Originariamente Scritto da
axeUgene
occhio, perché la definizione è un po' ambigua, e su un crinale delicato, a seconda di come viene recepita:
prendersi cura di sé è imprescindibile, così come - secondo me - investire in una creatività autonoma; però, facilmente, questo schema si presta ad un'elaborazione immatura e reattiva, per cui l'autonomia è una risposta all'incapacità di accettare i limiti della realtà e metabolizzare i propri;
che, probabilmente, è una lettura più corretta degli psic che tira in ballo Cono; l'adulto incapace di elaborare i propri fallimenti assumendosi una parte di responsabilità in modo esplicito, è stato un bambino troppo protetto dalle frustrazioni;
se la reazione al fallimento non metabolizza i propri errori come tali, l'autonomia diventa una corazza/anestetico; es: se una mia relazione è finita e io ero il contraente "debole", abbandonato, posso raccontarmela nei termini di "essere stato troppo disponibile", ripromettendomi in futuro di essere meno disponibile e limitando le aperture ad una relazione; c'è, evidentemente, un tratto di vittimismo;
in questo, si salta la consapevolezza esplicita e dolorosa del fatto che quella "disponibilità" era nient'altro che uno stratagemma egoista per perseguire un obiettivo, più o meno conseguito o mancato; chiaramente, se la frustrazione non si metabolizza come apprendimento, ma si dirotta su cause esterne, non si cresce e si resta nel delirio di onnipotenza pre-adolescenziale, dove in effetti tutto è fantasia, ma nulla davvero possibile;
mo', fuori da troppe psico-pippe, la differenza tra una persona che si racconta in modo equilibrato nei suoi limiti e una che li sublima e si corazza, è evidente a chiunque; la prima ti racconta dei difetti che sono tali e dolorosi, ma con un certo distacco e perdono di sé; la seconda ti dice che il suo difetto è: sono troppo buono e gli altri si approfittano, con tutte le posture di conseguenza.