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Barrett
“The zone of interest” (2023) di Jonathan Glazer
Dopo il titolo del film che scompare lentamente ci sono alcuni minuti di schermo nero con dei lamenti angoscianti. Quindi iniziano le scene di vita quotidiana di una famiglia, un ufficiale delle ss in carriera, una moglie quattro bambini una domestica un manutentore un cane. C’è un giardino con fiori bellissimi, una piscina dove si organizzano le feste e in sottofondo un rumore persistente come quello del mare in burrasca. Il recinto della casa è quello di un campo di concentramento ma nessuno ci fa caso, il racconto non ci entra, non fanno vedere cosa succede all’interno. Quel quadretto perfetto viene rovinato dal trasferimento dell’ufficiale a Berlino. Il film ha vinto un premio della critica a Cannes e ha diversi Oscar in ballo. La regia di Glazer è notevole, con inquadrature fisse, pochi movimenti, solo montaggio e fotografia impeccabile. Potrebbe sembrare un puro esercizio stilistico ma è per enfatizzare il contrasto tra il paesaggio estivo incantevole e il muraglione che recinta il campo, il filo spinato, le torrette delle guardie, il fumo nero delle ciminiere, le urla, Auschwitz.
The zone of interest ***
La banalità del male.
Agghiacciante.
Senza scene di violenza.
P.S. Senza spoilerare troppo, avrei una domanda: voi avete capito cosa significano le scene spettrali in bianco e nero della ragazzina che distribuisce quelle che credo mele su dei mucchi, forse di cenere?
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follemente
La banalità del male.
Agghiacciante.
Senza scene di violenza.
P.S. Senza spoilerare troppo, avrei una domanda: voi avete capito cosa significano le scene spettrali in bianco e nero della ragazzina che distribuisce quelle che credo mele su dei mucchi, forse di cenere?
Secondo un'analisi quelle immagini corrisponderebbero alla resistenza del bene contro il male raffigurate come se fosse un negativo di b/n (in verità immagini recepite con una tecnica differente ovvero attraverso il calore prodotto dalla persona), per mettersi in netto contrasto con le immagini che raffigurano la bellezza della vita quotidiana della famiglia.
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“La società della neve” (2023) di Juan Antonio Bayona
Mi sono avvicinato al film con poco interesse in quanto la vicenda, aereo che precipita sulle Ande nel 1972 con una intera squadra di rugby a bordo, era nota e con almeno un altro film già realizzato in passato. Quindi il lavoro su soggetto e sceneggiatura era semplificato. Presenta poi un cliché collaudato ovvero il contrasto tra la spensieratezza e l’allegria iniziale nella prima parte del volo e la disperazione quando è chiaro che ci si sta andando a schiantare contro le rocce. Passato a Venezia fuori concorso e candidato per la Spagna all’Oscar per il miglior film internazionale, ha nella seconda parte il momento più convincente con la regia che indugia e indaga sui visi dei ragazzi sopravvissuti ormai prosciugati dalla sofferenza e dalle decisioni che sono costretti a prendere per sopravvivere. Bellissime le immagini delle montagne innevate.
La società della neve **
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Barrett
Secondo un'analisi quelle immagini corrisponderebbero alla resistenza del bene contro il male raffigurate come se fosse un negativo di b/n (in verità immagini recepite con una tecnica differente ovvero attraverso il calore prodotto dalla persona), per mettersi in netto contrasto con le immagini che raffigurano la bellezza della vita quotidiana della famiglia.
Grazie!:love:
Così si spiegano anche quelle mele lasciate a terra e calpestate dai cavalli della famiglia di nazisti.
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Barrett
"Io capitano" (2023) di Matteo Garrone
A Venezia due giorni fa e subito in sala, una rarità per i film presentati ai festival, solitamente ci vogliono mesi. Tra l'altro al prezzo di euro 3,50, grazie a un sostegno statale sino a metà settembre per i film europei. Due ragazzi senegalesi vogliono raggiungere l'Europa per migliorare la loro condizione economica senza sapere quali peripezie saranno costretti ad affrontare per raggiungere l'Italia. Qui da noi si parla solo di scafisti senza scrupoli, ma dal Senegal alla Libia, dove ci si imbarca, si incontrano vari intermediari pronti a spillare dollari ai due ragazzi e al gruppo che li accompagna senza i quali si finisce in prigione. Ottima la regia di Garrone, che deve far fronte anche con l'ingenua interpretazione di attori improvvisati. Bellissima la parte centrale, con l'attraversamento del deserto nella quale il regista da prova di tutta la sua creatività. Difficile pensare che esca a mani vuote dal Lido.
Io capitano ***
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follemente
Non volevo andare a vedere questo film: un altro sull’immigrazione? Non mi bastano le diatribe politiche in merito, la rotta balcanica, gli immigrati che stazionano dappertutto, il pattugliamento dei confini, i documentari che ho visto?
Alla fine gli amici mi hanno convinta.
Meno male, altrimenti mi sarei persa un gioiello.
Basato su due storie vere, narrato senza pietismo e senza voler denunciare chicchessia, con toni che sublimano le atrocità con l’onirico e la favola, il film mi ha commossa come rarissimamente mi succede (in effetti le chiacchiere del dopo-cinema mi hanno quasi infastidita, presa com’ero ancora dalle forti emozioni che l’opera mi ha suscitato).
Il (neo?) realismo magico di Garrone affascina, non polemizza, mostra solo con l’evidenza e la forza e la bellezza delle immagini ciò che crediamo di conoscere.
Io gli darei cinque stelle.
Visto ieri, molto bello, molto ben fatto, splendida luce, splendide le immagine del deserto che contrastano con i miseri resti (non voglio svelare nulla per chi non lo avesse visto.
Se il Senegal sia o meno come quello che ci fanno vedere non so, certo è che in prima persona ho incrociato un giovane venuto in Italia contro il volere dei genitori, perché lui a casa aveva un lavoro, cibo e anche una certa agiatezza ma ha voluto rincorrere una favola, chissà se ha poi trovato i soldi per tornare a casa.
I due attori sono meravigliosi, freschi e spontanei
Mi è piaciuto e lo consiglierei
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“Memory” (2023) di Michel Franco
Una donna impegnata nel sociale, con un passato problematico dovuto all’alcol viene seguita da un uomo dopo un party e l’indomani se lo trova sotto casa mentre dorme. Scopre che è affetto da demenza e approfittando della sua perdita di memoria lo accusa di essere l’artefice di uno stupro ai tempi della scuola, per poi ritrattare tutto perché forse è lei che non ricorda bene. Con lui stabilisce con un rapporto che col tempo si rafforza superando la marginalizzazione a cui la società li ha costretti anche per colpa di parenti lontani dalla loro sensibilità. Era il film di chiusura di Venezia dove ha vinto la coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile di Peter Sarsgaard, ed è il solito cinema di Franco a cui sembra sempre mancare qualcosa.
Memory **
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I miei 10 film preferiti del 2023
“Zielona granica – Green border” di Agnieszka Holland
“Il male non esiste” di Ryusuke Hamaguchi
“Perfect days” di Wim Wenders
“Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti
“Killers of the flowers moon” di Martin Scorsese
“The zone of interest” di Jonathan Glazer
“Past lives” di Celine Song
“Poor things” di Yorgos Lanthimos
“Io capitano” di Matteo Garrone
“Foglie al vento” di Aki Kaurismaki
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Perfect days nettamente in testa nella mia classifica.
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“La sala dei professori” (2023) di Ilker Çatak
In un istituto secondario tedesco si verificano dei furti e una professoressa (l’ottima Leonie Benish) nel tentativo di difendere i suoi alunni da un'eventuale accusa, soprattutto nei confronti di un ragazzo di origine araba, riesce a scoprire il colpevole con una modalità però non consona in fatto di privacy. Malgrado il problema dei furti sia risolto altri ne nascono a seguito dell’attività investigativa della protagonista, vedendo coinvolti gli studenti, i loro genitori e il personale dell’istituto. La donna comunque non perderà mai rettitudine e professionalità anche se questa integrità morale non verrà capita dai suoi studenti e la metterà in cattiva luce agli occhi dei colleghi. Il film era presente a Berlino 2023 nella sezione Panorama (quindi non in concorso) e pur avendo una regia non troppo curata ha una storia convincente. Era anche l’ultimo che mi mancava della cinquina candidata all’Oscar per il miglior film internazionale e non credo di fare una previsione sconvolgente se affermo che la statuetta se la giocano “Perfect days”, “The zone of interest” e “Io capitano”.
La sala dei professori ***
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Spero tanto vinca Wenders.
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Secondo Variety che solitamente ci azzecca vince "Oppenheimer" nella categoria di miglior film generale e "The zone of interest" in quella internazionale.
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“All of us strangers” (2023) di Andrew Haigh
"Estranei" il titolo qui da noi. Uno scrittore in crisi creativa e con problemi di relazione torna a visitare la casa dove ha vissuto da ragazzo prima che i genitori morissero in un incidente. Frutto della sua immaginazione/disperazione li trova all’interno delle mura domestiche nelle medesime sembianze di allora come ad aspettarlo e sapere della sua vita. Ritornerà in quella casa più volte e in una occasione portando con se anche il compagno che lo accontenta quasi per assecondarlo. Un film sulla solitudine e sulla difficoltà di trovar una via di uscita se non quella di immaginare come in un sogno di poter trovare conforto nel passato. Haigh aveva già indagato in un film precedente, “45 years”, e forse in maniera più efficace, quanto sia difficile evitare di fare i conti con eventi che sembrano dimenticati se non cancellati.
All of us strangers **
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Tutto secondo previsioni, Barrett: ha vinto Oppenheimer.
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follemente
La banalità del male.
Agghiacciante.
Senza scene di violenza.
P.S. Senza spoilerare troppo, avrei una domanda: voi avete capito cosa significano le scene spettrali in bianco e nero della ragazzina che distribuisce quelle che credo mele su dei mucchi, forse di cenere?
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Barrett
Secondo un'analisi quelle immagini corrisponderebbero alla resistenza del bene contro il male raffigurate come se fosse un negativo di b/n (in verità immagini recepite con una tecnica differente ovvero attraverso il calore prodotto dalla persona), per mettersi in netto contrasto con le immagini che raffigurano la bellezza della vita quotidiana della famiglia.
Premetto che non ho ancora visto il film, le immagini realizzate con una termocamera pare che raccontino una storia vera, la storia di una ragazzina polacca, Alexandria, contattata dal regista
da wiki:" La giovane ragazza polacca nel film si ispira a una donna di nome Alexandria , che Glazer ha incontrato durante le sue ricerche. All'età di 12 anni, membro della resistenza polacca , andava al campo in bicicletta per lasciare le mele ai prigionieri affamati. Come nel film, ha scoperto un brano musicale scritto da un prigioniero. Il prigioniero, di nome Joseph Wulf , sopravvisse al campo e fu una delle prime persone a documentare le atrocità dell'Olocausto, causa alla quale dedicò la sua vita. Alexandria aveva 90 anni quando incontrò Glazer e morì poco dopo. La bicicletta utilizzata nel film e l'abito indossato dall'attrice le appartenevano entrambi."
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Grazie Breakthru. Considero quelle scene la parte debole del film, non certo per il contenuto - ci mancherebbe - ma per come è stata realizzata, una termo camera..., sarebbe stato sufficiente un b/n magari in pellicola, considerato che il direttore della fotografia aveva già lavorato efficacemente con quella tipologia cromatica nei film di Pawilkowski (Ida e Cold war).
Sulla vittoria di Oppenheimer nulla da dire. Non era tra i miei film preferiti per tipologia e confezionamento ma rappresenta un lusso per l'industri del cinema se penso ai due precedenti vincitori.
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“Limbo” (2023) di Ivan Sen
Un detective indaga su un omicidio di una ragazza indigena australiana accaduto 20 anni prima. Le indagini sono rese difficoltose per la ritrosia delle persone a parlare apertamente e a ricordare i fatti. Il film era presente in concorso a Berlino l’anno passato e presenta le tipiche caratteristiche di un film indipendente a basso budget. Il soggetto non è male e probabilmente sarebbe piaciuto a Cormac McCarthy considerati i personaggi e l’ambientazione remota, assolata e desertica dove sembra non succeda mai nulla. Purtroppo la sceneggiatura dello stesso regista non mantiene le promesse se non quella di evidenziare il lento scorrere del tempo e la rassegnazione dei personaggi. Sicuramente più convincente la fotografia, anche questa di Sen, un b/n che per una volta non ti fa vergognare.
Limbo **
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"DOGMAN" Luc Besson
Storia drammatica di un ragazzino con un'infanzia terribile, trova unico conforto e amicizia con i cani che il padre alleva per i combattimenti.
Finito sulla sedia a rotelle in seguito all'ennesima violenza, viene sottratto al padre e affidato ai servizi sociali, non riuscirà mai a stringere affetti e legami con i suoi simili.
Il film è incentrato sul dialogo tra lui e la psichiatra, l'unica a cui lui racconta la sua storia, la difficoltà a relazionarsi la necessità di mascherarsi
Alcuni dicono a i livelli di Leòn, non condivido, anche se una scena ricorda, per il ritmo sostenuto, l'irruzione della polizia a casa del sicario.
Tanti cani, come hanno fatto a farli stare tutti insieme? Deve essere stato un delirio
Il film comunque merita di essere visto per la scena con Marilyn
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Father and son, ieri sera su TV 2000: due neonati vengono scambiati in una nursery. Solo 5 anni dopo l'ospedale si accorge del tragico errore informando i rispettivi genitori, col dramma psicologico che ne consegue...
Da ieri sera, rivaluto completamente il cinema giapponese. Gran film!!!
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conogelato
Father and son, ieri sera su TV 2000: due neonati vengono scambiati in una nursery. Solo 5 anni dopo l'ospedale si accorge del tragico errore informando i rispettivi genitori, col dramma psicologico che ne consegue...
Da ieri sera, rivaluto completamente il cinema giapponese. Gran film!!!
Io lo vidi quando uscì al cinema, fantastico!
Lo sceneggiatore e regista Hirokazu Kore'eda ha girato anche altri film stupendi imperniati sulla tematica famigliare.
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Faccio come Barrett e gli do le stelline
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"Bob Marley - One Love".
Bel film che narra la vita di Bob Marley, la scalata al successo, la sua musica, il mancato attentato subito nel dicembre del 1976 ed il lato politico.
Tra le altre il titolo del film è anche quello di una sua celebre canzone.
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“Origin” (2023) di Ava Du Vernay
Tratto dal libro di Isabel Wilkerson con al centro il collegamento tra la secolare schiavitù subita dagli afroamericani in America, l’olocausto in Germania e la discriminazione subita dai più poveri in India. Secondo la Wilkerson, interpretata efficacemente da Aunjaune Ellis, il problema non è il razzismo che identifichiamo solitamente con la diversità del colore della pelle, e la prova fa notare la protagonista, è che sia gli ebrei come i poveri indiani hanno la pelle bianca come coloro che li hanno perseguitati e discriminati, ma il sistema della casta costruita per agevolare le persone più abbienti rispetto a quelle più umili e con meno mezzi. In concorso a Venezia il film presenta un’ottima regia/montaggio, solo un filo stucchevole, compreso il messaggio finale, e una narrativa che lentamente si sposta verso un formato più vicino al documentario.
Origin ***
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“Another end” (2024) di Piero Messina
L’organizzazione "Another end" si occupa di rendere meno penosa la dipartita improvvisa di una persona cara inserendo i suoi pensieri, sentimenti e comportamenti in un locatore/trice scelto per la sua compatibilità con il/la deceduto/a, giusto il tempo per un saluto finale con il congiunto. Il film era in concorso all’ultimo Berlino un mese fa e si avvale di una regia convincente, espressa attraverso tonalità cromatiche cupe e opache e con immagini mai troppo nitide. Nella seconda parte, quando il protagonista incontra la ragazza nella discoteca e poi nel club, la sceneggiatura mi è parsa meno riuscita, come se il film avesse già espresso tutto il suo potenziale e virasse verso un proseguo banale e di soluzioni scontate, palesando quello che spesso troviamo di inverosimile nelle storie futuristiche, tra l’altro con un rimando a film già visti (“Vertigo” di Hitchcock su tutti).
Another end ***
“Citizen Kane” (1941) di Orson Welles
Accanto alla sala dove veniva proiettato “Another end” c’era il capolavoro di Welles, uno dei maggiori film di sempre, presentato restaurato e in lingua originale. La storia è nota: il magnate statunitense Charles Foster Kane, interpretato dallo stesso Welles, si candida per diventare Governatore sfruttando il suo enorme potere economico, soprattutto quello di editore, appunto il “quarto potere” (legislativo, esecutivo, giudiziario gli altri tre) come da titolo italiano, almeno una volta azzeccatissimo. A parte le tematiche anticipatrici, il film è rivoluzionario anche da un punto di vista della tecnica cinematografica: un b/n con molto contrasto, uso massiccio del grandangolo e di altre lenti particolari come quella che permette alle immagini di sembrare provenire direttamente dallo sguardo umano, l’uso del piano sequenza e di continui flashback che mettono in luce la complessa personalità di Kane. La prima volta che lo vidi non pensai a nessuno, la seconda a Berlusconi, oggi credo ci vedrei Trump.
Citizen Kane *****
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Barrett
“La società della neve” (2023) di Juan Antonio Bayona
Mi sono avvicinato al film con poco interesse in quanto la vicenda, aereo che precipita sulle Ande nel 1972 con una intera squadra di rugby a bordo, era nota e con almeno un altro film già realizzato in passato. Quindi il lavoro su soggetto e sceneggiatura era semplificato. Presenta poi un cliché collaudato ovvero il contrasto tra la spensieratezza e l’allegria iniziale nella prima parte del volo e la disperazione quando è chiaro che ci si sta andando a schiantare contro le rocce. Passato a Venezia fuori concorso e candidato per la Spagna all’Oscar per il miglior film internazionale, ha nella seconda parte il momento più convincente con la regia che indugia e indaga sui visi dei ragazzi sopravvissuti ormai prosciugati dalla sofferenza e dalle decisioni che sono costretti a prendere per sopravvivere. Bellissime le immagini delle montagne innevate.
La società della neve **
Visto ieri, rispetto il precedente "alive" del 1993 l'ho trovato molto più schietto, per quel che mi ricordo, i personaggi sono anche meglio delineati psicologicamente. Che disastro e che avventura
ps anzi mi correggo, io ho visto il primissimo "i sopravvissuti delle Ande" del 1976, un paio di volte, quindi è a quel film che mi riferisco
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Rivisto con piacere "Fuga da Alcatraz" con un immaginifico Clint Eastwood, ieri pomeriggio su Iris.
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Barrett
“C’è ancora un domani” (2023) di Paola Cortellesi
Immediato dopoguerra. La dura giornata di Delia comincia sin dal primo mattino quando deve respingere le pesanti angherie del marito e continua nelle ore successive tra casa, famiglia e piccoli lavoretti necessari per far quadrare i conti. Il film è stato presentato alla festa del cinema di Roma, dove da quest'anno c'è il concorso, e permette alla Cortellesi di mettere in pratica tutto il suo bagaglio artistico e il suo talento. Ad esempio, pur essendo una pellicola neorealista risulta meno drammatica dei vecchi capolavori, semmai naif, spesso sconfinante nella commedia, a volte efficacemente, con battute davvero esilaranti, altre volte meno, dove la banalità e lo scontato risaltano. Ancora, in alcune sequenze irrompe senza preavviso un accenno di musical (Woody Allen) e i brani scelti per narrare la pellicola sono stati scelti per il loro contenuto, anche se sono di un’epoca successiva rispetto al periodo in cui è ambientato il film. A volte soprattutto nella prima parte, la regia tende a sovraccaricare le sequenze con riprese effettuate da più posizioni (Scorsese), ma in definitiva, soprattutto per un montaggio non perfetto risultano come se fossero appiccicate. Però due scene personalmente mi sono rimaste impresse positivamente. Il pranzo di fidanzamento della figlia della protagonista, un piccolo capolavoro e l'inaspettato finale che rappresenta il superamento di un confine grazie al quale fu determinato un riscatto sociale, anche se purtroppo non ancora oggi completato.
C’è ancora un domani ***
Visto e anche a me alcune scene sono apparse meno drammatiche di quello che mi sarei aspettata di vedere da film con tema del genere, nel senso che la realtà è ben diversa pur rispecchiando la situazione drammatica, le botte, la violenza famigliare, almeno per chi ha vissuto ai tempi o durante l' infanzia certe situazioni appaiono decisamente "soft" , anche il fatto che non c'è traccia di segni sul viso delle percosse sembra irreale, o le scene come un balletto, insomma alleggeriscono i momenti di violenza.
Forse è stata proprio una scelta della regista, autrice per alleggerire la tensione e rendere più leggera la visione del film pur nella drammaticità del tema affrontato.
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Breakthru
Sicuramente non andrò a vederlo al cinema non potendo alzarmi casomai non reggessi la tensione
Secondo me si può tranquillamente vedere anche al cinema senza alzarsi, pur nella drammaticità del tema e interesse catturato fino alla fine, non ho provato una grande tensione.
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Originariamente Scritto da
LadyHawke
Visto e anche a me alcune scene sono apparse meno drammatiche di quello che mi sarei aspettata di vedere da film con tema del genere, nel senso che la realtà è ben diversa pur rispecchiando la situazione drammatica, le botte, la violenza famigliare, almeno per chi ha vissuto ai tempi o durante l' infanzia certe situazioni appaiono decisamente "soft" , anche il fatto che non c'è traccia di segni sul viso delle percosse sembra irreale, o le scene come un balletto, insomma alleggeriscono i momenti di violenza.
Forse è stata proprio una scelta della regista, autrice per alleggerire la tensione e rendere più leggera la visione del film pur nella drammaticità del tema affrontato.
Secondo me si può tranquillamente vedere anche al cinema senza alzarsi, pur nella drammaticità del tema e interesse catturato fino alla fine, non ho provato una grande tensione.
Visto anche io e mi è piaciuto molto.
Ho apprezzato la scelta di rappresentare la violenza in quel modo, volendo la si può interpretare anche come una dissociazione, lei continua a giustficare il marito
Terribile e tremendamente realistico il discorso che fanno il vecchio e il figlio, se la picchi tutti i giorni poi si abitua, menala una sola volta ma forte...
Penso che se lo avessero portato agli Oscar qualcosa avrebbe vinto
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"Le otto montagne"
Non so se Barret ne ha già parlato, se lo ha visto
Storia della nascita e dell'evoluzione una amicizia tra due bambini, poi ragazzi e infine adulti.
Protagoniste le montagne, le valli, il panorama
Molto bello visivamente, chi ama la montagna sentirà il profumo dei prati, dei fiori, il vento tra le foglie
E' anche la storia di due ostinazioni, quella del montanaro e quella del suo amico che si allontana dal padre
Filippo Timi, che adoro, è il padre di uno dei protagonisti
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Barrett
“Le otto montagne” di Felix Groeningen e Charlotte Vandermeersh
La Montagna quale filosofia di vita. Per chi ci è nato e non si allontanerebbe neppure quando non ti permette di autosostenerti e per chi ci è andato sin da ragazzo e non sapendo cosa fare della propria vita si mette a scrivere un libro su di lei e che inaspettatamente riceve un discreto successo. Presentato a Cannes dove ha vinto il premio della giuria è la storia di due ragazzi che poi diventano uomini legati dall’amore per la montagna. Bravi Marinelli e Borghi.
Le otto montagne ***
Le due righe che scrissi l'anno passato.
Il film della Cortellesi non ha fatto la trafila per la eventuale candidatura agli Oscar in quanto uscito tardi, a fine ottobre. Potrebbe essere preso in considerazione per l'anno prossimo.