Invero, dovette anche menar le mani, una volta o due, a causa di mariti e amanti incapaci di tollerar lo scorno, ma anche quello quasi in gaiezza, ch
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Invero, dovette anche menar le mani, una volta o due, a causa di mariti e amanti incapaci di tollerar lo scorno, ma anche quello quasi in gaiezza, ch
Fu un istante, e il malinteso...il tradimento, o "...all'Assassino...", o la rabbia, oppure l'eco delle mille illazioni della politica bassa e vile, quella d
E quindi, in un attimo fatale, tutto fin
V Epilogo
Oggi Daimon non regge pi
Da questa triste storia,
trae spunto il poeta,
che senza tanta boria,
vaga or senza meta.
Dell'omo l'altrui strada,
mai tagliar non si deve,
finch
Aggiungo anche il secondo capitolo della storia... in versi...
NdA:
Il dialogo immaginario, ma non troppo, tra il poeta Wordsworth Coleridge (non si faccia caso a questa fusione di due in uno, ha una motivazione che forse in seguito spiegherò, o magari no) e me, costituisce il secondo capitolo della vicenda iniziata con la novella.
Tutte le prime strofe, ovvero quanto dice Wordsworth Coleridge, sono autenticamente sue/loro, e tratte liberamente dalle Lyrical Ballads, e tradotte da me cercando di rispettarne il più possibile il senso originale.
Le risposte di daimon sono ovviamente mie.
Come si vede dunque, la novella non conduceva a un epilogo, semmai era un prologo.
un giorno il daimon scese dalla montagna, e si imbarcò su una nave, per intraprendere un lungo viaggio della memoria, ma non gli fu consentito di dimenticare.
la nave fu attaccata e tutti furono uccisi, compreso il daimon, ma come si legge qui, non fu così che poi andò.
Il poeta W.Coleridge e il poeta-guerriero Daimon conversano...
Era notte, quieta notte, la luna era alta,
i cadaveri stretti uno contro l'altro.
Giacevano tutti sul ponte,
visione più acconcia ad un ossario;
su me fissavano lo sguardo impietrito,
gli occhi balenanti al chiaro di luna.
Nel dirmi ciò, Wordsworth Coleridge mi osservava intento.
Ricordo quella notte, e quella luna,
e il mucchio di forme contorte e non più umane.
Giacevamo insieme, laidi e osceni,
e il sangue scintillava della luna.
Ma quello sguardo, poeta mio carissimo,
che tanto ti brillava, era il mio,
dolente nella morte,
ma lieto della tua presenza.
Gli risposi, mirandolo a mia volta.
veloce, veloce filava la nave,
scivolava leggera sul mare;
dolce, dolce soffiava la brezza,
su me soltanto soffiava.
E mi fissava.
Oh s
Poco discosto dalla prua,
si fermarono quelle purpuree figure...
...i cadaveri s'eran mossi,
ed ora giacevano ai piedi dell'albero maestro!
Ora Coleridge mi appariva sorpreso egli stesso.
Erano venuti per noi,
per guidarci nel viaggio finale,
noi ci muovemmo,
mai asc
Luccicava lo scoglio, non meno
della chiesa che alta lo sovrasta...
tutti i cadaveri erano ora a terra, stecchiti;
una creatura sfolgorante di luce, un serafino,
s'ergeva sopra ogni cadavere.
Il poeta mi pareva incerto, non pi
I serafini in schiera fecero un segno con la mano,
ma non una parola usc
svanirono qui tutte le luci benigne;
i corpi s'alzarono, come risorti,
ed in punta di piedi fece ritorno
al suo posto lo spettrale equipaggio.
Il vento, senza muovere foglia o dar ombra,
su me soltanto soffiava.
Credo che ormai sentisse la paura.
era il mio equipaggio, buon poeta,
ed era la mia nave corsara.
nacquero quel giorno Daimon il pirata,
vivo signore dei morti, e del sogno,
e il suo equipaggio fantasma,
per ricucir la trama,
di una vita spezzata.
quel vento soffiava anche su me,
ma in quel momento non lo sentivo,
ebbro del potere della sfida nuova,
inviso a dei, uomini e a me stesso,
ma furente e vendicativo,
e stanco della gogna...
Addio, mio bel poeta,
m'
Una nota dell'autore:
Cari lettori,
spero di avervi fin qui incuriositi, dilettati e, almeno un p
naturalmente, sono graditi commenti, data l'insolit
Vabb