Il "tris": adiaphoría( indifferenza),l’atarassia e l’epoché
:mmh?:....filosofeggiamo...:D
Abbiamo approfondito l’indifferenza (adiaphoría, ἀδιαφορία in greco...per fare cultivato) in tutte le sue forme. Vale ora la pena di confrontarla con due concetti che, pur distinti, si presentano spesso intrecciati nella tradizione filosofica: l’atarassia (ἀταραξία, vedi sopra) e l’epoché (ἐποχή idem). Questi due termini, provenienti dalla filosofia greca, rappresentano l’elaborazione di un atteggiamento che non si esaurisce in un disimpegno emotivo, ma si traduce in metodo critico e in ideale di vita. Entrambi nascono in contesti antichi ma mantengono ancora oggi una sorprendente attualità, poiché parlano al problema universale della condizione umana di fronte all’incertezza.
1. L’epoché (ἐποχή): sospensione di giudizio. A prima vista, l’indifferenza e la sospensione di giudizio possono sembrare atteggiamenti simili: entrambi si manifestano come un non prendere posizione. Ma se l’indifferenza si configura come un distacco passivo, l’epoché è invece un atto critico e metodico, radicato nella tradizione scettica antica, che ha come scopo ultimo l’atarassia, ossia la serenità dell’animo.
Il termine significa letteralmente “trattenimento” o “sospensione”. È la pratica centrale dello scetticismo antico, in particolare della corrente pirroniana. Lo scettico, messo di fronte a una questione controversa, ne indaga attentamente i termini. Se riconosce che le argomentazioni a favore e contro hanno pari forza, evita di assumere una posizione definitiva. Questa rinuncia non è segno di debolezza, bensì di lucidità critica: una scelta deliberata che nasce dalla consapevolezza dei limiti della conoscenza umana.
A differenza dell’indifferenza, che nasce dal disinteresse, l’epoché è frutto di un impegno razionale. È l’atto con cui lo scettico si arresta sull’orlo del giudizio, non perché non gli importi, ma perché non trova basi sufficienti per decidere. Tale metodo ha un valore filosofico preciso: smontare le pretese dogmatiche e aprire uno spazio di riflessione più libero.
2. L’atarassia (ἀταραξία): serenità dell’animo. E' connessa all'atteggimento precedente:la meta a cui lo scettico mira.
Il termine che significa letteralmente “assenza di turbamento”. Essa designa una condizione di pace interiore, di equilibrio dell’animo che non si lascia più agitare da contrasti e dispute. Per i pirroniani, l’epoché conduce naturalmente a tale stato: chi smette di affannarsi per sostenere dogmi inconciliabili trova una serenità nuova, simile al silenzio che segue a un frastuono.
L’atarassia non è un privilegio esclusivo dello scetticismo. Anche gli stoici la considerano, in una forma diversa, come ideale di vita: non più come semplice effetto della sospensione del giudizio, bensì come conseguenza dell’accordo della ragione con la necessità.
Comunque, resta la tensione verso una calma che nasce dal distacco rispetto a passioni e opinioni.
Il nesso fra i due concetti è dunque chiaro. L’epoché rappresenta un metodo, un atteggiamento conoscitivo: trattenersi dal giudizio definitivo quando non vi sono basi solide. L’atarassia è invece un risultato, un frutto esistenziale: la serenità che scaturisce da tale sospensione. Potremmo dire che la prima è lo strumento, la seconda il fine. Lo scettico non ricerca la sospensione come esercizio sterile, ma perché essa gli apre la strada a un modo di vivere più pacificato.
Hanno un senso, oggi? In un’epoca segnata da informazioni contraddittorie, opinioni polarizzate e conflitti di verità, l’atteggiamento scettico conserva un valore attuale. Non si tratta di cedere all’apatia o al relativismo assoluto, ma di imparare a riconoscere quando il giudizio è prematuro, quando la disputa rischia di agitare senza portare a un fondamento solido. In questo senso, l’epoché diventa un antidoto alla superficialità e l’atarassia un ideale di equilibrio interiore, necessario in un mondo iperconnesso e spesso caotico.
I due concetti sono apparentati ma distinti: la sospensione di giudizio è il passo metodico, la serenità dell’animo è il traguardo esistenziale. Entrambi si pongono in contrasto con l’indifferenza: non nascono dal disimpegno, ma da una consapevole ricerca di verità e di pace. Se l’indifferente non si cura delle questioni, lo scettico le affronta fino al punto in cui la ragione lo conduce, e proprio lì trova una forma più alta di libertà.
Per farne una sintesi hegeliana, tipo bignami :
-Indifferenza (adiaphoría, ἀδιαφορία): disimpegno passivo, mancanza di interesse o valore attribuito.
-Epoché (ἐποχή): sospensione attiva e metodica del giudizio, quando le ragioni pro e contro sono equivalenti.
-Atarassia (ἀταραξία): stato di serenità e assenza di turbamento, frutto della sospensione o del distacco.
L’indifferente “non giudica perché non gli importa”, lo scettico “non giudica perché non può decidere con fondamento”.
...ed il giullare, scetticamente indifferente, si gode la libertà interiore. Filosofeggiando.:mmh?:
:D
Capire tu non puoi, tu chiamala, se vuoi, indifferenza...
La virtù dell'indifferenza è quella che più a fatica si trova sui social network: è una verità universalmente riconosciuta che gran parte dei social media sono diventati profondamente disfunzionali perché invece di favorire un sano scambio di idee, queste piattaforme creano troppo spesso bolle di filtraggio (il fenomeno in cui gli utenti vengono esposti principalmente a contenuti che confermano le loro opinioni preesistenti) o camere di risonanza che amplificano le posizioni estreme.
Un piccolo numero di utenti di alto profilo raccoglie la maggior parte dell'attenzione e dell'influenza e gli algoritmi progettati per massimizzare il coinvolgimento finiscono per amplificare indignazione e conflitti, assicurando il predominio degli utenti più rumorosi ed estremisti, aumentando così ulteriormente la polarizzazione.
Che sia una caratteristica tipica e - soprattutto inevitabile - dei social network (e dei forum in particolare) sembra dimostrarlo un esperimento condotto dai ricercatori dell'Università di Amsterdam (https://futurism.com/social-network-...n-echo-chamber).
Petter Törnberg, professore associato di intelligenza artificiale e social media, e l'assistente di ricerca Maik Larooij hanno simulato una piattaforma di social media popolata interamente da chatbot di intelligenza artificiale, alimentati da GPT-4o di OpenAI, per vedere se c'era qualcosa che si potesse fare per impedire ai social media di trasformarsi in camere di risonanza di idee estremiste.
Hanno quindi testato sei diverse strategie di intervento proposte dai sociologi per contrastare tali effetti: passaggio a feed cronologici o randomizzati; inversione degli algoritmi di ottimizzazione dell'interazione per ridurre la visibilità di contenuti sensazionalistici ampiamente ripubblicati; aumento della diversità dei punti di vista per ampliare l'esposizione degli utenti a opinioni politiche opposte; utilizzo di "algoritmi ponte" per valorizzare i contenuti che promuovono la comprensione reciproca anziché la provocazione emotiva; occultamento di statistiche sociali come ripubblicazioni e account follower per ridurre gli indizi di influenza sociale; e rimozione delle biografie per limitare l'esposizione a segnali basati sull'identità.
Sfortunatamente nessuno di questi tentativi di migliorare la discussione ha avuto risultati positivi, anzi alcuni hanno pure peggiorato la situazione e in conclusione, secondo gli scienziati olandesi, non c'è nulla che si può fare per migliorare questa situazione.
Secondo me potrebbe essere appunto la mancanza della virtù dell'indifferenza a causare questo precipitare dei social media verso la tossicità dei rapporti: sicuramente i bot AI - che devono essere assistenti premurosi e coinvolgenti per definizione - sono del tutto privi di indifferenza, come pure la maggioranza degli umani che si confronta sui social proprio per trovare e scambiare emozioni e indignazioni.
Non resta allora che consigliare la pratica dell'atarassia, la "felice indifferenza" di Pirrone, Epitteto ed Epicuro, a chi vuol frequentare social senza contribuirne alla degenerazione disfunzionale: è una cosa da vecchi saggi e stanchi, certo, ma ormai chi frequenta oggi queste disperate lande che altri chiamano "Forum"?