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Le vite degli altri
(Das Leben der Anderen)
Un film di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Volkmar Kleinert, Matthias Brenner. Genere Drammatico, colore, 137 minuti. Produzione Germania 2006.
Uscita nelle sale: 06/04/2007
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Trama: Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Dovendo controllare tramite microfoni una coppia di artisti, lui scrittore e lei attrice, Christa-Maria Sieland e Georg Dreyman, l'inflessibile Gerd trova modo di riflettere su tante cose che la società del tempo oppressiva e dispotica rende difficili, come la libertà di pwnsiero e la conseguente impossibiltà di denunciare angherie intellettuali che portano spesso al suicidio chi le subisce. come reagire a questa tempesta di emozioni ? deve uscire l'uomo o l'ufficiale ?
Commento: premiato all'ultima serata degli Oscar come miglior film straniero, questa pellicola diretta da Florian Henckel von Donnersmarck ( opera prima ) si colloca come il film della settimana ( ma anche del mese e forse più ) che non si deve perdere a tutti i costi in quanto pieno di straripante potenza emotiva, oltretutto esplicata con una facilità di linguaggio decisamente fruibile, anche dallo spettatore poco disposto a una visione d'impegno, per chiarezza, nonostante sia carico di simbologie e frasi da interpretare come delle icone di pensiero.
Il film si svolge nella ex DDR prima della "Glasnot", cioè la trasparenza, voluta da Gorbaciov per rivitalizzare l'immagine, ma sopratutto l'economia, dei paesi dellì'Est agli occhi del mondo.
Dovendo vivere in un paese che li controlla e li opprime nella possibilità di esprimersi ( una semplice barzelletta satirica diventa un pericolo per chi la dice, e il nome della polizia di controllo la dice lunga, Stasi ), la percentuale dei suicidi è molto alta ma dal 1977 la dirigenza evita di fornire delle cifre al proposito anche se propina statistiche di tutto per dimostare il suo pieno controllo.
Come sempre in questi casi, sono gli artisti a dover cercare di rompere il cerchio della chiusura mentale usando la loro capacità di creare emozioni nei vari campi, ed è per questo che il regime li controlla da vicino notte e giorno con un sistema di microfoni. Ma anche gli artisti che dovrebbero erigersi a primi difensori hanno i loro difetti, provocando una sorta di resa dell'animo, quando invece dovrebbe sostenerli il coraggio, se gli si paventa di non poter più eseguire le loro opere. Figlio de " La conversazione" di Coppola, sin dal manifesto con in primo piano il volto e la testa con sopra le cuffie, questo ottimo film ci parla di amore tradito a cui basta un bagno per sentirsi discolpati, di ammirazione e conglobazione, dove un servitore dello Stato ( convinto della giustezza della sua posizione ) man mano che segue le vite degli altri assorbe le stesse e ne prende i lati migliori, paradossalmente estraendo succo non dalle loro opere ma da loro stessi, non dai prodotti magari finti o edulcorati della loro arte ( cesoiati anche da una censura ignobile ), prendendo insieme alle sensazioni di una notte d'amore la coscienza. Non esistono poi veri cattivi, ma solo burattini in uno Stato simile, come dimostra il collega del capitano che sa fare un rapporto sentito senza neppure accorgersi di trasmettere emozioni.
Il vero messaggio in effetti è quello di tirare fuori il meglio di noi stessi capendo e aiutando il prossimo, perchè solo essendoci degli altri diversi potremo migliorare le nostre vite che in solitario sarebbero squaliide anche se ci sembrano perfette, perchè dopotutto ferme.
Emozioni, pathos, cambiamenti, vigoria delle intenzioni e raggiri sono perfettamente calibrati, e lo scrittore Georg Dreyman ( Sebastian Koch, recentemente visto in "Black Book", era il nazista consapevole della futura disfatta, guarda caso ) rende questi stati d'animo come una specie di specchio riflettente e propagante per l'ignoto ( per lui ) scrutatore della sua vita ( interpretato da Ulrich Mühe ) che assorbe il tutto per poi modellarlo a nuovo insegnamento, attratto anche dalla fascinosa compagna chiamata in codice Cms ( Martina Gedeck ), che lo strega perchè sa che lei tramette delle emozioni che lui solitario uomo non potrà avere. Tra l'altro come potrete vedere il rispetto dei sentimenti è talmente immenso che Wiesler non osa minimamente impedire il prosguimento dell'amore della coppia, anzi farà di tutto per preservarlo.
Si parlava dei simbolismi visivi e di frase, che sono eccezionali. Ce ne sono diversi, ma i migliori sono quelli riguardanti le posizioni contro il regime. Ad un certo punto al protagonista viene chiesto se non gli dispiace scrivere in rosso ( unico colore disponibile ), la risposta " cercherò di non fare errori ", è quanto mai al vetriolo.
Sempre Lazlo cerca di fare un nodo alla cravatta, ma non ci riesce ( simbologia della impossibilità di cadere vittima del suicidio intellettuale e della oppressione di pensiero ), non si adegua a farlo, mentre la vicina collaborazionista ci riesce benissimo senza sforzo. Nella sua casa poi è presente una opera d'arte che ritrae una libellula con 4 ali, simbolo della voglia di volare e del senso della libertà. Infine viene detto da un rappresentante del regime " Le promozioni te le guadagni con i risultati, non con i voti " riferimento al fatto che un cambiamento di fede non porta nessun beneficio.
L'azione poi dopo un inizio preparatorio si dipana in maniera sempre interessante, donando arricchimenti visivi e di pensiero come quelli detti sopra, mentre la casa controllata diventa una sorta di alveolo della comunicazione della propria arte e delle emozioni, una sorta di quadro d'insieme trasportante e che ci porta a capire quanto sia importante che ognuno di noi possa dire come la pensa. E il vero suicidio non è quello del corpo ma del fatto di non sapere dire altro, dove anche un bambino con una palla in mano può dirti verità che non vuoi sentire.
Recitazione misurata, che rende credibilissimi i mutamenti dello stato d'animo, regia precisa che sottolinea tutto senza pedanterie, fotografia con colori scuri che danno un giusto senso di grigio ed oppressione ( il sole praticamente non splende mai ) sono i punti di forza creativi dei vari comparti. Speriamo che la distribuzione, anche in virtù del premio acquisito, sostenga questo importante e ottimo bel film, e che il passaparola di chi lo ha visto sia una sorta di prosecuzione del pensiero di un oscuro microfonista, dicendo al prossimo di vederlo per conoscere aspetti che il cinema rende validi e pregni di significato. Una lezione da imparare, sopratutto se poi si resta nell'anonimato della dedica di un libro, mettendo su carta le emozioni consegnate e quindi non perse come per tutto il film.
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Le Avventure Galanti Del Giovane MolièRe (Molière)
TITOLO ORIGINALE: Molière
NAZIONE: Francia
GENERE: Commedia
DURATA: 120 min. colore
DATA DI USCITA: 06 Aprile 2007
CAST TECNICO E PRODUZIONE
REGIA: Laurent Tirard
SCENEGGIATURA:
Laurent Tirard
Grégoire Vigneron
SOGGETTO:
Laurent Tirard
Grégoire Vigneron
PRODUZIONE:
Olivier Delbosc produttore
Marc Missonnier produttore
Christine De Jekel produttore esecutivo
MONTAGGIO: Valérie Deseine
FOTOGRAFIA: Gilles Henry
SCENOGRAFIA: Françoise Dupertuis
COSTUMI:
Gilles BoduLemoine
Pui Laï Huam
PierreJean Larroque
MUSICA: Frédéric Talgorn
PERSONAGGI E INTERPRETI
Romain Duris JeanBaptiste Poquelin dit Molière
Fabrice Luchini M. Jourdain
Laura Morante Elmire Jourdain
Edouard Baer Dorante
Ludivine Sagnier Célimène
Fanny Valette Henriette Jourdain
Mélanie Dos Santos Louison
Gonzague Montuel Valère
Gilian Petrovsky Thomas
SophieCharlotte Husson Madeleine
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Trama Francia, 1644. Il commediografo Molière è ridotto senza soldi e deve cercare di pagare i suoi creditori. L'occasione di pagare i debiti potrebbe venire da un ingaggio artistico sotto mentite spoglie presso il ricco Sig. Jourdain, che ha bisogno di interpretare un atto unico per sedurre una ricca vedova. Ma il destino vuole che la trascurata moglie del ricco e bizzoso Jourdain ....
Commento: Innanzitutto il titolo italiano, che come al solito storpia signifcati e intenti nel tentativo di far sembrare il film qualcosa che non è. Con un titolo simile si potrebbe pensare a una sequela di corteggiamenti senza fine per ripetere una sorta di Casanova style con tutte le donne che cadono ai suoi piedi, quando invece in tutto il film il vero amore è solo uno. E oltretutto il fine e gli intenti di Laurent Tirand non sono quelli di raccontare una storia in costume in cui si susseguono fughe per l'arrivo dei mariti e flirt boccacceschi, ma di riuscire a tracciare un percorso narrativo in cui il grande commediografo si trova a dover scegliere tra onore e sentimento, tra arte e convenienza, frenando la sua voglia di tragedia per rimanere a fare commedie. Durante il film il lunghissimo flash back ci dimostra come il giovane Moliere apprenda dall'avventura presso il fastoso castello la futilità dell'etichetta e di alcuni comportamenti, e dell'importanza di rallegrare umili contadini lungo il paese piuttosto che annoiati ricconi, della forza di alcune donne contrapposte ad altre che, anche se trascurate, riescono ad avere una coscienza personale che gli permette di poter avere avventure molto più pregne delle futili conoscenze di palazzo.
le due figure femminili che predominano nel film, cioè Elmire Jourdain ( interpretata in maniera splendida da una Laura Morante solare e decisa ) e Célimène ( Ludivine Sagnier, rossa dalla bellezza catturante ), sono contrapposte in un gioco di valori ben preciso : la moglie dell'ingenuo Jourdain ( un Fabrice Luchini stralunato e farfallone ) costruisce nella assoluta trascuratezza da parte degli altri e del marito fondamenta convinte di come va gestita la famiglia anteponendo le proprie gioie a quelle della figlia, assorbendo e catalizzando gli stimoli del mondo esterno, rinunciando a ciò che tiene di più per un plusvalore meno stimolante ma più nobile, cosa che invece non fa la egocentrica vedova che raduna folle di cortigiani solo per glorificare se stessa e il proprio sogno di centralità, considerando i regali unico pregio nella corte che riceve da un uomo, incurante dei sentimenti che questo ha per lei.
Tutto il film è una colorata ricerca in costume di una verità del come e perchè fingere, del non essere se stessi per nascondersi oppure per prevalere, quando invece in fondo i nobili reali sentimenti di Moliere sarebbero adeguati e paganti anche all'interno della grande commedia della vita, come dimostra la rappresentazione nel finale . Non a caso viene infatti ripresa l'intera vicenda, l'unica cosa che può fare grande una commedia che sa far anche piangere: le storie autentiche della vita. Lo step che permette a un grande spettacolo di uscire dai versi per entrare nei cuori parla di noi stessi, che sembriamo tanto banali eppure così profondi nelle nostre diuturne quotidiane monotonie.
In questo senso il film è grande, ma non è solo venato di filosofia, in quanto i costumi sono stupendi, le locations strepitose, la recitazione davvero convincente con la Morante e Romain Duris in cattedra, e si sorride spesso anche se qualche volta amaro, come si conviene nelel intenzioni dell'autore, visto il terribile senso di spreco sia artistico ( i maestri costretti a fare anticamera ) che monetario che governa i luoghi dove un grande autore si rifugia per colpa del mancante vil denaro.
Una menzione particolare oltre che alla Morante va a Duris ( che ricorderete per "L'appartamento spagnolo" ), un autentico gigione con dei numeri artistici non da poco, che folleggia geniale lungo il film, senza mai fermarsi dal parlare o recitare per la troppa tempesta emozionale, verso l'arte e verso la nobildonna, che lo pervade. Mossette, imitazioni ed espressioni sono da gran mattatore.
Un gran bel film in definitiva, leggero da interpretare per la sua perfetta codificabilità ed espletamento dei concetti, che non si accontenta di divertirci con il colore sfavillante ma vuole anche mostrarci che nella vita esiste un grigio imperdibile completante, generato paradossalmente insieme alla gioia della risata per riflettere con il dovuto ottimismo sulle difficoltà, costruendo un trampolino per superarle. Imparata la lezione, possiamo andare sicuri per il mondo come Moliere a parlare di noi, sicuri di non essere mai banali anche parlando di cose semplici nella tragica commedia della vita.
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Allegati: 1
The Descent - Discesa nelle tenebre
(The descent)
Regia di Neil Marshall.
Interpreti: MyAnna Buring, Craig Conway, Natalie Jackson Mendoza, Molly Kayll, Stephen Lamb, Shauna Macdonald, Oliver Milburn.
Genere Horror
99 minuti.
Gran Bretagna 2005.
Trama:
Sarah
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benvenuta Verde Irlanda tra i critici speriamo di leggerti ancora presto
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complimenti anche da parte mia ovviamente sopratutto per la capacità di sintesi che a me manca totalmente... :-)
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Nero Bifamiliare
Cast Artistico
- Marina: Claudia Gerini
- Vittorio: Luca Lionello
- Slatko: Emilio De Marchi
- Bruna: Anna Marcello
- Carlo Nobili: Max Giusti
- Maruska: Ilaria Cramerotti
- Mamma di Marina: Cinzia Leone
- Carmine: Ernesto Mahieux
- Dott. Salini: Yari Gugliucci
- Macellaio: Alessandro Di Carlo
- Colonnello Piacentini: Remo Remotti
- Ossobuco: Adriano Giannini
Cast Tecnico
- Regista: Federico Zampaglione
- Soggetto e Sceneggiatura: Rudolph Gentile, Federico Zampaglione
- Aiuto Regia: Inti Carbone
- Direttore della Fotografia: Arnaldo Catinari
- Scenografo: Tonino Zera
- Costumista: Nicoletta Ercole
- Montatore: Consuelo Catucci
- Musiche: Tiromancino
- Casting: Roberto Bigherati
- Fotografo di scena: Nico Marziali
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Trama: Marina e Vittorio comprano una casa lussuosa e gigantesca con ampio giardino, che lei cura con amore per una passione smodata per i fiori. Vivendo di un lavoro modesto e arrotondando con piccoli espedienti Luca si trova di fronte alle difficoltà di pagare il mutuo e vorrebbe aprire un sito di compravendita via Web, ma gli strani vicini di casa sembrano intenzionati a non lasciare tranquilla la coppia...
Commento:Nero Bifamiliare è il classico film minore impreziosito da una sua dignità per la buona volontà di voler raccontare una storia. Di solito questi film che partono timidi e con un budget non proprio faraonico, sono dettati dalla buona volontà del regista ( Federico Zampaglione, marito della Gerini, alla prima prova registica e fondatore del gruppo musicale i Tiro Mancino, autori delle musiche ) di raccontare una storia che sente propria e quella magari di un attore o attrice ( nel caso specifico la Gerini ) di eseguire una parte diversa dal solito in un film senza troppe ansie di riscontro al botteghino, permettendo di esprimersi liberamente. Zampaglione prende i classici canoni dell'ossessione per chi può, essendo un tuo limitrofo, interferire e distruggere la tua vita, la porta ai limiti estremi permettendosi di inserire delle scene simil oniriche da viaggio trip. Ossessione del non dormire tranquilli, difficoltà di costruire visto il pericolo vicino e costante, disagio per giustificarsi con amici e parenti (a questo proposito è molto bello vedere Cinzia Leone, che fa la madre di lei, sulle scene in una parte nevrotica nicotino-dipendente quasi ad esorcizzare i ricordi della terribile malattia realmente subita) sono degli step sempre più marcati man mano che la pellicola scorre. Varia umanità scorre sullo schermo, purtroppo con poca fantasia di caratterizzazione e senza troppe diversità di situazione (il portiere che legge i fumetti pornografici con davanti un serio periodico che sa tutto quasi fosse un oracolo continuamente interpellato, gli amici coatti e sbruffoni, i vicini trucidi con segreti che hanno dialoghi al limite dell'orripilante con una realtà di fondo che intuiamo abbastanza alla svelta sin dallle prime schermaglie),oppure ai limiti della paranoia abbastanza gratuita e poco affascinante(come il medico ossessionato dagli insetti). Il senso della corrosione da paranoia viene visivamente dettato da un abbruttimento fisico di Vittorio (un Luca Lionello in parte, presente anche in Sangue-la morte non esiste, guarda caso un altro film con delle zanzare citate) che cerca di nascondersi alla vista, contrapposto a quello della Gerini che cerca di mantenere un stato di bellezza apparente per non rovinare una facciata di fronte al mondo.
La Gerini tra l'altro si concede a degli strip sensuali e provocanti, con della lingerie di grande impegno da portare solo avendo un fisico adeguato, fisico che lei concede alla vista senza problemi sia in versione costume da bagno che minigonna stratosferica.
Il film è ambientato durante i mondiali di calcio del 2006 per uno scopo ben preciso e non solo per comoda celebrazione verso lo spettatore che si identifica affettivamente subito con l'avvenimento, ha un suo preciso fine, riuscendo a trovare un escamotage di effetto e di sorpresa.
Questi film sono delle piccole coraggiose ricerche di boccate di ossigeno, che potrebbero avere una maggiore valenza se si proponessero in maniera meno stereotipata e pasticciona, disperdendo in piccoli inutili ritratti di umanità qualunque abbastanza monotoni e scontati, il proprio valore di base partendo da un plot intelligente.
I novanta minuti di cui è composto questo puzzle di guarda e patisci, sintomo dell'invidia ma anche delle difficoltà di codificare bene il carattere delle persone, scorre abbastanza bene ma purtroppo non graffia e si disperde, penalizzato anche da musiche e canzoni inserite solo per dovere di produzione e non vera coniugazione con il visivo poco stimolanti.
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Perfect Stranger (2007)
Genere: Drammatico Thriller
Durata: 109 min.
Data uscita nei cinema: 13/04/2007
CAST
Bruce Willis interpreta Harrison Hill
Halle Berry interpreta Rowena Price
Giovanni Ribisi interpreta Miles Haley
Gary Dourdan interpreta Cameron
Nicki Aycox interpreta Grace
Jason Antoon interpreta Bill Patel
James Foley regia
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Trama: Rowena e Miles sono due abili incastratori di personaggi famosi tramite elaborate registrazioni. Un misterioso omicidio li porta sulle tracce di un facoltoso uomo di affari...
Commento: prendete due attori belli e famosi che si riuniscono per creare un thriller a tinte fosche (Halle Berry e Bruce Willis ), un regista in crisi d'ingaggi ( James Foley dal 2003 con <i>Confidence</i>, protagonista Dustin Hoffmann non dirigeva più, ma ricordiamo anche il film con Madonna <i>Who's that girl</i>) che vede la ghiotta occasione per lavorare con due star su plot non difficilissimi, creiamo una parte per una spalla (Ribisi) e aggiungiamo tanto hi-tech, frulliamo il tutto ed abbiamo uno dei thriller più sbilenchi della ultima stagione.
Poverissimo di invenzioni per lo meno decenti, squallido in dialoghi del tutto stereotipati, questo <i>Perfect stranger</i> rappresenta la pillola ideale per chi vuole farsi una bella dormita risparmiandosi l'assuefazione, concedendo al sonno ristoratore un ben più importante ruolo nella nostra vita di questi 100 minuti inutili.
Halle Berry aveva voglia di fare un film, dopo anche il sinuoso ruolo di Catwoman, che rendesse visivamente la bomba sexy qual'è, bella ma anche un po' cinica. Niente di tutto questo si vede sullo schermo: le situazioni sono al limite del paradossale, ci si perde tantissimo nel chiedersi perchè e per come succede questo o quello, oltretutto il regista indugia e si sofferma su glamour e ricevimenti oltre il tempo utile (abbiamo anche un cameo di Heidi Klum doppiata stile gallina), l'azione si muove al rallentatore e la camera sembra avere una calamita sul sedere di Halle. Decisamente lei fa la sua grande figura in vestiti chic e di firma, esegue delle movenze e delle scelte di zona da profumare molto intriganti (vedere per credre), ma non riesce minimamente a trascinare in un pathos con una recitazione convinta una storia scricchiolante piena di personaggi che hanno esploso addosso tutti il marchio di Sex and the City. Riempiendo il plot dell'uso di pc e oggetti hi-tech sembrerebbe che il terrore che corre sul messenger potesse ricavare nuovi orizzonti di tensione, ma invece abbiamo un effetto contrario di repulsione per troppa ingerenza della necessità di giustificare ingressi pirata nel web che non muove minimamente la trama.
In uno sfacelo totale di inutili concatenazioni si salva solo la gradevole presenza di Bruce Willis, gigolo' snob e duro come si deve sottoutilizzato. Tutto superficiale, tutto scontato, tutto monotono anche se visivamente corretto nella messa in scena dei locali, con un finale da far accapponare la pelle tanto privo di qualunque fascino. Inutile che lo dica a questo punto, evitare con cura.
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L'ultimo Inquisitore
(Goya's Ghosts, Spagna, 2006)
Regia di Milos Forman
con Javier Bardem, Natalie Portman, Stellan Skarsgård, Randy Quaid, Blanca Portillo
106', Medusa, drammatico
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Trama: Spagna,1792, il pittore Goya vede la sua prediletta e musa ispiratrice rinchiusa dalle crudeli istituzioni religiose dell'inquisizione per eresia, confessata sotto tortura. Colpita profondamente da questo fatto, il pittore fa di tutto per liberarla insieme al padre della ragazza, ma il terribile Lorenzo l'inquisitore ostacola ogni tentativo fino a che egli stesso non rischia di cadere vittima dell'inquisizione per colpa di un tranello genialmente ordito...
Commento: Il grande Milos Forman torna a dirigere e lo fa regalando, a noi spettatori, un grande affresco sulla situazione politico sociale della Spagna alla fine del 1700 inizio 1800.
Il tutto viene visto attraverso gli occhi ma sopratutto le pitture del grande pittore Goya (Stellan Skarsgård, Dogville e L'esorcista la genesi), che con la sua opera testimonia il flusso degli avvenimenti. Forman sceglie di usare un sistema spot (inserendo le figure dei dipinti al momento giusto) per far capire quanto Goya assorbisse dalle vicende del suo paese per mettere sensazioni e situazioni su tela. Come in Amadeus, il protagonista non è l'artista ma il suo antagonista (un ispirato Javier Bardem, Mare dentro), che prende le situazioni e le volge a proprio favore senza un briciolo di aderenza a una ideologia di bandiera. Si ripete più volte nel film chiaramente il concetto preciso di una popolazione che non impara mai dai propri sbagli (come dichiarato dal regista), tornando su se stessa anche dopo patimenti e i vari cambi di regime. Sono gli uomini singoli che conservano un valore di appartenenza alla stirpe della coscienza, e anche nei momenti più difficili non perdono mai lavoglia di lottare, come Goya, e qualcuno può riscattare i suoi errori pagando ampiamente il dazio ma conservando l'onore.
Forman per questa stupenda rappresentazione mantiene uno stile da camera in quanto le scene si svolgono sopratutto in interni (ne abbiamo solo una grande in esterni e campi lunghi che tra l'altro è abbastanza veloce con un dispiego di uomini e cavalli spropositato per la sua importanza nella storia ma molto bella visivamente), con luci sempre ben dosate, utilizzo massiccio di candele e in quelle delle segrete delle ombre sulla scena di primissimo livello.
Raccontandoci le terribili sofferenze della giovane Ines (una strepitosa Natalie Portman, la principessa di Star Wars) viviamo in maniera completa la totale sottomissione che si ha di fronte all'inquisizione, che vive imponendo terrore e torture, sistema quanto mai comodo per liberarsi di avversari politici.
Ma l'incredibile è, come si diceva prima, che la memoria storica nonostante le sofferenze, è quanto mai corta e sopratutto non impara dai propri errori.
Javier Bardem con il personaggio multiforme di Lorenzo, sintetizza l'intenzione illogica di preservare i propri beni ad ogni costo, anche quando questi possedimenti non hanno nessuna capacità di portarci gioia vera, inutili per rimediare agli errori del passato.
Terreni, soldi, ricchezze sono nulla rispetto all'amor per la propria patria e per l'arte che ne difende l'unità politica e denuncia i sorprusi, più affilata e pericolosa della spada in quanto ci si identifica con un solo sguardo.
Forman usa la simbologia animale per chiarire il concetto di una fondamentale ignoranza di base, asini e galline, che brucano e corrono pasteggiando e seguendo la corrente del pensiero del momento.
Chi si avvicina a questo film con l'idea di approfondire l'opera di Goya resterà deluso, non sono questi gli intenti (sui titoli di coda comunque appaiono parecchie opere del maestro,senza commenti), il pittore viene visto come l'animo sordo di corpo ma non di spirito, contraltare dell'egoista Lorenzo e del vuoto senso di potere della monarchia, tutta impegnata a notare gli autoritratti da mettere nei sontuosi palazzi e non a fermare la mano crudele dell'inquisizione. Questa analisi dettagliata sugli stili pittorici non c'è (tranne veloci cenni visivi alle composizioni delle acqueforti), ma invece abbiamo una ricostruzione sontuosa, grande lavoro fotografico, costumi ottimi, ma sopratutto una storia coinvolgente dall'inizio alla fine supportata da un trio di attori perfetto, che ci avvicina non solo alle opere in maniera fine a se stesse ma alle sensazioni che esse trasmettono.
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Last minute Marocco (2006)
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Genere: Commedia
Data uscita nei cinema: 13/04/2007
Un film di Francesco Falaschi. Con Valerio Mastandrea, Kesia Elwin, Lorenzo Balducci, Daniele De Angelis, Jamil Hammoudi, Esther Elisha, Nicolas Vaporidis, Paolo Sassanelli, Gabriella Barbuti, Babak Karimi, Vira Carbone, Paolo Stella, Bianca Ciocca, Stefano Dionisi, Maria Grazia Cucinotta. Genere Commedia, colore, 88 minuti. Produzione Italia 2006.
Trama : quattro ragazzi partono per il Marocco con l'intento di seguire un concerto e fare una vacanza alternativa. Non avendo il permesso dei genitori (divorziati) uno di essi, Valerio, deve arrangiarsi per sfuggire alle ricerche del padre che si sente in colpa di non averlo seguito abbastanza. Ma giunti nel paese africano sorgono altri problemi a causa di una bella ragazza italiana di origini marocchine...
Commento: Last minute Marocco si può riassumere nell'idea del regista e dei produttori (presente in questo senso anche la Cucinotta che recita anche brevemente) in questa maniera: basta con le commediole giovanili in Italia, ormai consunte e senza valore, facciamo una commediola giovanile ambientata in Marocco. Questo è il senso del film, che ci guadagna soltanto per gli splendidi paesaggi e null'altro, perchè cambiando lo sfondo non si stravolge il risultato sostanziale. Tra l'altro si mette in evidenza la presenza del divetto per ragazzine Nicolas Vaporidis (reduce dalle due <i>Notti prima degli esami</i>) proprio per non allontanare un concetto attirapubblico settoriale partendo da un film che di base potrebbe essere altro. La messinscena operata da Francesco Falaschi (<i>Emma sono io</i>) non ha assolutamente nulla di nuovo rispetto al solito: abbiamo il ragazzo sensibile, lo sfigato serio e inquadrato, il coatto a caccia di ragazze, l'amico che vende fumo. Per cercare di elevare il tono del film, sperando di coinvolgere nel pensiero di chi assiste anche ricordi di recenti fatti di cronaca nera, si parla di fidanzamenti tra italiani e mediorientali con mille difficoltà, rapporti genitori figli sull'orlo del tracollo, ma non c'è nessun segno che queste difficoltà relazionali abbiano una panacea e una cura nel viaggio che si sta per intraprendere. Un viaggio caciarone, legato alle donne e alla maria (la religione non c'entra nulla ovviamente) e senza una vera attrattiva, che scorre monotono tra discoteche (abbiamo anche un ballo con sottofondo di Village People) e belle ragazze che sembrano spuntate proprio nel momento giusto.
Si salva in questo deja vu e monotonia insulsa, cercando di tratteggiare un ritratto di padre decente preoccupato per il figlio, Valerio Mastandrea, con una recitazione che a pelle trasmette le sensazioni delle colpe presunte e del disagio di rifarsi una vita.
A condire e chiudere il tutto preziosismi futili come tramonti ricercati senza logica di trama e le musiche sparate a casaccio e per nulla attinenti alla scena che sono hit italiane del momento come da becera tradizione di genere.
Evitate accuratamente questa commedia qualunque mascherata da viaggio per la conoscenza.
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La masseria delle allodole
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TITOLO ORIGINALE
La masseria delle allodole
TITOLO INTERNAZIONALE
The Lark Farm
NAZIONE
Italia/ Bulgaria/ Francia / Spagna/ Gran Bretagna
GENERE
Drammatico
DURATA
122 min. (colore)
DATA DI USCITA
23 Marzo 2007
REGIA
Paolo Taviani, ...
SCENEGGIATURA
Paolo Taviani, ...
DISTRIBUZIONE
01 Distribution
PROTAGONISTI
Paz Vega
Moritz Bleibtreu
Alessandro Preziosi
Ángela Molina
Mohammed Bakri
Tchéky Karyo
Mariano Rigillo
Hristo Shopov
Trama : nel 1915 una famglia armena sente lontana la guerra in atto tra Russia e Turchia, e convivendo pacificamente in territorio Turco vive giornate tranquille in condizioni agiate. Ma questa felicità è destinata a non durare, e dopo la morte dell'anziano patriarca un sinistro presagio sembra purtroppo realizzarsi...
Commento: Dal libro di Antonia Arslan. Gli Armeni che anticipano la tragedia Ebrea, persone piene di cultura e intelligenti che costruiscono ricchezze in seno a uno Stato che li accoglie con un occhio di cupidigia verso questo florido benessere, pronto a carpire ogni loro bene invidioso e timoroso di tanta prospera capacità. La Masseria del titolo è la casa di campagna, una sorta di Last Hope privata in cui loro non devono vivere a contatto con una popolazione che nemica non è, per il momento, ma che di fatto non ha di buon occhio la loro presenza. Nella Masseria ci si sente liberi, tranquilli, e difatti diviene una sorta di inutile eremo per cercare di uscire dagli orrori della persecuzione.
Ma anche quando ci si autocostringe nella riserva la cosa sembra non bastare, in quanto la furia cieca dell'odio e della violenza non ha confini, e non si deve fare come il bambino perchè inutile nascondersi ma bisogna combattere. Questo sembrano dire i Taviani in questa opera che racconta la storia di una famiglia e piena di simbologie, iniziando il film con una citazione strepitosa da Quarto potere con il chicco d'uva che cade (citazione poi ripresa con una mela in una forma diversa per simboleggiare che si lascia la tentazione di trovare un paradiso per conservazione la dignità). Rendendo in immagini il loro stesso scibile filmico, i due fratelli registi iconizzano la sofferenza nella croce che viene utilizzata per le sofferenze delle donne e nella presa delle cose più care. Non a caso infatti all'aspirante pugile che cerca l'America (immagine del sogno) viene tagliato il braccio, al dottore che salva le vite impedito di metterne al mondo altre, alle donne i loro uomini costretti ad abbandonarle mentre i Turchi approfittano di esse.
Un lavoro sentito e composito, che prosegue man mano introducendo nuove situazioni e scenari rispetto alla fase di inizio, coinvolgendo i parenti italiani. La cosidetta fase dell'uva (prosperità iniziale degli acini maturi nella prima inquadratura, poi speranza garzie al gioiello che ritrae i frutti della vendemmia) vive fasi alterne di acidità e speranza, metro e bilancia della disperazione e della voglia di ribellarsi a un destino segnato.
La scena clou del pathos tiene a morte e battesimo un bimbo, stritolato disperatamente, atto a mostrarci quanto un popolo sta soffrendo nella morsa di due belligeranti. Belle scene sicuramente, adeguata musica ad accompagnarle, e a maggior pregio non ci si cura di non mostrare il sangue (che vediamo dalla prima scena e per tutto il film con continui rimandi ai colori dei vestiti). Il film però, nonostante tutti questi pregi, un difetto di base l'ha, la mancanza di un cast all'altezza dell'impegno della storia e di alcune colpevoli cadute nel romanzo tv in alcune situazioni che estraniano. La presenza di Preziosi non è certo una punta di diamante e rimane ancorata al Conte Ristori di Elisa di Rivombrosa, senza nessun sussulto di maggiore autentica drammaticità, mentre Paz Vega, nota per aver lavorato con Almodovar in Parla con lei ma sopratutto per aver mostrato le sue grazie con Lucia y el sexo e alcune commediole, una con Adam Sandler (Spanglish), non è certo attrice per rendere bene una parte principale e composita come quella che interpreta sentitamente ma con risultati scarsi (mostrando senza problemi anche se in scene molto pudiche le sue grazie notevoli). La presenza poi di un attore fondamentalemnte brillante come Dussollier (Cuori di Alain Resnais) nei panni di un gerarca dell'esercito, sembra più una partecipazione da guest a uno sceneggaito tv tanto la parte gli è estranea.
Anche alcune scelte di trama sono forzate e un po' troppo debitorie della fiction tv, come il finale forzato per arrivare a una certa situazione di pathos anticipatrice del coro di conferma della volontà dei giovani turchi di non volere le minoranze indesiderate, oppure coem il soldato buono in una tenda ordinatissima, non degna della soldataglia che vive intorno.
Ma nonostante questi difetti di partecipazione recitativa e di cadute situazionali (comunque brevi), abbiamo un film validissimo con una voglia precisa di richiesta di denuncia di un massacro da parte di chi l'ha compiuto anni indietro, una serie di scene emozionanti e alcune citazioni-iconografie di tutto rispetto. Non sfigura affatto l'immagine del film che i libri in fondo sono tesori, dato che quello che i Taviani ci hanno raccontato è un piccolo gioiello da conservare per cercare anche noi di capire quanto il passato sia importante, anche se una storia sembra tanto lontana da non poter più avere influenza su nulla.
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The good sheperd, l'ombra del potere
Cast : Martina Gedeck, John Sessions, Matt Damon, Robert De niro, Angelina Jolie, Billy Crudup, Alec Baldwin, Michael Gambon, William Hurt, Timothy Hutton
Regia Robert De niro
Sceneggiatura Eric Roth
Durata 02:47:00
Data di uscita Venerdì 20 Aprile 2007
Genere Thriller
Distribuito da MEDUSA (2007)
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Trama--- la nascita della Cia, le difficoltà di gestire i rapporti famiglia ed interpersonali quando si è un agente operativo, le logiche che la regolano e il dolore di dover fare azioni moralmente scorrette per un dovere di risultato di risultato esatto. E sopra tutto l'occhio vigile di chi ti controlla e di chi ti guarda, come un pastore che regola le proprie greggi nel più assoluto anonimato...
Commento: quando un grande attore, anzi, uno dei più grandi di sempre, si cimenta nella regia, è inevitabile che tutte le tecniche che egli ha assorbito a pelle dai registi (tanti con la R maiuscola) vengano poi applicate nel suo lavoro direttivo. De Niro (mi sembra superflua qualunque citazione esemplificativa di suoi lavori precedenti) raduna per questo film sugli albori e del come e perchè della nascita della Cia un cast di stelle (Hurt, Damon e Jolie in primis) concedendosi una breve sporadica (ma terribilmente significativa) presenza in qualche punto del film. Come negli insegnamenti avuti dai grandi ( Leone in primis con “C'era una volta in America”) il neo regista sa che il lavoro a flash-back è quello maggiormente performante per i buoni risultati quando si intende raccontare una vicenda che affonda le sue radici nel passato (in questo caso la seconda Guerra Mondiale) per farla prepotentemente riaffiorare in superficie al momento della ripresa del nodo della vicenda attuale. Costruendo su eventi successi nel apssato possiamo capire come mai l'irreprensibile agente interpretato da Damon abbia un tale senso del dovere, vediamo che comunque non è scevro di sentimenti, e che nonostante egli scelga la strada retta per restare ligio al dovere queste decisioni sono per lui fonte di sofferenza, uomini che lavorano per la patria ma poco per se stessi, prima l'agenzia (il cui statuto è stato curiosamente scritto da Ian Fleming, l'autore di 007) e poi Dio come detto nel film, esemplificando nella scena del ringraziamento prepasto il tutto. In maniera raffinata e ben bilanciata partiamo da un inizio che ci fa capire quanto il lavoro possa essere sporco (lotta nel fango e successiva urina), ma ancora di più nel proseguo vediamo come le cose più sporche avvengano in fondo in famiglia, dovendo chiudere in una bottiglia i sentimenti così come le barche che alzano le vele solo quando sono rinchiuse, possono esserci ma non devono uscire. I due comparti (seconda guerra mondiale e primi anni 60) non sono due grandi blocchi contrapposti ma si alternano sapientemente in una crescita parallela (azione e ragione della),
e continuando con essa vediamo come la necessità di un lavoro sotterraneo per coprire falle e scoprire spie (il tutto ricordiamo che avviene durante i periodi più bollenti della guerra fredda per la conquista politica di Cuba, da parte dei Russi per tenere allineato Fidel Castro) possa essere vanificato anche dal più piccolo particolare imprevisto, e che anche mezzi per l'epoca tecnologici possano non tenendo conto del valore emozionale portare a un risultato completo e a scoprire verità nascoste.
Il plusvalore occulto di questo film sta nel fatto che la vicenda procede con una accorta lentezza, dando il senso del tutto come se fosse una vera indagine, ma per mantenere il corpus di attenzione e non far cadere nel torpore lo spettatore il flashback (con narrazione più spigliata e meno debitoria di meccanica lenta) viene utilizzato come spiegazione e movimento, scelta quanto mai intelligente e mirata.
DeNiro offre ai suoi numerosi estimatori una prova decisamente sfavillante nella direzione, sia come valore tecnico che direzione degli artisti, (notevole la fotografia con dei chiaroscuri di ovvia simbologia) che non cade assolutamente mai nel banale e che centralizza la figura di Damon a totale mattatore (le altre stelle in fondo sono comprimari oltretutto dallo scarso minutaggio in presenza), graffia al vetriolo (“qualcosa mi sta mangiando le gambe, mi stanno tagliando i piedi pezzo per pezzo” dice il grande occulto da lui interpretato) e oltretutto rischia senza problemi senza mai dotare di inseguimenti esasperati, sparatorie esagerate (gli omicidi avvengono di solito secondo la teoria de il “Cacciatore”del colpo solo) in una filologia perfetta di ragioni sommesse e azioni nascoste, chiudendo il suo arco di narrazione in una ideologia di totale chiusura verso il mostrarsi esterno.
Se un difetto lo vogliamo trovare sembra mancare un po' il fascino dell'invecchiamento umano, dove in fondo solo un paio di occhiali dalle lenti più marcate non danno vera idea della maturità, separando in maniera visivamente meno netta i due periodi.
Lo spettatore che si avvicina a questo lavoro dalla durata extra (167 minuti) deve farlo in una ottica di attesa e di svolgimento paziente, con attenzione, con al soddisfazione di profanare luoghi sacri di un America timorosa che un tempo preferiva anche agire underground e non apertamente come adesso, tronfia e sicura delle sue invincibili legioni che possono conquistare al di là delle ragioni o della logica.
Grazie Mitico Bob.
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I racconti di Terramare
Titolo Originale: GEDO SENKI
Regia: Goro Miyazaki
Interpreti: -
Durata: h 1.55
Nazionalità: Giappone 2006
Genere: animazione
Al cinema nell'Aprile 2007
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Trama : un giovane dotato di straordinari poteri magici, incontra Sparviere, un mago che gli fa da Mentore nel suo cammino di ricerca della conoscenza e per affrontare i crudeli scopi di Aracne, un mago nero deciso a...
Osservazioni : quando un maestro assoluto dell'animazione ha un figlio, sembra quasi logico che la progenie debba dedicarsi alla stessa arte tanto nobilitata dal padre (come dimenticare Il castello errante, La città incantata o la Principessa Mononoke ma in fondo tutta la sua opera omnia), l'unica cosa che dobbiamo tenere conto è che in questo caso non possiamo vivere di veri inaspettabili parametri ma quanto più di assimilazione, perchè sarebbe impensabile che al primo lavoro si possano raggiungere fasti passati con tanta sublime poesia. Questo film di Goro figlio di tanto Hayao, prodotto come sempre per i lavori paterni sotto l'egida dello Studio Ghibli, abbandona la filosofia delle tipologicamente stranissime, ma geniali, macchine volanti o della meccanizzazione esasperata per concentrarsi sulla magia, sulle trasfigurazioni draghesche (già viste anche ne La città incantata)e sulla paura e nobiltà in chiave ombre minacciose o nobili rapace (come il nome del grande mago o delle trasformazioni di Aracne). Il film ci parla di spade che possono cambiare il destino, di coraggio e di fiducia da indurre negli altri per la propria persona in modo da poter agire sicuri di avere un appoggio, di biechi servitori e popolazioni rassegnate che non trovano la luce (come nella scena del carro dove solo Erran si risveglia dal suo torpore) per ribellarsi alla tirannia e al giogo delle catene.
Tutte cose che però sono solo induzioni da passato e reminescenze di altri lavori che non vengono trasposte in immagine autoriale (la scena del drago che vediamo sul cartellone è tipica di altro cinema stranoto anche se deriva da tradizione diversa) e significativa, frullando il fantasy del cavaliere errante appoggiato da un Gandalf mentore, con la ricerca di se stessi e non solo delle proprie pallide ombre di esistenza, con personaggi comprimari in fondo stereotipati e di poco spessore come il gruppetto delle guardie inefficaci.
I disegni sono sottotono rispetto agli standard supremi del padre, con degli sfondi molto semplici e mai ricchi di grandi particolari privilegiando la struttura agreste rispetto a quella urbana (abbondano scene con prati e cieli, mentre quelle nelle città sono meno presenti e non raggiungono profondità multistrato significative, come avveniva ne La città incantata), con i movimenti meno morbidi e dettagli dei personaggi meno marcati.
Oltretutto la cerchia dei protagonisti è ristrettissima, e mancano del tutto le icone antropomorfe che vedevamo popolare in maniera splendida i sopracitati lavori, disperdendo la lettura delle ricercatezze di citazione da filosofia orientale.
In definitiva questi Racconti di Terramare (precisiamo che la storyline è unica e non si tratta di diversi episodi come qualcuno potrebbe credere) sono molto un dejavu e senza un grande fascino, possono garantire un divertimento ristretto nelle due ore di proiezione, ma la mancanza di poesia, ricercata e densa di significati presente solo nelle stupende canzoni di Terru, oltre al fatto che non c'è un cattivo di fascino, ci obbliga a gradinare verso il basso questa opera prima, attendendo altri lavori e sperando in risultati migliori, più complessi e meno semplici. Non bisogna comprimere le speranze degli esordienti, ma questo è il risultato di cui bisogna parlare indipendentemente dal volonteroso seme instillato su pellicola. Attendendo ovviamente a braccia aperte il ritorno anche del padre maestro.
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I dannati di Varsavia
Titolo originale: Kanał
Regia: Andrzej Wajda
Anno: 1957
Genere: Guerra / Drammatico
Durata: 95 minuti
Cast: Teresa Izewska, Tadeusz Janczar, Wienczyslaw Glinski, Tadeusz Gwiazdowski, Stanislaw Mikulski, Emil Karewicz, Vladek Sheybal, Teresa Berezowska
Trama: Una sparuta compagnia di 43 ribelli (corrispondente quasi alla nostra resistenza partigiana) nella Varsavia del '44, occupata quasi interamente dai tedeschi, è costretta a ritirarsi attraverso il sistema fognario (Kanał in polacco).
Commento: Una storia di guerra (che poi si diramerà in tre epopee parallele di diversi protagonisti), secondo film della trilogia bellica, insieme a Generazione (Pokolenie, 1955) e Cenere e diamanti (Popiół i diament, 1958) di quello che considero uno dei tre migliori registi polacchi del novecento (insieme a Munk ed a Kieslowski), Andrzej Wajda.
Pellicola molto pessimista, rappresentativa della situazione della Polonia in tempo di guerra, assediata sin dal ’39. La morale è chiara: non esiste speranza, i sentimenti (l'amore, la solidarietà fra compagni) non ci salvano dall'orrore: la guerra è guerra, è solo l'amore per la vita che ci spinge a strisciare negli abissi per trovare la via della salvezza, ma sperare di salvarsi è inutile, l'unica certezza è la morte o altra sofferenza. Concetto perfettamente coerente, se ci si pensa, con il titolo italiano: i dannati dell’Inferno sperano in continuazione di poter trovare la luce e di porre fine al loro tormento, ma ciò non potrà mai accadere ed in terra c’è solo altro dolore. L’accostamento Inferno – condotto fognario funziona a meraviglia, puzza e lamenti corrispondono all’immaginario collettivo di Inferno (per i più di provenienza dantesca ma anche di altra), con la sola differenza che i dannati hanno commesso peccati in vita, questi soldati invece non hanno colpa; ma questo parallelismo scaturisce dalla “traduzione” italiana del titolo originale che in realtà con essa non ha nessuna relazione di significato, quindi questa interpretazione rimane esclusivamente a livello di supposizione.
La cinematografia polacca riguardo alla seconda guerra mondiale si rivela ancora molto efficace come in Eroica (1958) di Andrzej Munk, anche se rispetto a questo Kanal è molto più schietto e diretto e molto meno "emotivo", nel senso che non si concentra molto sulle emozioni e sui pensieri delle persone - anche perchè non concede un minimo momento di pausa per esaminare i sentimenti dei personaggi, che sono continuamente incalzati dalla sofferenza, dalla paura di morire o di essere catturati dai nazisti - ma sulla loro condizione disumana di soldati in guerra. Insomma, per spostare l'attenzione dello spettatore sul lato emozionale della situazione abbiamo bisogno di momenti di "inattività", cioè di intervalli di tempo in cui si possa fare uso più o meno massiccio di dialoghi e/o nei quali la guerra non si manifesti esplicitamente (con esplosioni, sparatorie o con la sofferenza dei protagonisti) e questo accade pressoché in tutti i film di guerra che abbia visto: Full metal jacket (le scene delle "interviste"), La sottile linea rossa (i lassi di tempo inattivi tipici di Malick), Salvate il soldato Ryan, ma soprattutto Jarhead, Flags of our fathers, Letters from Iwo Jima o volendo spostarsi fuori dall'ambito della Seconda guerra mondiale, film come Glory - Uomini di gloria: è questo che ho trovato innovativo in questo film.
Inoltre mentre questo propone una visione totalmente pessimistica della guerra mentre in Eroica si cercava di bilanciare i due aspetti - non a caso è un film diviso in due episodi, il primo in chiave comica (ma senza dimenticarsi che la guerra non è uno scherzo, insomma come ha cercato di fare Monicelli ne Le rose del deserto senza riuscirci) ed il secondo in chiave seria.
Bellissime le musiche del polacco Jan Krenz (che ha collaborato spesso con Wajda e di nuovo con Munk in Eroica)
In definitiva un film magistrale, persino doppiato (anche se avrei preferito la versione sottotitolata) con un finale altrettanto magistrale ed interpreti molto bravi. Spero di poter approfondire il cinema polacco riguardante la seconda grande guerra (anche e soprattutto guardando gli altri due della trilogia) perché ha rivelato di essere intenso almeno quanto quello ben più conosciuto americano.
Voto: 8/9
P.S. Guardate che bello il manifesto, è un autentico quadro realizzato da un certo Jan Lenica nel 1957 apposta per il film.