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“L’arte della gioia – seconda parte” (2024) di Valeria Golino
Allontanatasi dal convento, in attesa che si materializzi la vocazione, Modesta viene accolta a braccia aperte nella sua proprietà vicino a Catania da una ricchissima baronessa che non perde tempo per affidarle compiti di responsabilità, primo fra tutti quello di seguire un figlio menomato che vive segregato in una camera della casa e che a Modesta accende interessi e ambizioni. Ma non c'è solo lui nel suo perimetro; c'è la figlia della baronessa, l'autista e il fattore, tutte pedine che la ragazza manovra a proprio piacimento per ottenere ciò che vuole. Ma accanto a un’idea della ragazza che la disegna egoista e cinica tesa solo a raggiungere i suoi obiettivi, ce n'è un’altra con la quale si può notare come lei dispensi gioia e conforto nei confronti delle persone che circondano. Perché il suo motto è mai più schiava ma neppure padrona, ora che è diventata la persona più importante dopo la baronessa. Ma fa un errore che in verità non lo è ovvero rimanere incinta in una casa dove non è consentito. Ma ormai il suo orizzonte si è ampliato verso la città, perché la vita di campagna tra contadini e persone che hanno una visione limitata le rimane stretta.
Rispetto alla prima parte in questa c'è più carne al fuoco nel racconto con il rischio che si scivoli verso il polpettone che la maestria della Golino evita. Un plauso alla regista.
L’arte della gioia ***
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Il muro di gomma, regia di Marco Risi, col bravissimo e compianto attore Corso Salani nei panni del giornalista che non si accontenta di comode verità.
Cona non è riuscita a vederlo fino alla fine, sopraffatta dalla commozione. Ammetto che anche per me è stata dura trattenere le lacrime.
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"Risvegli" ieri sera sul 28
Robert De Niro e Robin Williams: cosa volere di più dal cinema? Memorabile!
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"Firebrand" (2023) di Karim Aïnouz
Enrico VIII ha il sospetto che la sua ultima moglie lo stia tradendo, non solo fisicamente, mettendo a repentaglio il matrimonio, ma anche per rovesciare il suo regno attraverso il finanziamento di un gruppo di eretici. Il suo potere non è in discussione ma col tempo oppositori silenziosi hanno avuto la possibilità di tramare contro di lui. Il film era in concorso a Cannes nel 2023 e pur avendo una storia scarna nella quale non c'è una grande descrizione dei personaggi a parte i due protagonisti, è sicuramente di ottima fattura sia nella direzione come pure nella recitazione dove risalta un irriconoscibile Jude Law nelle vesti del Re. Apprezzabile anche il montaggio, che pare avere dei vuoti tra una sequenza e un'altra e invece, ripetendosi più volte, si intuisce che sia un effetto voluto.
Firebrand ***
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"La vita accanto" (2024) di Mario Tullio Giordana
Una madre rifiuta la figlia appena nata per via di una macchia rossa sul viso che si estende sino al collo. E' l'inizio del film e di lei ancora non si sa nulla anche se si intuisce che il ménage familiare preesistente al parto presenta elementi equivoci. Sarà la figlia ormai cresciuta a scoprire i reali problemi della madre attraverso la scoperta di un diario correlato da immagini trovato nascosto all'interno di un mobile. Il film era al festival di Locarno qualche giorno fa e la bella storia è tratta dal libro omonimo di Mariapia Veladiano. Apprezzabile anche l'ambientazione, una austera e calma Vicenza e un palazzotto d'epoca da far invidia, come pure le parti di pianoforte che arricchiscono il racconto. Quello che invece non mi ha convinto è la regia di Giordana, datata e strutturata più per una fiction televisiva che per il cinema, una recitazione teatrale, con lenti movimenti della macchina da presa e rari e imprecisi tagli di montaggio, poco utilizzo del diaframma negli interni e una fotografia sgranata negli esterni. Però per euro 3,50 può andare più che bene.
La vita accanto **
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“L’innocenza – Kaibutzu – Monster” (2024) di Hirokazu Kore’eda
Tre prospettive di una vicenda che vede protagonisti i bambini di una scuola e il loro maestro. La prima è quella vissuta da una madre che racconta alla preside del cattivo comportamento del maestro nei confronti del figlio. La seconda è quella dell'insegnante che cerca di dimostrare la propria innocenza, mentre la scuola è impegnata a scusarsi per salvare la faccia e impedire che la madre del bambino prenda dei provvedimenti. La terza è la prospettiva dei bambini ovvero come le cose sono effettivamente andate. Bellissima storia che a Cannes 2023 si è portata via il premio di miglior sceneggiatura. È sufficiente spostare una virgola per giudicare diversamente persone e fatti, ad esempio nella prima parte, per come viene narrata, i due bambini ci appaiono l'uno contro l'altro, mentre nella terza, che mi ha ricordato "Stand by me" con River Phoenix ragazzino, dimostrano una complicità che solo due veri amici possono avere. Le bugie per gli adolescenti possono essere delle verità modellate per fantasticare su una realtà per loro fluida che spesso gli adulti faticano a comprendere.
Il film è dedicato a Riuchi Sakamoto scomparso durante il montaggio del film e autore della colonna sonora che con quel giro di piano nella sequenza finale ha lasciato la sua firma al film e alla sua arte.
L’innocenza – Kaibutzu – Monster ***
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Dante, di Pupi Avati, venerdì sera su Rai 3: bruttissimo! Una delusione completa.
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“Limonov (2024) di Kirill Serebrennikov
Limonov cresce a Kharkiv che lascia per immergersi nella vita artistica della Mosca più sotterranea, animata da persone inverosimili per l'Unione Sovietica di Breznev della fine degli anni 60. Ma a metà del decennio successivo lo ritroviamo a New York, raffigurata come ce la ricordavamo ai tempi di Taxi Driver. Aveva abbandonato l'economia pianificata del suo paese ben sapendo che il capitalismo americano era pure peggio. Qui cerca di organizzare una rivoluzione sui generis dove i poveri e gli emarginati dovrebbero ribaltare l'ordine delle cose. Successivamente si ricicla maggiordomo, lavoro che gli permette di avere tempo e concentrazione per scrivere un libro che dia voce al suo pensiero. Con la caduta del muro torna in Russia ormai famoso, chiarendo di non essere mai stato un dissidente. Attacca il nuovo corso e così finisce imprigionato in Siberia, ma quando esce, osannato, appoggia Putin per l'invasione in Crimea. Il film era in concorso a Cannes ed è la biografia di Henry Limonov, pseudonimo di Ėduard Veniaminovič Savenko. Ho apprezzato la prima parte, quella della vita moscovita dove la colonna sonora è affidata ai Velvet Underground e la tecnica cinematografica ricorda Bertolucci, malgrado alcune sequenze appaiano eccessivamente forti e i personaggi siano raffigurati in maniera troppo marcata. Nel proseguo la narrazione perde vigore per rimanere al passo con la vita movimentata del protagonista, diventando una sorta di cronistoria della sua esistenza. Ma forse era necessario per evidenziare tutte le contraddizioni del personaggio.
Limonov ***
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Barrett ciao! Non ci dici niente di Venezia? Di "La stanza accanto" e "Vermiglio"? Premi meritati secondo te?
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Barrett ciao! Non ci dici niente di Venezia? Di "La stanza accanto" e "Vermiglio"? Premi meritati secondo te?
I due film non sono ancora usciti. Leggendo la critica sono meritati, qualcuno si è spinto oltre affermando che comunque non è il miglior film di Almodovar. Qualche perplessità invece sulle coppe Volpi per le migliori interpretazioni.
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Ok grazie, a giorni dovrebbero uscire in sala.
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“Campo di battaglia” (2024) di Gianni Amelio
Prima guerra mondiale agli sgoccioli, in un ospedale militare del nord est si confrontano due ufficiali medici apparentemente molto legati anche se completamente diversi. Uno è ambizioso, crede nella guerra e nella vittoria dell’Italia e per questo fa di tutto per riportare al fronte i soldati ricoverati, feriti, malmessi anche perché diffida del loro comportamento. L'altro fa diagnosi corrette e non crede che un soldato ferito possa tornare a combattere; a volte però eccede nella protezione del paziente e questo nel proseguo gli creerà problemi nel mantenere il suo posto. In mezzo un'infermiera che ama il primo ma che si sente più vicina al secondo. E’ il primo film proveniente da Venezia 81 a uscire e pur essendo piuttosto lento e con rari guizzi nella sceneggiatura, nell’incedere del racconto ci permette di ragionare su quali sofferenze la guerra porti nei confronti dei suoi protagonisti. Ottima la regia di Amelio, convincente l’interpretazione di Borghi.
Campo di battaglia ***
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Io ho visto su Rai movie "Lontano lontano" di Gianni Di Gregorio: tre anziani alle prese con pensioni da fame, sognano e poi progettano insieme una "fuga" all'estero (alle Azzorre) dove la vita costa meno e la natura è incorrotta. Il dramma quotidiano di tanta gente reale, viene raccontato con garbo e ironia e gli attori (Giorgio Colangeli, Ennio Fantastichini e lo stesso Gianni Di Gregorio) appaiono sempre frizzanti e carichi di umanità. Dopo aver accumulato la somma necessaria al viaggio infatti, alla fine rinunciano devolvendola a un giovane immigrato anch'egli desideroso di costruirsi una vita: bello, un bel film!
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Ho visto Beatlejuice Beatlejuice. È ad anni luce dal primo, e mi è sembrato che segua troppe sottotrame in modo approssimativo rimanendo incocludente un po' ovunque. Non lo darei come film consigliato, ma nemmeno da evitare a tutti i costi, comunque è divertente e godibile.
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“Finalement” (2024) di Claude Lelouch
Un uomo affetto da un problema mentale improvvisamente abbandona la sua vita, la famiglia e il suo lavoro da avvocato e inizia a vagare per la Francia spostandosi in autostop, raccontando di volta in volta agli automobilisti che lo raccolgono di essere uno dei personaggi pittoreschi che ha difeso in tribunale. Claude Lelouch deve gran parte della sua fama a “Un uomo, una donna” e malgrado l’età dirige ancora in maniera egregia, come testimoniato da “Finalement” presentato fuori concorso a Venezia. Il film ha una sceneggiatura articolata, con molti personaggi ognuno con la propria storia, arricchito da molta musica. E’ la naturale continuazione di “L’avventura è l’avventura” di cui si vedono vari spezzoni con il protagonista interpretato da Lino Ventura, e si presenta come un tema agrodolce, una riflessione sul tempo che passa che porta a ragionare sulla vita vissuta e a ciò che poteva essere e che non è stato e a quello che può ancora essere salvato.
Finalement ***
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Stasera sono stato al cinema a vedere Never let go, non in capolavoro, non credo lo consiglierei, ma ha i suoi momenti paurosi. È diventato difficile trovare un buon horror, ormai si abusa tantissimo di trucchetti da quattro soldi come il jumpscare, in questo film almeno ci si è limiati a un paio, costruendo invece la tensione giocando con la musica, i tempi cinematografici e instillando dubbi su ciò che stia effettivamente accadendo.
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Due film provenienti da Venezia
“Il tempo che ci vuole” (2024) di Francesca Comencini
Sul rapporto tra Francesca Comencini e il padre Luigi, conosciuto ai più per aver realizzato il miglior Pinocchio della storia del cinema e della televisione. Il film parte proprio da quelle riprese nel quale si nota la capacità di Comencini padre a gestire e a comprendere i bambini dentro e fuori dal set. Ritroviamo la coppia verso la seconda metà degli anni 70, con lei ormai diventata adulta in un contesto devastato da stragi ed eroina. Ma è anche un periodo in cui c’è una netta frattura generazionale tra padri e figli. Il loro rapporto è incrinato con Francesca che accusa il padre di non conoscerla affatto, aggiungendo che lui tranquillamente, educatamente ma in maniera viscerale, detesta le donne. Francesca è una ragazza insicura e con scarsa personalità, facilmente influenzabile. Sarà il cinema a salvarla. Il film era a Venezia fuori concorso e ha ricevuto ottime recensioni anche se personalmente non mi ha convinto del tutto. Ha lo stesso difetto di Limonov e di altre biografie cinematografiche, cioè quello di dover seguire per filo e per segno gli avvenimenti senza approfondire un periodo preciso. Apprezzabile però da un punto di vista tecnico, come pure ho trovato convincenti le interpretazioni. Per quanto riguarda la musica trovo condivisibile la scelta del secondo movimento della settima di Beethoven nel corso di una scena vibrante; fatico invece a comprendere l'utilizzo di Hey Hey My My di Neil Young nel momento in cui viene annunciato il rapimento di Moro, anche per una questione temporale in quanto il brano usciva l'anno dopo. Bello il finale, in quella massima espressione di magia che solo il cinema può esprimere.
Il tempo che ci vuole ***
“Vermiglio” (2024) di Maura Delpero
La vita in alta montagna durante la guerra e l’inverno rigido.
Il film ruota intorno a una famiglia nella quale il capofamiglia è il maestro del paese, con l’idea di continuare ad insegnare anche a casa. Protagoniste le tre figlie che dormono nello stesso letto, con sogni, aspirazioni e obiettivi diversi. La grande pensa a sposarsi con un soldato siciliano, la seconda passa tutto il giorno a pregare e a chiedere perdono per i suoi pensieri, la più piccola è la più brava a scuola ma è anche quella che possiede gli orizzonti più ampi. Improvvisamente il quadretto familiare viene sconvolto da una notizia inaspettata, da una lettera proveniente da lontano. Anche il film si incupisce, le scene diventano più lunghe, forse si perde qualcosa della naturalezza iniziale. Nell’ambientazione e nei temi trattati ricorda il cinema di Olmi, anche per l’utilizzo del dialetto e di attori non professionisti. A Venezia Vermiglio ha vinto il premio della Giuria, ed è dell’altro giorno la notizia che è stato designato a rappresentare l’Italia nella corsa agli Oscar. La regia è magnifica, con primi piani insistenti, inquadrature fisse e rari movimenti della macchina da presa; pochi fronzoli ma una cura maniacale dei dettagli. Bella anche la fotografia, con ottiche che rendono le immagini sempre un po’ sfumate. Che dire della sequenza finale che termina con i titoli di coda sulle note di Chopin? Poesia pura.
Vermiglio ****
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Quindi per te potrebbe anche vincerlo, l'Oscar.
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La strada è lunga. Ci sono due selezioni da superare prima di arrivare alla cinquina finale. Non è facile.
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Questo lo so, volevo sapere se il film ha o no tutti i requisiti per aggiudicarsi la statuetta.
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Non mi piace la parola "requisiti" come se stessimo leggendo un curriculum vitae.
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Ancora da Venezia.
“Familia” (2024) di Francesco Costabile
Storia realmente accaduta, tratta dei rapporti familiari tossici all'interno delle mura domestiche per via di un marito violento. Il film elenca i passi che portano al disastro dopo l'ennesimo tentativo in seguito all’ostacolato rientro in famiglia: inizialmente la situazione è apparentemente tranquilla, poi i segnali si susseguono in un crescendo di intensità, come i vestiti che non vanno bene, troppo tempo per buttare l'immondizia, gelosia nei confronti dei colleghi con conseguenti dimissioni dal posto di lavoro, e anche nei confronti di un figlio colpevole di un gesto gentile. I pedinamenti e l’ossessione si trasformano ben presto in un attacco fisico. Il tema è volutamente monocorde, nel quale solo uno dei personaggi viene approfondito, quello che a Venezia nella sezione Orizzonti ha vinto il premio per la migliore interpretazione. Non tutte le sequenze sono convincenti e anche la forma avrebbe avuto bisogno di una maggiore cura. Si esce dal cinema come se fossimo stati noi stessi testimoni reali di questo strazio.
Familia **
“Joker: folie a deux” (2024) di Todd Philips
Ritroviamo Joker in carcere in attesa del processo, struccato e depresso. Qui conosce Lee (Lady Gaga), psichiatra che si è fatta internare per studiarlo e che lo riaccende. La particolarità del sequel è che si tratta di un piccolo musical con vecchie canzoni che irrompono ad intervalli regolari ma che alla fine nasconde una debolezza di fondo. Se non fosse stato presentato in concorso a Venezia non sarei mai andato a vederlo e questo testimonia come da qualche anno la mostra strizzi l'occhio più a Hollywood che alla scoperta di nuovi film che hanno bisogno dei festival per arrivare al pubblico. La sceneggiatura è poca cosa, tutta incentrata sulla scoperta da parte di Arthur Fleck che l'interesse che suscita nella gente è legata a Joker e non a lui come persona. Il film è sicuramente ben confezionato ma con alcuni fastidiosi luoghi comuni hollywoodiani e con un sussulto finale. Se si deve scegliere che film andare a vedere non dovrebbe essere questo.
Joker: folie a deux **
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“Iddu – L’ultimo padrino” (2024) di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
Un mafioso di provincia (Toni Servillo) uscito di prigione viene investito dalle conseguenze della sua precedente attività criminale e dalle sue conoscenze. Per non incorrere in ulteriori procedimenti giudiziari deve aiutare i servizi segreti a rintracciare il nuovo boss della mafia (Elio Germano) per via del loro legame. Malgrado le sue perplessità, il mafioso pensa di sfruttare l’occasione per chieder al boss un aiuto al fine di sbloccare un suo intervento edile finito nelle maglie della burocrazia comunale. Il film era a Venezia in concorso e si regge sull’interpretazione dei due grandi attori, mentre il tema dell’influenza della mafia sulla società e sull’attività politica viene raccontata con distacco e una punta di ironia.
Iddu – L’ultimo padrino ***
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Mamma mia Barrett io sullo stesso tema venerdì ho visto "Il traditore" con Pierfrancesco Favino e l'ho trovato orrendo. Neppure sono riuscito a vederlo per intero. Prima volta che mi è capitato. Orrendo!
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
"Il traditore" di Marco Bellocchio, il quale dopo la scomparsa di Bertolucci e Olmi è l'ultimo della sua generazione non soltanto ad essere in vita ma a continuare a fare film. "Il traditore" è stato presentato in concorso a Cannes e narra le vicende di Tommaso Buscetta, figura non di spicco della mafia palermitana, coinvolto suo malgrado negli scontri tra la cupola storica e quella appartenente ai corleonesi interessati a spostare i traffici illegali dal tradizionale contrabbando a quello della droga, tradendo, secondo Buscetta, lo spirito originario di Cosa Nostra. Arrestato a Rio ed estradato in Italia decide di collaborare col Giudice Falcone, permettendo alla giustizia di portare alla sbarra i capi mafia. Il film che mantiene per certi versi un taglio documentaristico, ha nell'interpretazione dei protagonisti, i loro dialoghi e i primi piani l'aspetto più riuscito. Soprattutto notevole Pierfrancesco Favino nella parte di Buscetta. Non sempre convincente invece la regia di Bellocchio, ad esempio nelle scene più movimentate o in quelle del maxi processo.
Il traditore ***
Questa fu la mia recensione. Confermo quella impressione, non tutto riuscì perfettamente.
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Mi sono guardata Interstellar, dopo aver assistito alla conferenza di un astrofisico sulle nozioni di fisica presenti nel film. Molto interessante guardarlo con un occhio più scientifico. Film splendido, peraltro.
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Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola
Il cinema a cinque stelle di Coppola inizia con “The Godfather – Il Padrino” (1972). Prima di allora aveva diretto film che si possono tralasciare e il Padrino cambiò tutto. Coppola impose alla casa di produzione Marlon Brando, ormai estromesso da Hollywood e gli mise a fianco una schiera di giovani attori che avrebbero fatto la fortuna del cinema americano nei decenni successivi. Si parla di Al Pacino, John Cazale, Robert Duvall, James Caan, Diane Keaton, Talia Shire. Nella parte seconda (1975) si aggiunge l’immancabile De Niro che interpreta il giovane Vito Corleone. Tratto dal romanzo di Mario Puzo, viene narrata la saga della famiglia nell’epoca “gentile” della mafia, se si può usare questo temine per un’attività criminale, prima che la scoperta del fiume di danaro che arriverà dal commercio della droga distrugga il tessuto sociale che la mafia aveva garantito sostituendosi allo Stato. Tra i due padrini, “The Conversation – La Conversazione” (1974), un film sulle paranoie del protagonista nello svolgere il lavoro di addetto alle intercettazioni, metafora di quel periodo buio che gli americani stavano vivendo tra Vietnam e Watergate. E’ in quello successivo, il mio preferito, che Coppola quasi impazzisce per dar vita a “Apocalipse Now” (1979), film che si inserisce in quel filone dedicato alla guerra in Vietnam, tema anticipato l’anno prima da un altro capolavoro “The Deer Hunter – Il Cacciatore” di Michael Cimino. Nel film Coppola rende evidente la follia della guerra attraverso varie tracce narrative, in quella principale un commando americano dà la caccia a un disertore che si è messo a capo di un gruppo di vietcong nell’impervia giungla vietnamita. Il film lo si ricorda per il monologo finale di Marlon Brando, che per pochi minuti riuscì ad ottenere un cachet milionario, per la regia di Coppola, la fotografia psichedelica di Storaro e la musica dei Doors e di Wagner che combaciano perfettamente con le immagini. Durante gli anni il film viene presentato in tre versioni differenti, con nuove scene e una lunghezza che in quella Deluxe supera le tre ore. Con Apocalipse Now termina la carriera a cinque stelle di Coppola e inizia quella di un regista quasi normale, con film meno rischiosi sia finanziariamente che per la sua salute mentale. Tra questi quelli dedicati alle bande giovanili, con un’altra sfornata di giovani attori, il terzo capitolo del Padrino, dove l’affresco viene sostituito dal contemporaneo e altri come uno dedicato a Dracula, tutti attesi dal pubblico nella speranza che si torni ai fasti del passato. Così è stato per “Megalopolis” (2024), presentato in concorso a Cannes e ambientato in una New York "romanizzata" e distopica. Qui troviamo l'architetto Catilina con l'utopia di rifondare la città per superare le crisi di civiltà e la decadenza del capitalismo, ma ha contro il sindaco Cicerone e una parte della popolazione. Nelle sequenze riuscite il film è convincente e geniale. Ma sono troppe le cadute di stile, la banalità di alcune parti oltre a i buchi nella sceneggiatura. In ogni caso lunga vita a Coppola.
Megalopolis **
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“All we imagine as light – Amore a Mumbai” (2024) di Payal Kapadia
Due infermiere dividono la casa a Mumbai, India. La più anziana è sposata, un matrimonio combinato, con il consorte da tempo in Germania per lavoro che ormai si è dimenticato della moglie. La più giovane ha invece una relazione clandestina con un ragazzo musulmano. L’unione non sarebbe accettata dalle rispettive famiglie e pertanto la coppia ha incontri furtivi, lontano da occhi indiscreti. Il film, che a Cannes dov’era in concorso ha ricevuto il Gran premio della giuria è un sunto della situazione delle donne in India dove le unioni vengono decise a tavolino e l’amore un dettaglio. Al film manca un po’ di ritmo e nel finale rallenta ancora quando però nella narrazione si incunea un fatto inatteso.
All we imagine as light – Amore a Mumbai ***
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"Sotto le stelle di Parigi" sabato scorso in prima serata su Rai 3. Un vero gioiellino, Barrett, mi piacerebbe tanto una tua recensione. So di chiederti molto.
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Originariamente Scritto da
conogelato
"Sotto le stelle di Parigi" sabato scorso in prima serata su Rai 3. Un vero gioiellino, Barrett, mi piacerebbe tanto una tua recensione. So di chiederti molto.
Appena posso lo guardo.