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“Mulholland Drive” (2001) di David Linch
Per un attimo abbandono i film presentati a Cannes e Venezia. Il 15 novembre uscirà in molte città italiane la versione restaurata di quello che i fan di Linch considerano il suo capolavoro, alcuni arrivano addirittura a considerarlo il più bel film del cinema. Non lo avevo mai visto, non potevo non dagli un’occhiata prima di vederlo magari al cinema nella nuova veste (in verità l’ho visto due volte). E’ la storia di un’attricetta che sogna di diventare una stella di Hollywood. Questo in estrema sintesi il soggetto, la trama è molto complessa ma a mio parere è la cosa migliore del film, una sceneggiatura geniale in una realizzazione che soprattutto nella prima parte lascia un po’ a desiderare. Ascoltando la trasmissione radiofonica di Raitre “Hollywood Party” che ha dedicato al film un’intera puntata, si scopre che in verità il film doveva essere una serie televisiva bocciata però dal committente per la complessità della vicenda. Linch allo decide di concluderlo come film. A parte Naomi Watts e davvero pochi altri, gli attori sono di basso livello, il direttore della fotografia di certo non uno Storaro e qui e là si nota l’influenza neppure troppo nascosta di Hitchcock. Un film corretto in corsa che col tempo ha acquisito la fama di capolavoro tra appassionati e critici. Presentato a Cannes venne battuto per la Palma d’Oro da “La stanza del figlio” di Moretti. Un consiglio per chi lo volesse guardare: una visione non è sufficiente, oppure prima ancora di vederlo, approfondire la trama perché il rischio è di non capire nulla.
Mullholland Drive ***
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"In the Mood for Love" (2000) di Wong Kea-wai
Altro film recuperato. Hong Kong 1962. Due coppie si trasferiscono in uno stabile nello stesso momento, divenendo vicini di casa. L'uomo di una coppia e la donna dell'altra si incontrano spesso nel pianerottolo nei momenti di rientro uscita da ciascuna casa. Con molta discrezione decidono di frequentarsi anche fuori, dando vita a una relazione extra-coniugale. La trama è molto semplice, la bellezza del film è nella cura con cui è stato realizzato. Ogni scena è girata con una perfezione maniacale. Ogni dettaglio, come l'inquadratura di un viso o di un oggetto, rimanda all'arte fotografica. La varietà dei colori dei vestiti e dell'arredamento delle abitazioni lascia senza parole. Qualcuno dirà che è solo un esercizio stilistico e alcune immagini troppo ridondanti, ma la qualità della pellicola non può essere messa in discussione.
In the Mood for Love ****
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"Tutti in piedi" di Franck Dubosc, francese, 2018, sabato su Raimovie.
Jocelyn mente tutto il tempo, ci prova tutto il tempo. Con tutte. Bionde, rosse, brune, indigene, straniere, alte, piccine, il catalogo è infinito e disparato. Appassionato corridore e playboy con azienda florida e Porsche fiammante, Jocelyn incontra Florence, una violinista con l'hobby del tennis costretta sulla sedia a rotelle. Un concorso di circostanze, affatto nobili e a cui proprio non riesce a sottrarsi, lo spingono a sedurla fingendosi paraplegico. Ma il sentimento che insorge improvvisamente per la donna complica dannatamente le cose e rimanda (troppo) a lungo il momento della verità. Colta e sensibile, Florence gli servirà un rovescio, costringendolo all'errore e alla resa totale.
Divertente e allo stesso tempo profondo. Bella e brava la protagonista Alexandra Lamy
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Tre film del 2021 dai festival più importanti. Presentato a Berlino “Petite Maman” di Céline Sciamma. Una bambina accompagna i genitori a mettere a posto la casa della nonna appena morta. Giocando nel bosco vicino incontra un’altra bambina che non è altro che la madre alla sua stessa età. Film sul potere che i bambini hanno di vivere un’altra vita immaginaria all’interno della loro reale. Ottime le premesse, che purtroppo però vengono disperse con il passare dei minuti quando la magia diventa troppo simile alla realtà. **.
Direttamente da Cannes dove ha vinto la Palma d’Oro “Titane” di Julia Ducournau. Una ragazza con una placca di titanio nel cervello a seguito di un incidente, ha seri problemi ad accettarsi e a sopportare tutto quello che le ruota attorno. Diventa una serial killer ammazzando chiunque abbia la pessima idea di voler stabilire un rapporto con lei. Per sfuggire alla cattura si traveste da maschio, ma è solo un altro modo per cancellare la propria identità ed essendo rimasta incinta cerca in tutti modi di abortire. Faccio fatica a considerarlo un film riuscito, tropo controverso e a volte inutilmente violento con scene difficili da digerire. Eppure alla fine l’ho trovato interessante, con una regia incalzante, bellissima nei due minuti iniziali. Più che da Palma d’Oro il mio pensiero è che sia diretto a un pubblico ristretto. ***
Proveniente da Venezia invece “Freaks Out” (2021) di Gabriele Mainetti, film fantastico ambientato durante la seconda guerra mondiale. Alcuni circensi con poteri straordinari sono costretti a sciogliere la compagnia per via della guerra. Dopo varie peripezie si ritrovano a lavorare nel circo di Berlino di stanza a Roma. Utilizzeranno i loro poteri per liberare alcuni ebrei destinati ai campi di concentramento. Film di puro cinema dove si possono riconoscere tanti grandi registi del passato a partire da Fellini ma anche recenti come Tim Burton. Gran lavoro di Mainetti, una regia brillante senza pause. Molto brava Aurora Giovinazzo nella parte di Matilde. Unico difetto del film, la battaglia finale troppo lunga e eccessiva. Per il resto ottimo. ***
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"Annette" (2021) di Leos Carax
Film di apertura di Cannes quest'anno. Una coppia di artisti, lui (Adam Driver) stand up comedian, lei (Marion Cotillard) cantante lirica hanno una bambina che ha le sembianze di un pupazzo. Il loro è un rapporto che funziona, basato sull'equilibrio dei ruoli, nessuno sente invidia per il successo dell'altro. Improvvisamente lui viene accusato di molestie da alcune donne a da li in avanti l'equilibrio nel rapporto di coppia si rompe sino a un evento tragico. La prima parte l'ho trovata davvero riuscita, un film coraggioso diviso tra musical, teatro e lirica senza che una componente prenda il sopravvento sull'altra. La regia e il montaggio dimostrano il gusto e il talento di Carax, la parte teatrale mi è parsa davvero interessante. Purtroppo nella seconda parte non si rovina solo l'equilibrio nella coppia ma anche quello presente nel film dove la componente musical prende il sopravvento rendendo il tutto un po' ridicolo con Driver che tenta di sfruttare il talento acerbo della figlia. Un film sull'amore, sul potere che ha di migliorare la nostra esistenza ma che a volte ci spinge oltre misura rovinando tutto.
Annette **
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“Spencer” (2021) di Pablo Larrain
Proveniente da Venezia, un altro scorcio di biografia da parte del regista cileno dopo “Jackie” moglie di Kennedy e “Neruda”. Sono gli ultimi mesi del matrimonio di Lady Diana e l’ultimo natale con la famiglia reale nella residenza in Norfolk. E’ una Diana sull’orlo del suicidio, isolata dall’entourage della Regina, evitata da Carlo che l’accusa di aver mischiato vita privata con vita pubblica. Diana è stufa di recitare una parte che non le si addice, di vivere una vita piena di formalità e lusso sfrontato, per non parlare del tradimento perpetuo e sin dal principio da parte del marito. Le rimangono i figli e poco altro. Nel film non c’è nulla che non si sapesse già e Larrain fa del suo meglio per mantenere l’interesse nello spettatore attraverso la sua regia, una delle migliori in circolazione, aiutato dalla fotografia opaca, come il film, di Claire Mathon e dalla musica classica da camera, alternata nei momenti più bui da un soffice jazz fusion, composta da Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead. Il finale è un po’ hollywoodiano, con le cose che sembrano mettersi a posto, con Diana che “scappa” con i figli a Londra. Ma, come sappiamo, è solo apparenza.
Spencer ***
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“E’ stata la mano di Dio” (2021) di Paolo Sorrentino
Gran premio della giuria a Venezia, prodotto da Netflix, quindi pochi giorni in sala e poi solo sulla piattaforma. Film autobiografico in cui il giovane Sorrentino è alla ricerca della sua strada nei giorni dell’arrivo a Napoli di Maradona, di cui il regista era grande tifoso. E’ un film personale, con la sua famiglia al centro della storia, Toni Servillo il padre, e nel quale il protagonista capisce un giorno che il suo futuro sarà nel cinema, il solo che gli permetta di trovare quello che la realtà gli nega. Personalmente l’ho trovato debole, con una regia stanca senza che bastassero le acrobazie di alcuni protagonisti pittoreschi e alcune sequenze felliniane a risollevare il mio giudizio. Però leggo da più parti recensioni positive, quindi sicuramente sbaglio io.
E’ stata la mano di Dio **
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“Belfast” (2021) di Kenneth Branagh
Come Sorrentino, anche Branagh si cimenta in un film autobiografico che riguarda la sua infanzia a Belfast, Irlanda del Nord, durante gli scontri tra cattolici e protestanti. Il problema irlandese è tornato in voga ultimamente con la Brexit per motivi commerciali, mentre all’epoca era di natura politico/religioso e il film rappresenta gli scontri in atto alla fine degli anni sessanta visti attraverso gli occhi di un bambino, appunto Branagh. Ne esce fuori un affresco irlandese, per certi versi simile a quello messicano, anche in quel caso autobiografico, di cui fu artefice qualche anno fa Alfonso Cuaron con “Roma”, senza naturalmente raggiungere quelle vette. Ottima comunque la regia di Branagh, soprattutto il lavoro fatto con gli attori, con il bambino in particolare. Inutile aggiungere qualcosa su Judi Dench. Qualche perplessità invece sul b/n grigio topo che con il digitale è quasi sempre inevitabile.
Belfast ***
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“Get Back” (2021) di Peter Jackson
E’ un documentario sulle session che portarono i Beatles agli ultimi due album della loro epopea, “Abbey Road” e “Let it Be”, gennaio 1969. Per quanto mi riguarda i fab four non mi introdussero al rock, per quello ci furono successivamente i Rolling Stones, mi limitai ad ascoltarli insieme ad Abba e Donna Summer. Furono comunque la miglior vetrina per la nuova musica che si stava sviluppando negli anni sessanta, oltre a contribuire al mutamento del costume in una società sempre più dedita ai consumi. Il documentario è diviso in tre parti per un totale di circa 7 ore. Nella prima parte si vede il gruppo e il suo infinito entourage affittare uno stabile a Twickenham per preparare uno show televisivo poi annullato. A parte McCartney gli altri componenti non sono entusiasti della situazione che sfocia con l’abbandono momentaneo di Harrison. Nella seconda parte la band si trasferisce negli studi di Abbey Road per l’incisione di nuovi brani e la preparazione di un concerto dal vivo. Dopo aver pensato al parco di Primrose Hill decidono di farlo sul tetto degli studi. In questa fase alternano le prove di nuovi brani (Get Back, Let it Be, Don’t Let Me Down etc) con la riproposizione di vecchi (comica una versione di “Help”), anche di altri artisti rock and roll o brani futuri come “Jealous Guy” intitolato per l’occasione “Going to Marrakesh” che farà parte di un album solista di Lennon. Vedendoli suonare e non conoscendoli vengono in mente dei principianti capitati per caso in uno studio di registrazione. Si nota anche la differenza tecnica con l’unico session man presente alle registrazioni, Billy Preston. Poi però i brani ascoltati nella versione definitiva fanno capire quale fosse la capacità compositiva e la loro coesione come band. La terza parte prosegue con le stesse modalità della seconda con le prove di altri brani nuovi come “The Long and Winding Road” e “Something” con alcune delle più memorabili melodie mai ascoltate. Che il gruppo si trovasse a un bivio è evidente quando discutono a lungo se continuare a lavorare per un disco, fare il concerto sul tetto o ripensare al Tv show, con Harrison che parla già di disco solista (con l’approvazione di Yoko Ono…). Il successivo breve concerto sul tetto, interrotto dalla polizia per le lamentele e il caos creato in strada, è la cosa migliore del documentario, ma era già visibile da tempo su Youtube.
Giudizio finale. Anche come documentario o mini serie televisiva in tre puntate mi è parso eccessivamente lungo e con alcune parti ripetitive. Avrei escluso totalmente la prima parte e accorciato le altre due. La qualità delle immagini e il suono è eccelso e non sorprende considerato quale investimento ci fosse dietro ai Beatles. Per appassionati.
Get Back **
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Ancora da Cannes 2021
“Scompartimento 6” (2021) di Juho Kuosmanen
Ha vinto il premio speciale della giuria nella kermesse francese, è la storia di una giovane archeologa finlandese che si reca in treno nel nord della Russia per esaminare alcuni reperti. Il viaggio è lungo e nel suo scompartimento incontra un tipo con il quale inizialmente ha difficoltà a legare ma con cui successivamente il rapporto si scioglie rendendo il viaggio più piacevole per entrambi. Storia interessante, paesaggi e personaggi rari nei nostri film, situazioni nelle quali la qualità della vita non è solo precaria per il clima glaciale ma anche per la evidente ristrettezza economica post comunista. Quello a cui è mancato al film a mio parere è uno stile più personale da parte del regista. Si spera che il premio vinto gli permetta di dotare il suo cinema di una maggiore espressività anche grazie a un differente supporto tecnico.
Scompartimento 6 **
“The French Dispatch” (2021) di Wes Anderson
Da un film privo di stile a uno che ne ha persino troppo. Il cinema di Anderson presenta connotati assurdi sia nelle storie che nei personaggi, con un mutamento costante di umore e ambientazione, ma che alla fine rimane comunque fumettistico. Anche in questo film lo ritroviamo nella medesima veste, con tre episodi nei quali i protagonisti sono in ordine un pittore incarcerato, una protesta studentesca e un rapimento. A seconda delle situazioni si passa dal colore al b/n, purtroppo il solito grigio topo digitale, con la presenza di alcuni tra gli attori del momento, come se ci fosse una corsa per essere diretti dal regista. Impossibile non rimanere affascinati (o schifati) dal lavoro artigianale, dai dettagli e dall’imprevedibilità di scene e battute.
The French Dispatch ***
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“One Second” (2020) di Zhang Yimou
Dedicatosi al cinema per sfuggire al duro lavoro da operaio in Cina, Yimou diventa famoso in occidente all’inizio degli anni 90 con “Lanterne Rosse” interpretato dalla bellissima Gong Li. Con quel film e gli altri di quel periodo racconta la Cina di inizio secolo scorso, soprattutto le zone rurali, quelle più povere e abbandonate, attento a sfuggire ai duri colpi della censura. “One Second” era programmato per Berlino 2020, poi improvvisamente è stato bloccato, si pensa per volere del governo cinese, ed è apparso solo quest’anno al festival di Toronto nel mese di settembre. Per certi versi ricorda “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore, con l’attesa da parte degli abitanti dei distretti sorti nel vasto deserto cinese di assistere alle proiezioni del cinema, film e cinegiornali. Il protagonista è un carcerato che fugge di prigione in quanto è venuto a conoscenza che nella pellicola è ripresa la figlia che non vede da anni. A differenza dei film degli esordi Yimou strizza l’occhio al cinema occidentale, si nota nella recitazione e in alcune scene che appaiono anche un po’ scontate, ma sempre con il gusto e la tecnica che da sempre gli sono state riconosciute, come ad esempio nella varie riprese del deserto.
One Second ***
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E’ partita la campagna degli Oscar e gli americani lanciano le proprie frecce per tentare di fare loro le statuette più ambite. Per quella di miglior film per ora i favoriti sembrano essere lontani dal puro cinema di Hollywood, “The Power of the Dog” e “Belfast”.
“CODA” (2021) di Sian Heder
Una famiglia dedita alla pesca è interamente sordomuta tranne la figlia più piccola che si prodiga per risolvere i problemi che evidentemente i parenti debbono affrontare per le loro limitazioni. La ragazza studia, aiuta i genitori nella loro attività e a ad un certo punto decide di dedicarsi al canto che scopre essere la sua vera passione. Bel soggetto, ma realizzazione povera. Non pare avere quelle tipiche caratteristiche per vincere la statuetta più ambita.
CODA **
“Don’t Look Up” (2021) di Adam McKay
Una studentessa di astronomia (Jennifer Lawrence) osservando alcune immagini dell’universo scopre una nuova cometa e il suo professore (Leonardo di Caprio) che la stessa è diretta contro la terra e a fatica riesce ad ottenere un colloquio con il Presidente degli Stati Uniti (una spassosissima Meryl Streep) la quale non intravvede tutto questo percolo per poi tornare sui suoi passi quando deve coprire degli scandali. Il film che è tutto nella interpretazione dei grandi attori (anche Cate Blanchett e l’onnipresente Timothée Chalamet), è una parodia del cinema che si occupa del pericolo che viene dallo spazio e di quello tipo Malick circa il significato della vita o cose simili. Ottima l’impaginazione con titoli di apertura e di coda che presentano delle sorprese.
Don’t Look Up **
“King Richard” (2021) di Reinaldo Marcus Green
Richard Williams è convinto che le figlie Venus e Serena diventeranno delle campionesse di tennis. E’ così determinato che costringe le due bambine ad ore ed ore di allenamenti monotoni e ad insistere affinché partecipino ai tornei dei più grandi, saltando il percorso giovanile, ridicolizzando manager e allenatori che credono di sapere come gestire le due sorelle. Storia vera naturalmente, di quelle una su mille ce la fa e Richard ce l’ha fatta. Venus è stata la prima giocatrice afroamericana a diventare numero uno della classifica mondiale, Serena se non è la più grande tennista di sempre poco ci manca. Un tennis dove la determinazione è la qualità fondamentale, il resto sono grugniti e palla colpita con violenza. Ottimo Will Smith in un sonnacchioso Richard Williams, ma il film che potrebbe anche vincere la statuetta più ambita, è poca cosa.
King Richard **
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"Drive" di Nicolas Winding Refn con Ryan Gosling
La storia di un eroe anonimo
era da tempo che lo tenevo in lista, i giudizi della critica sono tutti positivi, premiato a Cannes per la regia
Gradevole visivamente, dialoghi quasi assenti, prevalgono gli sguardi e la mimica facciale, azione quando meno te l'aspetti, un paio di inseguimenti con la macchina
si, beh, mah... non male, non fondamentale
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mi vergogno a dirlo
Helzapoppin
ed il passaggio del giardiniere che cerca la signora Jones mi fa sempre ridere
https://www.youtube.com/watch?v=fYssPRhPPec
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"Don't Look Up" con Di Caprio, Jennifer Lawrence e un cast corale che comprende Meryl Streep, Cate Blanchett e il grande Mark Rylance. Una commedia fantascientifico-catastrofica prodotta in modo molto intelligente.
A parte il cast, notevole, anche la storia nell'insieme non è male. Voto: diciamo un 8 ben meritato.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Breakthru
"Drive" di Nicolas Winding Refn con Ryan Gosling
La storia di un eroe anonimo
era da tempo che lo tenevo in lista, i giudizi della critica sono tutti positivi, premiato a Cannes per la regia
Gradevole visivamente, dialoghi quasi assenti, prevalgono gli sguardi e la mimica facciale, azione quando meno te l'aspetti, un paio di inseguimenti con la macchina
si, beh, mah... non male, non fondamentale
Non lo conoscevo, l'ho guardato. Ottima regia, precisa e senza fronzoli come piace a me. Film glaciale come la colonna sonora con quei suoni che andavano di moda 10 anni fa. Gosling inespressivo come un fotomodello. La ragazza è Carey Mulligan l'anno scorso in Promsing young woman.
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High noon con Gary Cooper e Grace Kelly.
Di seguito “C’era una volta il West” di Sergio Leone.
La cosa interessante è che in entrambi i film, ci sono dei loschi figuri che aspettano un treno in una stazioncina deserta e fatiscente.
Gli sviluppi sono poi diversi.
Nel primo i fuorilegge vengono eliminati solo alla fine del film al termine di una battaglia con lo sceriffo.
Nel secondo, Sergio Leone ribalta lo stereotipo hollywoodiano e li fa morire subito, colpiti da un protagonista in cerca di vendetta.
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Alcuni spunti sulla carriera di Lars Von Trier, danese, creatore con il collega Virteneberg del movimento “Dogma 95” e sulla necessità di creare un cinema lontano dalle produzioni hollywoodiane. Nel 1996 esce “Breaking the Waves” (***) con il quale si fa conoscere presso il pubblico di Cannes. Prendendo spunto dal decalogo “Dogma 95”, nel film sono contenuti gli elementi caratteristici del suo cinema, ovvero cinepresa in spalla, montaggio ridotto all’osso, nessuna colonna sonora se non brani non originali incisi precedentemente, nessuna scenografia e qualsiasi altra cosa possa rimandare a Hollywood. Per le tematiche il film appartiene alla trilogia del “cuore d’oro”. La protagonista, una ragazza di un villaggio scozzese molto religiosa sposa un ateo e a lui dedicherà la sua esistenza, soprattutto all’indomani di un incidente che costringerà il marito a letto. Il terzo film della trilogia è “Dancer in the Dark” (***) uscito nel 2000, Palma d’oro a Cannes. La protagonista è interpretata dalla cantante Bjork, quasi cieca, che lavora continuamente per risparmiare i soldi dell’operazione agli occhi. I soli momenti di serenità sono vissuti durante le prove di un musical a cui la ragazza ripensa continuamente, anche in fabbrica immaginando che i suoni ripetitivi delle macchine fuoriescano da strumenti musicali e lei che balli insieme agli altri operai. La vicenda prenderà una piega tragica quando alla protagonista verranno rubati i soldi per l’operazione. Nel 2003 esce “Dogville” (****), già recensito nei mesi scorsi e nel quale il minimalismo del cinema di Von Trier ottiene la massima espressione da una storia interamente filmata su un palco. Minimalismo e ossessione li ritroviamo nel 2009 con “Antichrist” (***), girato nel momento di massima depressione del regista, di totale sfiducia nella vita, la quale nel film viene rappresenta nella fase più acuta. Una coppia perde il proprio figlio a seguito di una caduta dalla finestra. L’uomo supera il contraccolpo, non la donna la quale manifesta paure e fobie. Maggiore è l’impegno da parte del marito a fargliele superare e più la donna rivela comportamenti autodistruttivi e antireligiosi. Nel 2011 è la volta di “Melacholia” (***), nel quale la depressione ha ormai reso tutto ovattato, anche il rischio di una catastrofe naturale non sembra preoccupare chi ne soffre. Il film si allontana definitivamente da “Dogma 95” e sia a livello stilistico che tematico si nota un avvicinamento a Bergman e al cinema europeo in generale. Salto “Nymphomaniac” (2013) film eccessivamente scabroso e tagliato, mentre “The House that Jack Built” (2018 ****) ultimo film di Von Trier è stato da me recensito nei mesi scorsi.
Alcune delle protagoniste dei film di Von Trier hanno dichiarato successivamente che mai più avrebbero lavorato con il regista. Ma è un dato di fatto che le loro performance siano le migliori o tra le migliori della loro carriera. Emily Watson è stata candidata all’Oscar, di Bjork non avremmo mai saputo del suo talento recitativo, Nicole Kidman è straordinaria in “Dogville” così come Charlotte Gainsbourg in “Antichrist” e Kirsten Dunst in “Melancholia”. Passando agli uomini, c’eravamo dimenticati di Matt Dillon, straordinario serial killer in “The House that Jack Built”.
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Proveniente da Cannes
“Red Rocket” (2021) di Sean Baker
Un protagonista di filmetti porno torna nella propria città natale dove nessuno è davvero interessato a rivederlo. Riesce comunque ad essere ospitato dalla moglie che vive con la madre, entrambe non proprio in buone condizioni. Dopo aver cercato inutilmente un lavoro comincia a spacciare erba e successivamente intavola una relazione con una ragazzina pur continuando a vivere a casa della moglie e della suocera. Il tutto in un ambiente desolante, stato del Texas, industrie pesanti e modeste abitazioni, zero servizi, valori annullati. Film divertente ma anche amaro, realizzato con pochi mezzi ma con un risultato di qualità; qualche anno fa Sean Baker diresse “The Florida Project” il migliore dei film indipendenti del 2017, candidato a una infinità di premi.
“Red Rocket” ***
Da Venezia
“The Lost Daughter” (2021) di Maggie Gyllenhaal
Mi sono imbattuto in Elena Ferrante leggendo qualche anno fa un articolo di un giornalista investigativo il quale scoprì che dietro lo pseudonimo della scrittrice si celava con tutta probabilità la moglie dell’editore dove lavorava come traduttrice. Successivamente mi capitò tra le mani il primo libro de “L’Amica Geniale” e decisi di leggerlo incuriosito dall’incipit che riporto: “Stamattina mi ha telefonato Rino, ho creduto che volesse ancora soldi e mi sono preparata a negarglieli. Invece il motivo della telefonata era un altro: sua madre non si trovava più. «Da quando?». «Da due settimane». «E mi telefoni adesso?». Il tono gli dev’essere sembrato ostile, anche se non ero né arrabbiata né indignata, c’era solo un filo di sarcasmo. Ha provato a ribattere ma l’ha fatto confusamente, in imbarazzo, un po’ in dialetto, un po’ in italiano. Ha detto che s’era convinto che la madre fosse in giro per Napoli come al solito.” Un buon libro e soprattutto un grande successo in tutto il mondo. Lessi anche gli altri tre apprezzando soprattutto il terzo, a mio parere il migliore della serie. Quindi, quando ho sentito che il film “The Lost Daughter”, vincitore a Venezia del premio quale miglior sceneggiatura, era tratto da “La Figlia Oscura” della scrittrice, ho deciso di leggere il libro ancora prima di vedere il film e trovandolo in linea con la serie, pur essendo stato scritto alcuni anni prima. E’ sempre l’analisi psicologica dei personaggi al centro della vicenda, in questo caso una donna in vacanza al mare che si imbatte in una famiglia dove una ragazza è madre di una bambina. La donna non può fare a meno di ricordare e paragonare il suo modo di essere genitore alla stessa età della ragazza, soprattutto quando ripensa di aver preferito la sua libertà alla famiglia. Soggetto interessante impreziosita dalle interpretazioni delle attrici Olivia Colman e Jessie Buckley. Brava la regista, alla sua prima prova, nel tratteggiare il profilo psicologico della protagonista anche attraverso i continui flashback che ci riportano al periodo in cui decide di abbandonare temporaneamente le figlie Qualche riserva sulle riprese in esterno, dove la regista denota la sua inesperienza da un punto di vista tecnico.
“The Lost Daughter” ***
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“Un Eroe” (2021) di Asghar Farhadi
Un uomo è in prigione per non aver onorato un debito. Durante un permesso viene coinvolto nel ritrovamento di una borsa contenente delle monete d’oro. Potrebbe utilizzarle per pagare il debito e uscire di prigione, invece proprio quando si trova presso un orafo per venderle decide di restituire la borsa. Si renderà conto successivamente quanto sia difficile essere un benefattore. Farhadi, il più famoso tra i registi iraniani - già vincitore tra l’altro di due Oscar, con “Una Separazione” (2011) **** e “The Salesman” (2016) ***, ambienta le sue storie nel sociale del suo paese, una sorta di Ken Loach medio-orientale, cercando sempre di non rompere i delicati equilibri esistenti tra il suo cinema e la teocrazia. Le sue sceneggiature hanno un andamento iniziale lento per poi dipanare il cuore della vicenda con il passare dei minuti, con dialoghi efficaci e una regia precisa anche grazie a un montaggio chirurgico (vedasi “Una Separazione”).
Un Eroe ***
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Nelle note di “Antichrist” di Lars Von Trier è presente una dedica per Andrej Tarkovskij, regista russo pre caduta del muro, che personalmente conoscevo solo per i brevi spezzoni presenti su Youtube e di cui in questi ultimi giorni ho guardato per intero i suoi 7 lungometraggi. A parte il primo, “L’infanzia di Ivan” (1962) – nel quale si nota comunque immediatamente la sua notevole tecnica accoppiata alla nitidezza di immagine grazie all’uso di obiettivi di alto livello, ma che rimane un classico film di guerra, a partire dai successivi sono presenti le tipiche tematiche sviluppate dal grande regista russo: il ricordo, l’oblio, l’inconscio, il simbolismo, l’inutilità dell’esistenza etc. Nel secondo film “Andrej Rublev” (1966), diviso in parti, un pittore monaco vissuto nel XV secolo si chiede il motivo per cui dovrebbe dedicare le sue opere a un Dio che permette e accetta le peggiori nefandezze da parte degli uomini. Dopo aver analizzato il passato Tarkovskji si cimenta con il futuro, attraverso la fantascienza di “Solaris” (1972) nel quale uno psicologo viene inviato in una base che orbita attorno al pianeta appunto chiamato “Solaris” per scoprire il motivo che porta gli astronauti ad essere terrorizzati e incapaci di proseguire nei compiti assegnategli. Stilisticamente il film non mi convince per larghi tratti in quanto la tipica regia di Tarkovskij, poco montaggio e più movimento della cinepresa, non si adatta ai luoghi chiusi della base che caratterizza la maggior parte del film. Nel seguente, il criptico “Lo specchio” (1975) il protagonista, di cui si sente solo la voce, ricorda la sua vita da bambino e la contrappone a quella vissuta successivamente da adulto, con moglie e figlio. Qui Tarkovskij usa il colore per le immagini più recenti e un b/n derivante dallo stesso negativo del colore, per quelle passate. Da un punto di vista stilistico “Lo specchio” è il film perfetto del regista russo, con alcune tra le sue sequenze più riuscite. “Stalker” (1979) girato in piena guerra fredda, è caratterizzato da un clima glaciale e surreale, tipo post guerra atomica, con un ritmo esageratamente lento che accentua l’inesorabile disperazione dell’intera vicenda. Lo stalker è la guida, in questo caso di un professore e di uno scienziato verso l’interno di una zona vietata dove si trova una stanza nella quale si possono esaudire i desideri. Scavalcati gli anni ‘70 Tarkovskij scappa dall’Unione Sovietica visti i cattivi rapporti con il potere comunista e si sposta in Italia. La Rai produce il seguente “Nostalghia” (1983) con Domiziana Giordano protagonista. Il film è costruito sulle memorie di un poeta russo che vive in Italia e che ripensa alla sua giovinezza nel paese natale, periodo che viene rappresentato attraverso un bianco e nero che lascia di stucco. L’ultimo capitolo della sua carriera, poco prima della morte è “Il sacrificio” (1986) girato in Svezia in onore di Bergman e di cui Tarkovskij in questo film si lascia tranquillamente influenzare. E’ un’amara considerazione sulla piega presa dalla società moderna e sull’inutile utilizzo delle scoperte tecnologiche e in generale una critica nei confronti del progresso.
Pur essendo un cinema datato, i temi trattati da Tarkovskij sono tutt’ora attuali e la realizzazione, l’originalità nelle scelte cromatiche, anche grazie all’opera di restaurazione, è di altissimo livello. Tutto questo pone il regista russo accanto ai grandi cineasti di ogni epoca.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
“E’ stata la mano di Dio” (2021) di Paolo Sorrentino
Gran premio della giuria a Venezia, prodotto da Netflix, quindi pochi giorni in sala e poi solo sulla piattaforma. Film autobiografico in cui il giovane Sorrentino è alla ricerca della sua strada nei giorni dell’arrivo a Napoli di Maradona, di cui il regista era grande tifoso. E’ un film personale, con la sua famiglia al centro della storia, Toni Servillo il padre, e nel quale il protagonista capisce un giorno che il suo futuro sarà nel cinema, il solo che gli permetta di trovare quello che la realtà gli nega. Personalmente l’ho trovato debole, con una regia stanca senza che bastassero le acrobazie di alcuni protagonisti pittoreschi e alcune sequenze felliniane a risollevare il mio giudizio. Però leggo da più parti recensioni positive, quindi sicuramente sbaglio io.
E’ stata la mano di Dio **
Finito ora
Non il mio preferito di Sorrentino, ma comunque mi é piaciuto.
Dalla sua parte gli splendidi luoghi, il mare, la luce ... gli piace vincere facile, già lo fece con Roma.
Bravissimo il giovane attore, Scotti, la mia stima per tutte le scene in cui ha recitato ingobbito, calato nel ruolo di ferito e deluso dalla realtà, pessimista.
Non ho apprezzato che Sorrentino cominci già ad autocitarsi, la scena del teatro, che é l'occasione dell'incontro tra il giovane protagonista e il regista, mi ha ricordato troppo la scena del teatro vista in "la grande bellezza"
Ps. Sorrentino è un bravissimo narratore
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
“E’ stata la mano di Dio” (2021) di Paolo Sorrentino
Gran premio della giuria a Venezia, prodotto da Netflix, quindi pochi giorni in sala e poi solo sulla piattaforma. Film autobiografico in cui il giovane Sorrentino è alla ricerca della sua strada nei giorni dell’arrivo a Napoli di Maradona, di cui il regista era grande tifoso. E’ un film personale, con la sua famiglia al centro della storia, Toni Servillo il padre, e nel quale il protagonista capisce un giorno che il suo futuro sarà nel cinema, il solo che gli permetta di trovare quello che la realtà gli nega. Personalmente l’ho trovato debole, con una regia stanca senza che bastassero le acrobazie di alcuni protagonisti pittoreschi e alcune sequenze felliniane a risollevare il mio giudizio. Però leggo da più parti recensioni positive, quindi sicuramente sbaglio io.
E’ stata la mano di Dio **
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Originariamente Scritto da
Breakthru
Finito ora
Non il mio preferito di Sorrentino, ma comunque mi é piaciuto.
Dalla sua parte gli splendidi luoghi, il mare, la luce ... gli piace vincere facile, già lo fece con Roma.
Bravissimo il giovane attore, Scotti, la mia stima per tutte le scene in cui ha recitato ingobbito, calato nel ruolo di ferito e deluso dalla realtà, pessimista.
Non ho apprezzato che Sorrentino cominci già ad autocitarsi, la scena del teatro, che é l'occasione dell'incontro tra il giovane protagonista e il regista, mi ha ricordato troppo la scena del teatro vista in "la grande bellezza"
Ps. Sorrentino è un bravissimo narratore
E' piaciuto anche a me, ho gradito soprattutto la "formazione" dell'adolescente Sorrentino, che tra Leopardi e Maradona, nonché le vicissitudini personali, è riuscito a trovare la sua strada.
Più che Napoli, è il mare di Napoli a farla da padrone.
Come avete interpretato la scena dell'uomo impiccato ai piedi nella galleria di Napoli?
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Originariamente Scritto da
follemente
E' piaciuto anche a me, ho gradito soprattutto la "formazione" dell'adolescente Sorrentino, che tra Leopardi e Maradona, nonché le vicissitudini personali, è riuscito a trovare la sua strada.
Più che Napoli, è il mare di Napoli a farla da padrone.
Come avete interpretato la scena dell'uomo impiccato ai piedi nella galleria di Napoli?
Penso che appartenga alla sua parte onirica. Si parla di questo regista che sta girando in galleria, qualcuno diçe "Fellini?". Quindi una citazione
Se devo sbilanciarmi con i simbolismi allora direi l'appeso dei tarocchi, sopportare grandi sofferenze per iniziare un nuovo percorso
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Ieri sera ho visto questo
https://www.youtube.com/watch?v=wqbZlAEUb5w
non farò "rovinamenti"
Sono tre mediometraggi ambientati nella stessa casa realizzati in stop-motion da diversi registi.
Mi è piaciuta molto la prima storia, ricorda "Coraline e la porta magica", forse per via degli umani molto simili a bambole, l'ultima mi ha annoiata anche se ha un bel messaggio ed è quella di cui si trova il maggior numero di recensioni e di cui si cantano le lodi.
Ma quella di mezzo.. in alcune scene viene da pensare:" che si prende la tipa? Voglio il numero del suo spacciatore"
Non so se ci saranno altri episodi in futuro
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"The Tragedy of Macbeth" (2021) di Joel Coen
La storia è quella conosciuta: Macbeth prende il trono di Scozia con la forza, lo gestisce con tirannia e lo perde con eguale moneta. Lungi dal voler giudicare da un punto di vista letterario l'ennesima versione della tragedia di Shakespeare (Welles, Polanski, Kurzel le precedenti nel cinema), devo notare l'ottima regia di Joel Coen, per una volta senza il fratello, di una fotografia in bianco e nero che per una volta non mi fa vergognare per via del digitale, ma rimangono delle perplessità sull'interpretazione. Denzel Washington è un Macbeth meritevole con il suo incedere poco British, per non parlare del suo accento, oppure questa è una versione da far digerire solo al mercato a stelle e strisce? In generale leggo recensioni ottime sui giornali, metà e metà da parte del pubblico. Ma Shakespeare non è affatto facile.
The Tragedy of Macbeth ***
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"The House fo Gucci" (2021) di Ridley Scott
Saga familiare dei Gucci, fondatori dell'omonima casa di moda, a partire dall'incontro tra Maurizio Gucci, rampollo di famiglia, e Patrizia Reggiani, figlia di un piccolo imprenditore che vede in Maurizio la sistemazione che cambierà per sempre la sua vita. Ma Maurizio non sembra interessato a prendere le redini dell'azienda, a gestire il marchio e più in generale ad accumulare ricchezza. Sarà Patrizia a convincerlo del contrario. Film biografico che si trasforma in un fatto di cronaca attraverso un percorso teso a evidenziare la vacuità e la superficialità del mondo della moda. Seguendo questo profilo è difficile trovare un significato diverso a un film che si avvale di grandi attori (Al Pacino, Jeremy Irons) ma che alla fine non aggiunge nulla di nuovo alla vicenda. Calcando la mano, Maurizio e Patrizia si incontrano per la prima volta in un locale di Milano e iniziano a parlare in inglese....sarà così per tutto il film. Due italiani che parlano tra loro in inglese, a parte qualche isolata parola o espressione, come "grazie" "buongiorno" "principessa" etc. La musica, per non sbagliare è spesso tratta dalle opere liriche italiane. Però poi c'è qualche brano italiano degli anni sessanta, anche se la vicenda si svolge dagli anni settanta in su. Piccoli dettagli che fanno capire con quale cura sia stato fatto, a parte le ville e gli alberghi più lussuosi, abiti firmati Gucci (credo). Però c'è Lady Gaga.
The House of Gucci **
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Barrett
“Don’t Look Up” (2021) di Adam McKay
Una studentessa di astronomia (Jennifer Lawrence) osservando alcune immagini dell’universo scopre una nuova cometa e il suo professore (Leonardo di Caprio) che la stessa è diretta contro la terra e a fatica riesce ad ottenere un colloquio con il Presidente degli Stati Uniti (una spassosissima Meryl Streep) la quale non intravvede tutto questo percolo per poi tornare sui suoi passi quando deve coprire degli scandali. Il film che è tutto nella interpretazione dei grandi attori (anche Cate Blanchett e l’onnipresente Timothée Chalamet), è una parodia del cinema che si occupa del pericolo che viene dallo spazio e di quello tipo Malick circa il significato della vita o cose simili. Ottima l’impaginazione con titoli di apertura e di coda che presentano delle sorprese.
Don’t Look Up **
Detesto i film catastrofici, ma questo l’ho gradito, soprattutto per la conclusione che lo ha riabilitato, e perché ha sollevato parecchie questioni, pur rimanendo un film comico: il rifiuto di molti a seguire la scienza, il peso dei mass-media e dell’apparire, la reazione delle moltitudini.
Magari qualche statuetta la riceverà, visti anche i nomi altisonanti.
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Originariamente Scritto da
Barrett
“The power of the dog” (2021) di Jane Campion
Due fratelli gestiscono un ranch, ma il lavoro è soprattutto sulle spalle di uno dei due, mentre l’altro sembra svolgere apparentemente un ruolo di direzione. Quando quest’ultimo si unisce a una giovane vedova con un figlio cresciuto e un problema con la bottiglia i rapporti tra i due fratelli peggiorano. Questo è solo l’inizio, mentre la fine è inattesa. Presentato a Venezia, il film è un western al crepuscolo dove i protagonisti, ma anche l’intera società che li circonda, sono oramai interessati a godersi il benessere ottenuto (si vede anche una partita di tennis). Magistrale la regia della Campion (Leone a Venezia per questo) all’interno della quale aleggiano i fantasmi di John Ford e Sergio Leone. Ottime anche le interpretazioni di Kirsten Dunst e Benedict Cumberbatch. Non così efficace la sceneggiatura, della stessa Campion, che sembra ostentare sui dettagli più che rendere maggiormente incisiva la storia.
The power of the dog ***
Un film di aspre solitudini ed in cui il disagio è tutto interiore. A riscattarli un’ambientazione favolosa, un Far-West degli epigoni ed un’omosessualità taciuta.
Non si merita l’Oscar, troppo lento e poco accattivante.
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Uncharted, super film di mega azione con Tom Holland (lo Spiderman della Marvel Cinematic Universe), tratto dall'omonima serie di videogiochi. Racconta le avventure del cacciatore di tesori Nathan Drake. Direi molto, molto bello (per chi ama il genere ovviamente).