Non mi ricordo di alcun piccione...
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Non mi ricordo di alcun piccione...
Ieri sera ho visto "Pinocchio" di Matteo Garrone, non so dire se mi sia piaciuto.
Per quelli come me che sono amorevolmente ancorati al Pinocchio di Comencini, se non ingabbiati in infantili ricordi, ogni nuovo film viene visto con diffidenza.
La luce ben scelta a seconda dei momenti mattutina livida, fataturchinasalottiera ovattata...
La vera rivelazione, per me, è stata Benigni. Non l'ho mai apprezzato molto come attore, ma qui è veramente irriconoscibile sotto i panni di Geppetto
Vedendo questo Pinocchio di Garrone tradizionale ho rivalutato il coraggio del Pinocchio di Benigni e quasi quasi me lo vado a rivedere
Aspetto con ansia l'opera di Guillermo Del Toro
Rocketman, un film del 2019 diretto da Dexter Fletcher. Narra la vita di Elton John, a partire dalla Royal Academy of Music fino ad arrivare agli anni '80.
Bellissimo secondo me e comunque per chi ama il genere biografico e pure musicale. Tra le altre ha vinto il premio oscar come miglior canzone.
Ho visto Mine Vaganti, di Ozpetek. Piaciuto molto, come del resto tutti i suoi film.
Ieri sera ho visto "Luca" della Disney, la storia drammatica di una giovane e simpatica creatura marina che quando esce dall'acqua e si asciuga si trasforma in... ligure :eek::eek:
Scherzi a parte, molto molto carino. L'amicizia, l'accettazione del diverso, le opportunità...
"Santiago, Italia" (2018) di Nanni Moretti.
In attesa che esca da qualche parte il suo ultimo "Tre piani" presentato all'ultimo Cannes, ho avuto la possibilità di vedere il recente documentario dedicato al golpe cileno del 11 settembre 1973. La storia è nota, Salvador Allende nominato Presidente del Cile nel 1970 avvia una serie di riforme socialiste che vede ad esempio le maggiori aziende private nazionalizzate, l'aumento dei salari, diritto allo studio per tutti i cittadini, costruzione di varie opere pubbliche. Il suo obiettivo è l'eliminazione della povertà in Cile. Lo spostamento verso l'estrema sinistra della sua azione di governo, non viene vista di buon occhio dai centristi che lo sostengono. Ma sono soprattutto gli Stati Uniti a voltargli la faccia, considerati i loro interessi economici in alcune importanti aziende passate in mano pubbliche senza risarcimento, che finiscono par appoggiare tramite la CIA il golpe compiuto dai militari guidati da Pinochet. Il documentario non è sulla dittatura, lo stesso Pinochet si vede solo una volta, ma sull'impegno degli italiani nell'aiutare il Cile e i cileni. A partire dall'ambasciata a Santiago, presa d'assalto da coloro che non erano disposti a sottostare ai diktat dei militari e poi l'aiuto che l'Italia diede ai cileni nel corso degli anni successivi favorendo il loro trasferimento e inserimento nel nostro paese. Il documentario è corredato dalle interviste di alcuni protagonisti che da allora vivono in Italia, ma anche reduci della dittatura rimasti in Cile.
Santiago, Italia ***
XXX - Il ritorno di Xander Cage, ultimo della trilogia. Piaciuto molto, a differenza del secondo che non mi era piaciuto per nulla. Ma io adoro Vin Diesel, non faccio testo :asd:
"Concrete Cowboy" (2020) di Ricky Staub
Stufa dell'indisciplina del figlio, una madre decide di affidarlo al padre che lavora in una stalla in cui si addestrano i cavalli nella periferia nord di Philadelphia. Per il ragazzo la vita dura delle stalle a contatto con animali da addestrare sarà una lezione di vita che gli farà capire che ancor prima di insegnare qualcosa agli animali dovrà lui per primo imparare a vivere. Presentato a Toronto l'anno passato e ricevendo buone recensioni, la pellicola veleggia tra il film e il documentario e alla fine questo a mio parere sembra il suo limite.
Concrete Cowboy **
"The Card Counter" (2021) di Paul Schrader
E' il primo film uscito da Venezia che riesco a vedere (da Cannes per ora nemmeno uno....). Il protagonista è un giocatore di Black Jack, gioco che ha imparato e studiato in carcere dopo una condanna per maltrattamenti compiuti da carceriere. Insomma il carceriere che finisce in prigione, sembra un paradosso visto che già ci viveva. Uscito di prigione si imprigiona un'altra volta ma in questo caso dentro i Casinò d'America quasi a voler esorcizzare la sua vita precedente. In uno di questi Casinò incontra il figlio di un suo collega morto suicida, rovinato dalle vicende vissute da carceriere per colpa di quei metodi perpetrati nei confronti dei prigionieri. Il ragazzo ha l'intenzione di uccidere l'organizzatore di quei maltrattamenti, colui che insegnava ai carcerieri come comportarsi nei confronti dei prigionieri e che nel frattempo è riuscito a farla franca. Il protagonista farà di tutto per dissuaderlo. Giallo psicologico, con una storia che ti tiene incollato alla sedia sino alla fine malgrado una regia non sempre convincente.
The Card Counter ***
Molto bello rileggere le tue recensioni, Barrett.:love:
“The power of the dog” (2021) di Jane Campion
Due fratelli gestiscono un ranch, ma il lavoro è soprattutto sulle spalle di uno dei due, mentre l’altro sembra svolgere apparentemente un ruolo di direzione. Quando quest’ultimo si unisce a una giovane vedova con un figlio cresciuto e un problema con la bottiglia i rapporti tra i due fratelli peggiorano. Questo è solo l’inizio, mentre la fine è inattesa. Presentato a Venezia, il film è un western al crepuscolo dove i protagonisti, ma anche l’intera società che li circonda, sono oramai interessati a godersi il benessere ottenuto (si vede anche una partita di tennis). Magistrale la regia della Campion (Leone a Venezia per questo) all’interno della quale aleggiano i fantasmi di John Ford e Sergio Leone. Ottime anche le interpretazioni di Kirsten Dunst e Benedict Cumberbatch. Non così efficace la sceneggiatura, della stessa Campion, che sembra ostentare sui dettagli più che rendere maggiormente incisiva la storia.
The power of the dog ***
“The House that Jack Built” (2018) di Lars Von Trier
Jack è un ingegnere colto e interessato all’arte, soprattutto a quella legata al suo lato più demoniaco, e alle icone politiche del passato. E’ anche dichiaratamente misogino. Improvvisamente decide di diventare un serial killer e per quanto sia goffo nella sua attività, lasciando indizi anche apposta facilmente individuabili, la polizia fatica ad individuarlo. Deve uccidere in sequenza perché il piacere di averlo fatto lascia presto il posto al dolore per averlo commesso, come in una sorta di crisi da astinenza, costringendolo a ripetere l’esperienza. Inoltre l’atto terribile non è fine a se stesso ma si ricollega alla creazione di un’opera artistica, come un dipinto, una fotografia o un testo letterario. La fine è dantesca. Presentato a Cannes nel 2018 venne accantonato immediatamente per via della violenza e crudeltà di alcune immagini e delle vicende raccontate. Ma anche per l’idea che molti hanno ormai di Von Trier. Da rimarcare l’interpretazione di Matt Dillon; probabilmente se non fosse stato così il regista l’avrebbe fatto fuori….Non è solo un film horror, al contrario la sua analisi andrebbe effettuata su più livelli.
The House that Jack Built ****
Cerco un film di non so quando, di cui mi ricordo solo una scena, una ragazza e due spasimanti che vanno a pattinare sul ghiaccio: lei deve scegliere uno dei due.
Uno mostra quanto è abile nel pattinaggio, fa piroette di tutti i tipi e si fa ammirare. Della serie “guarda quanto sono bello e bravo”. L’altro invece la aiuta a non cadere e la assiste, mentre lei cerca di stare in equilibrio sui pattini.
Lei sceglie quest’ultimo, naturalmente.
Lo so, è una impresa disperata, ma tentar non nuoce.
Folle per caso era un film anni 50 in bianco e nero?
“Tre piani” (2021) di Nanni Moretti
Il destino di quattro famiglie si incrociano in un palazzo. Una coppia di magistrati dalla vita che scorre su binari precisi deraglia per via del figlio. Un padre dall’ossessione che sua figlia di sette anni sia stata molestata dall’anziano vicino. Una giovane madre travolta dalla depressione subito dopo il parto. Il film, che ha saltato un’intera stagione per via della pandemia ed è stato presentato a Cannes a luglio, è tratto da un libro di Nevo ed è la prima volta che Moretti si cimenta su una storia non sua. Alla fine ne esce un’opera amara e per certi versi disperata che tratta essenzialmente sul rapporto genitori figli e dove le persone faticano a trovare conforto nella vita di tutti i giorni. Persino un parto, avuto dal personaggio interpretato da una bravissima Alba Rohwacher diventa un ostacolo insormontabile per via della malattia che si impossessa della neomamma e che per inciso ci rende dubbiosi sulla veridicità di quello che la giovane donna ha realmente vissuto. Un film da vedere, e che può essere visto da tutti essendo rappresentata ogni fascia d’età. Da lasciar perdere le mie stelle che segue logiche cinematografiche cha a volte perdono significato davanti a un film così profondo.
Tre piani ***
“Dogville” (2003) di Lars Von Trier
Dogville è un micro villaggio incastonato tra le montagne dove gli abitanti hanno organizzato la loro vita in maniera tale che ognuno svolga un lavoro necessario per la comunità. Un giorno vi giunge una giovane donna disperata in quanto inseguita da alcuni gangsters. Il paese decide di darle protezione e una sistemazione in cambio di vari lavori che le verranno assegnati e che lei svolge con profitto. Ma questo è solo il principio. L’intera vicenda narrata si svolge in un unico scenario, come in una piece di Brecht, con le persone interamente visibili durante la vita quotidiana in quanto le case sono prive di pareti. Le riprese effettuate con le macchine poste in differenti punti dello stage, come se fosse una diretta televisiva. Sembra di essere partecipi di un reality, mentre per gli attori un tour de force non indifferente. Dogville è un film geniale, forse eccessivamente teatrale, ma con alcune soluzioni cinematografiche di alto livello. Ottima l’interpretazione di Nicole Kidman (nel momento migliore della carriera) accompagnata tra gli altri da alcuni attori fedeli a Von Trier, più alcune vecchie glorie di Hollywood come Lauren Bacall, Ben Gazzara e James Caan. Nella colonna sonora tantissimo Vivaldi, ma anche Pergolesi e Albinoni oltre a Handel.
Dogville ****
“Habemus Papam” (2011) di Nanni Moretti
“Tre piani” mi ha riportato al terzultimo film di Nanni Moretti con il quale il regista ha anticipato, forse ispirato, di un paio d’anni le inaspettate dimissioni di Benedetto XVI. Le motivazioni probabilmente sono diverse, anche perché è diverso il momento della rinuncia alla carica. Nella finzione, è il peso delle responsabilità che rende opprimente al neo eletto accettare un impegno di tale portata, anche perché completamente inaspettato. Nel caso del Papa tedesco penso siano stati soprattutto gli scandali che senza soluzione di continuità da un certo momento in poi hanno colpito la Chiesa. A parte ciò, ho apprezzato la regia di Moretti, come pure la fotografia. Ma la cosa che mi è parsa più riuscita è il vagare del Papa da perfetto sconosciuto per le vie di Roma, mentre ascolta quello che si dice su di lui, su come il passaparola mistifichi la realtà e quanto il suo desiderio di vita normale renda inconciliabile qualsiasi opera di evangelizzazione in giro per il mondo. E qui l’interpretazione di Michel Piccoli è da sottolineare.
Habemus Papam ***
Ancora due film di Moretti, in attesa di altri film da Cannes e Venezia.
“Mia Madre” (2015) di Nanni Moretti
In attesa degli altri film da Cannes e Venezia. Margherita (Margherita Buy) è divisa tra il lavoro di regista in un film su una azienda in crisi e la malattia della madre ricoverata in ospedale. Quest’ultimo fatto influenza inevitabilmente la vita personale e il suo comportamento sul set, dove si scontra continuamente con l’attore protagonista (John Turturro), nel film il padrone dell’azienda. Purtroppo la sceneggiatura non sviluppa a sufficienza i personaggi di contorno, tutto ruota attorno a Margherita, ai suoi pensieri e a i suoi incubi legati ai sensi di colpa nei confronti della madre, rendendo alla fine la storia un po’ arida. Anche la regia di Moretti non è al livello delle sue migliori opere, a parte la scena finale, devo dire toccante.
Mia Madre **
“Il Caimano” (2006) di Nanni Moretti
Un produttore di film di serie b deve affrontare difficoltà finanziarie e la separazione dalla moglie. Contemporaneamente una giovane regista è alla ricerca di un finanziatore per un film su Berlusconi e sulla sua discesa in politica e l’influenza negativa che questo ha comportato per la vita degli italiani e per l’intera scena politica nostrana, adagiata inevitabilmente verso i suoi interessi. In verità, alla fine del film girato dalla giovane regista, più che accusare il Caimano viene messo l’accento su chi abbia permesso a Berlusconi di vincere le elezioni e di continuare a fare politica. Ricordandoci cosa diceva Moretti a quel tempo, è un attacco, neppure tanto nascosto, alla sinistra e al Pd. Sul film, come spesso gli capita, ci sono delle parti e dei protagonisti o attori che funzionano e altri meno. Sino alla scena finale del processo (ottima), la parte dedicata a Berlusconi, vista oggi, appare caricaturale (volutamente), ridondante e fuori tempo. Più riuscita, a parer mio, quella dedicata alla separazione del produttore dalla moglie, che è poi l’avvenimento che influenza davvero la vita del protagonista.
Il Caimano **
“Todo Modo” (1976) di Elio Petri
La pubblicazione di un libro sul regista è l’occasione per recuperare uno dei suoi film pìù celebri, opera tra l’altro dotata di un alto grado di preveggenza. Prima scena, un’ambulanza avverte la popolazione che è in atto una pandemia che si risolve solo con un vaccino (è il 1976…). In un bunker sotterraneo viene organizzato un congresso dei “poteri forti” che è in definitiva una resa dei conti all’interno della Democrazia Cristiana. Presente il Segretario (non lo si nomina mai ma è evidente che si tratti di Moro interpretato da un notevole Gian Maria Volontè) e tutti i vertici di partito, più industriali e banchieri. Fa gli onori di casa un ecclesiastico (Marcello Mastroianni) che pare abbia più potere di tutti quanti o pari a Moro. Nelle stanze del bunker sono presenti delle telecamere collegate a un impianto a circuito chiuso, i partecipanti obbligati a un programma prefissato. La conclusione è quella effettivamente accaduta due anni dopo e così via di seguito. La regia di Petri è particolare, con primi piani insistenti e luci sui protagonisti mentre il resto appare in penombra. Musica di Morricone appena accennata. Scenografia di Dante Ferretti. Un gran film accolto molto male dalla politica. Dalla Dc si capisce immediatamente il perchè, dal Pci perché erano in atto le trattative per il “compromesso storico” per portarlo al governo. Se il mondo politico lo affossa, in una società chiusa come era la nostra all’epoca, non poteva non andare come è effettivamente andata. Film sottoposto a sequestro, quindi ritirato e dimenticato. Decenni dopo fortunatamente recuperato e restaurato. Oggi è ancora tra noi con tutta la sua forza espressiva.
Todo Modo ****
Altri due film da Venezia
“Il Buco” (2021) di Michelangelo Frammartino
All’inizio degli anni sessanta, in pieno boom economico, un gruppo di speleologi si reca in Calabria per visitare una grotta sino ad allora sconosciuta. Tra film e documentario, di questo tratta “Il buco” presentato a Venezia dove ha vinto il premio speciale della giuria. Si descrive con precisione la discesa degli speleologi all’interno della grotta che i protagonisti mappano costantemente. Non si recita e raramente si parla, al massimo si sentono delle loro voci in lontananza e attutite. Viene raccontata anche la vita del piccolo paese che per primo accoglie gli speleologi, oltre alle immagini relative alle campagne attorno al campo base e in prossimità del buco dal quale si protrae la grotta da penetrare; vengono anche testimoniati gli ultimi giorni di vita del pastore più anziano che ogni giorno portava le mucche al pascolo proprio attorno al buco. L’equilibrio tra tutte queste componenti ha reso possibile la riuscita del film.
Il buco ***
“Qui rido io” (2021) di Mario Martone
E’ la biografia artistica di Eduardo Scarpetta inventore alla fine dell’800 del Teatro napoletano, nonché padre naturale dei fratelli De Filippo (Eduardo, Titina e Peppino). Proprio nel momento migliore della sua carriera avviene il tonfo improvviso, una caduta inarrestabile anche per concause non prevedibili. In questo caso è l’intenzione di Scarpetta, ormai sul punto di autocelebrarsi, di sfidare D’Annunzio nel rendere in parodia una sua opera. Ricevuta un semplice assenso vocale dal poeta, Scarpetta debutta ma immediatamente viene denunciato per plagio. Rinviato a giudizio il comico prende coscienza che il suo tempo è finito, la sua commedia in crisi, con la gente desiderosa di più realismo e meno comicità; c’è anche l’arrivo di un’altra forma d’arte, il cinematografo. La sua debolezza viene colta da parenti e collaboratori che non aspettavano altro per criticarlo per i suoi comportamenti passati, attaccandolo e magari voltargli la faccia. Convinto a ridimensionare la sua figura, durante il processo mette in scena una delle sue migliori performance, da comico vero, tra le risate generali. Film dal sapore antico con il solito grande Toni Servillo.
Qui rido io ***
Altri due film da Venezia, questa volta fuori concorso. “Dune (2021) di Denis Villeneuve, lo stesso regista di “Arrival”. E’ il rifacimento del film del 1984 e come quello non mi è parso granché, ma non è il mio genere. A parte lo spiegamento di tecnologia e di effetti speciali c'è Timothée Chalamet con la stessa faccia da ragazzino vista in “Call me by your name”. Dopo una ora e mezza l’ho abbandonato. Più interessante mi è parso “Old Henry” (2021) di Potsy Pouncill, un western ambientato ai primi del ‘900. Un uomo con indosso molti soldi inseguito da una banda trova rifugio da un agricoltore, che in verità è un ex bandito. Da li una trattativa con la banda per restituire l’uomo ma il tutto finisce in sparatoria. Finale un po’ scontato. **
"Madres Pararelas" (2021) di Pedro Almodovar.
Film d'apertura a Venezia. Due donne occupano la stessa stanza di ospedale in attesa di partorire. Una è minorenne, l'altra adulta. Diventano amiche e coinvolte nello stesso destino di dover far crescere le rispettive figlie senza padre. Da qui in avanti il film riserva varie sorprese, alcune facilmente prevedibili altre meno, come quella che si materializza sulle note di summertime di janis joplin. La storia principale sembra però solo un pretesto per parlare del problema dei desaparecidos, argomento mai affrontato in terra iberica. Si passa dal melodramma alla tragedia. La protagonista interpretata da Penelope Cruz (Coppa Volpi) infatti riesce ad ottenere i fondi per dissotterrare una fossa comune dove è sepolto il nonno. Controversa l'ultima immagine del film. Se nel precedente Almodovar parlava dei suoi scheletri personali, in questo sono quelli dell'intera Spagna ad essere rappresentati.
Madres Paralelas ***
Barrett, ti piace andare al cinema da solo?
Assolutamente si, anche perchè ho un multisala a 50 mt dal mio ufficio, quindi ci posso andare di pomeriggio, in una pausa ad esempio. Invece di andare al bar vado al cinema...Purtroppo ormai però il 90% dei film da più di 10 anni li vedo in streaming. Non amo il doppiaggio, quindi lingua originale per i film in inglese, sottotitoli per gli altri. Invece per i film italiani un po' al cinema e un po' al computer. In streaming però si perdono tante cose, fotografia, sonoro, il grande schermo, l'atmosfera.
La scelta di Anne - L'Événement (2021) di Audrey Diwan
E' stato presentato a Venezia dove ha vinto il Leone d'oro quale miglior film. Storia vera, tratta di una studentessa universitaria francese che all'inizio degli anni 60 rimane incinta e decide di abortire. Già due anni fa un film in un contesto differente si occupava dello stesso tema, "Never Rarely Sometimes Always" il titolo. In quel caso la ragazza doveva fronteggiare l'aspetto psicologico della sua scelta, qui la protagonista ancor prima di affrontare i sensi di colpa deve combattere contro una legge che non le permette di abortire e di conseguenza un'intera società che le volta le spalle. Il film cresce d'intensità con il passare delle settimane di gravidanza e quella che inizialmente pareva una regia approssimativa e superficiale diventa uno dei punti di forza del film con la cinepresa incollata in maniera ossessiva alla protagonista, ossessione che Anne trasferisce nei confronti del feto il cui sentimento negativo è direttamente proporzionale al rifiuto che riceve per la sua scelta da parte dell'ambiente che le sta attorno. Tema che naturalmente divide ancora oggi malgrado si siano fatti passi in avanti nell'accettare che la decisione spetta alla donna. Convincente l'interpretazione da parte di Anamaria Vartolomei.
L'Evenement ***