersi dall'ingombrante etichetta di attore solo cinepanettonaro, dopo essere stato attore nel 2006 e 2007. Affidando la regia della sua sceneggiatura a Francesco Ranieri Marinotti (che lo aveva diretto anche in Ti lascio perchè ti amo troppo), la produzione recluta nel cast l'evanescente e completamente dispersa ex velina Elisabetta Canalis (una non attrice completa), riempie il film anche di caratteristi più o meno conosciuti del nostro sottobosco cinematografico (come Paolo Ruffini, altro interprete di cinepanettoni), inserisce le canzoni di Pino Daniele e fa spola tra Arezzo e Napoli per le location. La trama è quanto di più banale possibile, con la storia di un incasinato trentenne (Siani) che trova l'anima gemella già occupata (Canalis), di un altra estrazione sociale e molto più realizzata di lui, ma non si arrende e grazie al suo pupazzetto che ha da bambino cerca di conquistarla con la sua simpatia, inducendola ad accettarlo nonostante lei abbia un uomo praticamente perfetto e lui sia il simbolo della insicurezza economica.
L'incanto di una Napoli priva di segni e cicatrici della vicenda della spazzatura per le strade, potrà poi dargli una mano decisiva.
In un momento di innegabile impegno del cinema italiano di non perdersi in prodotti minimali e scadentissimi, esce questa inutile commediola priva di significato, recitata malissimo da un cast inconsistente e con una sceneggiatura degna dei compitini delle medie seguendo il manuale dei luoghi comuni realizzati durante la storia del cinema.
Le battute non sono grevi e piene di parolacce ma sono banalissime, non ci sono nudi gratuiti che potevano coinvolgere la Canalis (per fortuna ma anche purtroppo visto che magari avrebbero potuto anche se brevemente risvegliare lo spettatore dal torpore) e tutto si svolge con colui che vede che ha già capito anni luce prima come andrà a finire.
Voler omaggiare l'arte di Troisi (come è stato sottolineato da varie parti) in questa maniera è a dir poco inutile e perfettamente fuori luogo, perchè un minimo di coscienza nel cercare una sorta di personalità è pur sempre necessario, e non basta la mimica delle mani o la parlata per poter parlare in modo reale di questo.
Questo film è solo e puramente un tappabuchi per le sale multiplex che hanno bisogno di prodotti simili per tappare la programmazione espansa, dove gli unici momenti meramente simpatici riguardano una strana cena aretina, poi dopo sorbiamoci l'amante nascosto nella camera, la vicina che non approva, la dichiarazione al chiaro di luna, il lavoro alla Tecnocasa con un capo donna che somiglia a uno yuppie stordito, la figlia di lei (avuta non si sa da chi) che aiuta lo spasimante a conquistare il cuore di mamma, una spiaggia con clown cavallerizzi scelta per intimizzare l'incontro in uan chiave poetica.
In definitiva un filmino minimale in ogni sua parte, totalmente inutile, monotono e già scritto nella mente di chi lo vede ancora prima della sua conclusione, realizzato per giunta male. Evitare con cura anche per il disimpegno leggero, questo è davvero improponibile in ogni chiave di visione cinematografica.
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In amore niente regole
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In Amore, Niente Regole (Leatherheads)
Cast George Clooney, John Krasinski, Bill Roberson, Robert Baker, Peter Gerety, Jonathan Pryce, Stephen Root, Wayne Duvall, Renee Zellweger
Regia George Clooney
Sceneggiatura George Clooney, Steven Soderbergh, Stephen Schiff
Data di uscita Venerdì 11 Aprile 2008
Generi Commedia, Sportivo, Romantico
Distribuito da UNIVERSAL
Trama: 1925, sono gli albori di una grande passione che da lì in poi via via pervaderà L'America diventando un incredibile business, il football americano! Dodge Connelly deve salvare dalla bancarotta, per colpa della perdita dello sponsor, la sua squadra. Notata una star emergente come Carter Rutherford detto "Il proiettile" per la sua velocità, lo convince a giocare con lui. Il successo torna ad arridere, ma il passato non proprio cristallino di Carter e la comparsa sulla scena di una avvenente ma cinica reporter complicano tutto, per cui Dodge deve ...
Commento: Quando a George Clooney (bravo regista oltre che carismatico attore) gli hanno proposto di dirigere un film ambientato negli anni '20 con tema il football americano (il titolo originale "Leatherheads", cioè teste di cuoio, si riferisce ai proteggi capo dei giocatori, il titolo italiano una volta di più significa ben poco, l'amore c'entra ma non è la mancanza di regole la base del film) avrà mostrato un sorriso gigantesco, tanto gli sono confacenti le atmosfere di quei tempi con cappellini curiosi, macchine scoperte, motociclette sidecar. Per fare un film di questo genere bisogna davvero amare certe ambientazioni, per entrare in un gusto compiaciuto di recitazione e lasciarsi trasportare dall'incanto dei tempi del proibizionismo (ampiamente accennato), e a George l'impegnato ma anche il nostalgico, il glamour e la giusta ironia non mancano di certo.
Poi se come partner ha una brava attrice come la Zellweger, anche lei adattissima per certi ruoli, allora non possiamo mancare di dire che gli ingredienti sono pronti per la torta a tema perfetta, con una sceneggiatura a tre dello stesso regista/attore e di Steven Soderbergh (suo amico da sempre con cui ha condiviso vari film) e di Stephen Schiff.
La trama ci racconta di come i pionieri del football americano vivessero barcamenandosi come potevano per sopravvivere giocando tra campi sporchi di fango e palloni che mancavano, senza che nulla facesse prevedere lo sfarzo e lo sfondo miliardario dei tempi futuri che sarebbero giunti. Un giocatore maturo ed anziano comne Dodge Connelly (Clooney) non si arrende alla chiusura della squadra, e chiama per risollevarla un emergente ex eroe di guerra dalle grandi capacità nel correre veloce, Carter Rutherford (John Krasinski, visto anche in Kinsey del 2005). La squadra con lui ha un successo incredibile, ma purtroppo la giornalista Lexie Littleton (Zellweger) spunta sulla scena e mette zizzania tra i due giocatori, e oltretutto a quanto pare Carter in guerra non era poi così eroe come si credeva. Dodge deve decidere cosa fare per non perdere quello che ha costruito, e la cosa sarà tutt'altro che semplice.
Commedia quanto mai riuscita, anche se di fondo non certo trascendentale nella trama, vive la sua durata sullo schermo con uno stile di garbo unico nel suo genere, che Clooney orchestra con bravura mantenendo i toni sempre spumeggianti, con delle espressioni da autentico gentleman omaggiando il grande Cary Grant a cui da sempre lui si ispira. Si muove con leggerezza sulla scena, calamita l'attenzione, e i duetti con la Zellweger sono spassosissimi, sia quelli sul treno che quelli all'uscita della sala clandestina dove si sfida la legge e il proibizionismo. Commedia garbata ed intelligente, che usa il bianco e nero per i flashback e i seppia per gli intercalari degli spostamenti o le variazioni di luogo dei personaggi diventati itineranti per seguire il campionato, facendoci confortevolizzare con le atmosfere di un tempo andato che si vuole richiamare. John Krasinski fa benissimo, con la sua faccia dal sorriso rassicurante, l'emblema della sicurezza e dell'orgoglio giovanile che vuole arrivare all'obbiettivo (in amore e nella carriera) sicuro di se stesso, ma in fondo onesto e che riconosce il momento di dire basta quando si esagera. La scena del racconto del suo"eroismo"è stupenda, divertentissima, mentre come ovvio a contorno vengono presentati macchiette di personaggi più o meno riuscite, come quella del gigantesco ragazzo del college o del compagno che vuole i soldi per il dente perso. C'è dentro anche il grande sogno americano che si deve realizzare dell'uomo comune (con il lavoro qualunque lasciato con gioia per tornare a giocare e sognare), senza mai però appesantirlo con eroismi inutili, sbandieramenti patetici e delle inserzioni di patriottismo fastidiosi, citando ironicamente il sergente York per uno schema di gioco, mostrando che anche l'uomo comune se mosso da vera passione arriva ai risultati cercati senza macchiare il proprio animo di colpe per essere accondiscendente. Vedrete in questo film una ricostruzione precisa degli ambienti del tempo, stadi primitivi con tabelloni manuali di numeri per i punteggi, telefoni d'epoca, vestiti affascinanti, il tutto in una trama non complessa che si segue benissimo.
In definitiva un film commedia brillante e divertente, con degli ottimi costumi che vi farà fare un viaggio nel passato, dividendo voi con chi l'ha realizzato la gioia genuina di vivere il ricordo di un tempo che fu sempre di grande fascino. Ha il difetto di una trama non propriamente piena di sorprese e di grandi svolte inaspettate, ma ve ne accorgerete ben poco se questo tipo di film con grandi interpreti e molto stile vi piace.
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L'ultima missione
(MR 73)
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Un film di Olivier Marchal. Con Daniel Auteuil, Olivia Bonamy, Francis Renaud, Philippe Nahon, Gérald Laroche, Catherine Marchal, Moussa Maaskri, Clément Michu, Guy Lecluyse, Christian Mazzucchini. Genere Azione, colore 121 minuti. - Produzione Francia 2008. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 18 aprile 2008
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catherine marchal
Trama: Louis Schneider è un poliziotto alcoolizzato, completamente perso nei suoi amari ricordi della famiglia distrutta anni addietro, che non riesce a darsi pace, il cui unico scopo per cui non chiudere la vita è trovare un terribile serial killer di donne, orrendamente stuprate e poi strangolate. Cane sciolto agisce senza l'apporto dei suoi colleghi in cui non si riconosce. Quando l'indagine sembra giunta a un punto morto succede che una geniale intuizione può condurlo alla soluzione del caso, ma nel contempo dalla prigione sta per uscire grazie a un indulto un criminale da lui arrestato anni prima ...
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olivia bonamy e auteuil
Commento: L'ultima missione è l'ideale terzo capitolo di una trilogia che comprende Gangsters (inedito da noi) e l'ottimo "36.Quai des Orfevres" (sempre con presente Auteuil, quella volta al fianco di Depardieu). Il regista ex poliziotto Olivier Marchal costruisce un noir film che si può benissimo vedere a se stante, cruento, sporco e disperato, sullo sfondo di una Marsiglia piovosa e oscura dove sembra che la luce non debba mai penetrare e il sole non esista, tanto che è intriso di sfiducia verso la vita, il futuro e gli sforzi per migliorare la società, quasi che le cellule eversive che la compongono come quella del killer siano una componente essenziale e una conseguenza del marcio esistente. Il bravo Daniel Auteuil è Louis Schneider, poliziotto con barba incolta, alcoolizzato e senza nessuna speranza di uscire dal tunnel in cui è finito per la disperazione di aver perso i suoi cari ed avere la moglie in statosemivegetativo. L'unica sua ragione di vita è quella di catturare, aiutato da pochi e osteggiato da molti, un killer senza pietà che uccide in maniera atroce donne di varia estrazione sociale.
Nel contempo un altro serial killer, ormai anziano e malato e apparentemente redento, da lui catturato anni prima, sta per uscire di galera grazie ad un indulto, causando la disperazione di Justine, una ragazza in cinta sopravvissuta al massacro della sua famiglia. Le strade dei due si congiungono e si intersecano, segni di disperazione che cercano amalgama per ricondurre una vita, una strada da riprendere e ricercare a destinazione come quella dell'autobus che Schneider dirotta per tornare a casa, fermato da chi dovrebbe per primo capirlo e aiutarlo. Un film incredibile questo, le scene sono di una crudezza impressionante, le persone sono sempre inquadrate come mai sincere e pieni di chiaroscuri, non possiamo fidarci di nessuno, gli ambienti in cui si muovono non sono mai confortevoli (i palazzi della polizia sono disadorni e spogli, come le camere d'alberghi) e le linee di decisione che si prendono portano sempre al concetto che non essendoci un potere centrale che ci difende a dovere (anzi, oltretutto ampiamente corrotto) debba prevalere la linea della giustizia fai da te che esegue il cittadino di propria volontà. Un messaggio come si vede pericoloso, ma anche mostrato ed eseguito per la disperazione e non per scelta, ma in un finale a dir poco strepitoso (vita, morte, lotta e silenzio interotto solo da rumori sordi) Marchal ci dona anche un messaggio preciso di speranza, distruggere a tabula rasa per poter ricostruire dopo la tempesta una nuova vita.
La ricostruzione tra l'altro è precisa e completa, si vede benissimo quanto il regista sia introdotto nell'argomento, abbia vissuto una esperienza tragica sulla sua pelle in gioventù e ha incontrato veri familiari di vittime, non abbiamo esitazione a definire questo film (il titolo originale, MR 73 indica la Magnum protagonista del finale) un riuscitissimo thriller noir, che con la presenza dell'anziano killer esistenzialista ci può ricordare il dottor Lecter del Silenzio degli innocenti. Le musiche sono coinvolgenti e in piena armonia con il film, mentre nel cast molto efficaci sono la moglie del regista stesso, Catherine, nella parte della collega, e Olivia Bonamy, che fa Justine.
In definitiva un gran bel film noir, coinvolgente, che possiamo consigliare a tutti, l'importante è avere un po'di stomaco forte per le scene, giustamente e doverosamente forti per aderenza alla realtà, con un grande protagonista che conferma la sua bravura, dai messaggi chiari e forti realizzato senza nessuna accondiscendenza verso doveri occulti di produzione che necessita facile richiamo, rendendo il lavoro sincero ed onesto nella sua perfetta atmosfera di estremo disperato.
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Ortone e il mondo dei chi
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Regia : Steve Martino, Jimmy Hayward
Sceneggiatura Ken Daurio, Cinco Paul
Durata 01:28:00
Data di uscita Venerdì 18 Aprile 2008
Genere Animazione
Distribuito da 20TH CENTURY FOX ITALIA
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Trama: Ortone è un elefante dotato di grande fantasia che un giorno sente un grido provenire da un granello di polvere. Salvato il granello fluttuante dai pericoli della foresta e posato su un fiore, scopre che al suo interno c'è un mondo in miniatura, quello dei Chi, assolutamente inconsapevoli di essere microscopici esserini in uan relatà mastodontica. L'unico modo per impedire che il microcosmo venga distrutto è di portarlo su un girasole sui monti, ma l'acida Cangura non accetta che Ortone diffonda notizie per lei assurde, e cerca in tutti i modi di impedire la missione di salvataggio. Riuscirà il grande Ortone a salvare i piccoli abitanti e il suo attivo sinda-chi?
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Commento: Dalla Blue Sky e dai creatori dell'Era glaciale ecco arrivare un nuovo cartone in computer graphics 3-d (sembra superfluo dirlo, ormai l'animazione tradizionale è definitivamente defunta al cinema) con la voce del protagonista affidata a Christian de Sica (nell'originale era di Jim Carrey). Ortone e il mondo dei Chi (inutile dire che tutte le W che vedrete nella microcittà durante il film stanno per Who, cioè Chi) è tratto da uno dei racconti del Dottor Seuss (autore anche del Grinch, guarda caso una Carrey interpretazione, e di The Cat) e narra le avventure di un elefante sognatore che sente un grido da un granello di polvere, per scoprire che questo minuscolo alveolo è il regno dei Chi, esserini microscopici antropomorfi che hanno anche un sindaco, il sinda-chi, e vivono del tutto inconsapevoli della loro minuscola essenza. Società evoluta in mezzo alla foresta di Nullo, dove ovviamente gli animali non sanno che cosa sia un bagno, per salvarsi dovrà affidarsi alla caparbietà di Ortone che sfiderà le insidie e i suoi stessi compagni di foresta mal indirizzati dalla Cangura (con la voce di Veronica Pivetti).
L'animazione non è strepitosa ma assolutamente ottima, secondo standard ormai consolidati, e raggiunge il suo apice qualitativo migliore nei movimenti del sinda-chi (doppiato da Steve Carell nell'originale, da Paolo Conticini nella versione italica, attore Parentiano e diretto da De Sica in Uomini uomini uomini), realizzati con una tecnica particolare per renderli morbidi ed effficaci, detta dello schiaccia e allunga. Curiosamente troviamo anche un breve inserto di animazione tradizionale in stile orientale, che omaggia i pokemon, per dare il tono decisionista dell'impresa e della determinazione di ortone, solo contro tutto e creduto da nessuno.
Davvero belli i continui cambiamenti climatici che il granello e la città subiscono (sorta di città di Kandor microscopica di Supermaniana memoria), dove un soffio del mondo esterno provoca tempesta e un abbassamento di un grado la neve.
Il film si muove davvero in maniera divertente, originale e simpatica, con il messaggio di fondo buonista che anche un piccolo granello ha la stessa dignità e lo stesso diritto di vita di chiunque, grandi e piccoli che siamo facciamo parte del disegno cosmico (come l'inquadratura finale suggerisce) e le dimensioni non contano ma sopratutto conta cosa siamo e cosa facciamo all'interno della nostra vita. Ortone è un grosso elefante (non a caso scelto per portare il fiore che custodisce il granello) ma non fa pesare le sue dimensioni, la sua impresa lo rende grande e non al sua mole, tanto quanto si entra nella galleria dei ritratti dei famosi del mondo dei chi dopo aver compiuto qualcosa di valido (i ritratti del wall of fame sono spassossisimi).
La produzione affida a Jimmy Hayward (ex-collaboratore della Pixar) e Steve Martino (proveniente dal videogames world) il compito di stratificare il gradimento con personaggi che possono essere divertenti senza essere forzatamente infantili, e il compito riesce bene anche se manca quel qualcosa in più che lo rende autoriale e diverso, come lo sono i lavori praticamente perfetti che la Pixar sforna in continuazione, e questo Ortone pare molto una sorta di riempitivo produttivo in attesa del terzo capitolo della fortunata saga dell'Era glaciale previsto per il prossimo anno, anche se non possiamo per nulla uscire rimpiangendo il biglietto, sia che siamo degli accompagnatori di piccoli divertiti spettatori oppure degli amanti dei cartoon. Però è un lavoro nella media senza nessun lampo di genio, che fortunatamente il doppiaggio italiano (neppure lontanamente paragonabile a quello Americano) non penalizza.
In definitiva un cartoon senza troppe pretese dove lo strano cattivo è una cangura, madre poco attenta ai cambiamenti della società ed ad allargare i propri orizzonti mentali, capace di divertirci per la simpatia non infantile dei suoi personaggi ma che non riesce ad illuminarsi di luce propria, divertimento del momento rilassante e appagante, ma che si disperderà nella memoria filmica senza trovare troppi appigli di gloria. Certo che dopo la visione la pulizia con l'aspirapolvere non potrà essere serena come prima ...
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marcellus, sei un grande veramente!
troppo utile...
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thanks !!! eccone un altra !
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Un film di Robert Luketic. Con Jim Sturgess, Kate Bosworth, Laurence Fishburne, Kevin Spacey, Aaron Yoo, Liza Lapira, Jacob Pitts, Josh Gad. Genere Drammatico, colore 125 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Sony Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 18 aprile 2008]
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Trama: Ben Campbell è uno studente brillante che ha una propensione particolare per la matematica, dove esegue calcoli impossibili completamente a memoria. Vorrebbe continuare gli studi in una scuola prestigiosa, ma il problema è che servono 300.000 dollari per iscriversi. Quando pare che debba lasciare i suoi sogni di gloria accantonati, ecco che il professor Rosa gli mostra un elaborato sistema per contare le carte al blackjack con il quale si possono vincere cifre importanti in maniera sicura. Dopo un esitazione iniziale, il giovane accetta di entrare nel gioco, ma non è tutta baldoria quella che si ha dopo la vittoria ...
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Commento: Kevin Spacey (attore in questi ultimi tempi un po'in ombra dopo il fulgore di Seven ed altre pellicole) interpreta (blandamente e marginalmente) e produce questo film sulla passione tipicamente americana del gioco, oltretutto ambientandolo nel suo humus perfetto, cioè quella Las Vegas dove questa passione regna.
Pendolari tra Boston e Vegas, la squadra d'assalto del tavolo verde del professor Rosa (Spacey) arriva carica di calcoli matematici, memoria e codici figurati del corpo per intendersi tra loro, per sbancare tutto, peccato che qualcuno che in passato aveva lo stesso tipo di comportamento non accetti tale sistema.
Il casinò non è certo uno dei luoghi che il cinema ha ignorato durante la sua storia (Scorsese nel 1995 ne girò una bellissima pellicola dal titolo omonimo), e questo 21 (numero di vittoria e score massimo nel gioco del blackjack) non pone certo nuove prospettive oppure interessanti angolazioni di considerazione, in quanto la chiave giovanilistica dei geni in erba al lavoro (e alla truffa) messa in questa maniera non ha sicuramente delle geniali scorciatoie di inventiva.
Il giovane genio che brilla è Ben (Jim Sturgess, interprete di Across the Universe e che vedremo settimana prossima ne L'altra donna del re), capace dei più assurdi calcoli matematici, reclutato da Michael Rosa e che ha come spalla l'avvenente Jill (Kate Bosworth, presente in Superman Returns),
per la quale si invaghisce, dimentica gli amici secchioni occhialuti e si butta a capofitto a macinare soldi, prima per un nobile obbiettivo (il mezzo per il fine, la frequentazione della carissima università da 300.000 dollari, sembra la scuola dei figli dei sultani) poi dopo preso dal demone del gioco perde ogni prudenza tanto da farsi notare da un solerte controllore del"Sistema"(Lawrence Fishburne, indimenticabile in Matrix), e lì cominciano i guai.
Film romanzato tratto da una storia vera, dove gli stessi"truffatori" hanno collaborato in sede di consulenza, è di una banalità e di una monotonia pesante, reso ancora peggiore da una durata per nulla giustificata (125 minuti).
Lo spettatore capisce ancora prima di vedere cosa succede, i protagonisti sono belli, giovani e rampanti, ma antipatici, insulsi e poco coinvolgenti, e tutto si svolge con delle strategie di sceneggiatura poco plausibili, come quella delle fiches scambiate dalle danzatrici di lap-dance, oppure gli incontri con gli amici ormai lontani e i soldi nascosti come una volta ormai dimenticata ora che siamo nell'era telematica. Rain man, a cui il pensiero subito si rivolge, è citato direttamente nel film, e Luketic (suo il divertente La rivincita delle bionde) fa dire a Campbell che non è Tom Cruise, ma purtroppo il problema va oltre la recitazione modesta del cast (e Spacey ormai fa credere che per recitare debba ormai autoprodursi, sembra la stessa fine della Bullock) ma sta nel fatto che si gira intorno alle cose senza fine, ripetendo concetti che non era certo il caso di sottolineare oppure confondendo lo spettatore con scene di belle donne che ballano dato che si raduno in uno strip bar, riproponendo oltretutto le riprese aeree della notturna Vegas in continuazione per mostrare il bagno di lusso e di sfrenata sensazione di essere a Sodoma e Gomorra, dono avuto per il fatto che sai contare bene. Non ci sono particolari messaggi nel film, solo un blando riferimento al fatto che abbandonare gli amici per quello che luccica è un errore, meglio coinvolgerli, e di cercare la via onesta con mammà e la società, in quanto se sei capace alla fine i tuoi meriti escono fuori premiandoti (gli otto dollari di stipendio al negozio di abbigliamento nel caso). E questi giovanotti belli e dalla faccia pulita devono capire quando il rischio diventa pericolo, godendo della occasione del momento senza voler andare oltre a quanto potrebbero fare realmente per non esagerare ("300.000 dollari e poi mi fermo"), accontentandosi avendo comunque successo.
E tra messaggi vuoti di contenuto, scialbi comportamenti della divertiamoci alla grande con la nuova vita, tutto arriva pesantemente alla fine senza un vero risultato con una cifra stilistica e recitativa davvero bassa.
In definitiva un film troppo lungo con poco o nulla da dire, monotono e ripetitivo, che non ha davvero possibilità di essere soddisfacente neppure per una serata di disimpegno leggero per i suoi troppi giri di parole.
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Rolling Stones - Shine a light
Regia: Martin Scorsese
Genere: Documentario
Durata: 122'
Cast: Rolling Stones
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Trama: Beacon Theater di New York nell'autunno del 2006. Le riprese dei due concerti della mitica band diventano un film, ad opera del grande Martin Scorsese, intervallate da piccoli spezzoni costituiti da immagini di repertorio. Due ore di musica sfrenata e brani leggendari con Mick Jagger scatenato capogruppo e mattatore della scena all'età di 63 anni, al tempo in cui si tennero i concerti.
Commento: Che incredibile esperienza che è questo docu-film (ma sarebbe più corretto definirlo cine concerto, con la sala piena ci si potrebbe alzare e ballare al ritmo delle musiche senza che nessuno protesti in quanto a tutti gli effetti una, splendida, ripresa dal vivo), che Martin Scorsese ha girato al Beacon Theatre di New York nell'autunno del 2006, tra le perplessità iniziali di Mick Jagger che riteneva il numero eccessivo di telecamere un fastidio per il pubblico presente. Ma sotto la direzione di Scorsese questi diventano dettagli, il maestro americano all'inizio della pellicola (che parte in bianco e nero) ci indica come avverranno i movimenti delle camere da presa, senza che nessuno spettatore intervenuto per godersi la band se ne accorga e gli arrechi fastidio. Di fatto il risultato finale è incredibile, le riprese sono di una perfezione cristallina in quanto ogni minimo movimento importante viene filmato con continui stacchi che il montaggio perfetto ha reso scorrevolissimo, ci godiamo le espressioni di Keith Richards (che suona imperterrito la chitarra con la fedele sigaretta tra le labbra), i riff di Ronnie Wood, l'altro chitarrista, la perfomance del più compassato del gruppo, il batterista Charlie Watts, e last but not last il grandissimo animale da palcoscenico che è il capogruppo e anima della band, quel Mick Jagger classe 1943 capace con il suo esile fisico di muoversi in maniera fluida, fulminea e indiavolata, in modo non proprio aggrazziato ma denso di una energia senza pari. Scorsese dopo l'inizio in cui ci spiega alcuni dettagli tecnici, lascia che sia il concerto a parlare da solo, fa partire il tutto e ci rende partecipi in una sala acusticamente idonea (il cinema) a un vero e proprio concerto a prezzo"biglietto ridotto" della mitica band, al tempo avversaria dei Beatles di cui sono stati la controparte meno formale e più scatenata. Brevemente le riprese dell'esibizione dei Rolling sono intervallate da brevi spezzoni con filmati di repertorio sottotitolati (vedrete un curioso Jagger in erba, senza tirare in ballo lo scandalo droga in cui lui e Richards rimasero coinvolti) in cui si raccontano aneddoti, curiosità e viene tirata in ballo la famosa frase "ma a sessant'anni pensi di fare ancora quanto fai adesso?" con risposta un laconico "Certamente!".
Vengono i brividi durante la proiezione di questo "Cineconcerto", sembra che non si sia assistendo a un film ma che noi stessi siamo presenti nella sala dove si suona, mentre le quattro sempiterne pietre rotolanti snocciolano un repertorio rock di grandisismo livello. Davvero incredibile questa idea venuta al grande Martin di girare e distribuire in film realizzato con questi canoni, siamo portati a ballare ed applaudire, a fare anche noi come il pubblico a rispondere agli incitamenti che arrivano dallo schermo, per due ore diventato una grande cassa acustica con immagini in movimento. Anche chi non ama i Rolling, ma ama la musica e comunque rispetta la band per la sua storia (e abbiamo dentro incredibilmente anche una canzone country!) non può non amare questo film che coinvolge ed entusiasma, con musiche leggendarie (anche capolavori come Apocalypse Now hanno preso a prestito una loro canzone), vediamo che l'esperimento voluto fortemente dal maestro è riuscito, non ci si strania neppure un momento di fronte all'anomalia strutturale del non-film, che tanto bene si era aperto si chiude in maniera irriverente e perfetta, con la luna sopra Manhattan che diventa la famosa linguaccia simbolo del gruppo. Le top miliari compresa "I can't get no satisfaction" sono in fondo all'esibizione, ma anche la scelta delle altre racchiude il meglio di quanto hanno realizzato.
Sono presenti vari ospiti che intervengono cantando e suonando, tra cui Christina Aguilera, che si esibisce con Jagger in un sensuale ballo corpo a corpo, e non dimentichiamo che abbiamo la possibilità di vedere Keith Richards cantare in assolo.
In definitiva un film entusiasmante, coinvolgente, una esperienza cinematografica anomala che va visto assolutamente da ogni amante della musica anche se non è un rolling fan (questi impazziranno letteralmente), in quanto comunque la confezione perfetta di Scorsese raggranella emozioni sprizzate dall'energia della band e nel contempo ci regala qualche curiosità di repertorio, tanto che alla fine del film ci sentiamo di fare una standing ovation.
Questa luce risplende davvero alla grande!
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L'amore non basta
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Cast Marit Nissen, Ivan Franek, Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Rocco Papaleo, Alessandro Haber
Regia Stefano Chiantini
Sceneggiatura Stefano Chiantini, Rocco Papaleo
Durata 01:24:00
Data di uscita Venerdì 18 Aprile 2008
Generi Romantico, Drammatico
Distribuito da MEDIAFILM (2008)
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Trama: Martina è un assistente di volo che casualmente in aereo incontra Angelo, un ragazzo con una tremenda paura di volare, timido e complessato, che dimentica il suo diario dopo il volo. La donna decide di non restituire lo scritto ma di leggerlo. L'azione provoca una sorta di confusione mentale a Martina nel leggerlo, mentre Angelo cade in profonda crisi depressiva non riuscendo a mantenere i lavori già precari che aveva. Sorprendentemente scopriamo che ...
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Commento: Nei momenti in cui impera la commedia italiana di facile e leggera degustazione, Stefano Chiantini (unica prova precedente con Forse sì...Forse no del 2004) dirige questo piccolo dramma di coppia con venature umoristiche (affidate alla coscienza autoinventata di Angelo, che reincarna il padre, interpretata da Rocco Papaleo in versione avvocatizia), che non è assolutamente da avvicinare come uno spettacolo leggero e di passatempo in quanto si dipana in maniera quasi claustofobica, con numerosi soliloqui e con incontro/scontro sull'amore contrastato che porta sull'orlo dell'esaurimento nervoso e toglie dal contatto con la realtà. Martina (Giovanna Mezzogiorno, reduce dalla trasferta americana di L'amore ai tempi del colera) ed Angelo (Alessandro Tiberi, visto non troppo tempo fa nel film taggaro Scrivilo sui muri) si incontrano in maniera apparentemente occasionale su un aereo dove lei è una hostess, mentre lui ha una crisi di panico. Trovato il diario scordato a bordo dell'aereo di lui, Martina vorrebbe renderlo, ma l'estrema curiosità la porta a leggerlo. La lettura la coinvolge e apparentemente riunisce in coppia i due, ma dietro di questo c'è una sorpresa davvero inaspettata, l'incontro non era affatto un caso e il diario non è stato dimenticato per errore. Non volendo ovviamente togliervi nessuna sorpresa, non vi diciamo quale, ma i due vivono le loro vite in un connubio letterario che li porta empaticamente uno nel mondo dell'altro, tanto quanto Angelo si catapulta in un altro scritto quanto mai assurdo che nel suo mondo prende realtà, guidato da una coscienza che disturba i suoi pensieri incarnata nel padre scomparso che fa l'avvocato esistenzialista. Sembra che mentre leggono o scrivono distanti tra loro, i due protagonisti si incontrano e si trovino perfettamente, ma quando la cosa potrebbe passare dall'astratto al fisico non funziona più nulla, gli incontri (avvengono? sono reali?) diretti sono dei disastri. Quasi ad icona ed elogio del fatto che fuori da un pc o una chat quanto siamo dopo rinneghi quanto siamo veramente affini. C'è una bella scena in cui i due si autostringono con le braccia le proprie membra in un ballo a distanza d'amore, come se ormai ci fosse una sorta di invito o profumo che li collega ma non li vuole vicino per preservarne la platonica ma sublime sensazione.
il personaggio più composito è quello di Angelo, pieno di tic e ossessionato dalla coscienza (Papaleo è comunque decisamente troppo cabarettistico), che deve cambiare lavoro in continuazione per la sua voglia di fare qualcosa di diverso mai adattandosi al momento, perseguendo il proprio disegno senza nessun vero riscontro reale.
La difficoltà di trovarsi comunque per lui lo uccide, e preferisce (vigliaccamente?) sconfiggere i suoi fantasmi in un libro immaginandoli in prigione o nei guai. Sogno, realtà, si bilanciano in continuazione e il regista non lesina, sapientemente e con nostra sorpresa, di stupirci ogni volta senza mai cercare la facile accondiscendenza nel vacuo, come nel finale davvero sorprendente. C'è una sottotrama che riguarda la madre di Martina, sposata con un uomo che le ha dato un altro figlio, uomo che la tradisce con una prostituta (un codinato Alessandro Haber, in versione barba incolta per le notti insonni) che dimostra che oltre le difficoltà dell'incontro ci sono quelle della successiva convivenza da far durare al meglio, e la mamma che deve per forza di cosa accettare certe vergogne si porta a compromessi che in amore non andrebbero mai accettati, e che nella sua visione del dolce stil novo e dell'amore aulico Angelo rinnegherebbe in pieno.
Come si vede un film composito e da seguire con estrema attenzione senza facile acquisizione ma nel totale chiaro e leggibile, che nato dove meno te lo aspetti si altalena felicemente tra sensazioni, sogno, delusioni, amore, interpretato dalla Mezzogiorno con la solita bravura.
In definitiva una autentica sorpresa, un film amaro prodotto con coraggio (non possiamo certo immaginare grosse folle attirate da uno spettacolo tanto intimista), affidato a un praticamente giovane esordiente, che necessita di attenzione per seguirlo ma alla fine soddisfa e ci fa pensare senza essere un enigma se non al momento giusto e quando serve, risolvendosi con bravura e onestà.
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Step Up 2 - la strada del successo
(Step Up 2 the Streets)
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Un film di Jon Chu. Con Briana Evigan, Robert Hoffmann, Will Kemp, Cassie Ventura, Adam Sevani. Genere Commedia, colore 98 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Moviemax - [Uscita nelle sale venerdì 18 aprile 2008]
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Trama: Andy è una ragazza rimasta orfana e amorevolmente accudita da una amica della madre, con il grande sogno da disadattata di vincere con la sua compagnia la gara di ballo hip hop denominata"The Streets", dove gruppi di ragazzi si sfidano a suon di movenze spericolate. Per colpa di una bravata, Andy è costretta a lasciare la banda di strada per andare alla Msa, una scuola di ballo dove incontra Chase, ballerino di classica con voglia di esperimenti e di frammistare stili. I due costituiscono una loro compagnia di ballo per vincere The Streets, ma le istituzioni e le vecchie conoscenze di chase osteggiano il loro piano ...
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Commento: Step Up 2-la strada per il successo rientra nel filone dei film inaugurati con Save the last dance del 2001, che più o meno a cadenza annuale devono uscire trattando (o maltrattando visto la loro scarsa qualità di base) il tema/connubio giovani e danza, da raggiungere senza perdere la propria identità da parte dei virgulti che molto spesso hanno invece le ali tarpate nella fantasia e nello spirito libero dalle istituzioni miopi o dai genitori troppo apprensivi per permettergli una serena ascesa. Normalmente la loro cocciutaggine li porta al successo (il sottotitolo italiano che nulla c'entra con quello originale indica proprio questo) sfidando le logiche ferree, magari ci scappa anche una tragedia piccola o grande ad un amico fraterno, oppure si incontra una persona affine che vive in modo del tutto diverso. In mezzo a questi scontati temi abusati, tanta musica e ballo sfrenato, o aggraziato, con"splash"finale nel successo.
Step Up 2 non si discosta da queste cose, vivendo allo specchio la trama del primo, ribaltando il ruolo maschile con quello femminile e viceversa, ma ha il grosso pregio di non introdurre la tragedia strappalacrime a tutti i costi, capisce i suoi limiti e onestamente dedica ogni sforzo alle coreografie dei balletti che sono davvero buone, sostenute da ottimi figuranti dalle movenze fluide e professionali, che esplodono nella lotta finale a colpi di hip hop e break dance sotto la pioggia. La trama, semplice e solo un pretesto, vede Andie (Briana Evigan) disadattata a coesistere con la scuola e che ha una adorazione per Tuck, il capobanda nero della "910". Dopo l'ennesima bravata la sua tutrice che la ospita le impone la frequentazione di una scuola seria e completa come l'Msa, dopo l'intercessione di un vecchio amico come Tyler Gage, (il protagonista del primo episodio e unico tratto d'unione tra i due film, insieme all'ambiente della stessa scuola, che oltretutto esce presto di scena dopo aver convinto la amorevole e preoccupata tutrice). Arrivata in un luogo che lei mal accetta per la sua compunta regolatezza, incontra Chase (Robert Hoffmann), ballerino di classica con tanta voglia di fare qualcosa fuori dagli schemi. Subito i due si trovano e organizzano, dopo la fuoriuscita obbligata di Andy dai 910, una nuova compagnia di ballo per vincere la Streets, la gara tra bande più ambita. Ma il preside, fratello di Chase, osteggia e impedisce il tutto minacciando l'esplulsione a chi vi partecipa.
Non serve assolutamente vedere il primo film, questo vive di vita propria o meglio di vita contraria, in quanto tutto è fatto, come si diceva, allo specchio. Ma mentre il capitolo del 2006 si perdeva in varie cose del tutto monotone, come la punizione, l'incontro più melenso tra i due e cose meno sfrenate, questo liquida velocemente lo spazio descrittivo (del tutto anonimo e banale, avvengono sempre le solite cose) per dedicarsi prestissimo a quello visivo, dove si segnala oltre al finale anche l'inizio con"la beffa"in metropolitana.
Jon Chu (che ha già in cantiere un misterioso terzo episodio in 3-D che sembra possa arrivare nel 2010) dirige bene la sezione dedicata alle gare e alle sfide, mentre ci uccide letteralmente con gli inserti da telefilm giovanile (si cita OC nel film non a caso, riconosciamo l'autoironia).
In definitiva un "ballett-movie da strada"che perdere non cambia per nulla la vita, zeppo delle ripetizioni e dei luoghi comuni del genere, privo di originalità anche minima perchè i personaggi sono ricalcati su quello del primo e il cambio di sesso non è una grossa novità, ma che almeno con molta onestà si dedica a non annoiare troppo con l'unica arma che ha, scatenare le sue orde danzanti presto e senza timore.
Possiamo definirla una ballabile immondizia di luoghi comuni, ma almeno non è un acquitrino fermo.
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L'anno mille
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Un film di Diego Febbraro. Con Giada Desideri, Marco Bonini, Franco Oppini, Anna Orso, Edoardo Leo, Guglielmo Carbonaro. Genere Fantastico, colore 97 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione Mediafilm - [Uscita nelle sale giovedì 24 aprile 2008]
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Trama: L'anno mille e l'anno duemila si intersecano in una sorta di fusione di avvenimenti che potrebbero avvenire contemporaneamente senza logiche di successione, collegati da una porta magica apparentemente ora chiusa. Mentre il principe Valerio e la principessa Altea combattono il temibile mago Alchimista nell'era passata, nell'era moderna due medici con lo stesso nome sono alle prese con un problema di droghe. A collegamento dei due mondi diversi/uguali il gigante Herrmugnen imprigionato nelle vesti di un barbone, che vive nel parco in cui è situata la porta magica.
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Commento: Bisognerebbe chiedere a chi li attribuisce di cambiare i parametri per cui un film viene considerato "d'interesse culturale nazionale" (se esistono, viste le opere cinematografiche davvero di basso livello che si sono viste insignite di tale titolo) dato che di interessante questo ignobile filmetto non ha davvero nulla, e non possiamo certo pensare che possa aver raggiunto tale traguardo prima citato solo per aver ripreso senza ne lode ne merito il castello di Sermugnano vicino a Todi.
Partorito probabilmente per utilizzare dei costumi che i vari "Medieval Times" d'Italia (i locali a tema dove si beve e si mangia nello stile dei tempi guardando un torneo finto e guidato, nel risultato, di cavalieri) hanno rifiutato, questo Anno Mille vive la sua pallidissima esistenza scimmiottando Stargate e Timeline, raccontandoci senza il minimo coinvolgimento emotivo di come i tempi possano vivere paralleli senza entrare in collisione temporale. Il principe Valerio (Marco Bonini, che come gli altri viene da interpretazioni televisive) deve salvare la principessa Altea (Giada Desideri, a dir poco ignobile la sua presenza sullo schermo) dalle grinfie del temibile mago Alchimista (un Franco Oppini capitato sul set per caso e reclutato), e l'unica salvezza sembra essere data dal gigantesco cavaliere Herrmugnen , che però è intrappolato da un sortilego nell'anno duemila, alcoolizzato e reso un barbone, che dorme perennemente nel parco di fronte alla porta magica a Roma situata in piazza Vittorio, ponte ideale tra i due millenni, da cui è stato sbalzato. Ad aiutare per dipanare la sistuazione potrebbero intervenire due volonterosi medici che si chiamano come gli eroi del passato (e che ovviamente sono anche qui la coppia Bonini/Desideri). Quanto di peggio si può vedere sullo schermo, qui lo trovate presente. Un regista come Diego Febbraro (nato a Todi, per cui omaggia le sue terre natie) che definire esperto sarebbe azzardato, ma neppure alla prima prova, avendo già diretto qualcosa dal 1991 con Agnieska come primo film, si perde in continui campi e controcampi, fa primi piani scellerati su volti a dir poco comici nella recitazione (vedere per credere) e la sceneggiatura sembra fatta nei ritagli di tempo per hobby, ricca come è di incongruenze, stupidaggini e deviazioni di trama prive di ogni attrattiva specifica, che puzzano di falso lontano chilometri realizzate con una banalità disarmante.
Non si capisce davvero perchè spendere soldi e risorse in progetti di questo tipo privi di ogni merito logico, che sarebbero stretti anche in un ottica televisiva. Scusare il film come se fosse un piccolo tentativo di scostarsi dai soliti temi per il mercato italiano è pretestuoso, comunque vengano fatte le riprese devono avere una logica costruttiva di base e non solo il fatto di saper accendere la camera e filmare qualunque cosa ci sia nella sua traiettoria, come dimostrano le vergognose scene di lotta tra eserciti (parola davvero troppo grossa) dove ci sono gli attori che sembrano si parlino prima di eseguire il movimento.
In definitiva un film italiano dai meriti nulli che non prende valore solo perchè si discosta dalle tematiche solite, recitato, sceneggiato e diretto malissimo, che solo alla fine ci fa uscire dal sonno solo prechè presenta una bella costruzione architettonica dei tempi che furono nel finale, bollato di meriti artistici nella facciata del tutto inesistenti.
La frase "evitare con cura" è quanto mai d'obbligo.
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L'altra donna del Re
(The Other Boleyn Girl)
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Un film di Justin Chadwick. Con Natalie Portman, Scarlett Johansson, Eric Bana, David Morrissey, Kristin Scott Thomas, Mark Rylance, Jim Sturgess. Genere Drammatico, colore 115 minuti. - Produzione Gran Bretagna 2008. - Distribuzione Universal Pictures - [Uscita nelle sale giovedì 24 aprile 2008]
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Trama: Mary e Anne Boleyn sono due sorelle che vivono in modo del tutto diverso l'amore per il Re d'Inghilterra Enrico VIII, già sposato ma con ormai nessun rapporto, di ogni tipo, con la Regina, la prima è una donna dolce e remissiva, la seconda dura, arcigna e piena di ambizioni e spirito di rivalsa. Quando Mary ha un figlio illegittimo da Enrico VIII, nonostante che sia il maschio che il regno attende con ansia, deve fuggire in campagna. Durante la gravidanza la sorella ha agito alle sue spalle, stregando d'amore il re che si perde per lei, compiendo delle azioni affrettate e senza logica che portano il regno a una pericolosa svolta ...
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Commento: Sulla figura di Enrico VIII sono state prodotte delle pellicole nel passato, una delle più famose è sicuramente le Sei mogli di Enrico VIII del 1933 con l'indimenticabile Charles Laughton, ma questa pellicola diretta da Justin Chadwick (specializzato in tv series) si incentra più sulla figura di due sue amanti provenienti dalla famiglia Bolena, di cui Anna è la seconda moglie.
Tratto dal romanzo di Philippa Gregory, narra la storia di Ann (la Portman) e Mary (la Johansson) Boleyn, sorelle, che vivono in campagna con diverse attitudini. Mentre la seconda vorrebbe tranquillamente godersi il matrimonio appena celebrato, la prima cerca di scalare le vette dell'alta società, spinta dal apdre e dallo zio. L'occasione propizia avviene quando il re si reca da loro per una cavalcata, ma una imprudenza di Ann fa simpatizzare come concubina la dolce sorella al regnante, infelicemente sposato con Caterina D'Aragona incapace di dargli un figlio maschio. Portata a corte, Mary si innamora del re a cui da un figlio maschio, che però non può essere riconosciuto in quanto illegittimo. La sorella Ann non perde l'occasione e manovra a dovere l'indeciso re che si perde per lei, fino al punto di creare una frattura con il Vaticano (frattura da cui nascerà la Chiesa Anglicana) e compiere decisioni estreme. Ma il destino avverso sconvolge i piani di Ann che deve cercare aiuto proprio dalla sorella che ha ingannato.
Il contesto storico è solo lo sfondo e l'ambiente in cui si muove la storia, per renderla altisonante e ad ampio respiro, che di fatto è un drammone sentimentale strutturato su più anni, con un cast di grande richiamo, composto da due attrici e un attore famosi (il re è interpretato da Eric Bana, famoso per Hulk e Troy). La parte forte del film sono sicuramente i grandiosi costumi (opera della due volte premiata con l'Oscar Sandy Powell), poi per il resto il fascino sta tutto nel sogno di immergersi negli ambienti dei castelli e delle campagne, mentre la vicenda per come è mostrata, sopratutto nella prima parte, gira monotona e senza troppo interesse, cosparsa di scelte narrative abbastanza prevedibili anche per chi non conosce la verità storica. Di fatto gli eventi esistono solo in parte (Mary non diede un figlio ad Enrico ma lo fece con un altra amante, Elizabeth Blunt, poi Enrico non venne attratto da Anna in maniera sensuale e prettamente da lei, come sembra dal film, ma perchè pensava fosse la donna ideale per avere il tanto figlio maschio legittimo) ma l'importanza di dare una storia funzionale allo spettatore, rende questo fatto del tutto secondario e poco percettibile. La Johansson è bravissima nel costruire la dolcezza del personaggio della sorella caritatevole, mentre la Portman si trova benissimo nel calarsi nella parte non tanto malvagia ma quanto più senza freni nel cercare il successo, Bana abbastanza anonimamente, senza lode ne pena, fa la parte dell'oggetto del desiderio, troppo preso dai problemi del regno e che mal amministra i suoi notevoli impulsi sessuali.
Castelli, prati verdi di campagna, due attrici di fascino, costumi sfarzosi e storia d'amori reali, non lacrimevoli e per questo ancor più di sicura presa, faranno la gioia di chi vuole un tipo di storie sentimentali senza essere stucchevoli, in pratica "al femminile" contrapposto, mentre possono avere una abbondante dote di carico di noia a chi poco sopporta una azione circoscritta nella zona del maniero e che si ripete con piccole variazioni in maniera ciclica fino al suo finale (storicamente esatto indipendentemente dalla licenza romanzesca dell'attribuzione del solo amore incestuoso, ad Anna furono contestati altri 4 amanti di cui non c'è traccia nel film) reso meno penetrante dalla voglia a tutti i costi di presentare Mary (che curerà la figlia della sorella, quell'Elizabeth che nonostante il sesso femminile tanto osteggiato dal padre Enrico regnerà per 45 anni ed è stata la protagonista dei due film con la Blanchett) come una specie di santa che tutto perdona e che si presta sempre per il meglio.
In definitiva un drammone sentimentale di pregevole ambientazione e struttura scenica, poco coinvolgente ed emozionante nella storia che vive senza eccessi di coinvolgimento, ricalcando con variazioni gli eventi che furono, con forte possibilità di risultare monotono sopratutto nella prima parte, ma sorretto da due grandi interpretazioni contrapposte di un duo di attrici che conferma le loro capacità. Non un grande spettacolo, visto che rimane in superficie rispetto all'approfondimento, ma decisamente un intrattenimento valido senza infamia.
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