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grande recupero Zazza...complimenti.postare questo dopo il tuo mi sembra quasi irriverente...
The Shooter
Mark Wahlberg interpreta Bob Lee Swagger
Michael Pena interpreta Nick Memphis
Danny Glover interpreta Col. Isaac Johnson
Kate Mara interpreta Sarah Fenn
Elias Koteas interpreta Jack Payne
Rhona Mitra interpreta Alourdes Galindo
PRODUZIONE
Antoine Fuqua regia
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Trama: un cecchino dell'esercito americano superspecializzato deve ritirarsi a vivere nascosto tra i monti per non incorrere in guai peggiori da aprte dei suoi superiori per aver visto troppo. Il suo isolamento però dopo tre anni viene a mancare in quanto deve sventare un attentato addirittura al presidente degli Stati Uniti...
Commento dopo essere apparso in The Departed, Mark Wahlberg interpreta questa parte di duro estremo specialista del tiro a lunga distanza dove in pratica è un OMA (One Man Army) totale, coraggioso e patriottico fino all'inverosimile incurante dei metodi per giungere allo scopo (ricorda molto del resto il personaggio di Jack Bauer del serial tv 24 in questo). Karatè, fucili, bombe, pistole, in questo film lui fa tutto e costruisce tutto, novello Rambo si fa ricucire ferite artigianalmente e senza nessun problema attraversa zone che pullulano di nemici con la sfrontatezza dell'uomo invincibile. Partendo da un prologo in Etiopia dove si viene a conoscenza della solita macchia sul passato dove qualcuno a lui vicino muore, e nel frattempo scopriamo quanto sia bravo nell'uso del fucile di precisione, l'azione si sposta negli Usa dopo un salto temporale di 3 anni per permetterci di urbanizzare le sue conoscenze e sopravvivere nella peggiore delle località selvagge, la civiltà, che lui aveva rinnegato per chiudersi nei boschi con il suo cane (affidandolo a un amico"Fagli leggere delle tabelle di balistica se si sente depresso"). Dopo aver citato Commando (nella scena dove vanno nella sua casa a contattarlo all'inizio) si passa per una straniante citazione di Rambo nell'autolavaggio, per poi continuare con ogni tipo di arma possibile e immaginabile aiutato dal più impacciato degli agenti dell'Fbi, camminando spinto dal vento delle esplosioni e del napalm al pomeriggio che sa di vittoria. Un film di grana decisamente grossa, prevedibilissimo nei suoi meccanismi, anche quando dovrebbero essere secondo gli sceneggiatori delle trovate geniali, che goffamente abbandona anche per qualche momento lo spara e rimbomba cercando la denuncia sociale di sistema ( ovviamente se non lo avesse fatto i risultati erano migliori, se di meglio si può parlare nell'ottica di un lavoro tanto basico). Le cose valide sono tecniche, invero le uniche buone, che Fuqua ci fa vedere (autore del molto più valido Training day) sono degli ottimi movimenti aerei di camera davvero suggestivi, aiutati nel comporre un quadro di bellezza estetica dalla natura sublime delle locations.
Nel film troviamo due vecchie conoscenze come Danny Glover (Arma Letalee Saw) e Ned Beatty ( Otis in "Superman" al fianco di Gene Hackman), incartapecoriti nella loro parte di sola alimentare presenza.
C'è tempo anche nel finale per citare il misconosciuto "Condannato a morte per mancanza di indizi", cercando il solito annacquato messaggio di provocatoria denuncia dei panni sporchi comunque lavati.
Un film scontatissimo e a tutta grancassa, senza nessun pregio particolare che può soddisfare un pubblico di soli amanti della potenza del Thx che viene messo a dura prova da continue esplosioni manco fossimo nel pieno di una guerra mondiale, o dei muscoli a tutto tondo, cercando solo una fugace presenza nella sala per trascorrere le due ore che mancano all'appuntamento in pizzeria, con un controllo sotto la sedia che non ci sia qualche residuo della violenza assolutamente esagerata esplosa sullo schermo descrivendo un Mub filmico anzichè un Bum.
Una curiosità: nel cast troverete Rhona Mitra, questa avvenente ragazza (apparsa nella terza stagione del serial Tv di NIp/Tuck) che si vede tra l'altro nel film molto poco, doveva essere Lara Croft in Tomb Raider prima che la produzione la scartasse per reclutare la Jolie.
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Sunshine
Cast Chipo Chung, Paloma Baeza, Rose Byrne, Cliff Curtis, Chris Evans, Troy Garity, Cillian Murphy, Hiroyuki Sanada, Mark Strong, Benedict Wong
Regia Danny Boyle
Sceneggiatura Alex Garland
Durata 01:57:00
Data di uscita Venerd
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Grazie Mars... per fare le recensioni devo solo trovare il tempo, il che è difficile fra compiti, scuola ed impegni vari...
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non dirmelo zazza...qualche volta mi sento come Silvio pellico e le mie prigioni...
Svalvolati On the Road
Titolo Originale: WILD HOGS
Regia: Walt Becker
Interpreti: Tim Allen, John Travolta, Martin Lawrence, Marisa Tomei, William H. Macy, Ray Liotta, John C. McGinley, Jill Hennessy, Drew Sidora, Coco d'Este
Durata: h - 100 minuti
Nazionalità: USA 2007
Genere: avventura
Al cinema nell'Aprile 2007
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Trama : quattro attempati amici di lunga data hanno abbandonato da tempo le loro motociclette e le loro voglie di libertà per vivere delle vite scialbe e piene di problemi. Uno dei quattro, di fronte all'ennesimo fallimento personale, decide che è il momento di tornare in sella e tirare fuori le polverose casacche di pelle dei "Maiali selvaggi"...
Commento dietro a un titolo italiano imbecille come non mai, (quello originale, Wild Hogs, si riferisce all'emblema delle loro casacche, un maiale che sbuffa) coniugazione quanto mai ardita di un termine slang italico con una parola inglese, si cela un film adeguatamente divertente, spassoso, leggero e con battute simpatiche che non sconfina mai nel volgare. Dopo un inizio con sipario a quadro nero che ci fa leggere il nome di ogni protagonista e poi ce lo descrive per darne un ritratto, parte uno dei viaggi più scalcagnati e sfortunati che si siano visti con l'intenzione di vivere vicino alla natura abbandonando legami e cellulari. I quattro protagonisti, variegati per tipologia di ticchi e problemi familiari, affrontano questo on the road movie con il piglio e l'intenzione di trovare una meta, un nuovo indirizzo di vita e nuove sicurezze di cui al vita normale sembra essere priva. Travolta rappresenta l'uomo realizzato di facciata ridotto ormai in rovina da troppi sprechi, quello che non avendo nulla da perdere accende la miccia del desiderio di rivalsa e ha l'idea del viaggio, Allen, quello in definitiva con meno problemi, fa il dentista con il colesterolo alto che d'accordo con la famiglia perfetta (moglie e figlio) deve rilassarsi dal rischio di uno stress alle porte e vuole dimostrare quanto vale al figlio, Macy è il programmatore di computer sfigato desideroso di compagna pasticcione che cerca di dimostrare a se stesso quanto vale, Lawrence vessato dalla moglie vorrebbe avere ben altro lavoro e rispetto. Quattro uomini in cerca di orgoglio, che sulla libertà delle due ruote troveranno quello che cercano.
Purtroppo, il limite di questo film sta proprio in questo: sappiamo già dall'inizio che dopo le dovute peripezie tutte le cose avranno un loro giusto compimento, che il viaggio li farà robusti e sicuri per cominciare di nuovo. L'introspezione psicologica è davvero minimale, non ci sono veri momenti di grande riflessione o di stupore nell'aprirsi di meravigliosi paesaggi, tutto è confinato con la lotta contro i bikers, cattivi da operetta, denominati "Los Fuegos" capitanati da Ray Liotta (Hannibal) tatuatissimo e truce oltre il credibile, e l'incontro lungo il viaggio con personaggi macchietta. Film con stesso tema erano già stati tentati in passato, citiamo quello del 1991 con Billy Crystal Scappo dalla città, con risultati migliori a livello di significati emozionali.
Il viaggio comunque anche se devalorizzato, come si diceva in apertura, è divertente e movimentato, e il regista Walt Becker, con i suoi scarsi mezzi (la distribuzione italiana curiosamente aveva titolato il suo film precedente "Maial College", creando una citazione involontaria) non fa nulla per abbandonare il cammino leggero del sicuro procedere con una trama lineare e circolare che si sviluppa tornando su se stessa.
Cittadine piene di ragazze che ti guardano con il sorriso (incredibile Marisa Tomei, oscar non protagonista per Mio cugino Vincenzo, ancora con il viso acqua e sapone e giovanilmente rassicurante), sceriffi incapaci, trucidoni cattivi di faccia ma dal cuore in fondo tenero, nulla di nuovo sotto il sole della commedia, ma per cercare un po' di svago senza nessun impegno dopo una giornata lavorativa pesante e monotona quella volta almeno, siamo nella direzione giusta. Lasciamo stare altre velleità che proprio non ci sono.
E poi comunque la canzone"Highway the hell"si sente sempre con piacere.
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Mio fratello è figlio unico
Genere: Commedia
Titolo originale: Mio fratello è figlio unico
Nazione: Italia
Anno: 2007
Durata: 96
Regia: Daniele Luchetti
Cast: Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Angela Finocchiaro, Massimo Popolizio, Luca Zingaretti
Produzione: Cattleya, Babe Film
Distribuzione: Warner Bros.
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Trama:Latina,1962, l'adolescente Accio dopo una crisi di coscienza, provocata anche dal fratello Manrico che gli consegna una foto dell'attrice Marisa Alassio che lo turba ormonalmente, lascia il seminario per tornare alla sua famiglia (padre,madre, fratello, sorella). Un ritorno difficile e contrastato, con i genitori che lo trascurano e i fratelli che lo maltrattano. L'incontro con il simpatizzante fascista Mario gli cambia vita e prospettive sopratutto quando qualche anno dopo...
Commento: cresciuto come attore e regista alla scuola di Nanni Moretti (partecipando ad Aprile e a Bianca come attore) Lucchetti ha sempre proposto nella sua filmografia temi impegnati (dal Portaborse a Arriva la bufera) e con questo film cerca di proseguire una linea di questo tipo con una storia che attraversa gli anni dal 1962 a quelli successivi alla grande rivoluzione culturale con i moti del 1968. La fase iniziale con il piccolo Accio in piena crisi (simbologia di una difficoltà ad identificarsi con un movimento culturale) è forse sicuramente quella più carica di emozioni, con le frasi sparate a zero (ci sono attacchi precisi nelle parole di Manrico più taglienti di un coltello per quanto riguarda la chiesa) e i battibecchi e le difficoltà che si impongono a una vita di colalborazione. Basi queste per le future lotte politiche che la storia ci proporrà. Dopo uno stacco quanto mai ardito (Accio adolescente ha la faccia nell'acqua e nel passato, Manrico gliela rialza e passa qualche anno facendo apparire Elio Germano, apparso anche in Mary e in Quo vadis baby?), i sapori della conoscenza si condiscono di nuovi aspetti e mentre un fratello va da una parte, proseguendo gli insegnamenti avuti nel passato da Mario il fascista (Zingaretti) l'altro prende una strada diversa (Msi contro Pci), permettendoci di giocare di contrapposizioni e di simboli.
Lucchetti ci dice che Accio in fondo non è un vero pensatore, agisce di influenze e di sensazioni del momento, manipolabile come vuole da parte di chi si fida e assolutamente un muro di pietra verso chi proprio non lo prende con i dovuti metodi (la madre, delusa, una buona Finocchiaro o Manrico il grande nemico contrapposto), simbolo ovvio del popolo che si fida dei comizi e delle promesse (qualcuno ha detto Silvio?) senza veramente capire molto dell'argomento. Le continue altalenanti dimostrazioni di affetto verso questo o quello sono da vedersi nella scena dove si contorce e si ribalta nel letto saltando, ripresa in chiave diversa sul finale nella spiaggia, mentre è nascosto e prigioniero di una condizione e colpa non sua. Tradimenti continui (figurativi e non) che Accio prosegue senza ragionamento scevro di emozioni, in un percorso di storia politica che prosegue lineare senza particolari approfondimenti immaginifici (il nero picchia "Fa comodo avere un fascista in casa", il rosso occupa e protesta, il bianco democristiano si chiude nel suo splendido isolamento, il seminario, per tenere ben caro i quattrini, le case dovute ad altri e la tranquillità in generale). Purtroppo Lucchetti ci mette una storia d'amore sbilenca (ma con presente Scamarcio come faceva a non picchiarla lì?), che nulla serve e nulla fa se non a far pruriginare Accio per il grande tradimento (per sapere quale dei tanti bisogna vedere), appesantendo il tutto senza senso come del resto la scena sul finale del grande contrasto (il vero violento è quello che alla fine vuole i soldi e non l'ideologo di base).
Il film ha il grande pregio di restare superpartes raccontando le infamie di ogni parte, non è per nulla pesante da seguire ma purtroppo alla fin fine non graffia neppure, troppo disperso nel presentare un racconto il più possibile completo nell'arco degli anni.
Per questo tipo di film servono ben altri attori, non giovani divetti per teen (reduce dall'orrendo Ho voglia di te Riccardone ricciolone voleva darsi tono migliore ma decisamente è meglio che guadagni placido soldoni e lasci a un Placido parti simili) oppure segaligni attori come Germano che si muovono sulla scena senza vero nerbo, mai da accentratori del racconto come il minutaggio di presenza pretenderebbe.
In definitiva un film che parte con un buon assunto, ha una messinscena pulita (macchine, luoghi e apparecchi elettronici del tempo , come cabine telefoniche e televisori, rigorosamente rispettati), qualche buona simbologia ma poi per necessità di imposizione di produzione (la suddetta storyline amorosa) si disperde in acqua anzichè in vetriolo, ritirando la mano della vera denuncia dopo aver alzato il braccio per scagliare il sasso, in una sorta di condanna solo parziale (le case non consegnate al popolo) e di soddisfazione finale. Come se la politica fosse un grande risiko, Lucchetti fa parlare i suoi personaggi di politica ma alla fine le parole rimangono poco impresse.
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Spiderman 3
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Trama: mentre Mary Jane e Peter Parker hanno problemi a sistemare una difficile coesistenza tra il supereroe osananto e la sua fidanzata che perde lavoro e autostima, un nuovo terribile criminale si prospetta all'orizzonte stimolato da un costume simbionte, il lato oscuro di Spiderman! Mentre nuove rivelazioni sulla tragica fine dello Zio Ben e l'arrivo di un nuovo supercriminale e il ritorno vendicativo di uno vecchio rendono veramente difficile la vita a New york...
Commento:quanti cattivi in questo terzo chapter del nostro affezionato Uomo Ragno di quartiere. Abbiamo Venom, Goblin Jr e L'Uomo Sabbia. Raimi in questo capitolo dopo aver fatto i primi due con un solo villain protagonista gioca d'accumulo e piazza una triade di tutto rispetto a tenere viva l'attenzione della platea pagante. Rispetto al fumetto (presente l'autore/exsceneggiatore Stan Lee con il solito cameo) il regista si muove in una direzione di rispetto del senso variando il filo degli eventi differenziando anche le situazioni. Se infatti troviamo i duetti da liceali gelosi tra Mary Jane (Kirsten Dunst) e Gwen Stacy (Bryce Howard, figlia di Ron Howard), anche se in una versione più matura e meno scanzonata, vi sono anche delle situazioni assolutamente non comprese nel mondo delle nuvole parlanti, come il caso dello Zio Ben e l'Uomo Sabbia oppure la genesi di Venom (qui arriva con un meteorite, nel fumetto si dovette traslocare un nutrito gruppo di eroi su un pianeta nello spazio per avere le Guerre Segrete al cui interno Peter Parker ebbe il costume simbiotico). Altre cose, che lasciamo scoprire al piacere del lettore, che possa conoscerle per un passato abbastanza remoto da appassionato, per non rovinare la sorpresa, sono la perfetta testimonianza che Raimi voleva costruire un Spiderman 3 omaggiante ma autoriale, debitorio della sua nascita ma meritevole anche nelle sue riletture. Così, purtroppo, non è stato. Siamo subito chiari, il Blockbusterone è lì luccicante e preciso, ingemmato di effetti speciali di grandissimo pregio (basati sulla messa in scena e la genesi della caduta verso il basso, falling down con cui mory Gwen Stacy nel fumetto ad opera di Norman Osborn-Goblin Senior) e con belle scene di botte da orbi volanti, ma la tanto sbandierata oscurità di fondo del doppio cattivo è patetica, poco graffiante e per nulla introspettiva nella sua costruzione.
Il cambiamento del ragno da solare in oscuro è innocuamente rappresentato sia nella scelta della messa in scena (come nel caso del ballo nel locale) che nella recitazione, dove un Tobey Mcguire volonteroso cambia la posizione dei capelli ma non quella del suo orientamento recitativo, creando una sorta di gemello diverso ma del tutto privo di vera sana cattiveria. Non possiamo neppure imputare a Raimi di non averci provato a fare un film anche leggermente intimista (non parliamo di vero approfondimento perchè non era neppure proponibile per il tipo di prodotto legato a un marketing di ferro), i comparti con sezioni parlate e confronti psicologici ci sono, ma alla fine sono talmente frenati e del tutto leggeri da dare fastidio e farci sperare che arrivi il momento dello stupore visivo (e ai più piccoli non interessano per nulla).
La trama è di una semplicità spaventosa e tutto sembra talmente prevedibile che il tentativo di dare anche al lettore scafato di vecchia data la sorpresa (non è solo Spiderman di Stan lee e Steve Dikto e poi John Romita, è anche il mio, sembra dire Raimi) un tentativo quasi ingenuo, mentre tutto si svolge all'ombra delle torri, delle bandiere (in una scena gronda patriottismo dalla pellicola) in maniera cadenzata alternando parole a botte per non incorrere nel sonno da cinema (quanto mai dispendioso,meglio dormire a casa senza pagare) o impegnare troppo platee abboffate di pop corn venute a trascorrere un pomeriggio senza impegno.
Dei tre Villain il più caratterizzato è di sicuro L'uomo Sabbia, personaggio anche nel fumetto di buon inserimento nelle trame, che oltre a godere di effetti di demolecolarizzazione favolosi, ha anche una sua personalità marcata e una necessità di movimento logica meglio spiegata (anche se quello che accade nel finale è davvero poco reale come comprensione). Thomas Haden Church ( Sideways) disegna un buon ritratto del tormentato padre che si sgretola per colpa di un contatto con un esperimento, dando espressività almeno decente ai dubbi e le paure che si innescano in una vita giocata sempre pericolosamente sul filo di lana. Venom non parla al plurale come nel fumetto ("noi siamo!" dando meno il senso di simbiosi e assimilazione), e la corrosione da possesso è talmente esagerata e veloce in Brock rispetto a Parker (non vi spoilero nulla perchè nel trailer i distributori hanno, anche stoltamente ma la scena era d'effetto, fatto chiaramente vedere che la cosa accade) che ci domandiamo effettivamente se fosse stato più cattivo il soggetto umano o il simbionte per raggiungere tali livelli di cinismo.
Un film che parla di perdono, di vendette, di problemi sentimentali e incomprensioni in maniera balbettante, quasi a voler inserire elementi decisamente forzati messi in tale maniera rispetto alle strepitose scene d'azione (quella della gru è veramente una perla), che però hanno il difetto di tirare un po' la corda per la loro eccssiva ripetitività.
Kinsten decisamente in ruolo, fascino da rossa immutato anche se secondo me non aderente alla tigrotta del fumetto (alta, slanciata), sopratutto nella versione celeberrima di Romita senior, mentre tutti gli altri si muovono telecomandati esibendosi in siparietti rispetto ai protagonisti (jj jameson in primis).
In definitiva un gran bello spettacolo nel visivo diretto da stupore per effetto speciale, del tutto pretenzioso in approfondimenti cercati ma falliti, molto leggero in scene come non si pensava (sangue, ferite o lacerazioni sono del tutto assenti anche se si prendono sberloni assurdi, vedi la scena della metrò ma tutte in generale, manco fossero Superman) da vedere senza nessuna pretesa accontentandosi di estendere la trama iniziata con i primi due capitoli. Tra l'altro i non fan del fumetto e della sua continuity lo apprezzeranno molto di più per la mancanza di percezione delle troppe diversità rispetto al grande classico dei comics che lo ha generato.
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Titolo: The Number 23
Titolo originale: The Number 23
Genere: Thriller, Dramma
Anno di produzione: 2006
Nazione: United States
Regia
Joel Schumacher
Cast
Jim Carrey
Virginia Madsen
Danny Huston
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Trama:Walter Sparrow riceve dalla moglie in regalo un libro rosso chiamato Number 23, che riporta l'ossessione di un uomo per le congiunzioni numeriche. Walter, che di professione fa l'accalappiacani, si trova a dover interagire con questa storia nella quale si identifica sempre di più come se fosse il racconto della sua vita. Il numero 23 appare dappertutto e la cosa sta portando Walter sull'orlo della follia, ma è semplice caso oppure qualcuno sta premeditando cose molto più gravi ...
Commento: L'incostante Joel Shumacher (regista capace di fare buoni film come Un giorno di ordinaria follia e Il clientealternando prove penose come il terzo e quarto Batman o Il Fantasma dell'opera) dirige questo film sull'ossessione dei numeri con l'intenzione di raccontare la discesa in un abisso di follia alternandola con dei flashback (girati con fotografia flou di ricordo Depalmiano) per alimentare anche una sorta di indagine personale compiuta su se stessi. Walter Sparrow (un Luciferino e sempre bravo Jim Carrey) legge i 23 capitoli del libro (guarda caso...) come se dovesse codificare un dossier poliziesco sulla sua vita, volendo creare nello spettatore l'idea di una sorta di angosciante vita parallela, condita di elementi Hard-Boiled di genere anni Cinquanta. Il timido accalappiacani (Carrey gioca citando se stesso in Ace ventura) si trova ad avere una visione della vita quanto mai disperata, insicuro di tutto e di tutti.
L'assunto di base su cui Schumacher gioca non è affatto male, peccato che l'idea giri su se stessa senza nessuna vera evoluzione, si cita il gioco dei numeri all'infinito e in ogni modo allungando il brodo (incredibile poi aver dimenticato il gioco più semplice, 11 settembre 2001, 11+9+2+1=23), si inseriscono trovatine del tutto campate per aria fino ad arrivare ad un finale tanto risicato quanto alla fine inutile, perchè più che di motivazioni del 23 ormai si viveva di ossessioni, tanto che noi spettatori guardiamo più che l'evoluzione della trama, bislacca e mal strutturata, numeri e parole del film per arrivare sempre e comunque a 23.
L'ossessione di cercare segni del diavolo nel fare 23 diventa tanto una costante quanto una spossante, sin dalla fase preproduttiva del film e distributiva ( iniziato a girare il 23, uscito il 23 e via dicendo) a cui tutto ricorre il numero maledetto, dandogli un indubbio fascino tradito poi dal film costruito.
Non si può pretendere di costruire un film thriller con un giochino che diventa del tutto fine a se stesso senza poi dare una motivazione reale di esistenza in fase di chiusura, oltretutto impasticciando il tutto con presunte prove d'autore personali come i flashback, ci si ritrova straniati e presi in giro, totalmente insoddisfatti della messa in scena che oltretutto ha ormai stancato tanto è ripetitiva. Un gran pastrocchio pretenzioso, che partendo dalla precedente visione martellante di un trailer montato benissimo faceva sperare molto di più, invece in questa sede avremmo voglia di dirvi come finisce per risparmiarvi spese inutili. Partecipa oltre a Jim Carrey (che nel deserto della trama trova modo di autocitarsi anche con la scena del camion presa da Una settimana da Dio), Virginia Madsen (Sideways)in una doppia parte e Rhona Mitra (presente questa settimana anche nell'ultra movimentato Shooter).
Non contate fino a 23 per decidere se vederlo, dopo conterete fino a un milione i motivi per evitarlo.
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7 Km da Gerusalemme
Un film di Claudio Malaponti. Con Luca Ward, Alessandro Etrusco, Rosalinda Celentano, Alessandro Haber, Eleonora Brigliadori, Emanuela Rossi, Isa Barzizza, Alessandra Barzaghi. Genere Fantastico, colore, 108 minuti. Produzione Italia 2006.
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Trama:Alessandro, un pubblicitario in crisi, decide di fare un viaggio meditativo/conoscitivo per superare problemi personali e amarezza da fallimento personale. La conoscenza con Gesù Cristo in persona gli permetterà di vedere le situazioni e le persone secondo luci e ombre diverse.
Commento: tratto dal libro di Pino Farinotti, questo lavoro di CLaudio Malaponti (La Grande Prugna), è un lavoro maturo e profondo, calibrato e lontanissimo dal cinema italiano di facile connotazione pretestuosa di oggi che vorrebbe fregiarsi di valori parlando di un argomento impegnato realizzando poi un lavoro attentissimo al botteghino pieno di vacue immagini.
Luca Ward (uno dei più grandi doppiatori italiani, fa strano sentire la sua voce sapendo che stiamo vedendo anche lui nel film) recita convinto e benissimo, tratteggiando un ritratto sicuro e bilanciato di un uomo sospeso tra realtà ed incredulità.
Novello San Tommaso il personaggio di Francesco Forte non crede alla presenza del vero Cristo davanti a lui tornato per rinnovare la parola ai fedeli (un Alessandro Etrusco perfetto in quanto iconografia cristiana, sua prima interpretazione), e ne mette in continuazione la parola in discussione in un abile gioco di logica e di critica prima ascoltativa e poi dubitativa. Malaponti gestisce il cammino di riscoperta personale di Alessandro come un peregrinare da persona a persona (dalla malata terminale, la Celentano, fino alla saggia anziana, Isa Barzizza sempre piacevole da vedere sugli schermi) per cercare se stessi, per completare il proprio io personale in modo da essere sempre pronto a gestire il difficile incontro con l'entità in persona, che risponde serafica e preparata ad ogni critica oppure a ogni dubito, sia che siano domande ataviche oppure rierite al media internet del mondo moderno.
Importantissimo il discorso sulle figure pubblicitarie e sulle iconografie di immagine, dove l'essere è meno importante del mostrarsi, pensiero di validità effimera mostrato nei dialoghi tra i dipendenti dell'agenzia nell'asservimento dei quali Alessandro non si trova più, salendo sul palco a dire verità sincere che come quelle dette in televisione non sono ben accettate.
Si scopre che la venuta del Cristo in tempi odierni è una parola nuova da dare ai fedeli che si sentono ormai staccati da scritti ispirati a una figura terrena ormai 2000 anni fa, serve un segno che la Chiesa ha nei suoi dogmi principali dei semi ancora validi da far germogliare nonostante che i tempi abbiano subito le mutazioni radicali di una società sempre più raziocinante che stenta ormai a credere ai miracoli.
Il tono del film è praticamente perfetto, giocato su un labirinto non facile da orchestrare di ricordi e di attualità, con delle graffianti critiche al mondo della televisione ("Non scrivere dei libri perchè te li potrebbero pubblicare" dice Alessandro alla cinica conduttrice televisiva di Vis a Vis pronta a d essere onesta solo con i propri interessi e che fallisce nel mostrare il proprio ego in maniera sfacciata) che è disposta solo a cercare placida soddisfazione nell'audience senza guardare ai reali contenuti("La poetessa si è fatta conoscere grazie a me da un milione di persone, prima la conoscevano in dieci"..."Per come l'hai presentata rimarranno gli unici dieci che la conoscono veramente"). Televisione che del resto presta volti come Eleonora Brigliadori (molto bella la sua parte della donna in carrozzella, moglie di Farinotti nel film) e Paolo Limiti, in un gioco quasi parodistico che critica con i suoi personaggi la propria esistenza, che vorrebbero magiore onestà senza legarsi ai dati auditel.
Era facile con un tema simile cadere nel banale, ma invece la strepitosa recitazione di Ward, veramente incredibile, unita a una sceneggiatura e una regia attenta, mai innocua, mai patetica, unita a dialoghi agrodolci che bilanciano un tono di speranza e di amarezza, ci dona un bel film veramente, che si schiera difendendo la parola Cristiana di base ma senza nasconderne le sue sfaccettate venature sbagliate, che il corso del tempo ha corroso disperdendo significati e messaggi. Il bisogno di credere a un valore superiore non è necessario per chiedere miracoli, ma valido per chiedersi i come e i perchè di tante cose per affrontare al meglio le situazioni. Alessandro dopo l'esperienza diventerà più Forte, consolato che i tanti sbagli della sua vita sono stati un percorso di scelte e non di destino prefissato come le carte della televisione vogliono incurcargli in maniera ipnotica e illusoria.
Un bel film in definitiva, da vedere senza problemi in quanto pone domande importanti senza essere per nulla pesanti, dando un'immagine onesta del tutto priva dei dogmi dell'illusione della pubblicità, con un linguaggio assolutamente fruibile e non dispotico nell'imposizione di quanto vuol dire, assolutamente propositivo e non dogmatico.
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quanti bei film mi sto perdendo...
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Le vite degli altri (2006) di Florian Henckel von Donnersmarck con Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Volkmar Kleinert, Matthias Brenner.
Mi sono fatto influenzare dai commenti entusiastici su questo film e non ho voluto perdermelo.
Mi è venuto però da pensare che se si grida al capolavoro per un film simile significa che siamo ormai assuefatti ad opere di un livello talmente basso che anche un film appena al di sopra della mediocrità è portato in palma di mano dalla critica.
Per carità, è un prodotto ben confezionato ed anche recitato in modo dignitoso, ma la storia qual'è?
Dov'è la fiction?
Non riesco a non annoiarmi assistendo ad un film d'ambientazione storica che va alla ricerca di particolari in vicende ormai conosciute, note, stranote e arcinote.
Per dare un minimo di creatività ad un'opera cinematografica improntata a fatti realmente accaduti, secondo me, o se ne propone un'interpretazione originale, nuova, magari un po' in contrasto con quella che va per la maggiore, oppure, si vanno a cercare degli aspetti o delle prospettive nuove (come tutti i film bellici che vedono la storia dalla parte dei perdenti ad esempio).
In questo caso il film propone quasi dei clichè stereotipati delle emozioni dei personaggi i quali a loro volta sono talmente scontati che risultano quasi imbalsamati.
Il poliziotto della STASI che prima crede in quello che fa, poi s'immedesima e poi va in crisi è roba da museo delle cere, il funzionario di partito grasso e arrivista che sfrutta la sua posizione di potere per fini anche sessuali è scontato dal primo fotogramma all'ultimo.
Le dinamiche di potere all'interno di un regime autoritario e poliziesco sono appena accennate e lo sono in modo superficiale.
Dopo film d'ambientazione storica come quelli della Cavani, Bertolucci, Visconti, Von Trotta, Spielberg e Eastwood, questa sembra la versione semplificata di temi già affrontati e sviscerati.
Tanto per capirci, manca totalmente e non si riesce nemmeno a vedere lontanamente la bambina del ghetto di Schindler's list che si colora di rosso nel bianco e nero della tragedia che si sta consumando come sfondo.
Una grossa delusione.
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ovviamente sono totalemnte discorde su le vite degli altri ma grande punto di vista mat. ottima disamina, le mie controragioni sono due pagine indietro.andiamo avanti...
Titolo Originale: GHOST SON
Regia: Lamberto Bava
Interpreti: John Hannah, Laura Harring, Pete Postlethwaite, Coralina Cataldi Tassoni
Durata: h -
Nazionalità: Italia, Sudafrica, Spagna, GB 2006
Genere: drammatico
Al cinema dal 4 Maggio 2007
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Trama: Mark e Stacey vivono isolati in una fattoria Africana giorni lieti vivendo il loro amore, quando all'improvviso delle apparizioni e degli strani avvenimenti di presagio sembrano minacciare la serenità della coppia, quando una tragedia e un successivo lieto evento ...
Commento: Lamberto Bava torna a dirigere un film per il cinema dopo che la sua carriera sembrava relegata alla proposizione televisiva (intrapresa dopo l'orrendo Le Foto di gioia del 1987), e da onesto artigiano molto meno talentuoso rispetto al padre Mario, a cui si debbono lavori tanto ingenui quanto affascinanti fatti con due soldi ed effetti di cartapesta nel tempo che fu, compie un lavoro tutto sommato semplice senza diversificare la sua produzione rispetto al passato.
Il film ci parla di apparizioni e di ricordi, raccontando una storia d'amore che si trasforma in un incubo dal suo seme più bello.
Scelto la foresta con casa isolata come ambientazione suggestiva, Bava inserisce iconografie del terrore nelle statue che assumono pose allucinate ed allucinanti, momenti di tensione con musiche sparate al momento predestinato ed animali come le iene a presagio del pericolo, che unito a vecchie leggende popolari e donne anziane con la pelle rinsecchita compiono il gigantesco omaggio al cinema di un tempo, segno forte di mancata capacità di disaffrancamento piuttosto che di riscoperta e rilettura per la terribile sensazione di dejavu. Infatti il film per quanto abbia elementi davvero suggestivi nell'ambientazione non riesce proprio a catturare la nostra attenzione per tutta la sua durata (tra l'altro abbastanza breve) penalizzato da una storia che proprio a decollare non ci pensa, ripetendo meccanicamente gesti e situazioni senza nessun vero fascino sintetizzabile. Bava infatti si è concentrato molto sull'immediato visivo unito al sonoro (le statue con i rimbombi del temporale, la iena con al musica d'effetto), cercando di stimolare l'angoscia per la progenie indegna ( lezione invece riuscitissima nel capolavoro Rosemary's Baby ad esempio) con una sequela di cose a compartimento stagno dette troppe volte rispetto al necessario. Non potendo disporre di un budget faraonico (fuoriscito sopratutto per scriturare gli attori) il film è privo di effettacci (solo delle gambe innaturalmente storpiate e disposte), deludendo chi magari si aspettava un film per una serata all'insegna dello splatter, mancanza in fondo del tutto ininfluente in una base di logica cinematografica, anzi migliorativa se sorretta da una trama che non ti lascia respiro, ma che mancando questa e non essendoci l'altro lascia lo spettatore del tutto insoddisfatto. Bava ci consegna una nostalgia del passato debitoria di tanti altri film, senza ritmo, che purtroppo con i tempi disincantati di oggi viene a targarsi di una ingenuità del tutto priva di fascino. Più televisivo che cinematografico, questo film va visto da coloro che hanno a cuore tempi e modi di fare film thriller e a sfondo horror ormai persi. Tutti gli altri possono tranquillamente evitarlo.
Nel comparto attori, praticamente tre, abbiamo Laura Hanning (Mullholland Drive), John Hannah (La Mummia), Pete Postlethwaite (Dragonheart), che si muovono sulla scena, i primi due, cercando di dare un ritratto di marito e moglie convincente per giustificare gli atteggiamenti successivi alla svolta, e di persona cara nel sostegno, per il terzo, ma purtroppo il solo ritratto (convincente sopratutto la Hurring) non basta se questo ha uno sfondo di sceneggiatura che non valorizza le emozioni con gli acacdimenti.
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quello che viene per me è un capolavoro... ma io sono innamorato di Parigi e le sue canzoni!
La vie en Rose
La vita in rosa
Parole: Edith Piaf. Musica: Louiguy 1946
Occhi che fanno abbassare i miei
Un rire che si perde sulla sua bocca
Ecco il ritratto senza modifica
Dell'uomo al quale appartengo
Quando lo prende nelle sue braccia,
Me parla qualsiasi fondo
Vedo la vita in rosa,
Mi dice parole d'amore
Parole di tutti i giorni,
E quello mi fa qualcosa
È entrato nel mio cuore,
Una parte di felicità
Di cui conosco la causa,
È lui per me,
Io per lui nella vita
Me l'ha detto, lo ha giurato
Per la vita
Ed appena lo scorgo
Allora sento in me
Il mio cuore che batte
Notti d'amore più da finire
Una grande felicità che prende il suo posto
Difficoltà, dispiaceri si cancellano
Felici, felici a morirne
Notti d'amore da morirne
Una grande felicità che prende il suo posto
Le difficoltà, i dispiaceri si cancellano
Felici, felici per il mio piacere
*la vie en rose*
Genere: Drammatico Biografico
Durata: 140 min.
Data uscita nei cinema: 04/05/2007
Titolo originale:
La Môme
Cast: Marion Cotillard, Sylvie Testud, Clotilde Courau, Jean-Paul Rouve, Pascal Greggory
Produzione: Olivier Dahan (regia)
Trama: la tumultuosa vita di Edith Piaf raccontata con dei flash back dall'infanzia difficile ospite gradita in un postribolo e poi sulla strada, costretta dal carattere del padre che non va d'accordo con nessuno a fare la cantante ambulante. Con il successo però il suo carattere fragile la porta agli eccessi di una vita senza regole.
Commento: La biografia di Edith Piaf (1915-1963) raccontata in maniera lucida e perfetta da Olivier Dahan (I Fiumi di Porpora 2), con un progetto che risale al 2004. La vita della cantante, una delle più amate di Francia, è stata un percorso di perdizione e di eccessi, e la cosa viene detta senza nessuna retorica anche se sempre in un ottica di grandissimo rispetto per le sue canzoni immortali.
Racconto fatto per flash-back irregolari nel tempo (grandioso a questo proposito il montaggio finale) partendo dagli inizi dove la piccola Edith viene presa e accudita da una prostituta dopo l'abbandono del padre.
Le fasi della crescita sono sintetizzate in tre tempi diversi tra di loro, con la cantante piccola, adolescente e poi nella maturità che il troppo bere e i vizi fanno diventare una terza età precoce. Dobbiamo segnalare, e incensare, la prestazione recitativa di Marion Cotillard (A Good Year-Un ottima annata) assolutamente strepitosa, un trionfo di emozionalità e di espressività, sia nei momenti (rari) lieti e tranquilli sia in quelli tempestosi e minati dalla malattia. Il trucco perfetto segue le movenze aritmiche e gli ingobbimenti da senescenza precoce per abuso di alcool e droghe, esponendo una totale immersione nel dolore che tutto il vissuto gli provoca.
Rimaniamo a bocca aperta mentre la vediamo cantare arie immortali (un po'meno per il doppiaggio parlato non proprio perfetto), mentre si contorce quando gli vengono annunciati dolorosi eventi, quando piange o quando sorride, quando spocchia piena di ego o quando si lascia andare alal disperazione. In una sola parola, la perfezione interpretativa in ogni senso calandosi in un personaggio per renderne omaggio sentito.
La vie en Rose è decisamente un film celebrativo (la cui importanza è anche precisata dalla presenza di Gerard Depardieu in un ruolo breve di minutaggio ma importantissimo per la trama), ma non si tocca mai lo stucchevole oppure l'incensante vacuo. Si racconta senza fronzoli la vicenda umana di una grandissima artista, che come molti altri suoi illustri colleghi vive del genio e della sregolatezza, riconoscendone le doti ma anche le fragilità, che come al solito con i soldi abbondanti e il successo vengono alla luce perentorie. Edith è la grandeur ma anche l'anima di Parigi, che con i suoi ricordi immortali condiziona anche i momenti nelle città americane, città dove cantare sembra diverso e più corroborante anche se le canzoni sono uguali.
Parlando delle visioni asciutte non possiamo dimenticare le scene nel bordello dove una bambina piccola vive a contatto con scene di sesso più o meno pulite, non dimentichiamo la scena dove inizia a cantare per aiutare a racimolare del denaro per il padre impaurita (una situazione che sembra quella de la Strada di Fellini) e poi quando entra in scena definitivamente la Coutillard avviene l'esplosione emozionale, con un progressivo cambio di marcia e caduta nell'abisso sempre con una fotografia virata allo scuro. Il racconto a flash back aiuta a mostrare meglio i momenti per compararli, facendoci capire che in fondo la Piaf (il passero) non ha mai avuto delle vere stazioni di felicità nella sua vita ma quanto più un illusorio viaggio di successo mal gestito ("Cosa serve essere Edith piaf se non posso fare questo?").
Un finale di grandissima emozione con il flusso finale dei ricordi completa la visione di un biopic strepitoso, che soddisferà chiunque voglia avvicinarsi alla pellicola sia per godere delle canzoni che della storia umana di una donna coraggiosa ma nel contempo talmente fragile da cantare talmente bene le emozioni da non saperle dominare, godendo di una storia costruita in modo che sia di immediata fruizione nonostante una lunghezza extra di 140 minuti.
Tra l'altro curiosamente la versione italiana presenta solo tre canzoni tradotte e non tutte.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
marsellus wallace
ovviamente sono totalemnte discorde su le vite degli altri ma grande punto di vista mat. ottima disamina, le mie controragioni sono due pagine indietro.andiamo avanti...
Avevo intravisto la tua recensione e l'ho letta di proposito dopo aver visto il film per non esserne influenzato.
L'ho apprezzata, ovviamente, ma apprezzo ancora di pi
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Cast
Ray Liotta
Nora Timmer Jolene Blalock
Luther Pinks LL Cool J
Isaac Duperde Mekhi Phifer
Chet Price Guy Torry
Crediti
Anno: 2007
Nazione: Stati Uniti d'America
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 93'
Data uscita in Italia: 04 maggio 2007
Genere: thriller
Regia: Wayne Beach
Sceneggiatura: Wayne Beach
Fotografia: Wally Pfister
Musiche: Jeff Rona
Montaggio: Kristina Boden
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Trama cosa succede alle 5 del mattino ? cosa si nasconde dietro un misterioso omicidio? Cosa sta ordendo la bella lady che sembra muovere le fila ? c'è pococ tempo per capire la grande trama dietro a queste cose...è meglio che il procuratore distrettuale si sbrighi a capire tanti perchè se vuole che una tragedia non accada...
Commento: Ray Liotta (Hannibal e Svalvolati On the Road) decide di investire un po' dei soldi guadagnati come attore producendo questo filmetto dai toni oscuri ( riferimenti a Under Suspicion e i Soliti Sospetti) in cui lui è protagonista a tutto tondo. Liotta come attore di contorno, di solito viene relegato in queste parti, già non è decisamente la punta dell'iceberg di bravura, come protagonista diviene addirittura quasi ridicolo tanto si nota lo sforzo per dare il massimo con una recitaziona contrita di smorfie e occhi increduli. Prendendo spunto dai classici "Chi è stato?", il film si sviluppa in due diverse direzioni, quella del confronto con la fase incrociata dei ricordi che si contraddicono tra due testimoni (LL Cool J, qui con il suo vero nome, e la splendida Jolene Blalock) per stabilire motivi e identità dell'assassino, e secondariamente quella delle cause laterali all'omicidio che non è fine a se stesso ma ha un disegno più grande dietro (del tutto banale e subito capibile, ve lo dico chiaramente). Interessante il gioco di luci camaleontico che viene innestato durante questa operazione "doppio sguardo", dove si chiarifica che nulla è come sembra ma tutto è da scoprire. La progressione del lavoro che non vuole di certo addormentare lo spettatore ma ci va vicino parecchio dopo la buona fase iniziale, è però lenta e monotona, fatta di colpetti di scena cadenzati sulla durata del film senza fantasia e con trovate risapute (oltretutto debitorie di ben altri film come quello di Synger) colmando le lacune narrative con dei nudi soft di grande pregio della splendida protagonista (Enterprise in Tv). Due sezioni, una fatta di interrogatori e l'altra di azione, compongono un lavoro totalmente trascurabile che il regista Wayne Beach (opera prima) usa anche per omaggiare gli ispiratori, più o meno illustri, e criticare apertamente la serie televisiva di Friends con una battuta al vetriolo del tutto personale probabilmente ("si è proprio caduti in basso se si guarda Friends"). Buon inizio, ritmo blando, protagonista inguardabile, cose già viste e trama appassita. Non possiamo nenache consigliarlo per una serata di disimpegno in quanto in alcuni punti è pretenzioso e cerca delle cose autoriali che hanno solo il risultato di confondere invece di esplicare, andando bene al massimo per una puntata di serial televisivo.
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L'uomo dell'anno
Titolo Originale: MAN OF THE YEAR
Regia: Barry Levinson
Interpreti: Robin Williams, Christopher Walken, Laura Linney, Jeff Goldblum, Tina Fey, Doug Murray, Rick Roberts
Durata: h 1.55
Nazionalità: USA 2006
Genere: commedia
Al cinema dal 11 Maggio 2007
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Trama: il conduttore satirico Tom Dobbs nelle prove di una trasmissione viene ispirato durante una trasmisisone da una spettatrice a cercare di diventare il presidente degli Stati Uniti e di iscriversi alla campagna delle elezioni. Iniziata l'avventura anche per aumentare gli ascolti del suo programma e la sua popolarità, inaspettatamente i favori degli elettori sembrano volgere verso di lui. Se non che...
Commento: Barry Levinson aveva già diretto Robin Williams in altri film (Toys e Good Morning Vietnam) e aveva già affrontato tematiche legate alle decisioni di alto livello con protagonisti De Niro e un altro suo attore feticcio come Dustin Hoffman (Sesso e Potere). Il film è idealmente diviso in due parti: quella della illuminazione personale con cui il presentatore satirico si propone l'obbiettivo e la seconda in cui avvengono dei fatti che modificano la sua proposizione verso la gente e l'impatto che deriva dal suo essere istituzionalmente diverso rispetto alla consuetidine in una situazione tanto delicata, il tutto raccontato da Christopher Walken (Pulp Fiction) che fornisce l'ennesima prova da caratterista di contorno misurata e precisa. La prima parte è una sorta di delirio egocentrico, elogio di se stesso eseguita da un Robin Williams staripante, che a raffica spara battute nella conduzione dello spettacolo senza risparmiare nessuno. Fase molto importante, perchè capiamo come un comico potrebbe nel suo essere basico gradito a un pubblico che lo capisce e lo assimila con più facilità, dicendo le cose giuste nel modo più genuino possibile. La seconda parte, quella della ascesa, identifica l'indecisione, la difficoltà di passare dalle parole ai fatti, che dovendo dare un risultato tangibile non possono essere solo un modo di scelta del come dirle ma nel renderli realtà efficaci. Non basta a quel punto essere un comico, bisogna che la satira sia sostituita dalla strategia. Il grande significato del film sta qui: un uomo come Tom Dobbs può piacere, ma non può valere in una particolare situazione. Si tratta di un film di satira politica apertamente surreale virato alla commedia, per cui bisogna doverosamente cercare di perdonare le innumerevoli incongruenze di logica della trama, tutte legate alla dolce ma determinata Laura Linney (The Truman Show), che avvengono molte volte in maniera straniante.
Levinson tralascia a lungo di virare verso il tragico questa storia, veicolando solo nel finale un evento di decisa rottura con l'ambiente di genere, predilegendo una soffusa atmosfera di ingenua accettazione senza domandarsi troppo quanto il pericolo creato dovrebbe portare alla decisa eliminazione di chi è scomodo, oppure con incontri al limite del possibile. Delle volte il cinema ha ipotizzato la presenza di uomini diversi o insoliti alla Casa Bianca (come Dave, presidente per un giorno) ma stavolta abbiamo la centralità della televisione che determina gioie e fortune insieme alla asettica presenza del computer, dove un presentatore può in virtù delle fortune catodiche creare una massa di elettori (speriamo che vedendo il film Maria De Filippi non abbia strane idee...).
In definitiva un film godibilissimo e satiricamente leggero, fruibile e capibile senza nessun impegno particolare come la parametrazione degli standard intellettuali che il media casalingo si impone per motivi di audience, ideale per una serata che vuole avere oltre al divertimento una punta di riflessione sui pericoli che il troppo esporsi alla confortevole logica della tv crei falsi miti oltre i loro limiti.