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La sposa fantasma
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(Over Her Dead Body) Regia: Jeff Lowell – Cast: Eva Longoria, Jason Bigg, Paul Rudd, Lindsay Sloane, Stephen Root, Kali Rocha, Lake Bell, Morgan Sheppard, Sam Pancake – Genere: Commedia, colore 96 minuti – Produzione: USA 2008 – Distribuzione: Eagle Pictures - Data di uscita: 24 Aprile 2008
Trama: Kate è una perfezionista e sta organizzando a puntino il suo matrimonio con il dolce Henry, quando una statua raffigurante un angelo di ghiaccio senza ali le cade addosso uccidendola. Finita in una sorta di limbo spirituale bianco, gli viene concesso di stare sulla terra in forma ectoplasmatica che può interagire con le persone per adempiere a un compito ben preciso che la sua fretta nel aprlare con l'angelo consigliere non gli permette di conoscere. Intanto il fidanzato non si dà pace senza di lei, e per cercare di capire che cosa deve fare si rivolge a una medium in erba, esperta di catering, che dimostra molto interesse per lui. La gelosia della sposa fantasma a quel punto si scatena ...
Commento: Lo sciopero degli sceneggiatori televisivi, che ha messo nel freezer per diverso tempo le tv series, tra le altre Desperate Housewives di cui Eva Longoria Parker fa parte del cast, deve aver concesso un po'di tempo libero agli attori per fare dei prodottini cinematografici affini in cui cimentarsi, per cui la bella attrice/modella è stata reclutata nel cast di questa commediola senza pretese e di poca fantasia che narra le gesta di una puntigliosa prossima sposa schiacciata da un angelo di ghiaccio che doveva fare bella mostra durante il wedding-day. Andata in un limbo (ovviamente bianco), Kate (Longoria) viene a sapere di dover compiere una ultima missione prima di poter risposare tranquilla sulle nuvolette, però non sa quale perchè come da suo carattere troppo invadente indispettisce l'angelo che le sta parlando. Tornata sulla Terra come fantasma, trova il fidanzato Henry (Paul Rudd, visto anche in Una notte al museo e nella serie televisiva Friends, era il fidanzato di Phoebe) distrutto dal dolore che cerca conforto in una medium pasticciona e poco affidabile (Lake Bell, anche lei nelle serie tv, nel caso specifico Boston Legal). Ghost/Kate vede un avvicinamento troppo interessato tra i due e la sua gelosia esplode cercando in tutti modi di ostacolare il rapporto, la sua possibilità di farsi sentire e vedere come vuole la può aiutare nell'impresa, ma è ben altro che deve compiere.
Come si vede una commedia banalissima e scontata dal primo all'ultimo minuto, che riprende canoni abusati che si riconducono a diverso cinema, dal Paradiso può attendere a Ghost. Ma se la prevedibilità è il motore poco scoppiettante della storia, sarebbe riduttivo stroncarla in toto senza scampo, dati gli intenti onesti di divertire e rilassare senza il minimo impegno, con uno spettacolo corretto e totalmente privo di derivazioni volgari, cercando il sorriso anche in una scena dove i peti imperano nel modo più elegante possibile. A questo proposito è incredibile che il picco di ilarità al cinema si raggiunga sempre con questo artifizio narrativo, si vede che il Dantesco "... e col cul fece trombetta" in pellicola ha sempre la sua icona di sicuro rifugio del divertimento.
Nel film il regista (Jeff Lowell, sceneggiatore di Il mio ragazzo è un bastardo, con protagonista un altro interprete di Desperate Housewives) ci inserisce anche dei blandi effetti di levitazione e qualche voce ancestrale che proviene dalle superbe fattezze della Longoria (che recita come sempre impettita e superba rifacendo il verso alla sua Gabrielle Tv). In mezzo abbiamo tante cose qualunque, come l'amico gay della medium (interpretato dal Jason Biggs famoso per American Pie), la dolce sorella del fidanzato distrutto, qualche tenero animale (lui è un veterinario) e cattiveria davvero blanda stemperata ogni volta, per poter rimanere sempre nei canoni corretti e dolci dello zucchero filato che promette.
In definitiva una commediola come tante scontata e prevedibile, vista e scritta mille volte da altre parti, leggerissima e zuccherosa, che va benissimo per una serata di intrattenimento senza nessuna voglia di impegnarsi minimamente, dato che seguirla è la cosa più facile del mondo dato che possiamo scriverne la sceneggiatura ancor prima che vediamo la scena sullo schermo. Ma la sua correttezza blindata e totale la rende simpatica, se vi accontentate o cercate questo accomodatevi pure senza problemi. Per una sera ogni tanto, a volte può bastare nel "longorio" della vita moderna.
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Tutti pazzi per l'oro
(Fool's Gold)
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Un film di Andy Tennant. Con Matthew McConaughey, Kate Hudson, Donald Sutherland, Kevin Hart, Ewen Bremner, Alexis Dziena, Ray Winstone. Genere Commedia, colore 113 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Warner Bros Italia - [Uscita nelle sale mercoledì 23 aprile 2008]
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Trama: Ben "Finn" Finnegan è un incallito cercatore di tesori in crisi matrimoniale per le troppe testarde stupidaggini che compie alla ricerca della realizzazione dei suoi sogni. Ma un giorno la pista seguita sembra davvero quella giusta, e il tesoro della nave che giace sul fondale Regina Dowry a portata di mano. Salito sul megayacht del miliardario Nigel Honeycutt e di sua figlia Gemma, ritrova la ex-moglie che lavora proprio alle dipendenze dei due. La cosa sembrerebbe un impaccio, ma la nuova avventura che si prospetta potrebbe ...
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Commento: La fantasia dei titolatori italiani che ha fatto abbondanti disastri negli ultimi tempi, vuole solo richiamare nel ricordo il film con Cameron Diaz "Tutti pazzi per Mary", ma invece Fool's Gold sta per "oro degli sciocchi", la pirite che è tanto somigliante al prezioso metallo ma non vale nulla, volendo indicare nel film la ricerca inutile di tesori che per lungo tempo Finn (Matthew McConaughey) esegue senza nessun successo. Tutti questi vani tentativi lo hanno portato al tracollo matrimoniale con Tess (la bionda Kate Hudson, già in coppia con Conaughey in "Come farsi lasciare in 10 giorni"), da cui ha divorziato, ed è aiutato solo da Alfonz, un ucraino per nulla affidabile (interpretato da Ewen Bremner, che ricorderete per la sua interpretazione dell'impasticcato Spud in Trainspotting). Ma il caso e la fortuna vogliono che gli avvenimenti girino giusti, e Finn scopre un indizio sicuro su un tesoro nascosto. Arrivato sulla meganave di un miliardario (Donald Sutherland, incanutito come non mai) e della sua vanesia figlia Gemma (l'attrice mora Alexis Dziena, il cui personaggio supera in stupidità ed ocaggine qualunque bionda dello schermo in ruoli simili) scopre che l'ex-moglie lavora proprio lì. Riparte l'avventura, ripartirà anche l'amore?
Il regista Andy Tennant (diresse il brillante Hitch con Will Smith) cerca di riprendere i fasti di film come "All'inseguimento della pietra verde" e del suo seguito "Il gioiello del Nilo" con un film mix di avventura e commedia leggera con protagonista una coppia di attori giovani e prestanti. Ambientandolo nei Caraibi (con location però posizionate in Australia), ci si immerge in una cornice splendida, peccato che se è scintillante il contenitore un po'meno è il contenuto e i suoi figuranti. Ovviamente il mix è intrigante in quanto mescola scene dinamiche marine (inseguimenti e immersioni) con atmosfere da sogno di barche che lo schermo fa fatica ad inquadrare nella sua completezza, d'altro canto i due protagonisti non sono ne Douglas ne la Turner, per quanto ci sia un impegno lodevole ad essere simpatici a tutti i costi anche nel momento del pericolo, e quelli di contorno come lo spaesato miliardario interpretato da Sutherland (giunto davvero per un errore del suo manager in questo film o per passare pagato delle belle vacanze) e di sua figlia poveri di credibilità, resi vuoti da una sceneggiatura che si affida non ai colpi di scena equilibrati tra i vari passaggi di genere (avventura e commedia) ma solo alla ripetizione pedante di situazioni abusate (come quelle che vedono i due ex-coniugi dirsi "io lo farei se tu fossi ma non posso farlo dato che non lo sei ma lo farò visto che in fondo ti amo") e di cattivi da operetta di avanspettacolo.
Tra l'altro i continui passaggi tra tempi fermi del dialogo e quelli dinamici possono anche straniare lo spettatore frammistando male i generi coinvolti nella pellicola, lasciando magari insoddisfatti.
Conaughey sfodera una perfomance fisica di notevole livello (e per la gioia delle signore ampiamente con il corpo muscoloso in luce) mentre per rendere la Hudson è abbastanza castigata, con le sue scene in bikini piuttosto veloci (i maligni magari possono anche insinuare come scritto dalla stampa gossippara che non poteva fare diversamente visto qualche kilogrammo di troppo), lasciando la parte della visione fisica di un bel corpo femminile in mnaiera più consistente alla vanesia e capricciosa Gemma.
La storia alla fine per il puro divertimento senza pretese tutto gira leggero e a volte movimentato, ma è davvero priva di particolare inventiva e del tutto mancante di singolarità, e se da un lato tutto il contesto riporta alle avventure rese famose dai film di scorribande e ha il fascino di voler scoprire gli oggetti dispersi ai quattro angoli del globo, non riesce a catturare completamente la nostra attenzione.
In definitiva un film adatto per un tranquillo pomeriggio al cinema con la famiglia, sopratutto in questi tempi di ponti e gite fuori porta per chi non può muoversi, da preferire al film con la Foster per una maggiore dinamicità, ma che poteva essere qualcosa di più se ci fosse stata la voglia di rischiare qualcosa in fase di sceneggiatura rendendola meno qulaunque con una migliore calibratura del mix tra commedia ed avventura.
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Un amore senza tempo
(Evening)
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Un film di Lájos Koltai. Con Claire Danes, Toni Collette, Vanessa Redgrave, Patrick Wilson, Hugh Dancy, Natasha Richardson, Mamie Gummer, Eileen Atkins, Meryl Streep, Glenn Close. Genere Drammatico, colore 117 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale giovedì 24 aprile 2008]
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Trama: Ann è una anziana donna bloccata nel letto da un tumore terminale, che sentendo la fine della vita avvicinarsi decide di tracciare un bilancio della sua esistenza, confidandosi con le due figlie. Un po' per la malattia che la erode nella mente, un po' per dei sensi di colpa mai sfogati, la donna entra confusamente nei ricordi dei suoi amori di gioventù che non ha mai scordato veramente, parlando continuamente di un uomo sconosciuto di nome Harris. Il racconto della sua vita difficile si sovrappone ai problemi della figlia Nina che non riesce a trovare un centro di esistenza stabile ...
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Commento: Tratto dal romanzo di Susan Minot, autrice anche di altri due romanzi adattati per il cinema come The Hours e Una casa alla fine del mondo. Lájos Koltai (normalmente un direttore della fotografia con al suo attivo da regista solo un altro film nel 2005, lo straziante Senza Destino che consigliamo di recuperare) dirige un cast al femminile di grandissimo livello, che comprende oltre alle due superstar Glenn Close e Meryl Streep (che appaiono invero molto poco) Toni Collette (che fa la figlia Nina, ricordiamola al fianco di Cameron Diaz nel film In her shoes), Vanessa Redgrave (la madre immobilizzata nel letto), Claire Danes (Ann Grant da giovane), Natasha Richardson (Constance Haverford). Il film si struttura come un lungo flashback di ricordi interrotti ogni tanto dal ritorno al presente, che serve per parametrare quanto accaduto nel passato. Ann è una anziana donna ormai in fin di vita che immobilizzata nel letto ripete ossessivamente di aver lasciato morire un uomo di nome Buddy, di aver amato un tale Harris, persone che le figlie non hanno mai sentito nominare prima. La figlia Nina, in difficoltà per aver avuto varie delusioni nella vita, la incita a raccontare quanto successo tanti anni prima durante la sua gioventù. Confusamente per colpa della malattia e con qualche sproloquio, la mamma si tuffa nei ricordi.
Melodrammone dai ritmi lentissimi, si avvale di una confezione corretta (sopratutto nella fotografia, molto bella quella notturna insieme a quella degli interni) e di una recitazione valida per i ruoli (sia nel passato e nel presente), avvalendosi anche del fatto che i vestiti, e le auto, del tempo sono ottimamente presenti.
Purtroppo, nonostante questi pregi formali di costruzione, il contenuto non è per nulla coinvolgente, per lungo tempo non succede quasi nulla, la noia impera lungo il percorso viaggiante dei ricordi con una pesantezza palpabile di fondo, peccato perchè le sensazioni che propone sono anche buone, come quelle dell'amore conteso e delle difficoltà di Buddy di integrarsi con la comunità che si prepara a festeggiare un matrimonio che la sposa accetta solo come una scappatoia per non macerare nel vero amore che l'ha respinta. La fase del presente è ancora più statica, praticamente non si esce mai dalla stanza e dalla casa, con le due sorelle che accudiscono la madre a contrapporsi nei bilanci della loro vita. I dialoghi sono la parte preponderante del film, e ogni tanto si scade in immagini del tutto gratuite ed inutili, con la Redgrave che si alza per osservare un volo di farfalle di dubbia logica. Non si doveva cadere nella tentazione di fare un drammone femminile che fosse un macigno da vedere per estirpare a tutti i costi lacrime dai cuori teneri o mettere sullo schermo facili sentimenti, ma questo è quanto accade. Dopo poco dall'inizio lo scarso coinvolgimento dato dalla noia e ripetitività può anche far sbagliare nello sbadiglio le persone nelle loro connotazioni temporali cercando di coordinare i due tempi del racconto.
La mancanza di ruoli maschili validi lo appanna ulteriormente, dato che il principe azzurro che viene presentato è assolutamente anonimo e l'altro personaggio non mostra a lungo la sua vera natura, e quando lo fa paga subito le conseguenze del gesto.
Certe volte osare a Hollywood può costare caro, ma mai come stavolta il troppo formalismo privo di attrattive meriterebbe di essere ignorato.
In definitiva un film pesantissimo da vedere, ben confezionato nella forma, che non dà nessuna soddisfazione in quanto per estrarre un semplice concetto di fiducia nella vita (passata, presente e futura) ci propina quasi due ore monotone e prive di coinvolgimento da seguire, con la gravissima pecca di raccontare praticamente il nulla.
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Il treno per il Darjeeling
(The Darjeeling Limited)
Un film di Wes Anderson. Con Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman, Anjelica Huston, Amara Karan, Camilla Rutherford, Irrfan Khan, Bill Murray, Natalie Portman. Genere Commedia drammatica, colore 91 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 20th Century Fox - [Uscita nelle sale mercoledì 30 aprile 2008]
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Trama: Tre fratelli decidono di fare un viaggio spirituale in India, viaggiando in treno, per ricongiungersi con la madre che li ha lasciati per meditare in una località remota senza curarsi neppure di tornare per asssistere al funerale del marito. Il viaggio che compiono li metterà a contatto con varie persone, ma sopratutto li riavvicinerà tra loro facendo in modo che possano conoscersi veramente con tutti i problemi che li assillano tanto diversi.
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Commento: Dopo i Tenenbaum Wes Anderson ci racconta un altro spaccato di vita familiare, stavolta però con una logica "on the road" o meglio sarebbe dire "on the train", dato che il film si svolge quasi tutto mentre siamo a bordo delle carrozze pittoresche e folcloristiche del Darjeeling Limnited, con la sua popolazione umana tanto eterogenea.
Preceduto dal cortometraggio Hotel Chevalier, che fa da prologo ideale al film, dove in una camera d'albergo vedrete uno dei tre fratelli, Jack (Jason Schwartzman, parente dei Coppola e interprete come ultimo film del Luigi XVI di Marie Antoinette) è alle prese con una sensuale e misteriosa Natalie Portman.
Quando il film comincia vediamo un altro suo fratello, Francis (un Owen Wilson in vena di parti riflessive e problematiche, che recita per quasi tutto il film con un pesante bendaggio dato che il suo personaggio ha subito un incidente terribile), correre dietro a un treno in corsa superando un uomo d'affari (Bill Murray, qua praticamente in un cammeo ma interprete di un altro film di Anderson, Le avventure acquatiche di Steve Zissou). Arrivato sul treno Francis, che ha elaborato il percorso, incontra Jack e un altro fratello Peter (Adrien Brody, anche lui con un problema alle spalle). Il viaggio per cercare la madre (Anjelica Houston) comincia, e il percorso sarà pieno di sorprese e di valore spirituale.
Anderson ha una particolare capacità nel descrivere le personalità (vedi il lavoro fatto nel gioiellino I tenenbaum) e in questo film tutto in movimento riesce benissimo a descrivere a dovere i contrasti interiori dei tre fratelli eterogenei, oltretutto senza mai perdersi in oziose spiegazioni oppure lunghe dissertazioni illuminate ma che uccidono il ritmo del film. I problemi dei tre fratelli, che sono quelli della vita ma sopratutto il fatto di non saper coesistere, sono esterni rispetto a quanto avviene nel loro percorso, sono stati lasciati in un altro luogo e momentaneamente nel freezer, adesso si deve cercare l'unità familiare capendosi tra di loro e cercando la madre ma che deve dare spiegazioni, alla quale vogliono bene ma hanno bisogno di capire perchè si è comportata in una certa maniera. Il contatto tra loro all'inizio è traumatico, ma affronatndo insieme il viaggio e le sue sorprese potranno unirsi aiutati dal paesaggio e dalla popolazioen che incontrano. Il personaggio migliore è sicuramente quello di Wilson, con le sue caratteristiche di sfregio nel corpo ma che si ostina continuamente a non lasciare l'obbiettivo, che da fratello maggiore unisce la famiglia e ne tiene idelamente le redini confiscando i passaporti data l'apparente immaturità degli altri due, dove Brody ha lasciato la compagna in cinta e Jack non esce dal suo torpore del ricordo di quanto avvenuto con la Portman (simbolizzato nel prologo). L'iconografia usata dal regista è precisa e diretta. Il treno (scena iniziale) non va perso in quanto è una occasione unica, superando l'uomo d'affari (la vita in se stessa e le sue routine) come del resto non va perso il treno del ritorno lasciando i ricordi/fardello del padre (le valigie) per tornare più maturi e consapevoli ad affrontare i problemi della vita a cui non si deve sfuggire, ma vanno risolti. L'errore lo compie la madre fuggendo in eremitaggio, non loro che affrontano un viaggio pazzesco senza una vera coesione di base. E in una bella scena di scena a scorrimento vediamo le cabine divise una ad una e i suoi abitanti, ognuno in un proprio microcosmo apparentemente non collegato ma che fa parte di un disegno più grande dove bene o male siamo tutti insieme (il treno). Il momento delle telefonate ricorda che bisogna evitare di dimenticare quanto sta a casa, ma prima di tornarci è necessario completare il percorso dello spirito in quanto la necessaria aumentata consapevolezza ci aiuta nel compito.
Il tutto avvolto in cornici incantevoli dell'India, vista come caotici mercati dove trovi di tutto ma anche come brulli paesaggi di sabbia e villaggi sperduti dalla grande dignità nonostante le difficoltà della sopravvivenza (la scena del funerale), monito ed esempio per tutti, dove se si viene accettati all'interno della comunità vuol dire aver agito con giustezza di cui dobbiamo essere fieri, anche se apparentemente non ci sono guadagni materiali.
Le diatribe tra fratelli sono gustosissime nella malinconia sempre presente di cui sono intrise, il trio d'attori è davvero in palla e gira benissimo, ognuno con le sue caratteristiche tutte diverse, lasciandoci un ricordo intenso di una vicenda fondamentalmente ottimista che guarda sempre avanti.
La madre, una Anjelica Huston lontana dalle iconografie della famiglia Addams, con capelli cortissimi, sembra essere l'unica confinata in un suo blindato esistere, senza più voler accetatre i legami del passato per esistere solo con un dorato (ma infertile) isolamento. Completano il lavoro una ottima fotografia sempre chiara e delle riprese strette sulle carrozze anguste precise e senza sbavature, micromondo quello del treno dove le avventure si possono vivere solo per il momento del viaggio e non da portare oltre ("io ho un fidanzato" gli dice la bella assistente amnate del fumo a Jack)
In definitiva un viaggio spirituale da non perdere, che dà degli ottimi messaggi in maniera eccellente, sorretto da un cast all'altezza e diretto con mano leggera senza mai stancare, appropriandosi e donando i concetti con seminale emotività. Film di questo tipo non ne circolano molti, lasciarsi sfuggire il treno stavolta significa non sapere quando sarà il nuovo passaggio.
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Saw 4
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Regia: Darren Lynn Bousman
Sceneggiatura: Thomas Fenton, Marcus Dunstan, Patrick Melton
Fotografia: David A. Armstrong
Montaggio: Kevin Greutert
Musica: Charlie Clouser
Interpreti: Tobin Bell, Scott Patterson, Lyriq Bent, Justin Louis, Costas Mandylor, Angus Macfadyen, Betsy Russell, Athena Karkanis, Justin Louis, Simon Reynolds, Mike Realba, Marty Adams, Donnie Wahlberg
Nazione: USA
Anno: 2007
Durata: 95
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Trama: Il crudele enigmista, l'uomo che prepara trappole incredibili ma con almeno una possibilità di uscita per redimere i colpevoli, apparentemente è defunto, sconfitto dal male che lo ha divorato e dagli eventi. Ma la catena di omicidi ricomincia senza tregua, e soltanto Riggs, un poliziotto di colore con un passato collegato a una delle vittime del giustiziere ingegnere sembra poter fare qualcosa. Ma anche lui è una delle vittime del crudele gioco a rimpiattino che il misterioso Jigsaw ha ideato. Farà le scelte giuste ?
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Commento: Darren Lynn Bousman (che ha diretto anche il secondo e terzo capitolo della saga di Saw) prosegue il racconto delle gesta delle azioni del terribile ingegnere giustiziere che lascia almeno una via aperta per la salvezza alle sue vittime. All'inizio di questo quarto chapter vediamo su un tavolo dell'obitorio il corpo ormai privo di vita dell'enigmista pronto per una autopsia : mentre viene sezionato il corpo, viene rinvenuto uno dei suoi tape ... l'incubo ricomincia. Ma chi è il nuovo giustiziere?
Bisogna dirlo subito, davvero niente male questo nuovo atto (assolutamente non l'ultimo, in arrivo ad ottobre il quinto capitolo e il sesto è in preparazione, d'altronde con i guadagni che hanno queste saghe è diffiicile per i produttori non continuarne le gesta) di Saw, che ha gli stessi difetti di credibilità di sempre (trappole davvero troppo esagerate per poter essere credibili se eseguite da un solo uomo oppure da lui e un adepto), ma in questo caso il gusto splatter/gore è sparato a livelli inauditi, con sezionamenti strepitosi nell'effettone, morti atroci eseguite nelle maniere più sadiche possibili, invenzioni fantasiose di come un macchinario possa condurre a lasciare questa valle di lacrime non senza aver sofferto oltre ogni limite. La trama non si discosta dalle precedenti, aggiunge l'elemento di capire chi dirige il crudele ballo delle atrocità, la polizia come sempre si agita senza condurre in maniera seria l'indagine trovando casualmente gli elementi e solo perchè l'enigmista lo vuole (come se si scivolasse sugli indizi tali e quali una buccia di banana messa dove stiamo camminando da qualcuno), il grande burattinaio ha tutto sotto controllo e non perde colpi.
Come in altre saghe arrivati al capitolo 4 si narra in flashback il passato dell'enigmista, fanno vedere l'origine della maschera e conosciamo la sua famiglia, in modo da completare il discorso della saga nella sua completezza.
Il protagonista di questo capitolo è un detective del corpo speciale Riggs, che viene rapito e sottoposto al solito crudele gioco : "Vivere o morire? Fa la scelta giusta".
Con queste premesse si capisce benissimo che la visione del capitolo odierno senza la conoscenza dei precedenti è del tutto inutile, ci sono troppi rimandi più o meno indiretti (sopratutto al terzo capitolo) al passato, chi si avvicina senza background elabora compiutamente ben poco di quanto visto, e d'altronde il discorso di riprendere i dvd ormai sul mercato è un ulteriore impulso al marketing che non deve mancare nell'ottica produttiva.
Preparatevi a uno spettacolo macabro violento senza particolari interruzioni (gli stomaci deboli si esentino ma è inutile dirlo) e di proporzioni esagerate anche rispetto ai precedenti capitoli, con macchinari talmente elaborati degni delle migliori invenzioni di macchia nera che vuole incastare topolino. L'effetto migliore è sicuramente quello iniziale dell'autopsia, ma tutti sono da rimarcare in un ottica splatter (oltre che per l'insano sadismo, davvero danno da pensare certe elaborazioni come quella dei pali appuntiti di ferro nei punti del corpo) per la fantasia di come avvengono ma anche per la quantità industriale di sangue che scorre da ogni parte possibile. Il tema musicale ossessivo poi rende il lavoro ancora più coinvolgente, riuscendo a dare il pathos nel momento giusto.
Tra l'altro la trama è tutt'altro che lineare, con flash back, introduzione di personaggi con loro protagonismo della vicenda parallelo in attesa delle inevitabili ricongiunzioni, nonostante qualcosa rimane (volutamente, visto la proiezione futura dei nuovi capitoli) oscuro alla fine del film e vi troverete a discuterne post visione con i vostri amici che hanno condiviso questa nuova esperienza enigmistica.
Inutile poi cercare delle cognizioni di denuncia a film come questi, la punizione avviene in quanto mezzo della follia e non certo come giudizio universalmente riconosciuto dei crimini, il tema se spetta a qualcuno decidere di togliere la vita a chi l'ha tolta (o seviziata e maltrattata) non può far parte di discussioni su film come Saw, che sono fatti unicamente per soddisfare gli appassionati di un genere, venuti a divertirsi a tinte forti con pop corn e coca cola, lasciando queste discussioni a film perfetti come Se7en.
La fotografia è sporca al punto giusto, come gli ambienti che anche senza odorama olezzano di marcio e trascurato, aumentando il senso di cupo e frustazione di fronte agli eventi.
Film di genere, ma se la costruzione è buona, se la continuazione della trama introdotta anni prima valida, non possiamo negare che il compito è svolto in pieno. Rimane confinato in un suo specifico valore, che esiste e sarebbe stupido e pedante negare per solo catalogazione di sottogenere (non lo fece Kubrick, e chi siamo noi per farlo?).
In definitiva un film che gli appassionati della serie, incuranti dei suoi difetti di natura, adoreranno, inutile per chi si avvicina ad esso per la prima volta perchè non ne godrà della trama, dagli effetti splatter ben fatti, ridondanti e fantasiosi, di un sadismo che avrebbe fatto venire l'infarto ai miopi censori che al tempo bloccarono il Cannibal Holocaust di Deodato.
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Iron Man
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Un film di Jon Favreau. Con Robert Downey Jr., Terrence Howard, Jeff Bridges, Shaun Toub, Gwyneth Paltrow. Genere Azione, colore 126 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Universal Pictures - [Uscita nelle sale giovedì 1 maggio 2008]
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Trama: Anthony Stark è un miliardario con una particolare predisposizione e illuminazione verso l'assemblaggio di fenomenali congegni elettronici, che costruisce la sua fortuna sulla compravendita delle armi di cui si occupa l'azienda di famiglia. Privo di scrupoli e senza particolare sensibilità, si dedica alle feste e alle donne, lasciando il compito di amministrare la società a un consigliere mentore che era amico del padre defunto. Ma un giorno, mentre è in Afghanistan per la dimostrazione dell'efficacia del missile Jericho, viene rapito da dei guerriglieri con bellicose intenzioni. Scampato all'esperienza torna alla vita civile con una nuova maturità e scopre cose davvero inaspettate, ma per fare giustizia deve dotarsi di una variopinta armatura tecnolgica : sta per arrivare Iron Man!
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Commento: Robert Downey Junior (bravo attore specializzato in parti off e di film indipendenti, come nel film In Dreams, che ha partecipato sempre a produzioni ai margini dei fasti di Hollywood), veste i panni (o meglio l'armatura) di uno dei supereroi Marvel che nella conoscenza generale non è famoso tanto quanto altri, ma che di contro è interessantissimo per tutte le sfaccettature che presenta rispetto ai canoni normali degli eroi in calzamaglia. In questo caso l'anima d'acciaio non è solo un veicolo di potenziamento, ma una necessità di vita, in quanto il miliardario Anthony Stark subisce un terribile trauma al cuore nel corso del suo rapimento in Afghanistan da parte di un gruppo di ribelli organizzati. Per potersi salvare deve avere l'aiuto di un altro prigioniero, che gli mette un impianto meccanico rudimentale nel petto (alimentato da una batteria di auto in stile e uso catetere). Finita la prigionia perfeziona il meccanismo, acquisisce una maturità spirituale ben diversa rispetto a quella del passato e decide di dedicare la propria vita ad aiutare l'umanità rinnegando quelle armi su cui aveva costruito il suo capitale. Per farlo costruisce una armatura tecnologicamente avanzata, che userà ben prima di quanto pensi. In questo film il nome da super eroe del protagonista arriva solo nelle fasi finali, la denominazione Iron Man passa in secondo piano rispetto a quella dell'uomo Tony Stark, che usa la tecnologia per migliorare spirito ed intelletto. In effetti la prima parte è sicuramente la migliore, con la sua claustrofobica ambientazione “povera” nelle grotte dove si forma l'uomo vero che migliora, in maniera credibile ed interessante. Anche il ritorno alla ricchezza della civiltà è un dettaglio, la sua mente ormai è concentrata a fare ben altro, per la sua sopravvivenza e per riparare agli errori del passato (frasi come “Io preferisco l'arma che si deve usare solo una volta” non faranno più parte del suo lessico), i soldi diventano solo un mezzo per costruire le (vere) armi del bene.
Impostazione di base complessa e poco tradizionale dei supereroi con superproblemi, d'altronde Iron Man nella storia Marvel è sempre stato uno dei “maturi”, quello che non si esitava ad innestare in trame e intrighi politici non solo in versione antirussa durante la guerra fredda ma anche contro il misterioso e minaccioso oriente (vedi un suo nemico storico, il Mandarino, che non è detto che non appaia come prime-villain in un eventuale seguito visto che qua è presente brevemente come una specie di occulta minaccia), non a caso poi è il capo degli Avengers di cui è membro storico. Purtroppo dopo la prima parte il film si sgonfia, si perde e ripete in siparietti umoristici dell'uomo che parla con la sua armatura e il computer Jarvis (che nel fumetto è il fedele servitore degli Avengers), qualche cosa stucchevole (il cuore scultura nella piccola teca) ed evolve in un combattimento stile Robocop 2 davvero di poca fantasia, abbassando di parecchio il valore complessivo del film, dato che la sfarzosa inevitabile lotta è troppo lunga e decisamente di impatto ben inferiore a quelli dei raggi repulsori che escono dai guanti e dai calzari di Iron Man. Di fronte a una sceneggiatura che fa la fine del canotto sgonfiato abbiamo un cast di tutto rispetto, che oltre a una convincente interpretazione di Downey Junior, davvero bravo, si avvale di una Gwyneth Paltrow in grande spolvero fisico (interpreta l'assistente fidata Pepper Potts, coinvolta emotivamente dal suo capo), Terrence Howard è James Rhodes, il miglior amico di Tony e ufficiale d'alto grado, per concludere con la suggestiva presenza di Jeff Bridges rapato a zero, interpretando Obadiah Stane, il consigliere numero uno di Stark.
Camei a profusione, con quello inevitabile di Stan Lee (in mezzo a delle biondone fa Hugh Hefner, l'ideatore di Playboy), due agenti Shield come Samuel L.Jackson e Hilary Swank, e lo stesso regista Jon Favreau fa la guardia del corpo e l'autista. Discorso a parte merita quello della scelta in casa Marvel di un regista (fondamentalmente un attore) praticamente novizio in questo ruolo, dopo aver insignito di tale ruolo per altri eroi ben altri nomi (Raimi, Ang Lee per esempio), volontà di poter amministrare a volere e potere delle sceneggiature calibrate di personaggi non di sicuro grande attecchimento di base (Iron Man non è l'Uomo Ragno ovviamente) senza rischi autoriali soprattutto in una ottica di produzione successiva dei seguiti. Comunque indipendentemente dalle strategie, il suo lavoro lo fa senza problemi, rispetta modi e tempi, fa evolvere a dovere il personaggio centralizzando nelle inquadrature Stark (grande punto di forza questo) poi dopo non è colpa sua se dovendo dirigere l'inevitabile combattimento deve fare solo lo yes man.
Gli effetti speciali della Ilmagic sono davvero di pregevole fattura, con dei voli mozzafiato e movimenti ottimi delle armature, che si integrano perfettamente nello sfondo cittadino (e stavolta non c'è la martoriata New York ma le spiaggie della West Coast, incredibile la villa del magnate eroe).
In definitiva un buon film su uno dei supereroi maturi della casa delle idee, che parte davvero bene ed è sorretto da un cast d'eccezione e degli effetti del tutto validi, garantendo un divertimento intelligente e buoni spunti. Purtroppo la fase d'evoluzione successiva si perde in alcune cose troppo pacchiane e il percorrere strade non nuove nella fase finale porta un calo di fascino troppo marcato e sensibile facendoci uscire dalla sala un po' delusi. Alla prossima, sperando nell'arrivo di villain di fascino esotico, tenendo conto che la trama futura non abbisognerà del racconto delle origini e potrà partire subito con altro. Visto come è andata con questo, se sarà un bene o un male lo vedremo.
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The hunting party
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The Hunting Party
Un film di Richard Shepard. Con Richard Gere, Terrence Howard, Jesse Eisenberg, James Brolin, Ljubomir Kerekeš, Kristina Krepela, Diane Kruger. Genere Azione, colore 103 minuti. - Produzione USA, Croazia, Bosnia-Herzegovina 2007. - Distribuzione Mikado - [Uscita nelle sale mercoledì 30 aprile 2008]
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TRAMA: Simon Hunt è un reporter di guerra che con il suo amico, il cameraman Duckie, non ha alcuna paura a infilarsi nelle situazioni più pericolose possibili in ogni parte del globo. Dopo una tragedia che lo colpisce direttamente, il combat reporter però perde la calma e in diretta esplode con esternazioni che ne provocano il licenziamento. Costretto a girovagare con contratti miserabili per il mondo, cinque anni dopo ritrova Duck, diventato influente all'interno del network teelvisivo, coinvolgendolo in Bosnia per dare la caccia a un terrorista criminale di guerra chiamato la volpe. Apparentemente sembra che Hunt lo faccia per la ricompensa, ma forse c'è ben altro in gioco ...
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Commento: Richard Shepard (regista di Il matador) dirige sbilencamente una pellicola che trae ispirazione da un articolo scritto sulla rivista Esquire, con gusto totalmente americano di stravolgere storie serie e tragiche per farle diventare una vuota fiction dalle molte colpe. Un incanutito e trascurato Richard Gere è Simon Hunt, (ovvio il gioco di parole tra il cognome e il ritrovo/caccia che suggerisce il titolo) un coraggioso reporter che si infila in ogni parte del globo dove ci sia in atto una guerra (“Non sai quante guerre ci sono al mondo se le vai a cercare”) seguito fedelmente dal suo cameraman Duck (Terrence Howard, al cinema in questi giorni anche con Iron Man), in quanto per loro l'unico modo per vivere la vita è il pericolo (“Il resto è televisione”). Ma dopo aver avuto una terribile tragedia Hunt “sbarella” in diretta tv, rovinato dalla tensione e dalle troppe tragedie vissute sotto pelle, rilascia dichiarazioni eversive e viene cacciato. Dopo 5 anni di girovagare reincontra Duck, e insieme al figlio di un dirigente del network, decidono di dare la caccia a un noto criminale di guerra chiamato “la volpe” attirati dalla ricompensa di 5 milioni di dollari e dalla voglia di tornare alla ribalta.
Viste le premesse, ci sarebbero tutte le condizioni per proporre una storia tragica con tutti i crismi, con l'intelletto del reporter messo a dura prova dalle tragedie che non può commentare senza esserci dentro psicologicamente, altrimenti ne viene distrutto, e invece ne esce una storia priva di qualunque mordente con l'introduzione di un feroce criminale e la sua cricca che davvero fa ridere, una collaboratrice affascinante e misteriosa (Diane Kruger che aveva cinque minuti di tempo per una particina secondaria, ma nella storia reale e non questa era un uomo, magari barbuto, puzzolente ed incolto), scene di ripresa in diretta della guerra false lontano un miglio (come quelle dell'inizio), interludi con belle donne in vacanza e non manca pure il ragazzo coraggioso, anche se novellino che fa domande continuamente e che suscita ilarità in situazioni del tutto di pericolo (“Quando ci ammazzano?”).
A chiudere il corollario del ridicolo filmico creditori di Hunt di varia stazza (il nano), incontri con vecchi amici che un secondo prima ti stavano sparando, con infine la raffigurazione di un reporter disastrato che, guarda caso, ha una tragedia alle spalle con risvolti patetici per come vengono mostrati (non possiamo dire quali per filologia di lavoro e rispetto, ma non incolpateci di averlo visto per aver suscitato la vostra curiosità scrivendo questo) che lo portano ad andare oltre.
Gabriella Simoni ed Ennio Remondino (tanto per citare due reporter di casa nostra che si sono sempre infilati in situazioni pericolose pur di fare il loro lavoro di cronaca) dovrebbero chiedere alla produzione i danni da lesa immagine, dato che questo Simon Hunt, interpretato da un Gere che vogliamo credere non abbia letto il copione e aveva bisogno di qualche dollaro per la villa nuova, sembra uscito da un fumettone di canale 5 tanto risulta falso, patetico e scontato. Si vuole fare denuncia partendo da una vicenda giornalistica ? Si prenda l'esempio del Salvador di Oliver Stone allora, e non ci si perda in miasmi hollywoodiani che devono presentare una tragedia globale in maniera così evidentemente banale costruendo una sciocca spy-story tra alberghi e con criminali da operetta che cacciano volpi, fanno lo sguardo truce (evidenziato da dei primi piani scandalosi) quando nella realtà massacravano i bambini (famosa la frase di papa Giovanni Paolo che disse “Fermatevi di fronte al bambino!”), rispondono al cellulare mentre stanno per iniziare una tortura e hanno frasi tatuate sulla fronte. E ogni tanto, dulcis in fundo, telefonatina alla fidanzata procace e bellissima che è in vacanza in Grecia, ma Duck pur geloso marcio non torna da lei perchè l'istinto e il dovere lo chiamano. Si vuole denunciare le pecche di una fallace e trascurata ricerca dei criminali di guerra serbi perchè fa più paura Bin Laden dei massacratori in pensione, si tira in ballo la Cia e si chiede con una scena cittadina di far fare giustizia al popolo, certo che sono ottimi messaggi, ma messi così banalmente e spettacolarizzati senza senso perdono ogni loro virulenza propositiva.
In definitiva un film scialbo e monotono, pieno di cose sciocche, che perde la sua attrattiva ben presto dandosi una patina di denuncia alle guerre dimenticate e ai suoi truci protagonisti lasciati in libertà da una opinione globale di poca memoria (offendendo così le vittime) che proprio ha solo nella forma e non nel contenuto, presentando due attori spaesati in cerca di comode proposizioni di poco impegno. Si può tranquillamente evitare senza nessuna remora.
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Speed Racer
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Un film di Andy Wachowski, Larry Wachowski. Con Emile Hirsch, Susan Sarandon, John Goodman, Christina Ricci, Matthew Fox, Hiroyuki Sanada, Ji Hoon Jung, Richard Roundtree, Roger Allam, Benno Fürmann. Genere Azione, colore 135 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Warner Bros Italia - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
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Trama: Speed fa parte della famiglia Racer, che da sempre corre come piccola indipendente nel circuito delle macchine da corsa superveloci in circuiti futuribili e dal percorso stile montagne russe. La Royalton, potente casa automobilistica intrallazzata nelle manipolazione delle corse, vorrebbe convincere il talentuoso ragazzo a correre per loro, ma l'ombra della scomparsa del fratello avvenuta in circostanze misteriose anni prima, e un senso di responsabilità per onorare quello sport per cui vive, fanno rifiutare l'offerta al giovane speed. Ovvio che così facendo ci si crei qualche nemico, ma entra in scena al suo fianco il misterioso Racer-x ad aiutarlo ...
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Commento: Dopo aver reso una trilogia il loro capolavoro spartiacque Matrix, i fratelli Wachowski sono andati a recuperare un cartone animato cult di Tatuo Yoshida che in Italia è famoso come "Go go Mach 5" che scorse sui nostri teleschermi negli anni ottanta ma in patria era stato creato molti anni prima. La trama narra le avventure del giovane Speed (un nome assolutamente evocativo), interpretato da Emile Hirsch (il protagonista solitario del grande film Into the Wild di Sean Penn), che sconvolto per la morte del fratello, decide di dedicare la sua vita al circuito delle corse automobilistiche su percorsi non convenzionali. Arrivato a poter gareggiare nella scuderia migliore, non accetta di partecipare con loro ma di rimanere in quella di famiglia in quanto scopre che in essa serpeggia la corruzione, ma così facendo ovviamente si attira l'odio delle potenze economiche che a questo punto lo vogliono fuori dai circuiti. Per fortuna che ad aiutarlo c'è il misterioso Racer-X (Matthew Fox, il dottor Jack di Lost), abile guidatore misterioso con il volto semi-coperto da una maschera nera. Insieme a lui, alla sua fidanzata Trixie (Christina Ricci) e alla sua famiglia, ora è pronto per onorare a dovere la memoria del fartello scomparso e cercare di ripulire il mondo dorato ma marcio delle corse.
Inutile nascondersi dietro a un dito, indipendentemente da tutti i suoi difetti purtroppo importanti (storia scontata e banale, alcune scelte discutibili di stile per onorare il nippo-style e gli anime/manga in generale, eccessiva parodizzazione dei comportamenti per rendere il film all-family) i Wachowski Bros hanno creato un lavoro visivo imponente e affascinante, con quei circuiti (chi ha giocato a Wipeout sulla Play Station ne impazzirà) assurdi e roboanti nella loro concezione architettonica, quelle vetture letteralmente sparate come proiettili sulla pista, gli scontri esagerati e terribili (dove però non si vede mai il crudele destino del pilota, salvato da un guscio di salvataggio, proprio per non urtare l'animo dei piccoli spettatori e farlo politically correct), il tutto sorretto da una fotografia caleidoscopica pop di sicura presa. Eliminato ogni possibile approfondimento, i due registi si dedicano completamente a creare una sorta di ricordo della Rock Vegas dei Flinstones in ambito formula special (e la cosa non è dovuta solo al fatto che qui c'è John Goodman nella parte del padre di Speed) ma per la presenza di un mondo coloratissimo e variopinto, preoccupatissimi di emulare Rodriguez e i suoi Spy-Kids dedicando troppo spazio a Spritol, il fratellino mangione simpatico (icona di Speed da piccolo verso il fratello Rex) e la sua scimmia (davvero addestrata benissimo), senza andare oltre, appiattendo il tutto con la vicenda che ha anche dei risvolti stucchevoli come quello della madre comprensiva (la grande Susan Sarandon in vena di rilassarsi) oppure quella del fratello onnipresente nel ricordo. Ovviamente i messaggi sono tutti verso l'ottimismo, mai perdere la fiducia (quando Speed perde volontà di combattere contro il mondo che ti vuole male l'espressività di Hirsch, che sappiamo essere notevole dopo Into the Wild, risulta deficitaria), l'unico vero focolare è la tua famiglia in cui non devi mai smettere di credere anche se non ha i mezzi che altri hanno. Questo tipo di film è come una giostra, adattissimo per trascorrere dei momenti intensi finchè si è seduti sul seggiolino, peccato che appena esci, finito il turbinare delle immagini ti accorgi che in fondo il lavoro eseguito per seguirlo (e comunque 135 minuti di durata per quello che ha da dire sono davvero troppi) è solo il fatto di essersi seduti senza altro impegno mnemonico, abbinando il divertimento di chi l'ha fatto, affascinato da dei miti del passato, al proprio senza particolare fantasia nel proporlo in una chiave almeno poco scontata, impegnandosi tantissimo nella parte tecnica e poco in quella di sceneggiatura (oltre la cartone d'origine a molti, sopratutto i meno verdi d'età, verrà in mente anche Penelope Pitstop e le Wacky Races) dove a furia di seguire roboanti scontri con macchine più dotate di trucchi della Jaguar di Diabolik si sprofonda in una sorta di torpore, approfondito da dei discorsi banalmente profondi di onore, risvegliato dagli schiaffi di immagini sovrapposte in maniera frenetica una sull'altra (poi banalmente nei momenti fermi della gara in mezzo ci mettono anche Guerre Stellari e Driven per il fatto di sentire la forza dell'auto che non è solo un mezzo inerte ma come un cavallo indivisibile dal suo cow-boy).
Bisogna entrare non certo speranzosi di vedere troppo d'altro, ma visto chi c'era in regia troviamo davvero quanto ci aspettiamo, e la cosa può deludere sopratutto per via delle eccessive caratterizzazioni parodia (come i gangsters da operetta oppure i ninja indegni dell'ordine della simil Mano/Yakuza a cui appartengono).
In questo film è tutto troppo senza contenimento, e il risultato pur se affascinante visivamente non è certo da opera esempio, troppo contaminato e con un occhio severo a rimanere nel Disney Style di fondo per famiglie.
In definitiva un film visivamente eccezionale, dal ritmo sfrenato nei momenti delle corse, ideale per il divertimento pomeridiano di tutta la famiglia, circo però limitato a questo, rutilante carrozzone di facciata senza anima e troppo corretto, con una caratterizzazione dei personaggi che viene cercata pochissimo. In fondo mantiene bene quello che promette, entrare senza aspettative oltre che a quelle tecniche un aspetto davvero importante per goderselo a dovere.
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Mongol
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Un film di Sergej Bodrov. Con Tadanobu Asano, Honglei Sun, Khulan Chuluun, Odnyam Odsuren, Aliya, Ba Sen. Genere Storico, colore 120 minuti. - Produzione Kazakhistan, Russia, Germania 2007. - Distribuzione Bim - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
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Trama: Il piccolo Temujin è un mongolo educato secondo onore e principio dal padre, promesso sposo in tenera età e che ben presto alla morte del genitore invece di diventare il nuovo Khan conosce la vigliaccheria e il tradimento di chi vuole il potere. Autoesiliato per scampare a morte certa, dovrà sopravvivere con coraggio alla natura avversa conoscendo persone amiche e nemiche, ma sopratutto vivrà anche il grande amore della sua vita che non lo abbandonerà mai. Il piccolo Temugin ora cresciuto, è pronto per diventare uno dei più grandi conquistatori del suo tempo, tanto da essere chiamato Genghis Khan?
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Commento: Sergej Bodrov (autore dell'interessante Il prigioniero del Caucaso) racconta la storia di uno degli uomini più potenti della storia, Genghis Khan, partendo dalla sua infanzia e proseguendo con la sua lotta contro il mondo per sopravvivere ai molti nemici. Khan è il termine con cui si indica il capo del clan, e ovviamente il termine Genghis indica colui che più di tutti seppe riunire al meglio la potente popolazione mongola sotto un unica egida, dato che i mongoli in generale erano troppo sparpagliati e nemici tra di loro per essere visti come una unica vera entità, conquistando vasti territori e formando un impero. Genghis si chiamava Temujin, venne educato secondo norme rigide e d'onore dal padre, promesso in sposo in giovane età, e alla morte del padre avvenuta per avvelenamento dovette scappare e cercare rifugio lontano dal suo clan per colpa di traditori che lo volevano morto.
Abile, intelligente, coriaceo, Temujin combatte contro tutto e tutti, ma i problemi maggiori li ha per via del fatto di dover dividersi sempre tra onore, sentimento e necessità.
Cinema davvero di stile questo Mongol, diretto con ampia ricerca del fascino degli spazi aperti (molto sarebbe piaciuto a Kurosawa), impreziosito da una buona fotografia anche se privo di particolari sfarzi nei costumi oppure nelle locazioni sempre comunque abbastanza povere e per questo realistiche, calate nel tempo ma anche nella realtà in quanto la troupe si è recata apposta nei luoghi reali dove tutto avvenne per la migliore verosimiglianza possibile. Gli attori (per noi praticamente dei signori nessuno) caratterizzano per bene le sofferenze della popolazione mongola che invece di riunirsi e formare una potenza vive di lotte intestine, mostrano a dovere gli aspetti di una vita dura in tutti i suoi mutamenti, dove stare all'erta è l'unica maniera per poter sopravvivere.
Bello rivedere l'uso massiccio dei cavalli, gli stunt man che cadono old-style dopo le ferite mortali dalla propria cavalcatura, gli scontri frontali tra eserciti o le visioni dall'alto (qui l'aiuto della tecnologia arriva comunque massiccio), dove le ferite sono sangue sprizzato dal corpo a dovere. Importante è notare come il senso dell'onore di Temugin e il suo coraggio lo faccia sempre rimanere impassibile di fronte alle decisioni da prendere, sia che siano dolorose ma doverose, come se il destino a cui lui si affida nella figura del lupo-mentore spirituale-icona sia una cosa predestinata e necessaria, se dovesse per comodità abbandonare il suo codice rigido la sua fine sarebbe comunque prossima.
Il film non è assolutamente pesante, la vita del conquistatore è mostrata nelle due ore in maniera molto precisa ma neppure didascalica, si limita a tratteggiare molto bene il personaggio con le sue azioni che fa e che subisce, mantenendo per questo un ritmo efficace senza annoiare mai. Alla fine può risultare anche lineare, ma se ci si pensa bene non è davvero così la cosa, dato che abbiamo un personaggio femminile molto forte e preponderante (la moglie che lo impreziosisce e lo ama profondamente, ricevendo in cambio rispetto e libertà di scelta) che fa andare su piani diversi la narrazione sopratutto nella prigionia del futuro Khan oppure quando deve scegliere come proseguire il cammino dopo un terribile evento. L'amicizia e il potere si fronteggiano, si scherniscono l'uno con l'altro modificando in maniera affascinante come potrebbero essere gli eventi quando si è passati dopo una fase di stima e un giuramento
("sto liberando mio fratello non il mio nemico").
Interessante notare come l'asciutezza priva di facili contaminazioni di spettacolarizzazioni tipicamente americane, rende la storia accessibile alla comprensione senza fastidio, anche se il fatto di fermarsi al momento in cui Temujin raduna i Mongoli e poi manca la parte della conquista succesiva di nuovi territori, eseguita anche con feroci genocidi, dipinge il sovrano universale solamente come un uomo giusto ed equilibrato, rispettoso di regole ben precise che non devono toccare il nemico se non con onore e senza inutile ferocia.
Possiamo perdonare questa troncatura a mezzo, d'altronde altrimenti il film avrebbe avuto una durata monstre e magari esulava nella possibilità della realizzazione da parte della produzione.
Speriamo che adesso Bodrov non venga attirato dalle facili sirene del consumismo Hollywoodiano che saccheggia anche artisti russi (vedi il caso del prossimo action Wanted con il regista de "I guardiani della notte" chiamato a girarlo) a fare film diversi da questi, asciutti, interessanti, non consolatori, e che ben percorrono ritratti di personaggi dandone le varie connotazioni calandoli nella natura ostile ma anche affascinante.
In definitiva un film davvero interessante, con risvolti umani intensi della lotta per la sopravvivenza, che mostra l'ascesa al potere di un personaggio storico partendo dalla sua infanzia, senza dimenticare di mostrare spazi aperti brulli fotografati molto bene e che non risulta per nulla pesante, godibile da vedere per un intelligente fruizione, prestandosi a uno stimolante invito all'approfondimento post visione.
Quando il cinema si ricorda che essere espressivi non vuol essere ridondanti, possiamo davvero avere un beneficio personale davvero congruo come in questo caso.
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Notte brava a Las Vegas
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(What Happens in Vegas…)
Un film di Tom Vaughan. Con Cameron Diaz, Ashton Kutcher, Treat Williams, Dennis Miller, Rob Corddry, Lake Bell. Genere Commedia, colore 99 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione 20th Century Fox - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
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Trama: Joy e Jack sono due completi sconosciuti che ricevono entrambi una grossa delusione : lei viene lasciata dal fidanzato che ama, lui licenziato dal padre perchè ritenuto un fannullone. Con i rispettivi amici si incontrano per vie traverse a Las Vegas, dove iniziano a bere smodatamente fino a sposarsi per errore persi nei fumi dell'alcool. Non sarebbe un problema, perchè nella città del gioco d'azzardo è tanto facile sposarsi quanto divorziare. Ma una vincita gigantesca alla slot-machine li fa rimanere iniseme per accaparrarsi la somma. Oltretuto un giudice li obbliga a fare sei mesi di matrimonio forzato per decidere come dividersi tutto il denaro. Riusciranno i due a sopportarsi abbastanza da raggiungere il temrine? Oppure ...
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Commento: Ashton Kutcher, più famoso per il matrimonio sorpresa, vista la differenza di età, con Demi Moore che per i suoi film, avrà rivisto parecchio di se stesso in questa storia di amore forzato e tribolato, dato che si parla di un giovane disordinato e facilone, che dopo essere stato scaricato dal lavoro dal padre che non ne sopporta più la pigrizia, incontra Joy, una donna molto più grande di lui d'età (Cameron Diaz, in grande forma fisica dalle gambe mozzafiato, si esibisce in un bikini a dir poco da urlo) e se la sposa. Certo, le circostanze sono sicuramente anomale, dato che lo fa con tanto alcool in corpo, senza minimamente accorgersene, in una Las Vegas dove il matrimonio è facile tanto quanto il divorzio. Ma prima che si faccia la doverosa separazione, una slot machine truffaldina fa vincere alla coppia 3.000.000 di dollari costringendoli a rimanere sposati per non perdere neppure un centesimo. Difatti un giudice, che vede in loro la possibilità di un vero amore, li obbliga a sei mesi di matrimonio per decidere poi come dividere il tutto. Chi lascerà il partner per primo, senza attendere la scadenza, della somma non vedrà nulla.
Comincia una serie di tentativi per dissuadere il compagno/a a molalre l'osso per primi.
Come si vede una schermaglia di situazioni che non è da commedia degli equivoci, in quanto le combinazioni narrative vengono provocate dalla coppia e non accadono per errore oppure inconsapevolmente.
Il tono della pellicola si mantiene su un buon ritmo per la tipologia di film, si ride di gusto parecchie volte, senza cadere nel greve delle parolacce, dei peti e dei rutti, anche se ci sono situazioni parecchio imbarazzanti come quella di urinare nel lavello pieno di piatti, dei pop corn infilati nelle mutande o riferimenti alla tavoletta del water più o meno marcati.
Tom Vaughan (praticamente un esordiente, al suo attivo solo Starter for ten del 2006) dirige il tutto senza particolari voli di fantasia, limitandosi a riprendere in maniera del tutto convenzionale questa commedia romantica, che parte con il solito assolo "Ti odio profondamente ma in fondo però può essere che ..." per vivere il meglio nell'escalation di botta e risposta tra i due pseudo coniugi. Buona posizione mantengono l'amico avvocato sempre a caccia di donne (Rob Corddry, lo avete visto anche ne Lo spaccacuori con Ben Stiller) e l'amica Tripper (Lake Bell, al cinema in questi giorni con La sposa fantasma) che apparentemente duplica il dualismo Joy/Jack con un odio sconfinato verso di lui. I due amici fanno un corollario simpatico e movimentato con i loro battibecchi, rendono meno monotono l'assioma principale "colpisci tu che poi ti ritorna" dei due protagonisti. Difatti dopo un po'le situazioni incominciano ad essere parecchio ripetitive, quello che succede nella prima mezz'ora è molto più spumeggiante ed interessante di quello che capita dopo, diventando quasi una necessità il momento della doverosa virata per andare a chiudere il film. Commedie di questo tipo non possono ormai avere di natura grossi obbiettivi autoriali (sono lontani ed irraggiungibili, anche per autori molto più dotati di questi, i tempi dei Capra e dei Wilder) ma devono riuscire a rimanere costanti nel sorprendere con nuove diramazioni di trama per non far cadere nel torpore lo spettatore, che si ritrova invece a vedere nel finale cose prevedibili e a svegliarsi totalmente nei momenti in cui la Diaz non ha paura a mostrarsi nella sua maturità corporea splendida, davvero troppo poco per poter essere completi. Ma il film, pur essendo in fondo una sorta di Guerra dei Roses blandamente all'acqua di rose, qualche spezzone divertente lo concede, avrete modo di arrivare alla fine avendo almeno apprezzato diversi momenti di spontanea ilarità, dove la parte migliore, escluso l'inizio davvero sfrenato, è quando Jack va in ritiro dai colleghi della "moglie" incantandoli tutti con la sua simpatia. Non ci sono frasi eclatanti da riportare, e tutto rimane abbastanza anonimo alla fine con una conclusione in un paesaggio tipicamente americano, una spiaggia (quanta evocazione cinematografica in questo). Dei due la Diaz è molto più in palla con la parte, sfrenata e spigliata ma con fissazioni, mentre Kutcher rimane un po'sottotono e gioca al ribasso cercando di fare il giovane che si redime dopo un passato di frivolezze convincendo poco.
Queen Latifah apapre nelle vesti della psicanalista.
In definitiva una commedia americana come tante, che gioca sul ritmo la sua parte migliore, con delle battute divertenti e delle trovate carine, che strappa qualche risata e sorriso spontaneo ma purtroppo si chiude senza troppa fantasia in canali già visti. Per un pomeriggio di totale disimpegno può anche andare, non fosse altro per ammirare la sempiterna bellezza di Cameron Diaz in grande spolvero fisico. Tanto facilmente quanto si beve, tanto per rimanere in tema con una scena del film, la si smaltisce presto.
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Carnera - The Walking Mountain
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Un film di Renzo Martinelli. Con Andrea Iaia, Anna Valle, Burt Young, F. Murray Abraham, Paul Sorvino, Paolo Seganti, Kasia Smutniak, Antonio Cupo, Eleonora Martinelli. Genere Biografico, colore 123 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
Trama: Durante il ventennio fascista, Primo Carnera è un gigante friulano di oltre due metri per 120 kilogrammi, che dopo un passato di difficoltà nella sua infanzia ed essere emigrato in Francia a lavorare in un circo, viene notato da un manager di pugili e convinto ad effettuare degli incontri in America. La carriera è sfolgorante, ma le difficoltà di un mondo che non ammette ingenuità si faranno ben presto vedere. Il pugile, sensibile e allo stesso tempo romantico, deve dedicere che fare del suo destino. Sopratutto dopo che ...
Commento: Sono sempre stato un sostenitore della filosofia di Renzo Martinelli di proporre argomenti scottanti e importanti (le tragedie naturali per incuria dell'uomo, il terrorismo) in maniera che si potesse abbinare spettacolo con denuncia coinvolgendo con questa cosa un pubblico più vasto che aveva voglia di vedere comunque un passatempo senza sottoporsi a un impegno maggiore (triste ma intelligente adeguamento necessario), lasciando lo spazio anche al ragionamento e alla conoscenza, magari con una superficiale proposta da approfondire in rete o biblioteca dopo perchè stuzzicati dal film che comunque ti ha fatto passare il pomeriggio tranquillo o ti ha condotto alla pizza serale.
Così poteva essere vsito Vajont (film italiano con uso corposo e inusuale degli effetti speciali), così fu Piazza delle cinque Lune, così era Il mercante di pietre. Cinema che viveva in questa maniera, attirandosi parecchi detrattori e poche lusinghe dalla critica e da chi voleva che il prodotto fosse meno luccicante ma vivesse di vita propria.
Ma in questo Carnera-la montagna che cammina, Martinelli non ha nessuna scusante, il ritratto sbilenco e troppo infiorato di stupidaggini per renderlo più scenico possibile (alla fine del film c'è una didascalia che dice chiaramente che molti avvenimenti sono di pura fantasia per renderlo scorrevole) del campione friulano di boxe che con i suoi pugni si pose anche come orgoglio Fascista e mussoliniano, è vuoto, privo di attrattive e non ha nessuna penetrazione storica, non identifica il periodo tramite le storie ed avventure del singolo come Martinelli vorrebbe.
Tra l'altro il fatto di esserne produttore e quindi totalmente libero creativamente, è una colpa ancora maggiore per il regista un simile tonfo. Andando con ordine, questa è la storia di un bambino nato di otto kg che non entra nel banco di scuola tanto è grosso, incontra una bimba che gli consegna tramite un libretto il destino ("é il mio portafortuna") e lavorerà in un circo per sbarcare il lunario e per soddisfare la fame terribile che lo attanaglia sempre.
Un colpo di fortuna lo porta a fare un primo incontro di boxe, e da lì parte come una folgore la carriera che insieme alle soddisfazioni del ring gli porterà un sacco di delusioni nella vita.
Per interpretare il gigante che cammina è stato chiamato un esordiente, Andrea Iaia, dalla voce orribile e del tutto inespressivo. Martinelli ha guardato la forma ma non la sostanza, ha preferito un corpo già formato invece di un attore di spessore recitativo che si adattasse fisicamente (impietoso e impossibile quanto mai il paragone con il De Niro che fa Jake La Motta). Poi fa fare una particina a Paul Sorvino (il direttore del circo) per ingioilellare il cast, che aveva già al suo interno un premio oscar come F. Murray Abraham (indimenticabile Salieri di Amadeus) che senza sforzo incassa (soldi non pugni) e ringrazia, poi il regista si ingegna di fantasia e fa recitare Burt Young (il Paulie di Rocky) in modo da citare argomenti correlati. In mezzo qualche caratterista italiano, la graziosa Kasia Smutniak, ed Eleonora Martinelli già presente in altri due suoi film. Ma sopratutto inscena tanta noia, delle situazioni patetiche per far cadere la lacrimuccia con il campione che all'apice del trionfo chiede la mano della fidanzata, oppure che tenta il suicidio alla Full Metal Jacket senza nessun senso, che riceve posta da tutte le parti incoraggiandolo a mostrare l'orgoglio italiano nel mondo, oppure che lui picchia perchè i suoi figli non siano poco letterati come lui.
Un ritratto emozionalmente e psicologicamente frammentato, discontinuo, che ha delle scelte tecniche balorde nel voler mettere anche l'inizio del segmento narrativo in bianco e nero con la pellicola graffiata per renderla antica.
Il filo del racconto quando raggiunge l'Italia e il Friuli perde l'unico fascino che aveva, il senso della grandeur americana, cioè gli ambienti, impastrocchiando treni che non partono per attenderlo, popolino che inneggia, abbracci, baci, litigi familiari e tanta voglia nostra di andarcene dalla sala.
Non capiamo davvero perchè Martinelli si sia perso in questa palude narrativa, si poteva dare una versione ben diretta e diversa avendo la possibilità di romanzare la vita di un campione, libero da aderenze reali nella totalità per raccontare la sua vita, invece è talmente fuori forma che anche gli incontri sono davvero banali e privi di ogni fantasia (tanto da citare Toro Scatenato nel fatto che perde in piedi un incontro).
In definitiva un film pessimo come ritratto peggiorato dal fatto che è di libera interpretazione, discutibile nelle scelte tecniche di racconto, noioso, con un protagonista senza nessuna personalità ed esperienza, che cita varie cose dimostrando anche poca fantasia. Poteva andare bene (al limite) come fiction televisiva, al cinema il grande schermo ne evidenzia ogni difetto senza nessuna pietà. I numerosi detrattori di Martinelli potranno dire "Ve lo avevamo detto!", speriamo che al prossimo lavoro il regista produttore, visto che gode anche di certo credito presso l'estero, cerchi di tenere buona la sua formula di cui si diceva all'inizio in cui è molto più valido nei suoi limiti artistici : spettacolarizzare l'argomento e non una storia di singolo che non esce dalla sua locazione personale.
E, cosa peggiore di tutte, non rende minimamente onore al campione.
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In Bruges - La coscienza dell'assassino
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(In Bruges)
Un film di Martin McDonagh. Con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Jérémie Renier, Thekla Reuten, Clémence Poésy, Jordan Prentice. Genere Azione, colore 101 minuti. - Produzione Gran Bretagna, Belgio 2008. - Distribuzione Mikado - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
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TRAMA: Ray e Ken sono due killer inglesi professionisti a pagamento ai quali è andato storto il loro ultimo lavoro, motivo per il quale Harry, il loro capo, li confina nella cittadina belga di Bruges fino al momento in cui si saranno calmate le acque. I due hanno un approccio completamente diverso nei confronti della cittadina piena di opere importanti. Ken ne ascolta il respiro artistico e ne assapora il profumo, Raymond invece la odia profondamente e non vede l'ora di tornare a Londra.
Ma queste cose passeranno in secondo piano nel momento, in cui gli sbagli che ti mordono profondamente la coscienza verranno a galla nella tranquilla Bruges che ha degli abitanti davvero particolari da conoscere.
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Commento: Il regista esordiente Martin McDonagh, apprezzato autore teatrale, deve avere un amore sfegatato per la cittadina di Bruges (Belgio, forse qualcuno la conosce per la sua squadra di calcio il cui nome gira ogni tanto per le coppe europee), tanto da farne un autentico manifesto turistico, inquadrandone i monumenti, i quadri e le opere artistiche in maniera quasi ossessionate ma rispettosa.
Tra i quadri di Van Eyck e Magritte (uno di essi simboleggia lo stato d'animo di Ray e fa da icona per la stupenda scena finale, innestando una bellissima frase mentre lo guardano “Se vai al purgatorio non sei tanto male ma neppure troppo valido, un po' come il Tottenham”) si svolge la storia di una strana coppia di killer esistenzialisti che devono fuggire da Londra per colpa di un terribile sbaglio commesso durante la loro ultima azione. Ray (Colin Farrell, che ormai dopo aver lavorato con Allen e Malick è un attore assolutamente completo) è complessato con una tendenza schizoide verso la violenza che si scatena per un nonnulla, mentre Ken (Brendan Gleeson, che ha lavorato anche con Scorsese in Gangs of New York) è più riflessivo, si gode la trasferta inopinata con serenità e attende gli ordini del suo capo Harry (Ralph Fiennes). La conoscenza con una ragazza del luogo, Chloe (Clemence Poesy, vista in Harry Potter) fa girare gli umori di Ray, che rivaluta la cittadina che odia profondamente, peccato che gli errori del passato non si possano cancellare con un colpo di spugna e tornino a presentare i conti senza pietà, anche se una rinnovata pelle di onestà e moralità dovrebbe conciliarsi con almeno una possibilità di scampo .
Dopo Pulp Fiction (ma si ispira anche a Sonatine di Kitano), un altro grande ritratto di una coppia di killer che ragiona e che perde la sua pelle violenta d'origine (“Non lo faccio qui perchè così lei non deve pulire” riferendosi a un fatto di sangue prossimo venturo all'accadimento parametrato alla dolce proprietaria dell'albergo in dolce attesa) per ragionare e capire gli errori del passato. I personaggi di Ken e di Ray sono molto simili a quelli di Jules e Vincent del capolavoro di Tarantino, mentre uno ragiona l'altro si perde in azioni inconsulte e commette stupidaggini anche se non volute.
L'arma migliore di questo film è la parola, l'ambiente che forgia (l'origine teatrale dell'autore non viene certo sconfessata da questa opera anche se a cielo aperto) e che ti riconduce verso nuovi orizzonti, facendoti capire che il passato in fondo può avere una nuova concezione se tu credi in un cambiamento nel futuro. Gli sbagli e gli errori vanno pagati, questo certamente, ma una possibilità non va negata, soprattutto come dimostrano le parole finali che chiedono di fuggire da un luogo troppo puro e tranquillo in cui ogni peccato viene amplificato dalla semplicità dell'abitato in confronto a una città frenetica che vive con il giornale della domenica uscito il sabato (tanto per citare una grande serie metropolitana di prossimo arrivo al cinema).
Non aspettatevi da questo ritratto umano bipolare violente sparatorie oppure degli inseguimenti mozzafiato (qualcosa c'è ma è molto circoscritto, e tutta l'azione è anteposta da una profonda lettura parlata del momento), qui trovate delle stranezze (un attore nano, che odia i nani neri, il quale si fa continuamente di medicina per cavalli e non disdegna di copulare con prostitute olandesi, lo interpreta Jordan Prentice che arriva da Nip/Tuck), grandi affreschi pittorici, monumenti mozzafiato aperti per l'occasione (come la torre dove si svolge la scena chiave) ma mai esagerazioni gratuite, anche perchè pure il personaggio di Fiennes, che adora Bruges e ha famiglia, ha un anima esistenzialista pure lui e non può permettere che uno sbaglio come quello commesso da Ray possa essere perdonato, diventa un rigido codice d'onore non passare certi limiti (come invece di contro faceva una altra coppia di killer dello schermo come quella di The Boondock Saints).
La composizione è davvero magnifica, immagini affascinati di opere e tranquilli canali (non per nulla Bruges è detta la piccola Venezia) discorsi ficcanti e personaggi affascinanti (con una parte femminile marginale ma perfettamente completante). Non si poteva davvero chiedere di più a questo film, che va visto e scoperto senza nessun timore oppure pregiudizio di sorta.
In definitiva un opera affascinante, con protagonisti perfetti, completa, che unisce parola e ragionamento in maniera perfetta, non originalissima perchè prende spunto da altri film precedenti, difetto marginale che si dimentica subito, priva di alcun contenuto illusorio oppure consolante che vuole mostrare l'animo umano che si parametra e si migliora se immerso in capolavori d'arte di sublime fascino, che lo permeano di purezza con il loro richiamo atavico della conoscenza di ogni possibile bivio della vita.
Non permettete che facili altri richiami vi distolgano da questa voce sublime.
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Alla scoperta di Charlie
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(King of California)
Un film di Mike Cahill. Con Michael Douglas, Evan Rachel Wood, Willis Burks II, Laura Kachergus, Paul Lieber, Kathleen Wilhoite. Genere Drammatico, colore 90 minuti. - Produzione Messico, USA 2007. - Distribuzione Moviemax - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
Trama: Charlie è appena uscito da una clinica per malattie psichiatriche, e viene dopo due anni riaccolto senza problemi ma con molti dubbi dalla amorevole figlia diciassettenne Miranda, che non lo chiama mai “papà”. Charlie ha sviluppato in clinica l'ossessione di scoprire un tesoro perduto dei conquistatori spagnoli, e non riesce a distogliere il suo pensiero da questo, nonostante la figlia lavori sodo al Mc Donald's e i suoi comportamenti provochino non pochi problemi.
Ma a quanto pare la sua strampalata teoria non è solo una invenzione, peccato che nel punto dove giacerebbe da secoli il fantomatico tesoro ci abbiano fatto un gigantesco centro commerciale ...
Commento: Michael Douglas dopo qualche apparizione cammeo o blande interpretazioni (il vero ultimo film dei qualche importanza a cui ha partecipato è Traffic del 2000), interpreta con dovizia e humour questo ritratto di Charlie, (agghindato alla Don Chisciotte ma anche da vecchietto saggio del l'Old Wild West), con baffi e barba incolti, pieno di problemi psichiatrici, genitore della giovane Miranda (Evan Rachel Wood, promettentissima interprete di Across the Univers e Thirteen, film che l'ha lanciata), ragazza che tutti sognano e vorrebbero avere come figlia, coscienzosa lavoratrice del Mc Donald's e che nonostante mille difficoltà date dall'ossessione del padre per un fantomatico tesoro spagnolo (questo il richiamo a Don Chisciotte e Sancio Panza in verisone femminile) si dimentica di poter avere una vita propria (nessun segno di fidanzati, amici oppure distrazioni nella vita di questa bella diciassettenne) e si dedica completamente a seguirne il sogno.
Il tesoro, vero o falso non conta poi molto, è il tramite per unire questi due universi diversi, che si ritrovano a seguirsi con due modalità parallele e non congiunte, una che parla di un sessantenne voglioso di aiutare la figlia e dare un senso alla sua malattia e alla sua vita, l'altra di una ragazza dolce e comprensiva che attraverso i flash back ripercorre le difficoltà e le privazioni di una infanzia povera ma che non rinnega l'amore per chi in fondo, anche se senza cattiveria, le ha provocate con un comportamento borderline.
Commedia agrodolce, lineare e semplice, che il regista Mike Cahill, prima regia, propone senza troppi voli di fantasia al suo interno, blindandola nei due protagonisti (decisamente al cinema vanno di moda le coppie strambe) e non permettendo che nessun altro elemento, se non in maniera marginale, possa intervenire nel disegno narrativo delle gesta familiari.
Il difetto che possiamo cercare all'interno di un simile prodotto è decisamente quello di agire per esagerazioni senza alimentare il fascino descrittivo in maniera seria, dove il volonteroso e divertito Douglas (probabilmente una parte che si è tagliato su misura e che voleva a tutti i costi proporre) costruisce il vecchietto strambo dalle mille intuizioni e che non si arrende davanti a nulla (fino ad arrivare a mettere muta, respiratore e maschera da sub), ma che al gusto del pubblico smaliziato di oggi può risultare troppo fiabesco e per nulla credibile nei suoi atteggiamenti (arrivando anche ad affascinare una avvenente poliziotta), che hanno anche incursioni nella musica d'atmosfera (suonava il contrabbasso prima di andare fuori di ragionamento, con degli amici stile boheme di cui uno, Pepper, ora soffre di cancro e fa le chemio). Si esagera anche dall'altro lato, dove Miranda è davvero troppo perfetta e comprensiva, la maturità del passato e le difficoltà le avranno donato una certa capacità discernitiva, ma è bella, tremendamente pulita e non disdegna di vivere in un ambiente da cui non vuole minimamente fuggire per amore del padre. Fiaba quindi, quella della tenace, che anche se vede intorno alla sua bicocca pluri ipotecata nascere famiglie perfette stringe i denti, lotta e si organizza insieme alla sua adorata Volvo in decadimento.
Nonostante queste perplessità che possono disturbare o meno a seconda del proprio gusto personale (è giusto, e doveroso, che il cinema racconti una storia anche senza perfette aderenze realistiche per poter sviluppare un concetto) i produttori di Sideways e di A proposito di Schimdt riescono sempre a sviluppare dei ritratti validi e consistenti, anche se in questi caso siamo molto lontani dalla grandeur di quello di Nicholson oppure dallo stupendo viaggio enogastronomico della folle coppia Giammatti-Thomas Haden Church.
Analizzare il ritratto padre figlia come si è letto da qualche parte in questa maniera non è certo probante per proporlo come caso e consiglio, dato che tutto è troppo ricondotto al discorso di creare una sorta di fascino avventuroso/romantico senza farne una cornice realistico introspettiva, dove tutto diventa speranza di nuova vita aspettando l'Eldorado.
Nel film troverete un finale surreale, la spiegazione del perchè lo stato della California si chiama in questo modo, un omaggio completo a non credere i folli tanto pazzi e una permeazione di buonismo dei due protagonisti in una sorta di ampolla che li rende estranei al mondo circostante, dove sembra che in fondo l'interazione e lo sfondo siano semplici bidimensionali poveri co-protagonisti.
In definitiva un film semplice, corretto e volonteroso nel cercare di affascinare con pochi elementi di trama il pubblico, sorretto da due buone interpretazioni in una cornice semichiusa verso il mondo esterno che non capisce sogno e caparbietà, ma che purtroppo non lascia il segno in maniera convincente disperdendosi in cose che lo rendono solo un passatempo non noioso senza alcuna penetrazione emotiva convincente.
A volte serve sognare, ma probabilmente il pubblico di oggi ha bisogno di storie più corpose per credere alla sublimazione di Morfeo e tenersi stretto il tutto.
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Nota: recensione senza foto per omaggiare la locandina e lo spirito del film. Non ci sono emblemi nel mondo di questo film, ma una sofferenza generalizzata
Gomorra
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Gomorra
Un film di Matteo Garrone. Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster. Genere Drammatico, colore 135 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione 01 Distribution - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio
Trama: Napoli, quartiere Scampia e zona del porto. La camorra affonda profondamente i suoi denti in ogni attività possibile, da quella edile, tessile, ma soprattutto nello smaltimento dei rifiuti tossici. Diversi personaggi di varia estrazione cercano di sopravvivere nel calderone pericoloso e movimentato, ma in un mondo dominato dai boss i nuovi padrini emergenti oppure i picciotti appena reclutati faranno fatica a sopravvivere tanto quanto gli abitanti del luogo che si ingegnano per sopravvivere alla meglio senza recare danni od offese a nessuno.
Commento: Film sottotitolato in quanto parlato in dialetto campano. E' tempo di denuncia nel panorama cinematografico italiano, sembra di essere tornati ai fasti dei film anni settanta di Petri con il grandissimo Gian Maria Volontè protagonista, ovviamente nel dovuto rispetto di queste grandi opere. L'operazione coraggiosa e determinata non poteva essere eseguita che da due autori che non hanno paura di parlare per immagini come Matteo Garrone (regista di questo ma anche degli ottimi Primo Amore e L'imbalsamatore) e Paolo Sorrentino (che arriverà a fine mese a parlare dell'argomento mafia con Il divo, il biopic su Giulio Andreotti). E tutti e due si affidano a uno dei migliori attori italiani in circolazione, il quarantanovenne Toni Servillo che è balzato all'onore delle attenzioni con la splendida interpretazione offerta ne Le conseguenze dell'amore.
In questa pellicola di Garrone (tratta dal romanzo/inchiesta omonimo di Roberto Saviano) Servillo (praticamente unico vero attore professionista in un cast di non professionisti), è un affarista intrallazzato che si occupa di smaltire illegalmente i rifiuti tossici (affidandoli a dei ragazzini visto che i camionisti non lo vogliono fare). In mezzo a questa storia tanto degrado con il quartiere Scampia ripreso nella sua connotazione senza nessuna edulcorazione, con giovani con il culto di Toni “Scarface” Montana (viene citata una scena del film di De Palma in un cantiere in costruzione, sporco e malandato, con annessa mega vasca da bagno) che con una pistola in mano pensano di avere la possibilità di comandare rispetto ai boss del luogo ritenuti deboli ed incapaci, giovani picciotti pericolosamente messi allo sbaraglio nel giro di droga e madri che devono vivere con i soldi che la camorra gli passa per i favori e il silenzio che compiono, sarti che devono affidarsi ai clan cinesi in clandestinità per sopravvivere.
Da Camorra a Gomorra (è citata anche Sodoma con una veloce scena nei privè, d'altronde anche lo sfruttamento della prostituzione rientra nelle attività illegali del giro) il passo descrittivo della parola è breve, e di fatto è terribile la lucidità descrittiva con cui viene mostrata la vicenda alla quale non solo si deve guardare indietro senza aver paura di diventare una statua di sale dopo averla lasciata (iconizzando il fatto di essere spettatori), ma bisogna intervenire direttamente denunciando il marcio. Garrone non eccede in nulla, lascia che a parlare siano la gente e le loro case, il cemento bianco sporco e gli sguardi che indicano cosa si deve fare senza necessità di dare ordini vocali.
Non c'è musica ridondante a sottolineare la schiavitù del posto, oppure le gesta di (non) eroi ma di comuni mortali che per sopravvivere devono lottare con forza contro il potere costituito da cui lo stato è lontanissimo (polizia e carabinieri si vedono solo in una fugace scena), racconto estremo ma reale che ci fa sentire impotenti nella bellissima scena dell'iniziazione dei picciotti a colpi di pistola sul giubbotto antiproiettile (marchiati da un livido) oppure in quella degli spari degli aspiranti illusi padrini che sparano all'impazzata dopo aver trovato l'arsenale. Non conta quante armi hai, ma quanto sei nella paura della gente e nel loro credito di terrore, quanto pietrifichi l'avversario nei comportamenti che ne impediscono ogni reazione.
Niente è peggiore dell'angoscia di vedere uno stato che non c'è, contratti puliti di facciata che si aggirano con facilità e bambini che non hanno altra aspirazione che diventare mebri di un clan, oltretutto divisi se aderiscono a uno diverso e costretti alla falcidazione contemporanea e opposta dell'amico fratello che improvvisamente diventa avversario.
La scelta dei sottotitoli è perfetta per calarci nell'ambiente che si deve raccontare, sarebbe stato uno scempio vederlo in lingua italiana senza dialetto. Non dimenticherete per molto tempo la denuncia che ne viene fuori, supportata da una fotografia sporca a dovere e una ambientazione sempre scura e mai totalmente solare. Tra l'altro il racconto è fruibilissimo, non si disperde in meandri paludosi fiacchi e si permea di fascino senza nessuno orpello particolare.
Questo è cinema di denuncia, di pura constatazione amara senza cavalleggeri che arrivano a salvare da chissà dove la truppa in difficoltà. Per uscire dai guai e liberarsi dalla piovra bisognerà essere decisi e determinati, e contare solo sulle proprie forze, ma prima bisogna far credere ai cittadini che veramente che possa esistere un mondo senza camorra perchè altrimenti non c'è nessuna possibilità.
Ci chiediamo come mai questo film vergognosamente non abbia la dicitura di film di interesse culturale, mentre invece lo danno a prodotti beceri e inutili (per dirla tutta l'ultimo insignito fu un filmaccio come L'anno mille)
In definitiva un potente film di denuncia sociale asciutto e sconsolante, ma per questo ancora più prezioso, che ci presenta la situazione nuda e cruda senza romanzare in occulto nulla, esempio di cinema italiano radicato nel passato come concezione che un bravo autore sa far vivere di vita propria. Uscendo dal cinema non ci sentiamo davvero bene, siamo a disagio nella nostra vita solo apparentemente tranquilla, la camorra non è una lontana gomorra che non potrà mai toccarci, questo indica che l'obbiettivo è stato centrato in pieno.
Il meraviglioso manifesto sottolinea nel modo migliore lo spirito del film.
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Superhero - Il più dotato fra i supereroi
(Superhero Movie)
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Un film di Craig Mazin. Con Drake Bell, Sara Paxton, Marion Ross, Leslie Nielsen, Christopher McDonald, Kevin Hart, Brent Spiner, Regina Hall, Simon Rex, Pamela Anderson, Tracy Morgan, Ryan Hansen. Genere Commedia, colore 85 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
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Trama: Rick è uno studente appassionato di fotografia che dire sia colpito dalla sfortuna è un autentico complimento : ogni cosa che fa viene ostacolata dagli eventi, le ragazze lo ignorano e le compagnie scolastiche lo ignorano. Un giorno, durante una gita scolastica a dei laboratori di ricerca, una libellula modificata geneticamente lo punge sul collo : Rick scopre di avere dei poteri incredibili. Per il crimine si prospettano giorni duri, è arrivato il superoe più verde della Terra, l'Uomo libellula! O no ... ?
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Commento: Dietro al solito sottotitolo italiano che ammicca al sesso ("il supereroe più dotato") e allo strillone di presentazione ("basta un fischio per farlo venire") che nulla c'entrano, ormai è una becera abitudine consolidata, c'è una irriverente parodia del mondo dei supereroi che ci racconta le non gesta eroiche di un nerd a valore zero che subisce ogni possibile disgrazia dalla vita. Rick Riker (Drake Bell), nome con la doppia lettera come Peter Parker alter-ego di Spiderman, viene punto da una super-libellula in un laboratorio di sperimentazione dove si è recato con la classe per fare una gita scolastica. In seguito scopre in maniere rocambolesche che ha acquisito incredibili poteri come la superforza, lo scalare i muri ma non il poter volare. A quel punto sembra che anche la bionda avvenente Jill Johnson (Sara Paxton, specializzata in serie tv) si possa accorgere di lui, ma da grandi poteri grandi responsabilità, e l'arrivo di un supercriminale temibile come l'Uomo Clessidra (Christoper McDonald) la cui vita dipende dall'assorbire quella degli altri, non gli darà il tempo di vivere la gloria di invitanti amori adolescenziali.
Parodia dei supereroi (non solo Marvel ma anche Dc) nel film troviamo citati i fantastici 4 (con Pamelona Anderson che fa una donna invisibile con una coppia davvero esplosiva sul petto), gli X-men, Superman, Batman (la scena gay-style sul tetto davvero divertente, d'altronde da sempre il dualismo Batman-Robin ha da sempre sollecitato la fantasia di chi ci vedeva ambiguità) e ovviamente Spiderman, punto totale di riferimento visto che abbiamo anche la Zia May (qui Lucille, che è Marion Ross, che ricordiamo per essere la Marion Cunningham di Happy Days) e lo zio Ben (nel film Albert, interpretato da Leslie Nielsen ovviamente a suo perfetto agio in film come questi, lui che ha fatto la serie della Pallottola spuntata).
Vorremmo poter dire, senza nessun pregiudizio di base, che finalmente è arrivato il momento di una efficace parodia, che grazie all'apporto di Zucker (il creatore della divertente mitica Pallottola spuntata, serie principe di un sottogenere e ispiratrice di altri film) presente in produzione (insieme al regista Craig Mazin, guarda caso sceneggiatore degli Scary film), possa finalmente liberarci dalle scorie di una incancrenita sequela di inutili filmacci che grazie a un buon successo al botteghino continua a sopravvivere, ma purtroppo non è così.
Il film è migliore dei vari Epic Movie e company, ha una sua storia che procede e non è solo una sequela di situazioni completamente slegata tra loro, ma purtroppo si ricorre in maniera troppo massiccia ai peti (in una scena la ex-signora Cunningham perde ogni ritegno), i rutti e agli ammiccamenti sessuali a tutti i costi (durante il bacio stile Uomo Ragno che avete visto nei trailer succede una cosa per cui si finisce a guardare proprio lì) si susseguono con un assalto "animale" sessuale che ne fa la punta di diamante. Decisamente si ride divertiti dalle assurde botte che si danno questi imbraeroi, ma non possiamo certo parlare di leggere una storia davvero esilissima, che dopo un po' si accartoccia perdendo la simpatia e lo smalto che aveva all'inizio. Il finale, che può ricordare per varie situazioni quello della Pallottola spuntata 33 1/3, che si svolge in un convegno ovviamente di fan dei supereroi, dove libellule e clessidre si moltiplicano.
Non si può certo chiedere molto di più a certi tipi di film, che sin dal cartellone (identico a quelli degli Scary movie) indicano l'obbiettivo, ma visto le possibilità che aveva riguardo a un reparto tecnico ragguardevole che è presente (scena aerea e quelle in strada, bella quella della vecchina con cagnolino) poteva anche cercare di guardare un po' più in alto senza incancrenirsi e allinearsi a una comicità irrealistica che accumula gag citando cinematografia di genere che si accende piacevolmente e poi diventa un fuoco fatuo.
Probabilmente creare un personaggio totalmente nuovo e non solo una variazione sfigata (come si era fatto nell'ottimo Mistery men, davvero una pietra miliare nel mostrare personaggi strambi con superpoteri), avrebbe donato quel qualcosa in più che alla fin fine solo la pazzesca idea del non-potere dell'Uomo Clessidra possiede (dover "succhiare" la vita di un sacco di persone per non morire, potere diversificato ma ispirato a quello di Rogue degli X-men). I discorsi poi non sono per nulla ficcanti, privi di frasi "presa in giro" di buon effetto, che di solito simili pellicole
presentano. Si segnala il pezzo che chi scrive ritiene più fantasioso, quello dell'incontro con Xavier, le sue molte sedie, e la sua scuola dei giovani dotati ("Non asiatici" si sottolinea).
In definitiva un film simpatico da vedere solo per brevi tratti, migliore delle becere pellicole parodia che di solito girano al di fuori degli Scary Movie (ma anche questi hanno già stancato ormai) per una connotazione di movimento e un minimo di storia presente, ma purtroppo regala divertimento a sprazzi, solo agli amanti del genere "Heroes" in calzamaglia e si limita ad arrivare alla fine senza nessun vero merito, godibile e fruibile solo se accompagnati da una voglia totale di essere accondiscendenti con il suo svolgimento. In fondo ne più ne meno di quanto si può e si deve aspettarsi, anche se ovviamente si spera sempre di avere qualche bella sorpresa, che purtroppo nel cinema di solo intrattenimento leggerissimo non si riesce neppure per un minimo ad ottenere.
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Underdog - Storia Di Un Vero Supereroe
(Underdog)
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Cast : Peter Dinklage, James Belushi, Patrick Warburton, Alex Neuberger, Taylor Momsen, John Slattery
Sceneggiatura : Adam Rifkin
regia : Frederik Du Chau
Durata 01:24:00
Data di uscita Venerdì 16 Maggio 2008
Generi Family, Fantasy
Distribuito da WALT DISNEY STUDIOS MOTION PICTURES, ITALIA (2008)
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Trama: Il cane poliziotto Shoeshine, di razza beagle, è davvero una frana completa nel suo mestiere. Cacciato con disonore dal corpo di vigilanza canino, viene rapito da un nano scienziato pazzo e dal suo assistente di poco cervello. Diventato una cavia per esperimenti, un incidente con delle sostanze chimiche lo trasforma in un supercane. Dopo la fuga dal laboratorio incontra un ragazzo con cui fa amicizia e che gli confeziona un mantello e un costume. Da qui parte la sua avventura per conquistare il cuore di una cagnetta e fermare i progetti folli di chi l'ha trasformato. "E'un uccello? E'un aereo?" ... "No, è Underdog!"
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Commento: Underdog in slang significa più o meno "Sicuramente sconfitti" (non stupitevi della poca attinenza con il letterale, dopotutto l'hot dog non è un cane bollente con carne canina, citazione dal film) come ci racconta Jack, il giovane amico dello stupefacente cane parlante protagonista di questa divertente pellicola per ragazzi (battuta migliore:"Sei tutto bau bau e distintivo"). Underdog è una serie animata di oltre quaranta anni fa (correva l'anno 1964) che Hanna e Barbera misero in onda per il piccolo schermo (in Italia divenne Ughetto, cane perfetto). Si narravano le gesta di un beagle che prese i superpoteri per colpa (merito?) degli esperimenti di uno scienziato pazzo di nome Barsinister (l'attore nano Peter Dinklage, davvero bravo, noto per Nip/Tuck) e del suo tonto e grosso assistente. Nel film si narrano le origini di Underdog (il cui vero nome è Shoeshine, lustrascarpe), partendo dalla caotica fuga dal laboratorio in cui è finito, proseguendo con l'incontro con il suo amorevole padrone Jack che lo agghinderà per fare il supereroe (davvero divertente la carrellata dei costumi, fino ad arrivare al cane vampiro) e con il padre del ragazzo (James Belushi, che per il suo passato filmico è a suo agio da sempre con i cani, ricordiamo la serie Poliziotto a 4 zampe).
Underdog come un novello Superman (eroe pluricitato, anche per una scena nello spazio "Houston, abbiamo un ... beagle!") si crea uno slogan ("Niente paura, Underdog vi rassicura!"), ha un mantello, un costume, una "U" sul petto al posto della "S", si cambia in una cabina del telefono (ce ne sono ancora ai giorni d'oggi?) ma contrariamente all'uomo d'acciaio mentre è in azione recita le frasi in rima baciata.
Davvero divertente questo film per bambini che può piacere placidamente anche gli adulti (non i ragazzi, troppo tenero e troppo legato a una filosofia rigidamente Disney), prodotto dalla casa di Topolino che si diverte a citare ampiamente se stessa e i suoi capolavori. Partendo dalla Carica dei 101 con l'incontro a 4 nel parco (con la dolce cagnetta che si chiama Polly) e continuando con Lilli e il vagabondo citando la scena della polpetta negli spaghetti, il ristorante Tony e la città vista come un nido d'amore notturno, finendo con Oliver and company per via dei cani che ubbidiscono a Simon.
Il regista Frederik Du Chau (autore di vari lavori di animazione classica e di Striscia, una zebra alla riscossa) rimane fedelissimo alla filosofia dove in fondo anche il cattivo è un personaggio da amare (e dal lato attoriale anche il meglio caratterizzato, almeno per il settore umano) con la sua indole doverosamente grottesca e l'assistente pasticcione e sempliciotto (ricordavano anche i due goffi rapitori dei dalmata), ma rende il film (aiutato anche da degli effetto speciali davvero validi, i cani parlano con una naturalezza eccellente) gradevolissimo, scorrevole, senza mettere altro che quello che deve, azione, umorismo e un pizzico di romanticismo (anche teen ager con la storia tra Jack e Molly, la padrona della cagnetta di cui Underdog si innamora), perfetto mix nel quale i bimbi si riconoscono, divertono e i grandi accompagnatori o meno, che non guardano l'orologio attendendo al fine o prendono patetiche scuse per lasciare soli moglie e figli uscendo dalla sala.
Nell'originale la voce di Underdog è quella di Jason Lee, la voce italiana è di Pasquale Anselmo (doppiatore di Nicolas Cage) quella di Polly è di Amy Adams, di Selvaggia Quattrini la versione italica.
Da notare la scena finale davvero vertiginosa con quella corsa concentrica, i voli attraverso Capitol City (questa la città dove si svolge l'azione) ben fatti ed esilaranti come quando l'eroe canino si veste per errore da pesce (Unpescecane!").
In definitiva un bel film non animato per bambini ma anche la famiglia (escludendo i ragazzi più grandi come detto sopra), innocente ma non stupido, colorato, divertente e con delle belle battute che ne rafforzano la fantasia, legato ai classici del passato che omaggia con intelligenza, che propone personaggi tipo senza per questo scadere nella noia di un prodotto che vuol essere solo sicuro ma non sufficentemente coinvolgente. Krypto, il cane di Superman, sarebbe fiero di questo perdente in partenza solo nel nome.
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Certamente, forse
(Definitely, Maybe)
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Un film di Adam Brooks. Con Ryan Reynolds, Isla Fisher, Rachel Weisz, Derek Luke, Elizabeth Banks, Abigail Breslin. Genere Commedia, colore 112 minuti. - Produzione USA, Gran Bretagna, Francia 2008. - Distribuzione Universal Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
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Trama: Will si ritrova in procinto di divorziare, e una sera sollecitato dalla figlia Maya si mette a raccontare (inventando i nomi ma non le situazioni) di come lui e la moglie, mamma della piccola, si sono innamorati. New York, 1992, Will, dopo aver salutato la compagna Emily rimasta in provincia, era impegnato nella campagna per l'elezione di Bill Clinton a presidente. Lì incontra varie donne di cui rimane stregato in vari modi : mentre il filo del racconto procede sapremo chi di queste è veramente la mamma di Maya. Purtroppo aprire certi ricordi può anche essere doloroso ...
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Commento: Ryan Reynolds (Smokin'Aces) è il dolce Will, un uomo sull'orlo del divorzio con una figlia che gli vuole un grande bene (Abigail Breslin, la stessa bimba che recita con Jodie Foster in Alla ricerca dell'isola di Nim). Durante uno dei week end nei quali è il suo turno di tenere Maya, la piccola insiste perchè lui gli racconti dall'inizio come veramente ha incontrato la mamma, come si è innamorato di lei e perchè ora vogliono separarsi tutti e due. Riluttante all'inizio, Will diventa un fiume in piena e le dice ogni cosa per liberarsi del peso, rivelandogli solo alla fine chi delle tre donne del racconto è quella con cui si è sposato. I nomi sono alterati per non togliere la sorpresa, le situazioni esposte vere.
Film commedia dall'impianto narrativo leggermente diverso dal solito, costituito da corposi flash-back e con l'amore già avvenuto ma da individuare, si avvale di un ottimo cast presentando anche la bella e brava Rachel Weisz (attrice che ha iniziato a lavorare ne La mummia ma ha fatto anche dei film di maggior impegno come La cospirazione) e Kevin Kline (In & Out) che qui fa una parte di contorno, l'amante maturo e barbuto della estroversa Summer (la Weisz).
Il regista Adam brooks, autore nel 2001 di un film con Cameron Diaz dal titolo Verità apparente, vuole raccontarci oltre che degli amori contrastati di Will anche di un periodo politico ben preciso, di Sexy-gate e di come il proprio lavoro possa condizionare la vita, le scelte e anche ingannarci per lungo tempo.
Will nel 1992 lavora per la campagna elettorale di Bill Clinton (presente con un cammeo durante il jogging mattutino) partendo dai compiti più ingrati come portare il caffè o la carta igienica. Lui ha lasciato la fidanzata Emily (Elisabeth Banks) per un sogno nel quale crede ciecamente, poter contribuire al successo dell'uomo a cui dà ogni fiducia e speranza per il futuro, e in fondo questo futuro Clinton glielo costruisce inavvertitamente perchè Will lavorando per lui incontra la spumeggiante April (Isla Fisher) che gli fa vedere la vita secondo prospettive nuove. Poi lavorando per altri man mano che passano gli anni (e il racconto) si accorge che il presidente per cui ha fatto tanto nell'oscurità tradisce gli ideali di famiglia con la vicenda Lewinsky, si sporca e corrode in vicende davvero squallide per un uomo di tale importanza nel mondo. Il tutto immerso nella New York che corre senza nessuno spiraglio di poter rallentare, tipo di vita lontano per lui che arriva dal Winsconsin. Ma la vicenda politica, pur se ampiamente centralizzata dal racconto, è solo uno sfondo per le storie d'amore, per i sentimenti turbinanti e le sensazioni che tre donne completamente diverse forniscono. Tre donne le quali ognuna ha un profumo diverso che Will cerca di assaporare al massimo, traendo da ognuna qualcosa senza mai scegliere definitivamente. Alla fine sappiamo che una ne trova, dato che è nata la figlia, il problema è quanto possa stare con lei rinunciando alle altre due che lo attirano come sirene incessantemente.
Una commedia correttissima, senza nessuna vera spudoratezza, dai sentimenti marcati e dalle intenzioni davvero pure per conclamare l'amore vero (guarda caso impreziosito dal fatto che la cultura dei libri con uno stratagemma poco fantasioso, fa da tramite). Potrebbe far felice sicuramente un pubblico di signore in vena di sentimenti zuccherosi, non c'è un personaggio che a modo suo non sia romantico, le situazioni sono studiate a tavolino per sublimare suoni di violini al momento esatto (a questo proposito le musiche hanno degli ingressi davvero al cronometro) ma alla fine il troppo stroppia. Si gira intorno incessantemente a Clinton e i suoi disastri amorosi ("senza essere puro non vai da nessuna parte" ci dice il film) senza entrare in un vero contesto minimamente politico di approfondimento, Abigail Breslin fa la saccente quanto mai antipatica (a dieci anni e una fresca lezione di sessuologia a scuola ne sa più lei dei rapporti di coppia di un analista), una presenza della beby attrice contenuta nel minutaggio ma pedante, insopportabile a volte, e il finale è pacchiano, privo di logica vera e lascia straniti anzichè ammirati dalla sua inconsistenza.
Il messaggio è chiaro, qualunque donna scegli, anche quella sbagliata, se ti ha dato un figlio ha meritato di essere incontrata, perchè è tramite la prole che dai senso alla vita, peccato che per dircelo si vada incontro a delle situazioni noiose, ripetitive e poco divertenti (i duetti tira/molla con April non sanno di nulla).
Il reparto tecnico non si segnala di pregi, Reynolds tira alla lunga il fatto che è un bravo ragazzo altruista che prova tutte le donne che lo affascinano per non deluderle, e alla fine la correttezza che inizialmente era un pregio diventa una zavorra della quale il film non si libera.
In definitiva una commedia semideludente che poteva andare ben oltre che dei buoni sentimenti edulcorati, impantanatasi nel mezzo del racconto per la troppa voglia di seguire altro che non siano le direttive del rapporto uomo/donna e non saper minimamente bilanciare la cosa. Chi vuole emozioni di facile presa senza avere la minima pretesa si accomodi, gli altri lascino pure stare questo flash-back che parla del mondo femminile in maniera scialba.
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Ultimi della classe
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Un film di Luca Biglione. Con Andrea De Rosa, Giulia Elettra Gorietti, Marco Iannone, Clizia Fornasier, Sara Tommasi, Nathalie Rapti Gomez, Marco Messeri, Ludovico Fremont, Valentino Campitelli, Marco Battelli, Azzurra Mastrangelo, Giovanni Garofalo. Genere Commedia, colore 90 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione 01 Distribution - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
Trama: Michele è uno studente che di studiare proprio non ne ha voglia. Presosi una cotta per Federica, ragazza cool del gruppo ma che non lo nota minimamente, a una festa nella quale pensava di fare colpo rimedia una magra paurosa d'immagine. Michele si rifugia nel suo blog "Gli ultimi della classe" dove si descrive come un ragazzo pieno di successo e di grande fascino. Ma le cose vanno ancora peggio, a scuola rischia una nuova bocciatura e allora i genitori gli affiancano una insegnante di sostegno per lezioni private. Il ragazzo viene a sapere che nel passato la sua prof è stata la sexy ragazza di un calendario di nome "Miss Standing ovation" e per far girare la fortuna architetta un piano davvero singolare, studio in cambio di ...
Commento: C'era una volta l'avvenente Edwige Fenech che riempiva le sale cinematografiche con le dottoresse e le professoresse sexy licenziose, personaggi sempre uguali ma che avevano un suo fascino tutto particolare in quanto comunque il pubblico poteva cercare momenti di divertente (anche se greve) ilarità mista a quel pizzico di peccaminoso che i mezzi tecnologici del tempo non potevano concedere, se una persona voleva vedere della bella carne femminile in visione senza cadere nello squallore masturbatorio dei cine-x cercava il v.m.14 della simpatica attrice e colleghe (ora l'intelligente Edwige si è trasformata in una sapiente produttrice). Oggi con l'avvento di internet e dell'home video più disparato prodotti simili non esistono più, e sono stati sostituiti da film come questo Ultimi della classe (brutto come gli altri del filone Notte prima degli esami, cioè tanto, e bello alla stessa maniera, cioè poco) che ha una insegnante insipida come poche in una bellezza del tutto anonima come quella di Sara Tommasi, manco capace di esibirsi a dovere e mostrarsi almeno il possibile, non diciamo in un nude look integrale, ma sopratutto che di "Standing Ovation" (ogni riferimento/ammiccamento alle parti basse maschili è del tutto voluto), nome d'arte di quando prima di prof era ragazza calendario, non ha nulla.
Almeno c'è in questa ripresa davvero poco onorevole uan cosa onesta, nascosto nella camera di Stiff, (ma che nomi assurdi gli danno, Moccia ha indirettamente colpito ancora), il compagno super rimorchiatore amico di Michele, potrete notare un poster omaggio della Soldatessa alle grandi manovre con la Fenech appeso al muro coperto da altre cose.
La trama ci racconta di Michele (Andrea De Rosa, il cazzaro di notte prima degli esami, personaggio di cui credo mai più si libererà), uno studente che fa una figuraccia dopo l'altra e si rifugia nel proprio blog denominato "Ultimi della classe" dove racconta romanzandole, e ribaltandole in positivo, le sue sfortune come amante e come persona.
Il giochetto sembra funzionare, ma la situazione peggiora: a scuola va sempre peggio (altro che ripetente, a furia di stare con Brizzi gli esami per lui davvero non finiscono mai) e i genitori, sempre assenti nei suoi confronti e interessati solo al ballo latino-americano, gli affibbiano due professori di sostegno, di cui uno è l'avvenente supplente di latino della scuola. Scoperto il suo piccolo segreto (lei era una sexy calendarietta) Michele le propone un patto ben preciso : lui studia, mentre lei si spoglierà per lui e i suoi meriti scolastici. Incredibilmente, per dei validi motivi personali, lei accetta. A quel punto Michele elabora un altro piano : filmarla di nascosto per metterla nel blog e risalire nella considerazione degli amici. Purtroppo, molti problemi sono dietro l'angolo.
Luca Biglione (sceneggiatore de l'Allenatore nel pallone 2) cerca volonterosamente di mettere in questa sciocca commediola, per nulla sexy nonostante l'ispirazione, un po'di tutto facendo un minestrone sgradevole di stili (televisivi) e situazioni. Chi si aspetta un piccante incontro tra lo studente e la prof sarà deluso in quanto tutto questo avviene con una correttezza esemplare, privo di visualità eccitante (solo una breve scena in lingerie castissima), fanno molto di più le studentesse che si concedono licenziosamente senza troppi problemi, si parla di buoni sentimenti con l'amica sempre presente nel bisogno ma che si vede solo come una sorella, la madre di lei che incontra un idraulico tatuato e motorizzato di cui si innamora genuinamente per sfuggire a un matrimonio fallito, i genitori assenti, gli amici cazzari e sempre pronti alla battuta, ma di buon cuore, i professori legati ai testi e al programma senza alcun interesse per i loro studenti, internet, il calcetto e la lezioncina oziosa che in fondo quello fatto in passato non basta per giudicare una persona ma bisogna capirla per i suoi lati buoni.
Di fatto la filosofia presentata la vedrete nella ragazza che tutti si sono portati a letto che ha lati nascosti di psicologia e bontà (in una scena dove assiste una vecchietta raggiungiamo il culmine), in Michele che decide che se fanno i bastardi gli altri non deve farlo anche lui e deve smetterla di etichettare le ragazze come delle coppe gelato da dieci euro oppure da 1,30.
C'è tempo anche per il solitario deluso, amareggaito e misterioso, che legge sempre al bar (Ludovico Fremont, quello dei Cesaroni televisivi), personaggio strampalato messo tanto per allungare il brodo.
Un frullato non omogeneo preso e servito freddo, che ha delle battute scontate ("anche Einstein è stato bocciato!") e alla fine non fa per nulla ridere, non è licenzioso nella protagonista imbalsamata, personaggi vuoti, i sentimenti sono scontati e telefonati (glielo può dire qualcuno che ormai il tempo delle mele è finito da tempo?) e oltretutto continua un filone che era già alla frutta sin dai primi passi. Non capiamo proprio come si voglia grattare il fondo del barile per guadagnare soldi da un pubblico di facili gusti e nessuna pretesa quando il barile non c'è mai stato, prodotti simili (una volta di più fatti con il sostegno dei beni culturali, ma stiamo scherzando?) sono tanto uguali quanto poco coraggiosi, perchè almeno le squallide teen commedie Usa hanno il pregio di ridersi addosso senza problemi, di essere esagerate nel loro minuscolo esistere, qui si vuole esprimere anche un tono serio e concettuale, che però risulta del tutto vuoto in quanto senza nessuna fondamenta, violentando una volta di più indirettamente la musica di Venditti.
De Rosa è meno granitico di Vaporidis, ma è una cosa che si disperde davvero nel nulla.
In definitiva un film che sapete benissimo come trattare, anche per una serata all'insegna dello spasso estremo a cervello spento (vedetevi Superhero piuttosto, se avete queste intenzioni), evitare con cura.
Gli ultimi della classe sono dietro nei banchi, attenti che per loro è facile prendervi per i fondelli o peggio ...
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The Hitcher
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Un film di Dave Meyers. Con Sean Bean, Sophia Bush, Zachary Knighton, Neal McDonough. Genere Horror, colore 84 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 30 maggio 2008]
Trama: John Ryder è un pazzo psicopatico che attende sulle strade incauti automobilisti per soddisfare la sua sete di sangue e violenza. Durante una sera di pioggia, due fidanzati, Grace e Jim, quasi lo investono.
Pieni di sensi di colpa per non essersi fermati subito, inconsapevoli di chi sia veramente, lo accolgono sull'auto successivamente in una stazione di servizio. Ma di lì a poco la vera natura del serial killer viene allo scoperto. E' l'inizio di un lungo interminabile incubo per la coppia di giovani, sopratutto perchè la polizia addebita a loro le vittime di Ryder ...
Commento: L'industria cinematografica americana di intrattenimento ormai non sa più dove pescare per sopperire alla cronica mancanza di idee e novità, in questo caso sono andati a riprendere un film del 1986 con Rutger Hauer nel ruolo del pazzo che tramite l'autostop adesca le sue vittime (da notare che il film ebbe anche un seguito visto da quasi nessuno). Anche stavolta gli sceneggiatori hanno dimostrato la loro genialità nella variazione base del film : il protagonista non è un ragazzo ma bensì la sua giovane fidanzata, Grace, una avvenente Sophia Bush (normalmente specializzata in serial televisivi) perennemente in minigonna e che dimostra maggiore forza e capacità reattiva del fidanzato Jim (un poco credibile Zachary Knighton, anche lui arriva dalla tv), che durante il film vediamo stralunato e dedito solo alla fuga senza mai reagire con il pazzo assassino alle costole.
La trama, per il resto, ricalca il film originale, Sean Bean (visto spesso in ruoli di cattivo) è impietosamente messo a confronto nel ricordo cinematografico con Rutger Hauer a fare il temibile autostoppista, John Ryder, che attende un passaggio per scatenare la sua ira omicida. In questo caso i due automobilisti, Jim e Grace, non hanno troppa voglia di entrare nel suo "wall of casualties" e gli danno filo da torcere, peccato che l'intento iniziale del killer poi si trasformi e diventi qualcosa d'altro, causando il fatto che ogni volta che la coppia sembra in salvo, si trova ad affrontare continuamente la minaccia. Una lepre dalle lunghe orecchie che mal gestisce la strada ci introduce alle atmosfere del film.
Il film è prodotto tra gli altri da Michael Bay, e la cosa si vede tutta in quanto i mezzi usati sia per gli inseguimenti che per le scene d'azione sono sicuramente adeguati, vedrete scontri rocamboleschi on the road, elicotteri e spari in corsa.
Dopo un inizio che poteva davvero sconfortare (musica allegra e scenette adolescenziali) parte praticamente subito l'azione e la fotografia inizia a oscurarsi e sporcarsi, i luoghi diventano desertici e poco rassicuranti nella loro solitudine (la coppia di fidanzatini sta andando da delle amiche di lei nel New Mexico) e il tasso di splatter si alza progressivamente (ci sono delle scene non propriamente per stomaci candidi) per diventare un autentico mattatoio durante i suoi 84 minuti, senza risparmiare nessuno, dove le fronti sono bersagli privilegiati.
Film di questo tipo fanno subito dubitare di poter essere retti senza cadere nella noia dato che sanno molto di deja vu e certe scene sono di una banalità disarmante (l'incontro con il commesso nella stazione di servizio e le fasi dei colloqui con la polizia), ma riconoscendo i limiti del film da subito (e l'assoluta disparità di confronto con l'originale), intelligentemente il regista Dave Meyers (autore sopratutto di videoclip) lascia perdere di intensificare le parti di approfondimento (presenti nel primo film con il dualismo vittima/carnefice) e si dedica soprattutto all’azione, dove una sorta di sadica gioia nel procurare morte, si trasforma in una ossessione di trasformazione (capirete vedendolo che significa) e la cosa permette di aumentare il tasso di adrenalina, arrivando a una sorpresa impensabile e a far si che tutti coloro che si trovano a contatto con i due fuggitivi si trovino in pericolo, allargando con il bacino delle vittime anche lo spettro d’azione dell’assassino e delle possibilità di sorpresa.
Non possiamo certo parlare di thriller on the road di qualità (come era l‘originale) dato che solo Bean è minimamente credibile, (il quarto protagonista è un poliziotto, interpretato da Neal McDonough, davvero poco caratterizzato) il finale è a dir poco terribile, ma il ritmo tenuto sempre alto, un sottofondo di assoluta inadeguata capacità da parte di tutti di fermare Ryder, non ultime delle belle scene sotto la pioggia, ce lo fanno gustare come un passabile divertimento di poche pretese che passa presto e neppure lascia troppo sporco il water dopo aver tirato lo sciacquone per liberare il cervello e dedicarci a film di ben altra importanza. In questo tipo di pellicole con protagonisti giovanili e che cercano di portare al cinema sopratutto i ragazzi, se ci pensiamo, la cosa non è davvero del tutto becera e disprezzabile, per chi interessa poi la produzione non dispensa di fare delle scene in cui la Bush si mostra in scena con accattivanti mutandine.
Dovremmo chiedere le tante citazioni del grande Alfred Hitchcock, campate assolutamente per aria nella trama, a cosa sono dovute (la doccia e il motel per Psyco e delle scene de Gli Uccelli che Grace vede in dvd), speriamo che il fantasioso produttore Michael Bay non dica che è dovuto al fatto che le lettere iniziali del titolo del film e del cognome del maestro collimano.
Qualcuno potrebbe anche vedere un po’ di Tarantino e Death Proof, negli scontri, con una bella automobile iniziale gioia dei collezionisti e attira donne definita “trappola per tope”, ma di sicuro sappiamo usciti dalla sala che abbiamo assistito a un film che se fosse finito cinque minuti prima sarebbe stato meglio (vedere per credere, e quella citazione da Se7en proprio non gira per nulla)
In definitiva un film limitato al momento della visione, che riprende un buon film degli anni 80, che però nonostante le premesse di poca fantasia riesce ad essere il minimo sindacale accattivante per le buone scene d’azione e d’inseguimento, possiede una valida dose di splatter e il respiro, per quanto minimo, del fascino “On the road“. Certo, se avete altro da fare vi consigliamo di non lasciare stare a cuor leggero l’altro impegno per onorare questo.
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ragazzi prima della rece beccatevi il mio nuovo acquisto :
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ovviamente è un porta cd, tutte le sei stagioni più un dischetto supplettivo
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scatola per contenerla
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disco dei contenuti
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favolose 4 the movie !!!
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Sex and the City
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(Sex and the City: The Movie)
Un film di Michael Patrick King. Con Sarah Jessica Parker, Kim Cattrall, Kristin Davis, Cynthia Nixon, Chris Noth, Candice Bergen, Jennifer Hudson, David Eigenberg, Evan Handler, Jason Lewis, Mario Cantone. Genere Commedia, colore 140 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione 01 Distribution - [Uscita nelle sale venerdì 30 maggio 2008]
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Trama: 4 donne NewYorchesi amiche da sempre hanno varie storie : Carrie forse sta per sposarsi, Charlotte ed Harry hanno avuto in adozione una bambina, Samantha (trasferitasi a Los Angeles) è un po' in crisi con Jarrod, Miranda vive una vita incolore a Brooklin con Steve e suo figlio. Dopo che un accadimento le ha portate a riunirsi, i contrasti, le difficoltà con i loro uomini e lo stress tornano ad essere l'argomento principale delle loro colazioni al coffee shop : ognuna dovrà cercare le risposte giuste per se stessa sapendo di poter sempre contare sulla ferrea amicizia delle altre, unica vera certezza all'interno delle loro vite. Oltre, naturalmente, ai vestiti griffati e alle loro Manolo Blahnik.
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Commento: Tornano le quarantenni ex-single d'assalto Carrie Bradshaw, Charlotte York, Miranda Hobbes, Samantha Jones, le protagoniste della serie televisiva Sex and the City trasmessa in sei stagioni fino al 2004 dalla rete televisiva HBO.
Il viaggio riparte quattro anni dopo da quando ci si era lasciati alla fine della serie tv : Charlotte ed Harry vivono felici con la loro bimba adottiva, Carrie e Big (di cui finalmente conosceremo il nome vero per intero) stanno per prendere una grande importantissima decisione dopo una lunga convivenza, Samantha dopo aver calmato i bollenti spiriti e la voglia di essere libertinamente emancipata per amore di Jarrod, ora si trova in crisi per colpa di Dante, il suo vicino dalla prorompente vita sessuale, Miranda e Steve sono in profonda crisi per colpa di lui che gli ha confessato una colpa e dello stress che governa le loro indaffarate vite. Un grave problema occorso a Carrie le riunisce tutte di nuovo, le ragazze ritrovano la loro amicizia e la voglia di portare vestiti griffati, di avere dei momenti tutti per loro slegati dalle vite sentimentali che gli procurano problemi. Ma ovviamente questo non può bastare, sicuramente sapere di avere una spalla amica su cui piangere è un conforto non da poco.
La serie si concluse con diverse sottotrame irrisolte, dovute alla chiusura non prevista inizialmente ma provocata da ampi dissapori tra la produttrice e protagonista Sarah jessica Parker (Carrie) con Kim Cattrall (Samantha) che pretendeva ben altro trattamento economico e visibilità per lei e il suo personaggio in quanto a suo dire la spudorata vita sessuale della quaranticinquenne Signorina Jones era la vera molla del successo della serie.
Probabilmente le quattro attrici (che avevano tutte un passato cinematografico o televisivo più o meno importante, la Cattrall lavorò addirittura con Carpenter al fianco di Kurt Russel ne Grosso guaio a Chinatown) all'apice del successo credevano di poter fare qualunque lavoro anche in assolo. E mentre la Parker si perdeva in commediole di nessun conto, le altre praticamente scomparivano. intanto le fan e i fan (incredibile il numero di uomini che si appassionarono a questa serie al femminile) chiedevano a gran voce di chiudere le trame lasciate in sospeso in qualche maniera. Darren Star (creatore della serie tv e che aveva tratto ispirazione da un libro di Candice Busnell), Michael Patrick King e la Parker decisero che era il momento giusto per produrre questo fastosissimo movie, unico vero possibile ritorno sulle scene in grande stile, che ha la sua punta di diamante negli accessori (la borsetta Torre Eiffel è davvero un orpello incredibile), nei vestiti (ci sono cambi d'abito praticamente in ogni scena, sia che siano di famosi marchi per il passeggio e la sera, o semplicemente dei comodi casalinghi) e nell'ambientazione glamour che passa di negozio in negozio facendoci sognare con delle spiagge messicane incantevoli e un resort da favola. Quindi, reperiti i soldi necessari per farlo e stabilita la pax con la Cattrall, ecco che arriva questo film, che possiamo a tutti gli effetti considerare una puntata extralarge o per meglio dire cinque-sei puntate del serial (un quarto di stagione, più o meno).
Per cercare di mettere a loro agio i nuovi spettatori c'è un piccolo riassunto dei fatti salienti della serie (o per meglio dire degli uomini importanti che sono passati in rapporto con le quattro), partono i titoli e scorrono i negozi, i vestiti e gli ambienti della città più in, tanto per fugare subito qualuqnue dubbio sull'integrità e prosecuzione di quanto è stato prima.
Interessante notare che nelle prime inquadrature vediamo quattro giovani ventenni che somigliano incredibilmente alle quarantenni (una anche più ...) e che si atteggiano proprio come loro, una sorta di passaggio di consegne ideale e completo di uno stile iniziato, ammirato, proseguito che non morirà mai. Carrie vede, e sorride.
Nel lavoro su grande schermo il lavoro psicologico migliore è stato fatto sulla coppia Miranda-Carrie, che incarnano la vera amicizia con i piccoli ma importanti segreti, che si ritrovano nei momenti difficili (Charlotte è esclusa nella pellicola da ogni sofferenza, il suo Harry è calvo ma perfetto e la bimba adottiva adorabile) e che hanno, come del resto nel serial, i migliori battibecchi, secchi, decisi e pungenti.
Samantha ritrova se stessa e la sua voglia di libertà con le tante domande che si fa sul rapporto ormai spento (sopratutto a letto, vedendo l'attore Jason Lewis sembra davvero difficile comunque pensarlo) con Jarrod, troppo impegnato nel lavoro e che la trascura dal lato "kamasutra" (eticamente è tenero ed affettuoso ma ovviamente con un tizzone di sesso come Sam la cosa non basta). Un valido gioco della natura che riesplode dentro, dell'essere autotarpatasi le ali e che non può continuare a vivere contro solo per ringraziamento di un atto d'amore passato (Jarrod le stette vicino durante la chemioterapia della sesta serie). Autentico inno all'amicizia, quella vera forte e solida, anche il movie riesce a contrapporre validamente uomini problematici a donne solo di facciata di grande carisma e sicurezza, che forse solo la loro troppa certezza di essere sempre nel giusto sia quando parlano o scrivono (Carrie cura uan rubrica di successo su un giornale, denominata Sex and the City che da quindi il nome alla serie), mina per costruire un rapporto che non ammette errori. I punti di contatto con le season sono tantissimi : il tradimento non viene perdonato nonostante fondamentalmente il sesso per loro è un argomento come gli altri, si discute di peni, culi e deviazioni sessuali tranquillamente davanti a cappuccino e brioches, i vestiti non sono degli orpelli visuali ma l'essenza dell'esistere (vesti come sei) e tutto quello che accade è una bomba interna da raccontare alle amiche prima che ci esploda dentro (tranne i piccoli peccatucci interni al gruppo, quelli decantano un attimo sperando di non doverli raccontare, poi i sensi di colpa li portano all'esterno).
Il mondo gay modaiolo, quello con più punti di contatto con le quattro dato che ha le caratteristiche di avere degli uomini con il gusto femminile, è rappresentato da Stanford, l'amico di Carrie, e lo stilista amico di Charlotte.
interessante new entry la dolce segretaria di Carrie, interpretata dall'apprezzata premio Oscar per Dreamgirls Jennifer Hudson. Giovane rampante, dona una vera carica di filosofia positiva e fa vedere alla sua datrice di lavoro altre spigolature della vita incarnate in un gioiello il cui valore va ben oltre ai carati.
Amore, amicizia e accanite : le tre A ci sono in pieno nel movie, e chi ha adorato la serie si seppellirà di gioia nel vedere questo film sul grande schermo (come direbbe Samantha "bagneranno la poltroncina").
Il problema di questo film, catalogabile filmicamente come una gradevolissima commedia, è solo uno ma fondamentale : chi non ha visto la serie, nonostante il piccolo riassunto d'inizio, non ne prende appieno il profumo, non ne gode le gesta a dovere e non ne assapora il senso. Lo spettatore occasionale dice "Bei vestiti!" ma in fondo non capisce alcuni discorsi, non si ritrova nei ragionamenti in maniera compiuta e si perde alcuni passi radicati nel passato (come quello sul letto che parla delle rotture di Big, che nella serie tv non ha mai avuto un nome diverso, in quanto incarna il sogno d'uomo di Carrie, la persona che ti rimane nel sangue e nessun uomo perfetto sostituisce).
Possiamo tranquillamente sconsigliarne la visione asciutta e priva di background, anche se una lettura un po'approfondita sul net potrebbe anche bastare, in quanto alla fine, d'accordo l'abbandonarsi al visuale delle griffe, ma non capirne il senso totalmente sarebbe un peccato, dato che la serie e la sua appendice filmica sono per una donna il viale del sogno e del sentimento non edulcorato, per un uomo l'ingresso per mano nei tic e nelle particolarità femminili. Tecnicamente corretto nella fotografia solare e nelle inquadrature ineccepibili, che scandagliano a perfezione guardaroba e case, non manca di presentare delle scene hot come da etichetta ma si limta un po' nelle frasi ad effetto ("se facessimo pompini tutto il giorno domineremmo il mondo!"), un po' per la presenza della bimba di Charlotte e il concentrarsi sulle emozioni ha tolto spazio ai discorsi a quattro in cui uscivano questi sexy-aforismi.
In definitiva un film colorato, decisamente supergriffato e metodico nel ricostruire le situazioni del serial tv a cui è legatissimo, che i fan adoreranno, per cui si sconsiglia la visione solitaria, che ricrea il grande valore dell'amicizia, atto d'amore per New York e la sua gioia di rivivere, che ci fa vedere quattro donne a volte in preda a una crisi di nervi, a volte ridere assieme (una delle scene più belle del film) in un altalena di emozioni, sesso e glamour, in una coriacea lotta per combattere le delusioni e superarle senza perdere la dignità. Sono donne vere, per cui a volte fanno delle grandi stupidaggini per seguire l'impeto dell'istinto. Tutte queste parole per dirne solo 4 come le protagoniste: Sex and the city.
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Charlie Bartlett
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Un film di Jon Poll. Con Anton Yelchin, Robert Downey Jr., Hope Davis, Kat Dennings, Tyler Hilton, Mark Rendall, Dylan Taylor, Megan Park, Jake Epstein, Jonathan Malen, Derek McGrath, Stephen Young. Genere Commedia, colore 98 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione DNC - [Uscita nelle sale venerdì 30 maggio 2008]
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Trama: Charlie è un rampollo di ricca famiglia che ha un grosso difetto : pur essendo intelligente ed un ottimo studente, gli piace voler stupire a tutti i costi anche ricorrendo alle truffe. Dopo l'ennesima impresa negativa compiuta (la falsificazione delle patenti) viene esplulso dalla scuola esclusiva in cui studia, e costretto a frequentarne una statale. L'incontro con i nuovi compagni sarà traumatico, ma Charlie ha mille risorse per uscire dai guai inventando nuovi incredibili stratagemmi, come al solito senza badare a quanto siano leciti. Ma l'arcigno preside, il padre della sua fidanzata, fa di tutto per impedirgli il successo dei suoi traffici. Fino a quando ...
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Commento: Robert Downey Junior è balzato all'attenzione degli spettatori per essere il protagonista del film targato Marvel Iron Man, ma intanto ha trovato il modo di apparire anche in questa commedia scolastico adolescenziale leggermente diversa dai soliti canoni e clichè. In questo film di Jon Poll (opera prima) fa il preside pieno di problemi personali, rimasto da solo con la figlia (Kat Dennings) che studia anch'essa nella scuola, faticando a governare delle classi con persone difficili da gestire e dove i bulli spadroneggiano picchiando i più deboli.
La situazione sembra ingestibile, ma un giorno arriva l'esuberante Charlie Bartlett, interpretato da Anton Yelchin, giovane ma davvero bravo che ricorderete essere presente in Alpha Dog, ricco, intelligente, bravo studioso e pieno di proposte per migliorare a modo suo l'andamento generale della scuola.
Dopo che ha subito il battesimo del fuoco destianto alle matricole da parte del bullo conclamato, Charlie elabora un raffinato piano : diventare lo psicologo degli studenti, gli procura le medicine e da le esatte diagnosi grazie al suo psicanalista privato. Il piano riesce e diventa una specie di idolo per tutti, ma non ha fatto i conti con il fatto che non tutti hanno bisogno solo di medicine, ma anche di vere attenzioni e di essere ascoltati sul serio e non per ricavare profitto. L'incontro tra il preside e Charlie non può essere altro che conflittuale, con la madre un po' schizzata (Hope Davis, brava e bella attrice da ricordare a fianco di Nicholson in A proposito di Schmidt) che per via di problemi misteriosi con il marito è continuamente in terapia.
I soldi non fanno la felicità sembra dirci il film, in quanto questi sono l'ultimo dei problemi di Charlie e del preside, uno ne ha a bizzeffe e l'altro è benestante, dato che con essi non si compra altro che cose materiali ma non il vero rispetto e l'essenza dell'amore. Susan, la figlia del reggente della scuola, non si innamora di Charlie per la sua casa magnifica e la sua limousine, e così accade per i vari protagonisti che si trovano un pugno di mosche morali in ogni caso vadano gi affari.
In questa commedia non è presente il lato licenzioso sensuale che di solito esplode per attirare facili spettatori (limitato a una veloce corsa a seno nudo di due studentesse) ci si concentra piuttosto sui rapporti interpersonali e le difficoltà di emergere senza calpestare o far del male a nessuno.
Charlie non deve rubare o ricorrere a sotterfugi per avere quello che vuole, gli basta chiedere, ma essendo una persona ambiziosa e tenace (il suo sogno ricorrente è di essere acclamato come una rock star) ostenta voglia di uscire dalle righe e dalle regole per stupire gli altri. I suoi comportamenti però sono un arma a doppio taglio : agendo di massa nel consigliare e consegnare anfetamine, xanax e prozac (divertenti le sedute finte dallo psicanalista mimando i sintomi che gli altri gli hanno detto per avere le medicine giuste), si ritrova a dover gestire la pericolosa mina dell'abuso di stupefacenti, chiaro riferimento alla generazione chimico-dipendente nelle discoteche o nelle occasioni speciali non esita ad usarle in modo improprio in quanto sembrano essere l'unica vera arma per divertirsi appieno (gli applausi e le strette di mano nei corridoi dopo le feste di gruppo).
Amara considerazione sopratutto perchè l'intelligenza di Charlie viene buttata alle ortiche, dato che il ragazzo aveva mille altri modi validi per emergere (nella scuola ci sono gruppi di studio d'arte e una sala ricreazione per libera espressione trasformata in ritrovo per spacci).
Riprendendo un tema lanciato nell'album dei Pink Floyd The Wall che chiedeva ai professori di lasciare liberi i ragazzi ("Hey teacher, leave those kids alone!") si condanna l'uso di mezzi di controllo eccessivi come le videocamere anche in locali che servono unicamente per il ritrovo, non è certo con simili metodi repressivi che si può educare limitando sul nascere ogni tipo di iniziativa, buona o cattiva che sia, ma parlando e discutendo senza bisogno di nessun altro mezzo che non quello di capire esattamente quanto ci dicono i ragazzi.
Molto bello il ritratto amaro e senza troppe speranze del preside fornito dal bravo Downey Jr (attore alla ribalta per il film citato ma sicurmente non scoperto adesso), sempre insicuro, mai sorridente e sempre sul filo della lama, che trova solo vacua consolazione nella bottiglia e relax facendo girare senza senso in tondo una barchetta radio comandata (un po' l'emblema del suo operato).
Non si ride di gusto perchè il fondo è più agro che dolce, le battute sono calibrate come le situazioni mai sguaiate (e bastava davvero poco per caderci dentro visto il tema e lo sfondo) e le varie espressioni di un Anton Yelchin davvero in palla (i suoi monologhi sono ottimi) lo rendono credibile, con dei temi presenti e discussi e non solo martellati a forza tanto per metterli, vacua facciata in un mare di altro.
Uscirete dalla sala senza rimpianti, avrete visto uno spettacolo decente, costruito con serietà nella sua leggerezza per renderlo appetibile, e ben diverso dalle solite commedie scolastiche inutili riempite di nulla e silicone.
Charlie e i ragazzi si siedono sul water per parlare, ma i loro discorsi che per la prima volta esteriorizzano le parole che non dicono a nessuno non sono certo escrementi, dato che l'importante è ascoltare senza giudicare ("io non ti giudico" si sente dire la cheer leader dalle facili abitudiini sessuali).
In definitiva un film valido ed interessante che va oltre il semplice leggero intrattenimento di gruppo, che si segue con piacere e senza nessun problema dato che esteriorizza molto i vari concetti con immagini dirette senza mai criptarlo, agile lettura di un angolazione di problema adolescenziale senza spreco di stupidaggini, parolacce e abusi vari di icone. Difficile davvero vedere un film americano a tema scolastico non di Gus Van Sant dove si parla così tanto, probabilmente le ottime lezioni di Modysson e altri oltreoceano hanno lasciato qualche tiepido seme.
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The Hitcher
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Un film di Dave Meyers. Con Sean Bean, Sophia Bush, Zachary Knighton, Neal McDonough. Genere Horror, colore 84 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 30 maggio 2008]
Trama: John Ryder è un pazzo psicopatico che attende sulle strade incauti automobilisti per soddisfare la sua sete di sangue e violenza. Durante una sera di pioggia, due fidanzati, Grace e Jim, quasi lo investono.
Pieni di sensi di colpa per non essersi fermati subito, inconsapevoli di chi sia veramente, lo accolgono sull'auto successivamente in una stazione di servizio. Ma di lì a poco la vera natura del serial killer viene allo scoperto. E' l'inizio di un lungo interminabile incubo per la coppia di giovani, sopratutto perchè la polizia addebita a loro le vittime di Ryder ...
Commento: L'industria cinematografica americana di intrattenimento ormai non sa più dove pescare per sopperire alla cronica mancanza di idee e novità, in questo caso sono andati a riprendere un film del 1986 con Rutger Hauer nel ruolo del pazzo che tramite l'autostop adesca le sue vittime (da notare che il film ebbe anche un seguito visto da quasi nessuno). Anche stavolta gli sceneggiatori hanno dimostrato la loro genialità nella variazione base del film : il protagonista non è un ragazzo ma bensì la sua giovane fidanzata, Grace, una avvenente Sophia Bush (normalmente specializzata in serial televisivi) perennemente in minigonna e che dimostra maggiore forza e capacità reattiva del fidanzato Jim (un poco credibile Zachary Knighton, anche lui arriva dalla tv), che durante il film vediamo stralunato e dedito solo alla fuga senza mai reagire con il pazzo assassino alle costole.
La trama, per il resto, ricalca il film originale, Sean Bean (visto spesso in ruoli di cattivo) è impietosamente messo a confronto nel ricordo cinematografico con Rutger Hauer a fare il temibile autostoppista, John Ryder, che attende un passaggio per scatenare la sua ira omicida. In questo caso i due automobilisti, Jim e Grace, non hanno troppa voglia di entrare nel suo "wall of casualties" e gli danno filo da torcere, peccato che l'intento iniziale del killer poi si trasformi e diventi qualcosa d'altro, causando il fatto che ogni volta che la coppia sembra in salvo, si trova ad affrontare continuamente la minaccia. Una lepre dalle lunghe orecchie che mal gestisce la strada ci introduce alle atmosfere del film.
Il film è prodotto tra gli altri da Michael Bay, e la cosa si vede tutta in quanto i mezzi usati sia per gli inseguimenti che per le scene d'azione sono sicuramente adeguati, vedrete scontri rocamboleschi on the road, elicotteri e spari in corsa.
Dopo un inizio che poteva davvero sconfortare (musica allegra e scenette adolescenziali) parte praticamente subito l'azione e la fotografia inizia a oscurarsi e sporcarsi, i luoghi diventano desertici e poco rassicuranti nella loro solitudine (la coppia di fidanzatini sta andando da delle amiche di lei nel New Mexico) e il tasso di splatter si alza progressivamente (ci sono delle scene non propriamente per stomaci candidi) per diventare un autentico mattatoio durante i suoi 84 minuti, senza risparmiare nessuno, dove le fronti sono bersagli privilegiati.
Film di questo tipo fanno subito dubitare di poter essere retti senza cadere nella noia dato che sanno molto di deja vu e certe scene sono di una banalità disarmante (l'incontro con il commesso nella stazione di servizio e le fasi dei colloqui con la polizia), ma riconoscendo i limiti del film da subito (e l'assoluta disparità di confronto con l'originale), intelligentemente il regista Dave Meyers (autore sopratutto di videoclip) lascia perdere di intensificare le parti di approfondimento (presenti nel primo film con il dualismo vittima/carnefice) e si dedica soprattutto all’azione, dove una sorta di sadica gioia nel procurare morte, si trasforma in una ossessione di trasformazione (capirete vedendolo che significa) e la cosa permette di aumentare il tasso di adrenalina, arrivando a una sorpresa impensabile e a far si che tutti coloro che si trovano a contatto con i due fuggitivi si trovino in pericolo, allargando con il bacino delle vittime anche lo spettro d’azione dell’assassino e delle possibilità di sorpresa.
Non possiamo certo parlare di thriller on the road di qualità (come era l‘originale) dato che solo Bean è minimamente credibile, (il quarto protagonista è un poliziotto, interpretato da Neal McDonough, davvero poco caratterizzato) il finale è a dir poco terribile, ma il ritmo tenuto sempre alto, un sottofondo di assoluta inadeguata capacità da parte di tutti di fermare Ryder, non ultime delle belle scene sotto la pioggia, ce lo fanno gustare come un passabile divertimento di poche pretese che passa presto e neppure lascia troppo sporco il water dopo aver tirato lo sciacquone per liberare il cervello e dedicarci a film di ben altra importanza. In questo tipo di pellicole con protagonisti giovanili e che cercano di portare al cinema sopratutto i ragazzi, se ci pensiamo, la cosa non è davvero del tutto becera e disprezzabile, per chi interessa poi la produzione non dispensa di fare delle scene in cui la Bush si mostra in scena con accattivanti mutandine.
Dovremmo chiedere le tante citazioni del grande Alfred Hitchcock, campate assolutamente per aria nella trama, a cosa sono dovute (la doccia e il motel per Psyco e delle scene de Gli Uccelli che Grace vede in dvd), speriamo che il fantasioso produttore Michael Bay non dica che è dovuto al fatto che le lettere iniziali del titolo del film e del cognome del maestro collimano.
Qualcuno potrebbe anche vedere un po’ di Tarantino e Death Proof, negli scontri, con una bella automobile iniziale gioia dei collezionisti e attira donne definita “trappola per tope”, ma di sicuro sappiamo usciti dalla sala che abbiamo assistito a un film che se fosse finito cinque minuti prima sarebbe stato meglio (vedere per credere, e quella citazione da Se7en proprio non gira per nulla)
In definitiva un film limitato al momento della visione, che riprende un buon film degli anni 80, che però nonostante le premesse di poca fantasia riesce ad essere il minimo sindacale accattivante per le buone scene d’azione e d’inseguimento, possiede una valida dose di splatter e il respiro, per quanto minimo, del fascino “On the road“. Certo, se avete altro da fare vi consigliamo di non lasciare stare a cuor leggero l’altro impegno per onorare questo.
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Be Kind Rewind - Gli acchiappafilm
(Be Kind Rewind)
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Un film di Michel Gondry. Con Jack Black, Mos Def, Danny Glover, Mia Farrow, Melonie Diaz, Irv Gooch, Chandler Parker. Genere Commedia, colore 98 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Bim - [Uscita nelle sale venerdì 23 maggio 2008]
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Trama: Jerry è un meccanico un po' stordito che abita in un camper, che ha una terribile ossessione : essere colto da ipotetiche, a parer suo, radiazioni che provengono dalla vicina centrale elettrica. Una sera, accompagnato dall'amico Mike, si reca per sabotare l'impianto. Ma invece per la sua dabbenaggeni viene impregnato di campi magnetici, e quando si reca al negozio di videonoleggio questo suo status smagnetizza tutte le videocassette dell'amico. Per salvare il salvabile, i due decidono di fare degli short film artigianali dei grandi film del cinema per poi noleggiarli. L'idea piace, ma purtroppo ci sono anche altri problemi da risolvere come quello di dover mettere a norma l'antico negozio di vhs ...
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Commento: A Gondry (l'autore dell'Arte del sogno e Se mi lasci ti cancello) la fantasia non manca di sicuro. Pieno di nostalgia per le care vecchie videocassette (primo vero mezzo su larga scala di poter possedere e non solo vedere un lavoro cinematografico che si è amato, concetto basilare per gli appassionati) e con tanta voglia di omaggiare e citare pellicole del passato in una ottica povera ma esilarante (partendo dalla rivisitazione di Ghostbusters, tra l'altro, nel corpus principale e non nel remake, è presente un cammeo di Sigourney Weaver), si è messo dietro la macchina da presa e ha diretto questo divertente film, a metà strada tra le modalità di filmare tipiche di Ed Wood ("Buona la prima!Qualunque sia") e quelle dei suoi film precedenti (sopratutto l'Arte del sogno) che utilizzavano per gli effetti solo materiale di uso comune senza particolare massiccio utilizzo di sistemi tecnologici (morirete dal ridere nel vedere l'urina magnetica).
La trama : Jerry (Jack Black, come sempre simpaticissimo nella sua interpretazione tutta mossette) è un meccanico, Mike (Mos Def, ha recitato anche per Spike Lee) gestisce insieme al signor Fletcher (Danny Glover, indimenticabile in coppia con Mel Gibson negli Arma letale, strano che nel film non ci sia stata citazione tra i tanti anche per loro, almeno noi non l'abbiamo colta) un vecchio negozio di noleggio home video, ancorato fermamente al sistema delle vhs e per nulla intenzionato a cambiare formato.
Fletcher un giorno, oppresso dai debiti che il negozio accumula e dalla minaccia di demolizione in quanto da tempo l'esercizio non è più a norma, si reca a visitare una grande catena di videonoleggio per vedere le nuove tecnologie e i sistemi di marketing odierni, avvertendo, senza essere capito da Mike (davvero esilarante la scena) di tenere ben lontano Jerry dal negozio perchè non faccia disastri. Disastri che arrivano presto, in quanto Jerry, ossessionato dall'idea che la centrale elettrica provochi pericolose radiazioni, cerca di sabotarla, ma facendolo maldestramente diventa una sorta di uomo magnetico. Stordito e stralunato giunge in negozio, provocando la smagnetizzazione di tutte le videocassette presenti. Un autentico disastro, al quale i due cercano di rimediare girando degli short filmini amatoriali ("Maroccando", con fantsia puerile, in italiano, sweded in lingua madre), versioni remake povere e alternative spacciandole inizialmente come se fossero il film vero alla vicina di casa, che noleggia abitualmente incaricata da Fletcher di vegliare sul negozio (una candida e ingenua Mia Farrow, con lo sguardo sempre perso in una sorta di incanto dei tempi passati e delle cose semplici). Poi la cosa funziona, piace, e allora girano su richiesta altre pellicole. Ma i soldi da trovare sono davvero tanti.
Per un appassionato di cinema è davvero uno spasso vedere la riedizione di Ghostbusters (il primo capitolo ovviamente, non il vacuo secondo lavoro) con i due protagonisti (Jack Black è a dir poco grandioso) che girano le scene alla loro maniera, dove la folla che urla è una fotografia, il gigantesco pupazzo dei fiocchi di cereali si incendia in mezzo a scatole di cartone con disegnate le finestre, la macchina ha il famoso emblema del fantasma che stinge, oppure di vedere Robocop con una armatura artigianale fatta di scarti di carrozzeria, poi gli omaggi si moltiplicano all'infinito per cui è impossibile ricordarli tutti (2001, King Kong tra gli altri) e quello più corposo su Rush Hour 2.
La gente comune fa da protagonista e comparsa per cui adora rivedersi facendo lievitare il numero dei noleggi, d'altronde è inevitabile che sia così, pensate solo a chi magari si sorbisce un filmino ben meno divertente di questi per poter magari riprendere nel ricordo una fugace apparizione, permettendo a Gondry di mostrare come i vecchi esercizi amatoriali, densi di grande umanità, vadano difesi ad oltranza di fronte alle impersonali catene di noleggio e vendita che non ti permettono di restare al loro interno se non per il tempo necessario di scegliere e poi di uscire.
Un po' anche spruzzata di Frank Capra style, l'operazione nostalgia ha al suo interno uno short completamente nuovo e non solo i remake, una sorta di biopic dedicato al jazzista Fats Waller (definito così per la sua mole, morto neppure quarantenne per via della sua estrema passione per le bevande a base di alcool) a cui il gestore del negozio è accanitamente devoto (è presente anche un grande graffito dedica all'artista sotto un ponte), dove un ventilatore fa vecchia la pellicola e il treno dei desideri e dei ricordi percorre la città, dei petardi sono le pallottole dei gangsters. Molto bella la scena dei tromboni multipli con quella composizione musical, fate attenzione perchè per vederla completamente realizzata dovete seguire anche i titoli di coda.
Buoni sentimenti, personaggi simpatici e genuina costruzione dell'immagine, un mix che non può non far sorridere ogni spettatore e far passare un sereno divertimento, purtroppo breve e limitato in quanto il film non dura moltissimo (98 minuti) ma intelligente, nostalgico e omaggiante senza essere per nulla pedante.
In definitiva un film simpatico, nostalgico, con personaggi candidi e sorretto da due buoni protagonisti che utilizza mezzi fondamentalmente poveri per visualizzare la riproposizione umoristica di grandi classici. Fondamentalmente se siete contro i buoni sentimenti probabilmente non vi piacerà moltissimo, ma lasciatevi incantare dalla sua genuinità perchè sorridere con gioia di questi tempi non è davvero semplice, e questo film lo concede senza minimamente ingannarci. E vi verrà una gran voglia di riprendere la vostra magari impolverata videocamera che l'età che è passata per filmare con l'ottica del fanciullo ha fermato in uno sgabuzzino, e di rimettere in moto il vostro consunto videolettore vhs.
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Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo
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(Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull)
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Un film di Steven Spielberg. Con Harrison Ford, Karen Allen, Cate Blanchett, Shia LaBeouf, John Hurt, Ray Winstone, Jim Broadbent. Genere Avventura, colore 125 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Universal Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 23 maggio 2008]
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Trama: 1957, Stati Uniti, aerea esperimenti militari, deserto sud ovest. Una divisione militare del Kgb , comandata dall’affascinante Irina Spalko, è sulle tracce di un misterioso artefatto che raffigura un teschio fatto da una sostanza misteriosa che sembra di cristallo.
Il teschio pare abbia un potere incommensurabile, anche se il suo scopritore, il professor Oxley, l’unico che sa dove era stato trovato, è ridotto alla pazzia e non è molto d’aiuto. Dopo un incontro non proprio amichevole con Irina e le sue truppe, il dottor Jones detto Indiana, affascinato dalla storia di questo tesoro nascosto, è pronto a ripartire per una delle sue avventure da risolvere a colpi di frusta e cervello, aiutato da un compagno di viaggio davvero singolare …
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Commento: Il vero nome dell’avventura, da sempre, si chiama Indiana Jones. Lo sanno bene gli ultraquarantenni e oltre che nel 1981 assistettero al cinema a quel film unico e fondante che non prendeva nel titolo (unico della trilogia) il nome del suo protagonista : I predatori dell’arca perduta. Assistere a quella rocambolesca sequela di situazioni uniche (tra le altre la corsa con le corde sotto il camion e quella dello sparo contro il giannizzero armato di sciabola, entrarono nell’olimpo del mito) fu una specie di incanto che anche a distanza di 27 anni non si perde mai, mentre i suoi seguiti, pur splendidi di base, non raggiunsero i vertici di perfezione del capostipite (per quei quattro lettori vissuti ultimamente su Marte ricordiamo i titoli, Indiana Jones e il tempio maledetto e Indiana Jones e l’ultima crociata, in questo presente Sean Connery nella parte del padre del dottor Jones).
Oggi, finalmente, a distanza di quasi venti anni, possiamo smettere di consumare le polverose vhs, oppure i dvd della trilogia, e goderci questo nuovo coloratissimo attesissimo quarto capitolo delle avventure dell’archeologo più famoso del cinema.
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Ovviamente, anche stavolta, al centro del tutto un tesoro che cela un mistero : siamo nel 1957, America, i russi, capitanati dalla affascinante Irina Spalko (una splendida Cate Blanchett, spadaccina e in versione caschetto nero deliziosa e perfetta, non nel doppiaggio italiano che risulta un po’ fuori luogo con la solita parlata russa tipica dell‘iconografia sovietica della guerra fredda) cercano di rubare un misterioso manufatto a forma di teschio, fatto di cristallo, dal deposito supersegreto (ma davvero male difeso) degli americani (il magazzino che si vede alla fine del primo film, gustosissima la scena della cassa che si spacca mostrando l’arca perduta che viene non notata da tutti come se fosse una cosetta da nulla).
Dopo una esplosione nucleare inopinata con il dottor Jones che si salva a malapena (vedere per credere come!) comincia un lungo inseguimento in Amazzonia e America latina per conquistare l’artefatto e capire a cosa serve esattamente. L’affascinante Irina è una tosta e la lotta per vincere durissima. Per cercare di portare a casa la nuova avventura, Jones avrà bisogno dell’aiuto di un giovane rampante in giubbotto nero e di una vecchia tenera amicizia.
La premiata ditta Spielberg e Lucas non tralascia proprio nulla per divertirsi in questo ottimo quarto chapter di Indiana Jones : umorismo (anche nelle sabbie mobili la battuta è presente), azione sfrenata nella natura ostile (le scene di inseguimento nella foresta sono strepitose), enigmi più o meno affascinanti (le solite chiavi anomale che possono aprire porte ma anche dare il via a terribili trappole) e una grandeur di mezzi senza precedenti, arrivando a ricostruire una città fasulla e fantasma che viene utilizzata per testare esperimenti atomici, formiche fameliche, mezzi anomali (pure un razzo ad alta velocità) cascate strepitose e strutture grandiose che si aprono e si chiudono in maniera macchiavellica ma affascinanti per il movimento che compiono durante la loro trasformazione da chiuse in aperte. Il tutto, sottolineato dalle musiche immortali di John Williams che non perdono il minimo smalto del tempo durante lo svolgimento dell’azione pura.
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Il difetto, se difetto può essere, è che succedono cose davvero irreali e senza il limite logico del fisico (prime fra tutti la scena del frigorifero, ma anche l‘omaggio a Tarzan e la lotta spadaccina sulle jeep), ma il tutto è talmente affascinante che prendiamo tutto per buono senza problemi e pensiamo solo ad appassionarci all’incalzare dell’avventura.
In una scena abbiamo nel campus una manifestazione anti-soviet con un cartello emblematico del clima di quegli anni, “Meglio morti che sovietici”, simbolo di quanto Spielberg voglia farci sentire dentro all’epoca del racconto. E in questa ottica ecco arrivare una megacitazione a Il selvaggio con Marlon Brando (moto in stile e giubbotto nero di pelle per Shia LaBeouf, reduce dai Transformers prodotti da Spielberg, davvero bravo e senza nessun timore reverenziale di fronte all’inossidabile Harrison Ford che alla sua età si lancia come un ragazzino dentro al pericolo, anche se la serpento fobia al suo personaggio non gli è ancora passata), una citazione agli Happy Days e a Ritorno al futuro con una movimentata scena nel bar.
Spielberg si sa che, insieme a Lucas, quando riprende film di questo genere è come un ragazzino nel paese dei balocchi che non ha freno, e non ha nessun timore a lasciarsi guidare dalla frenesia di fare il tutto tralasciando i dettagli (in una scena vi domanderete “Ma come ci sono arrivati lassù in così poco tempo?”, ci sono arrivati e basta, deve proseguire l’avventura e non ho tempo per gli appesantimenti temporali, sembra rispondervi una vocina da fuori schermo) volendo girare la giostra alla massima velocità, e dato che i suoi numeri registici sono prelibati e di qualità (ci sono dei movimenti di camere e delle riprese incredibili), i 125 minuti del film scorrono come se nulla fosse, e vorremmo avere la quinta avventura già pronta da vedere. Abbiamo praticamente aspettato 20 anni per questa, speriamo che non dovremo attendere altrettanti per quella nuova.
Il cast (con un simpatico omaggio fotografico a Sean Connery che qui non poteva esserci, l‘età ormai è davvero troppa) è a dir poco perfetto, partendo da Harrison Ford, al gradito ritorno di Karen Allen nella parte di Marion (ricordate la sfida a base di alcolici del primo film?), a John Hurt nel ruolo del professore impazzito che ha trovato per primo il teschio, a Shia LaBeouf perfetta new entry dal pettine sempre presente (il richiamo a Grease è d’obbligo in questo).
Ma sopra a tutti sta Cate Blanchett, nel ruolo della determinata e cattivissima spadaccina russa, dotata di poteri paranormali che nel film praticamente non usa (chi scrive pensava che usasse questi per fermare la formichina birichina) affascinante, atletica e decisa a portare avanti la scoperta conquistandola lei a tutti i costi. Un ritratto coinvolto e coinvolgente di un grande avversario per Indy.
Il film per chi non ha visto gli altri è fruibile senza problemi, basta mettersi in poltrona e divertirsi, il fatto di perdere alcune citazioni più o meno evidenti non è assolutamente un problema per capire la storia assolutamente slegata dagli altri capitoli (sappiate che il cappello Indiana non lo perde mai, in uno dei capitoli precedenti ci fu una battuta su questo, come se fosse incollato alla testa e quando gli cade lo riprende in qualunque situazione sia, tra l‘altro proprio il cappello annuncia l‘ingresso di Harrison Ford e chiude il film).
In definitiva un film affascinante per le sue connotazioni del mistero (vedrete anche le famose linee di Nazca, che si vedono solo dal cielo tanto sono grandi), divertentissimo, movimentato e altisonante nelle situazioni, che non delude minimamente e riprende senza stancare un personaggio immortale, autentica icona dell’avventura che non teme il passare degli anni, per molti un vecchio amico ritrovato che si pensava ormai perduto, a cui intelligentemente si sono affiancati dei personaggi validi e ben caratterizzati da chi li interpreta.
E'solo un grande intrattenimento, ma che vorremmo non finisse mai unendo stupore a ironia, che non vorremmo finisse mai, perdonandogli tutto. Bentornato Indy, quanto cazzo ci sei mancato!
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Reservation Road
Un film di Terry George. Con Joaquin Phoenix, Elle Fanning, Jennifer Connelly, Sean Curley, Samuel Ryan Finn, Eddie Alderson, Mark Ruffalo. Genere Drammatico, colore 102 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione C.D.I. - [Uscita nelle sale venerdì 23 maggio 2008]
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Trama: Due uomini, due storie, un unico tragico destino. Ethan Learner è l'amorevole padre di due bambini, un maschio, Josh, e una femmina, Emma, felicemente sposato con una bella moglie. Dwight Arno invece ha la vita a pezzi, è divorziato senza speranza di riappacificazione (la moglie vive già con un altro uomo) e vede il figlio Lucas, appassionato di baseball e tifoso dei Red Sox, solo nei giorni assegnati dal tribunale.
Una sera, preoccupato di fare tardi nel riportare il figlio, Dwight compie un terribile anche se involontario errore di guida : investe in un aerea di servizio Josh, uscito dalla macchina per liberare delle lucciole, e lo uccide. Terrorizzato fugge senza fermarsi. Ethan a quel punto vede la sua vita infranta e giura vendetta verso chi gli ha tolto una delle sue ragioni di vita. Ma anche la vita di Dwight eroso dal rimorso non è certo migliore. Giungerà prima il castigo privato o la giustizia?
Commento: Era tanto che non si vedeva un film sulla famiglia infranta per via di una perdita più o meno grave. Negli anni ottanta, complice film di culto come L'albero del male di Friedkin, lo stesso dell'Esorcista, il filone familiare con una minaccia all'interno del nucleo o un torto da riparare era florido (uno dei meglio riusciti fu Le mani sulla culla), la gente li guardava perchè erano ambiti vicini a loro, sentimentalmente se ne sentiva coinvolta. Le situazioni, gli oggetti e le persone erano vere, le paure riconosciute come possibili in ogni vita e non solo sullo schermo. Poi questi tipi di prodotti finirono sulla molto più vacua televisione in fiction che li snaturò in varia maniera producendo purtroppo solo intrattenimenti di poco conto, e il pubblico che voleva uscire dalle paure quotidiane e dal comune (forse ne vedeva già troppe di cose simili nella realtà) li snobbò decretando la fine di un sottogenere (il thriller familiare) mai veramente riconosciuto.
Questo Reservation Road (che indica la strada "prenotata" dal destino, in questo caso crudele) fa parte di questo filone familiare, che ha pochi protagonisti di norma in quanto tutto si svolge in zone ristrette e chiuse di una periferia in cui tutti si conoscono, i figuranti soffrono all'interno di mura che sono come prigioni perchè non trovano sfogo alle loro ansie. Pochi protagonisti magari, ma in questo caso davvero attori di buon livello.
Ethan (interpretato da Joaquin Phoenix, in versione barbuta e colta) è il professore buono e comprensivo, che ha costruito una famglia perfetta, sposato con la bella Grace (Jennifer Connelly, divenuta famosa come ragazza che comandava gli insetti in Phenomena di Argento) e padre di due figli perfetti, Josh ed Emma.
Dwight (Mark Ruffalo, lo avete visto anche in Zodiac) invece è un avvocato, ha una vita difficile perchè con un divorzio alle spalle non riesce a convivere a dovere con il figlio Lucas che vede solo nei fine settimana stabiliti. Una sera Lucas e Dwight fanno tardi alla partita di baseball della squadra di cui sono tifosi, i Red Sox, e per uan disattenzione di Dwight succede un terribile incidente : viene travolto e ucciso sul colpo Josh, il figlio di Ethan.
Dwight non si ferma perchè è terrorizzato dalle conseguenze del suo gesto, fugge via lasciando Ethan e Grace nella disperazione. Ma se Grace vuole provare a ricominciare dopo la tragedia, il marito è pervaso da una terribile sete di vendetta, che si acuisce quando la polizia brancola nel buio nel trovare il colpevole.
E le cose non vanno meglio neppure per Dwight, pervaso da terribili sensi di colpa che non lo lasciano stare. Poi a complicare le cose il fatto che il destino incrocia le vite e gli accadimenti quotidiani in maniera inaspettata.
Un film attualissimo ovviamente, con un tema scottante : come punire, sempre che lo si trovi, un pirata della strada? A quanto pare la soluzione sembra arrivare direttamente dall'interno di chi ha compiuto l'atto, la vera punizione sta nel terribile senso di colpa che pervade a posteriori, che ci punisce peggio di una prigione o di un tribunale. Dove la colpa è sempiterna e non solo limitata nel numero degli anni comminati a giudizio.
Purtroppo il film, oltre a mostrarci l'impotenza della polizia di fronte a queste cose e alla voglia di farsi giustizia da soli, è miope nel disegnare il tipo di pirata della strada, lo sceglie confortevole per la sua sceneggiatura in quanto Dwight è un uomo buono e non stava correndo ubriaco in auto, ha commesso unaterribile leggerezza e poi è fuggito per paura.
Ben diversa sarebbe stata la profondità di narrazione se al suo posto ci fosse stato un personaggio visibilmete negativo, un tossico oppure un malavitoso che fuggiva dalla polizia.
In uno dei più amari film italiani, Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, con una vicenda lontana ma parametralmente simile a questa, vediamo consumarsi una vendetta che riteniamo giusta e consapevole, siamo totalmente dalla parte del padre tanto ingiustamente colpito, vediamo e scopriamo l'eruttare del dolore, qua sembra di doverci arroccare sulla difensiva, cerchiamo in un certo senso di capire come un atto tanto spregevole e vigliacco abbia delle giustificazioni reali dato che è stato fatto in maniera inconsapevole da un uomo non disprezzabile.
Quando si guida abbiamo in mano una potenziale arma di morte, quello fatto da Dwight è solo un colpo di pistola partito per caso dopo aver tolto la sicura, doppiamente colpevole in quanto normale persona e con il figlio sull'auto. In questa sorta di accondiscendenza il film ci tradisce, ci sconsola e si perde di profondità, relega le sensazioni a uno scavo psicologico inconsistente, ci mostra il dolore sui forum dei genitori con figli morti per "Hit and run".
Alla fine una scelta di sceneggiatura (il film si basa su una novella di John Burnham Schwartz) abbastanza banale condanna il film verso la mediocrità, dopo che per tutta la sua durata comunque ci ha interessati per il tema e abbiamo vissuto il dramma esistenziale opposto di chi ora ha un terribile vuoto nella vita e di chi lo ha provocato.
Il film si muove senza particolare frenesia, tutto è molto lento, come molto pacate sono le reazioni dei due genitori orfani del figlio (che era anche un bravo musicista, un ottimo scolaro e perfettamente a suo agio in famiglia) che contengono dentro di essi il dolore, non succede moltissimo e le intersezioni della sorpresa abbastanza prevedibili.
Bisogna pensare a quanto il regista Terry George (sceneggiatore di pellicole come "In nome del padre" e "The Boxeur" e autore del drammatico Hotel Rwanda) abbia voluto fare un film di denuncia per portare alla ribalta lo spinoso problema in una versione bifacciale, oppure doveva anche darci una pellicola valida da seguire come film vero e proprio e con un certo pathos di fondo. Se l'obbiettivo era il primo, operazione riuscita, anche per la buona prova di Phoenix, anonimi Ruffalo e la Connelly, per il secondo invece siamo molto lontani e parte del pubblico rimarrà delusa pensando che in fondo una simile vicenda poteva anche essere relegata a una fiction televisiva (e di fatto avrebbe avuto più spettatori).
In definitiva un film che elabora un tema assai spinoso in maniera erronea per essere sia denunciante che interessante, avrebbe dovuto diversificare meglio le situazioni e non limitarsi a intersecare in maniera vacua e prevedibile situazioni di contiguità familiare nella sua prosecuzione dopo la buona scena del fatto portante.
Un film che comunque ci fa pensare che abbiamo mentre siamo al volante, non solo la responsabilità sui passeggeri e su di noi, ma anche per tutti gli altri, anche se estranei, sono sulla strada. E non è certo un merito da poco.
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Sangue Pazzo
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Regia: Marco Tullio Giordana
Cast: Monica Bellucci, Alessio Boni, Luca Zingaretti, Tresy Taddei, Maurizio Donadoni
Anno di produzione: 2008
Durata: 150'
Tipologia: lungometraggio
Genere: drammatico/storico
Paese: Italia/Francia
Produzione: BI. BI. Film, Paradis Film, Orly Films; in collaborazione con Rai Cinema, Canal +
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Trama: 20 aprile 1945, 5 giorni prima della liberazione. Osvaldo Valenti, cocainomane attore di grande fama, e Luisa Ferida, anche lei attrice e sua amante senza particolari freni inibitori sessuali, vengono presi in ostaggio dai partigiani che li accusano di collaborazionismo con i fascisti e ne devono decidere le sorti. Inizia un lungo ricordo che ci mostra come i due divi dello schermo italiano siano arrivati a tale punto partendo dalla Roma del 1936 e gli anni del loro splendore sul grande schermo, quando recitavano davanti a folle ammirate e vivevano nella ricchezza.
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Commento: Durata extralarge per questo lavoro del bravo Marco Tullio Giordana, 150 minuti, mai comunque lungo quanto la sua opera più prestigiosa, La meglio gioventù (divisa in due parti al cinema in quanto dura quasi sei ore). Due ore e trenta minuti per raccontarci la storia di due amanti del periodo fascista, due famosi attori dell'era cosidetta dei "Telefoni bianchi", partendo dall'inizio in un lungo flash back e riavvolgendo la pellicola fino a ricongiungersi nella parte finale del film con la pizza completamente sistemata e pronta per una nuova proiezione (la stupenda sequenza iniziale e finale per le strade martoriate di una Milano post bellica con i due ragazzini indica proprio questo). Luisa Ferida (vero nome Luigia Manfrini Farnè) e Osvaldo Valenti furono tacciati dai partigiani di collaborazionismo fascista, dato che il loro cinema venne sostenuto dal partito di Mussolini e per vari motivi si trovarono sulla scena a contatto con degli esponenti a cui diedero il loro appoggio, senza mai però intervenire direttamente a colpire nessuna vita umana. Il 30 aprile 1945 ci fù un processo sommario a Milano che li giudicò.
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Non possiamo dirvi come andò (la fine se volete anticiparla la trovate cliccando in un sito di storia, Giordana è stato quanto mai rigoroso nel non stravolgerla) per non togliervi la sorpresa dato che il film non rivela subito la cosa. Il vero motivo della collaborazione ai fascisti (divenuta maggiormente presente dopo l'armistizio del 1943) stava nel fatto che Valenti era un cocainomane allo stato ormai irreversibile (in una scena del film intuirete che la Ferida sta praticandogli la masturbazione per lenirgli gli spasmi d'astinenza) e aveva bisogno continuamente di dosi, ormai introvabili in clima di guerra e reperibili solo conoscendo un crudele torturatore di partigiani come fu Koch, che operava in un ospedale dai dubbi intenti.
L'alleanza con il vero criminale era comunque limitata a una curiosità di filmare le vittime e una specie di soddisfazione nel fatto che ci fosse una donna che in tutto e per tutto era la controfigura di Luisa. Se Valenti era un drogato, la Ferida era una dissoluta che non esitava ad usare il sesso per i propri intenti, arrivando addirittura, per quei tempi, a sublimare la trasgressione con una storia lesbica. I due erano due famosi attori, cresciuta lei alla corte di Blasetti che la lanciò nel film Un'avventura di Salvator Rosa,dove tra l'altro incontrò il Valenti. Dovendo cercare in qualche modo di recitare e produrre film nel periodo bellico, dovettero andare al cinevillaggio di Venezia (come si vede nel film lei vinse anche un premio al Lido, che Osvaldo usa per tagliare la coca) gestito dai fascisti, per cui in sede di giudizio partigiano si attirarono ancora di più i sospetti. Valenti arrivò anche ad entrare nella X-mas divisione nel ruolo di un controllore di zona per salvaguardare se stesso e l'amante.
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Questa la storia, che il film di Giordana non varia nei suoi punti cardine. In più, a questa bella cronaca asciutta e composta, viene aggiunta solo una storia d'amore secondaria tra la Ferida e Golfiero (Alessio Boni), un regista indipendente che avversa il regime ed è costretto a scappare, dei figli che si perdono nella trama (uno è in gestione già avanzata nel giorno dell'annuncio, trionfale, della guerra, ma poi non ne viene più data menzione) ma il quadro d'insieme è perfettamente descritto con intento cronachistico preciso.
Il regista gioca d'iconografia quando ci fa vedere il vero contenuto delle pizze cinematografiche che i due amanti difendono strenuamente, cose che con l'amore per il cinema davvero contano nulla, tale e quale il destino della povera Irene (Tresy Taddei) con le perle che le sono state donate quasi che una maledizione possa cogliere chi distorce l'arte per il guadagno.
Bella anche la scena della scritta che scorre inneggiante al regime, una carrellata alfabetica in una città desolata e in rovina che dimostra, insieme ai cinegiornali deliberatamente trionfatori in un momento tutt'altro che sotto controllo, che alla fine dietro le grandi opere innegabilmente costruite c'è comunque una mano che non permette la voce contraria che si erge ad opposizione (la figura di Golfiero sintetizza proprio questo).
I due attori sono diametralmente valutabili nella recitazione : Zingaretti è coinvolto e istrione, riesce a fare la parte del guascone sempre pronto allo scherno in maniera perfetta, la Bellucci tanto per cambiare fa la donna che non ha molti freni sessuali (non la prostituta vera e propria come al solito), utilizza bene il suo corpo nel mostrarlo ma ancora una volta la sua capacità attoriale è veramente disarmante. Giordana ha pensato a lei per incarnare facilmente il personaggio ma non al fatto che avrebbe dovuto anche inscenarlo bene.
Indipentemente da questo fatto ampiamente prevedibile, il film si può consigliare tranquillamente per una visione interessante e valida, ideale per cineforum, per conoscere la storia di due persone nel loro tempo famose che devono giocare con il fuoco non per ideologia ("Osvaldo, tu non ne sai nulla di politica!") ma per colpa dei loro vizi.
Il periodo storico viene meglio focalizzato con degli inserti di repertorio in bianco e nero, e lo sfondo, senza perdere di vista la storia personale, è ben costruito.
In definitiva un buon film che degnamente rappresenta un periodo storico attraverso al storia di due persone, che non pesa nonostante la durata e che può fornire spunti di riflessione ben circostanziati.
Cinematograficamente strepitosa, come detto, l'apertura e la chiusura del film.
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La setta delle tenebre
(Rise)
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Un film di Sebastian Gutierrez. Con Lucy Liu, Michael Chiklis, Carla Gugino, James D'Arcy, Samaire Armstrong, Paul Cassell, Robert Forster, Zach Gilford, Margo Harshman, Marilyn Manson. Genere Horror, colore 94 minuti. - Produzione USA, Nuova Zelanda 2007. - Distribuzione Eagle Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 23 maggio 2008]
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Trama: Sadie, una giornalista, si rende conto che dietro un gruppo dark c'è ben altro che un indirizzo tematico di vita, e incomincia ad indagare. La serie di atroci delitti, i corpi orribilmente straziati, indicano che i riti che compiono sono una terribile maledizione atavica alla quale Sadie stessa non riesce a rimanere estranea e ne viene pienamente coinvolta.
A quel punto la coraggiosa reporter deve decidere se porre fine a questa scia di orrore oppure saltare dall'altra parte della barricata. In ogni caso, il sangue dovrà scorrere ...
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Commento: Sta diventando davvero una pessima abitudine senza quella di voler introdurre a tutti i costi una attrice bella e famosa (magari con qualche piccola scena un po' osè) in film horror di valore praticamente nullo, che molte volte sono remake (il caso più vicino è quello di The Eye con Jessica Alba, ma anche stimate attrici come Hilary Swank ci caddero dentro malamente) buoni solo per teen ager di facile accondiscendenza e scarse voglie di provare veri brividi ma solo magari di portare l'amica al cinema sperando in qualche abbraccio dovuto alle scene pathos. In questo scarsissimo La setta delle tenebre (in originale Rise, cioè alzarsi, indicando la rinascita della protagonista per i motivi che leggerete dopo) si narrano le gesta di una giornalista che per nulla convinta della genuinità di un gruppo dark scoperto su internet, inizia delle indagini private che la portano a conoscere la vera motivazione dei terribili omicidi. Dietro al paravento abbiamo una sorta di vampiri anomali (la luce del giorno infastidisce ma non li polverizza), che la trasformano anch'essa in una creatura dannata e maledetta.
Ma il loro piano non funziona : risvegliatasi all'obitorio Sadie (Lucy Liu, la sua migliore interpetazione è stata sicuramente quella della capo Yakuza O-ren in Kill Bill di Tarantino, piccola presenza anche per una altra icona Quentiniana, Robert Foster il co-protagonista di Jackie Brown) diventa una di loro ma rimane schierata dall'altra parte della barricata, e medita vendetta aiutata da un alchimista che le confeziona una mini-balestra e delle frecce ad hoc per uccidere la schiera dei maledetti. Ma Sadie deve affrontare un altro problema : il nutrimento, che anche se è una vampira cosidetta buona, qualcosa deve mangiare e non può farlo solo con i nemici.
Un film che cerca di mischiare azione e orrore, con un pizzico di peccaminoso (ogni volta che Eve, una delle vampire della setta interpretata dalla avvenente Carla Gugino ormai lontana dagli stereotipi della mamma degli Spy kids, circuisce le vittime lo fa ammiccando sessualmente e quasi tutti i pasti vampirico/cannibali poi sono sul letto) ma che di fatto esaurisce la sua carica emotiva nella prima scena lesbo saffica e poi prosegue blandamente con un lungo flash-back senza fascino e con situazioni abusate (anche quella Halloween style della ragazza che si rifugia in un armadio da cui filtra la luce). Lucy Liu ce la mette tutta per reggere il personaggio, anche con delle scene in cui si propone in casti nude look, ma la sceneggiatura è davvero la fiera delle banalità. Già la cosa così come è messa sembra la versione povera e femminile di Blade, poi se mettiamo un servo thailandese o giù di lì, dei vampiri anomali belli ed affascinanti vestiti Gucci o Armani che vivono in ville gigantesche, un granitico commissario (interpretato da Michael Chiklis, lo stesso che fa la Cosa nei Fantastici 4 ed è il protagonista della serie The Shield) con alle spalle un grande dolore da vendicare, capiamo che in fondo il prodotto rimane nella norma delle pellicole abuliche di idee e che pensa che qualche piccola variazione sul tema, qualche bella ragazza e un po'di sangue sparso, possa soddisfare la platea con poco sforzo e chiudere il tutto.
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Sebastian Gutierrez, sceneggiatore di Gothika e Snakes on a Plane, non fa il minimo sforzo per dare qualche inquadratura interessante, qualche volo di fantasia nelle riprese, e rimane tanto scolastico ed accademico nel mostrare, che anche i meccanismi della paura pura che antecedono il fatto shock (presa, fuga, morte) sono banalissimi lasciandoci totalmente indifferenti e privi di brividi, penalizzati da una fotografia che non accentua il senso di scuro e maligno a dovere, limitandosi solo a virare leggermente verso il blu/azzurro secondo lo stile introdotto da Saw (che lo fece verso il verde).
La trovata della mini balestra non è sicuramente il massimo, sembra quasi che per allinearsi alla moda con cui sono vestiti i protagonisti si debba fare un'arma che stia nella pochette abbinata della signora, dato che poi viene usata senza che debba essere nascosta.
Gli effetti sanguinolenti sono in fondo nella norma, anche se per gli appassionati del genere sono solo piccoli stuzzichini in un mare di altro. Apparizione dell'icona Dark Marilyn Manson in una breve scena.
In definitiva un film morto nel suo nascere, poco coinvolgente e limitatamente splatter, che utilizza una attrice famosa solo per riempire con un nome altisonante il cartellone senza badare altro che a correre verso il finale nella maniera più facile possibile : un po' di sesso, qualche spruzzo di sangue, dei bei vestiti, una arma non convenzionale e tanta speranza di avere un pubblico di poche pretese che abbocchi per l'ennesima volta all'amo. Da film simili ormai non conviene apsettarsi nulla, fortunatamente finiranno anche le star che vorranno interpretarlo sperando che qualcuna, magari a corto di scritture, non voglia ricaderci.
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Il Divo
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Un film di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Giulio Bosetti, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Giorgio Colangeli, Piera Degli Esposti, Alberto Cracco, Lorenzo Gioielli, Paolo Graziosi, Gianfelice Imparato, Massimo Popolizio, Aldo Ralli, Giovanni Vettorazzo. Genere Drammatico, colore 110 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione Lucky Red
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Trama: Una interpretazione feroce ed amara della vita di Giulio Andreotti, uomo politico oggi quasi novantenne, sette volte presidente del consiglio e che ha subito pesanti accuse di collusione con la mafia. Alla fine dei vari processi venne assolto dalle accuse. Fu chiamato in molti modi, uno di questi fu Divo Giulio, richiamando con esso la sua importanza nella scena politica italiana e il suo essere sempre al centro dell'attenzione durante la sua carriera, dove divenne famoso anche per le sue frasi taglienti ed ironiche.
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Commento: Film vincitore del Premio Speciale della Giuria al festival di Cannes. Finalmente arriva sui nostri grandi schermi (su quelli piccoli si spera arrivi a tempo debito) l'ultimo attesissimo film di Paolo Sorrentino, l'autore di ottimi film come Le conseguenze dell'amore e L'amico di famiglia con il suo attore feticcio Toni Servillo, strepitoso nel dare volto a un ritratto lucido, intenso e al tempo stesso amaro di un personaggio carismatico come Giulio Andreotti. Il film parte in maniera strepitosa, con un Andreotti che pratica
l'agopuntura per poter lenire i dolori da emicrania che tutti i pensieri e le preoccupazioni gli hanno procurato. Quasi a voler liberare ogni male raccontandolo, ecco che parte il film (con la stessa grafia dei titoli di Gomorra sia nell'apertura che nella chiusura, solo che nel film di Garrone è di colore rosa e in questo rossa) che ci narra di come il Divo Giulio (nomignolo datogli da Carmine Pecorelli) si debba scontrare con le accuse di collusione con la mafia mossegli da vari pentiti e riprese dai tribunali di Palermo e Perugia durante gli ultimi anni della sua vita politica. Andreotti, secondo il film, aveva intessuto attraverso il suo entourage, cosidetta la sua corrente (definita "cattiva corrente", che comprende anche influenti personaggi ecclesiastici), una fitta ragnatela di stratificati rapporti politico sociali per ottenere benefici di vario tipo. I sospetti che potesse avere dei forti interessi con cosa nostra furono alimentati dal fatto che due persone come il generale Dalla Chiesa e Mino Pecorelli furono barbaramente assassinati dopo aver in vari modi cercato di dimostrare questo teorema.
Con il solito modo asciutto e totalmente rigoroso (le inquadrature se possibile sono ancora più fisse e squadrate del solito) Sorrentino si concentra a mostrare la propria interpretazione del flusso degli eventi, con intelligenza mette anche delle scritte, in rosso, sullo schermo che dicono periodo e nome del personaggio, ce ne sono tantissimi citati, da Cirino Pomicino, Totò Riina, Giovanni Cossiga, Sindona e Calvi, ma anche Falcone e la sua barbara uccisione (favolosa la scena dell'auto che ricade simulando la dinamica dell'attentato avvenuto lungo l'autostrada). Non tutti sono a conoscenza di ogni cosa, per cui questo didascalico lavoro allarga la comprensione del bacino di spettatori. Ma il regista non fa solo questo : aiutato da un Servillo in stato di grazia (in un monologo disperato ad alta voce vi farà venire i brividi), scava nel personaggio e ce lo dona come un uomo accentratore, eroso dalla sete di potere ma metodico, che non rinuncia alla passeggiata notturna seguito a passo d'uomo dalla scorta. Si ferma assorto davanti a un macellaio (il mondo politico come una sorta di mattatoio) e sente Renato Zero in televisione che canta "I migliori anni della nostra vita" con l'unica persona di cui può veramente fidarsi, la moglie Livia interpretata da Anna Bonaiuto.
Oltre a questo toccante momento da segnalare la scena dell'arrivo in gruppo dei collaboratori, tutti in nero, che sembra l'arrivo delle Iene di Tarantino e che sembra più una banda mafiosa che un gruppo politico.
I movimenti di Servillo sono rigidi per via della famosa posizione china a gobba (sull'argomento sentirete anche la famosa battuta di Beppe Grillo "Non sapremo mai la verità su Andreotti, la sapremo quando morirà e gli toglieranno la scatola nera dalla gobba...") e ricalcano perfettamente quelli reali, aumentando la similitudine.
Il disegno si completa con la figura dei personaggi laterali a volte godibilissimi, a volte soggiogati dalla personalità di Andreotti, sopratutto con il personaggio di Cirino Pomicino (un Carlo Bucirosso che si muove quasi come un folletto), mettendo in scena anche scene grottesco stairiche come quella del ballo dei festeggiamenti iniziali.
Mettendoci nei panni di Andreotti, sicuramente il film è decisamente sopra le righe e la definizione da parte sua "Una mascalzonata" la possiamo capire benissimo, perchè è indiscutibile che una pellicola tanto ferocemente critica non è facile da digerire, sopratutto perchè davvero monodirezionale nel presentarsi, non aspettatevi cambi di direzione nel presentare da parte di Sorrentino la propria visione (a pollice verso sul Divo). L'inossidabile e granitico uomo politico non si muove dalle sue posizioni di un centimetro, ed ha il terribile rammarico di non essere mai diventato Presidente della Repubblica. Sui fotogrammi finali l'esito dei suoi processi con la scritta Il Divo che diventa sempre più grande e fagocita il tutto. Il paragone con Il caimano morettiano è d'obbligo, ma diversamente da quella pellicola su Berlusconi qui tutto è oscuro, sotteraneo e molto più graffiante per una serietà di fondo più marcata.
Facciamo notare l'inserimento delle musiche, molte volte inadatte e fracassone per dare ridondanza, maggiore rigore anche sonoro sarebbe stato gradito, mentre la fotografia quasi sempre oscura fa davvero un bel clima d'effetto.
In definitiva un film costruito benissimo, con un superbo interprete a dir poco eccezionale, calato negli anni che racconta con grande rigore filmico. Ha il difetto di essere assolutamente un film che non ha pietà o bidirezione nel raccontare calunnie, sospetti e macchinazioni possibili passate, ma incredibilmente consegna stupendamente la figura di un uomo comunque forte, intelligente e dominatore. E in fondo questo, a un sarcastico come Andreotti, non può essere sfuggito. Sorrentino si dimostra un grande cantore pieno di qualità, e gli artisti che si impegnano tanto per fornire un biopic tanto affascinante e storicamente corretto in date e situazioni (aderente alla realtà o meno nelle accuse è da vedere, ma questo è un altro discorso) hanno dalla loro l'eredità di grandi registi di denuncia e fortunatamente sanno riconciliarci con il cinema italiano.
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Tropa de Elite - Gli squadroni della morte
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(Tropa de Elite)
Un film di José Padilha. Con Wagner Moura, Caio Junqueira, Maria Ribeiro, André Ramiro, Fernanda Machado, Milhem Cortaz. Genere Azione, colore 115 minuti. - Produzione Brasile, Argentina 2007. - Distribuzione Mikado - [Uscita nelle sale venerdì 6 giugno 2008]
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Trama : Il bope è lo squadrone speciale d'assalto della polizia brasiliana, che viene chiamato ad agire contro i trafficanti delle favelas nelle condizioni di maggior pericolo e difficoltà. Uomini determinati e decisi, costruiti dopo un addestramento durissimo, hanno consacrato la loro vita al battaglione, e ne escono soltanto quando le condizioni di famiglia mutano : cioè quando gli nasce un figlio e non se la sentono più di rischiare la vita ogni giorno, ma prima devono trovare e formare un valido sostituto. Nel 1997, prima della visita del Papa, il capitano delle truppe d'elite Roberto Nascimento ci racconta la sua storia ...
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Commento: Davvero strano il destino di questo film di Josè Padilha (aveva diretto solo un film dal titolo Bus 174 ma è al primo vero esordio significativo), che in Brasile parecchi avevano visto molto prima di uscire al cinema, colpa di alcuni addetti ai lavori che avevano divulgato copie pirata. Quando poi fu presentato al festival di Berlino scorso, la sorpresa fu ancora maggiore in quanto gli fù assegnato l'Orso d'oro.
Tropa de Elite (in italia gli hanno messo il sottotitolo Gli squadroni della morte che potrebbe far pensare a una sorta di appendice del potere governativo per eliminare i nemici politici, ma invece è una divisione speciale della polizia brasiliana di Rio de Janerio e l'unica priva di corruzione, anche se utilizza metodi brutali) racconta la storia, narrata da lui in prima persona, del capitano Nascimento (Wagner Moura) che sta per avere un figlio dalla compagna Rosana, e decide di abbandonare la squadra speciale. Per farlo però deve prima compiere un ultima azione (catturare un piccolo boss di quartiere, Bayano, che spaccia droga nelle favelas) e istruire a sua immagine e somiglianza un altro soldato per sostituirlo.
Mentre la lotta ai trafficanti è resa ancora più difficile dalla corruzione di alcuni poliziotti della normale divisione, che oltre a lasciar andare alcuni traffici ne prendono anche il controllo, Nascimento si trova in mano anche un autentico problema di sicurezza perchè il Papa Giovanni Paolo II (il film si svolge nel 1997) decide di visitare e risiedere nella zona vicina alle favelas, cosa pericolosissima che richiede un coordinamento particolare per controllare un territorio tanto esplosivo e tormentato. Intanto i candidati alla sua sostituzione sono due : Neto Gouveia (interpretato da Caio Junqueira) e André Matias (André Ramiro) due giovani poliziotti idealisti, il primo impulsivo e l'altro riflessivo, delusi dal comportamento dei loro colleghi.
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Padilha utilizza la tecnica della camera a mano per introdurci in maniera più determinata nell'azione, sporcando la fotografia e utilizza la voce del capitano come narratore e sottofondo dell'esplicazione del suo pensiero, costruendo un film forte e cruento nelle immagini (le scene di tortura e le sparatorie nelle povere strade a cui il battaglione non si sottrae dal compiere sono del tutto esplicite) e criticando anche le decisioni del Papa di voler a tutti i costi esponenziare un rischio già alto venendo a visitare una zona tanto critica.
La polizia agisce in un clima di assoluto stallo con i trafficanti, sembra sia impossibile riuscire ad esercitare la legge per natura e per costrizione, e chi si esenta dall'essere corrotto ed è idealista viene minacciato e costretto ai margini (come la scena della cucina dimostra). Il regista affida ai discorsi di Matias la sua personale protesta, che mostra cme non bisogna fare di un erba un fascio, la polizia ha la corruzione in sè ma non è del tutto sporca, il popolo è informato con superficialità, e i ricchi spinellati e piccoli spacciatori sono i primi ipocriti ad alimentare i narcotraffici e poi a fare i moralisti per i comportamenti delle forze dell'ordine. L'unica soluzione sembra la lotta dura e pura, usando mezzi ancora peggiori di quelli dei criminali ma efficaci. Il capitano Nascimento lo crede fermamente, non ne può più di questa altalena tra dovere e giustizia che lo strazia (dolore calmato con le pillole) ma essendo di principi totalitari decide di chiudere la partita solo dopo che il suo seme sia diventato pianta, per poi uscire definitivamente dalla scena diretta dell'anticrimine. Un messaggio decisamente feroce ma alquanto deciso, senza mezzi termini come è tutto lo spirito del film che colpisce direttamente senza mai indecisioni, schierandosi dalla parte della giustizia condannando una parte del suo bracico armato ed esaltando l'altro. Per mostrare ancora meglio quanto sia duro essere del Bope c'è una parte di addestramento significativa, dove si cerca di epurare ogni cellula indegna con la forza precorrendo la filosofia successiva del modo in cui essa va applicata in strada (ci sono ampie inquadrature delle case fatiscenti e dei vicoli delle favelas ad iconizzarne la povertà). Il fine giustifica i mezzi qualunque essi siano, anche se a volte la misisone diventa cieca e si esagera tanto che anche alcuni componenti della truppa di elite non resistono e fanno dietro front.
E'un buon film di denuncia senza particolari giri di parole, ma decisamente ci sembra sopravvalutato per meritare encomi particolari dato che di film che trattano il tema così se ne sono già visti e questo si disperde parecchio nel flettere i muscoli (come ambientazioni consigliamo l'ottimo City of God di Fernando Meirelles), condensando le frasi esplicative ed allungando l'azione (e qualche volta in maniera ripetitiva, come le torture con la busta tutte uguali). L'intervento massiccio dei Weinstein in produzione potrebbe aver condizionato la gestione del film per renderlo più appetibile, preferiamo dare il beneplacito dell'autore imperfetto al regista per un tentativo almeno d'effetto senza particolari storture di fondo. Gli attori (praticamente tutti degli sconosciuti per noi) reggono bene la scena nella parte di vittime o carnefici.
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In definitiva un film di denuncia di grande impatto visivo per le violente scene d'azione e tortura, che ci mostra la realtà nuda e cruda senza romanzature troppo sopra le righe, ma che data l'ottima ambientazione poteva anche fornire un prodotto finale più profondo e magari fornire anche qualche altro spunto di lettura che coinvolgesse meglio la realtà sociale e del perchè nelle favelas gli spacciatori a vari livelli non sembrano avere altra possibilità di attività di commercio. Sentiamo di consigliarlo tranquillamente perchè rappresenta un modo di fare cinema duro e spietato che non può non coinvolgere. La camera a mano (non in visuale diretta stile Rec o Cloverfield) dopo un inizio frenetico segue i personaggi con maggior calma, per cui chi teme questo tipo di riprese non abbia motivo di preoccuparsi.
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Quando tutto cambia
(Then She Found Me)
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Un film di Helen Hunt. Con Helen Hunt, Colin Firth, Bette Midler, Matthew Broderick, Ben Shenkman, Lynn Cohen, John Benjamin Hickey, Salman Rushdie. Genere Commedia, colore 100 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 6 giugno 2008]
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Trama: April è una insegnante oggi quarantenne che sin dalla più tenera età è stata abbandonata dalla madre ed accolta con gioia da una famiglia ebraica. Sposatasi con un amico di infanzia, cerca di avere un figlio ma la coppia non vi riesce. Dopo essere stata lasciata dal marito che non regge la pressione psicologica, April trova conforto nel padre divorziato di uno dei suoi alunni, tutto sembra volgere al meglio per una nuova relazione più solida e duratura, ma come un ciclone spunta la madre biologica di April. L'insegnante tra l'altro deve anche affrontare altri problemi ...
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Commento: Helen Hunt scrive, dirige, co-sceneggia, recita e produce questa commedia sui generis che narra di buoni sentimenti, di persone che ritornano e di uomini che vengono parametrati nel giudizio. Il titolo italiano vuole riportare al ricordo un film che rimarrà ben più famoso di questo, quel Qualcosa è cambiato del 1997 che vide sempre la Hunt al fianco di un istrione come Nicholson, coppia che vinse l'Oscar negli attori protagonisti, mentre il titolo originale Then She Found Me ("Poi lei mi trovò") riguarda il punto centrale della storia e delle adozioni, che possiamo tranquillamente rivelare nel sunto della trama in quanto si scopre subito nel film. April (la Hunt), ha quaranta anni, fa l'insegnante, è stata adottata da una famiglia ebraica e ha sposato Ben (Matthew Broderick, fu un tempo il ragazzino di Wargames giochi di guerra) un eterno Peter Pan terrorizzato dagli impegni familiari e dalla voglia di lei di avere un bambino. Lui gli dice che vuole una vita diversa e vuole andare via, fanno per l'ultima volta l'amore e poi lei cade in uno stato di profonda frustazione. Ma April può far tutto tranne che rilassarsi : muore la mamma adottiva, arriva la madre biologica Bernice (Bette Midler, ve la ricorderete per alcune belle commedie anni '80 come Per favore ammazzatemi mia moglie e Affari d'oro) e incontra il padre di uno dei suoi piccoli alunni, Frank (Colin Firth) uomo divorziato ma serio e deciso del tutto diverso da suo marito.
E le sorprese non finiscono qui, perchè la vita riserva altre cose più o meno gradite.
Dalla lettura della trama sembrerebbe che il vortice continuo di sorprese possa riservare una commedia spumeggiante di grande ritmo, sostenuta da dei buoni caratteristi che regalano simpatia e divertimento dando qualche buono spunto morale. Purtroppo la voglia di tenerezza a tutti i costi deprime lo spirito del film e lo rende monotono, le cose avvengono e la vita della protagonista subisce variazioni, ma il tutto è affrontato all'acqua di rose e i tic nervosi di una raggrinzita Hunt non bastano per ricondurci a una coinvolgente e validante distrazione della serenità, come del resto le reazioni ogni volta che succede qualcosa non hanno neppure quella carica emotiva doverosa per imprimere forza e dare movimento alla storia. La morale del film è che tutto cambia per rimanere uguale, e nulla nella trama la sconforta questa teoria : qualcosa cambia come vedrete nel finale, una convinzione viene tradita e modificata ma è davvero un accadimento blando. Se il marito Ben è un inaffidabile eterno ragazzino (sottolineato da un cappellino con visiera che riconduce iconograficamente all'essere teen) anche April è una debole, non sa prendere una decisione come si deve e sono gli eventi (negativi e positvi) che la portano avanti e non la sua forza morale. Mentre la madre biologica è realizzata e determinata anche se ha compiuto un atto indegno anni prima lasciandola, lei si nasconde dietro la sua scarna posizione sociale (nella scena più bella del film lei arriva nel bagno di un lussuoso ristorante e lascia una piccola mancia rispetto a quelle consistenti delle ricche signore dicendo "Sono un insegnante"), si nasconde pure ai piccoli figli del suo possibile nuovo compagno e continua a chiedersi se è colpa sua di qualcosa.
Un clima inutilmente deprimente per un film di tale genere, senza voli di fantasia, che non esalta la visione da parte dello spettatore e che conduce nel torpore, e lei davvero non è l'immagine dell'araba fenice che rinasce dalle sue ceneri (come il logo di produzione del film potrebbe indurre) facendo perdere al suo personaggio ogni fascino.
Tra l'altro la Hunt si preoccupa tantissimo di apparire il più possibile (in maniera pudica) senza vesti, quasi che abbia tanta voglia di mostrare se stessa e comunque una giovinezza che le sue rughe tradiscono.
La commedia non decolla (Bette Midler poi è lontana dai ruoli tutte mossette che faceva ai tempi d'oro con gli Zucker, è compassata e molto intimista nei ragionamenti), i personaggi latitano (Colin Firth non fa altro che dire "I miei figli, i miei figli!" e poi praticamente non fa nulla per prendere con decisione April) e l'introspezione talmente mielosa da risultare monotona e priva di fascino.
Aggiungete qualche visita ginecologica con padri vari e incontri a tavola familiari con rito ebraico e il quadro compassato del qualunque è completo
Curiosa la presenza nel cast dello scrittore Salman Rushdie, quello tacciato di blasfemia e condannato a morte da Khomeini nell'88 per via dei versetti satanici, sfuggito alla condanna solo per essersi rifugiato in Inghilterra.
In definitiva un film dalle variazioni molteplici di poca penetrazione emotiva e ritmo di racconto blando, tradito dalla sua factotum Helen Hunt che si mette al centro del racconto quasi più per mostrarsi come persona che personaggio, che può piacere ai cuori molto teneri in voglia di cioccolato fuso di qualità non certo eccelsa, dato che i sentimenti li mette in campo ma non li fa giocare a dovere. Se volete andare per vedere una spumeggiante commedia magari invogliati dal cast, evitatelo perchè è tutt'altro.
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