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LEGGENDA DI NATALE
di Fabrizio De André.
Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l'età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea
nel bosco incantato di ogni tua idea
E venne l'inverno che uccide il colore
e un babbo Natale che parlava d'amore
e d'oro e d'argento splendevano i doni
ma gli occhi erano freddi e non erano buoni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
Coprì le tue spalle d'argento e di lana
di perle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare
dai piedi ai capelli ti volle baciare
E adesso che gli altri ti chiamano dea
l'incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d'un fiore appassito a Natale
la storia d'un fiore appassito a Natale
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O tu a cui spesso mi avvicino silenzioso, per poter stare
con te là dove sei,
Quando cammino a fianco a te per strada, o ti siedo accanto,
o quando resto assieme a te in una stanza,
Tu poco sai del fuoco che sottile, elettrico, per amor tuo
guizzando mi percorre..
Walt Whitman
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Istanti
Jorge Luis Borges
Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare pi
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Per il mio cuore...
Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino in cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.
E' in te l'illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l'onda.
Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.
Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.
PABLO NERUDA
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XLIV sonetto
Saprai che non t'amo e che t'amo
perché la vita è in due maniere,
la parola è un'ala del silenzio,
il fuoco ha una metà di freddo.
Io t'amo per cominciare ad amarti,
per ricominciare l'infinito,
per non cessare d'amarti mai:
per questo non t'amo ancora.
T'amo e non t'amo come se avessi
nelle mie mani le chiavi della gioia
e un incerto destino sventurato.
Il mio amore ha due vite per amarti.
Per questo t'amo quando non t'amo
e per questo t'amo quando t'amo.
da "Cento sonetti d'amore"
Pablo Neruda
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William Shakespeare
Sonetto 23
[I]Come un pessimo attore in scena
colto da paura dimentica il suo ruolo,
oppur come una furia stracarica di rabbia
strema il proprio cuore per impeto eccessivo,
anch'io, sentendomi insicuro, non trovo le parole
per la giusta apoteosi del ritual d'amore,
e nel colmo del mio amor mi par mancare
schiacciato sotto il peso della sua potenza.
Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
e muti messaggeri della voce del mio cuore,
a supplicare amore e attender ricompensa
ben pi
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Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
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Salvatore Quasimodo
Lettera alla madre
[I]
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William Shakespeare
From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty's rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory:
But thou contracted to thine own bright eyes,
Feed'st thy light's flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thy self thy foe, to thy sweet self too cruel:
Thou that art now the world's fresh ornament,
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, mak'st waste in niggarding:
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world's due, by the grave and thee.
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poesie di Ungaretti : Mattina
M'illumino
d'immenso
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Pablo Neruda
Il Tuo Sorriso
[I]Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.
Dura
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale
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Ancora Montale
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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[FONT="Arial Black"][SOLO]
[FONT="Arial"]Fanciullo, io gi