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“Parthenope” (2024) di Paolo Sorrentino
Parthenope è una ragazza che ha la consapevolezza di una persona adulta, però lontana dalle proteste studentesche o dalle rivendicazioni del suo genere, che rinuncia al cinema per la carriera accademica, poco attratta dai coetanei o da playboy danarosi ma da attempati personaggi che siano scrittori alcolizzati, professori frustrati o preti con una scadente vocazione. Il film era in concorso a Cannes e mi chiedo cosa sarebbe stato se Sorrentino avesse curato maggiormente la sceneggiatura invece di continuare nella sua ricerca stilistica ed estetica fine a se stessa che, a mio parere, aveva affossato “E’ stata la mano di Dio”, con la sensazione guardando Parthenope di sfogliare una rivista come Vogue con delle foto animate o di osservare uno spot Martini.
Parthenope **
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Originariamente Scritto da
Barrett
Appena posso lo guardo.
Che bella persona, grazie :volemose:
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conogelato
Che bella persona, grazie :volemose:
ahahaha
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“L'Histoire de Souleymane” (2024) di Boris Lojkine
La via più breve per diventare un immigrato regolare e avere l’aiuto da parte dello stato è richiedere asilo politico. A Parigi c’è un’organizzazione clandestina che si occupa dei documenti e della preparazione al colloquio finale. Questa è la storia di Souleymane, non dissimile da tante altre, quasi sempre prive delle motivazioni richieste, nel caso del protagonista sono quelle di migliorare la propria condizione economica e aiutare la madre malata rimasta in Nuova Guinea ma non di essere un perseguitato politico. Per pagare i documenti Souleymane deve lavorare, senza permesso di soggiorno ci si deve arrangiare. Lui è un rider, con un account ottenuto illegalmente in affitto e mentre lo seguiamo nel cercare di districarsi tra le angherie che clienti e fornitori gli propinano ci chiediamo che vita sia quella. Il film era a Cannes nella sezione Un Certain Regard dove ha vinto diversi premi ma avrebbe meritato di partecipare nel concorso ufficiale considerato il livello. L’unico difetto, ma non è un vero difetto è quello di essere costato pochi euro. La lunga sequenza finale è una coltellata verso lo spettatore che si ritrova disarmato al pensiero che questa storia non è nemmeno la più disumana.
L'Histoire de Souleymane ***
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“Berlinguer – la grande ambizione” (2024) di Andrea Segre
Il film non ha l’obiettivo di rivalutare la figura di Enrico Berlinguer considerato il seguito e il rispetto ricevuto durante la sua carriera politica e anche successivamente da morto. Dovrebbe essere diretto nei confronti di chi non ha avuto l’occasione di seguirne l’evolversi del pensiero, soprattutto alle nuove generazioni. In verità, almeno nel cinema dove l’ho visto, c’erano soprattutto persone con i capelli bianchi e alla fine penso si tratti di un’operazione nostalgica. Il film si apre con le immagini festanti di Salvador Allende all’indomani della sua elezione e un mezzo secondo dopo, grazie al montaggio, si vedono i caccia che attaccano il palazzo presidenziale dando vita al colpo di stato cileno orchestrato da Pinochet. L’azione politica di Berlinguer da quel preciso momento in poi è tesa ad evitare gli errori di Allende e di appoggiare un governo di unità nazionale per superare quel difficile momento storico. Il mondo era diviso in due blocchi, come pure in Italia tra chi sosteneva la DC e chi il PCI. Per rendere il clima sempre più infuocato e pesante c’erano da una parte le stragi di stampo neofascista e dall’altra la lotta armata delle BR. Per finire, proprio nel 1973 ci fu il primo schock petrolifero con un’inflazione a due cifre che non ci abbandonò per un decennio rendendo l’economia debolissima. La proposta di Berlinguer ai democristiani fu quella di dar vita a un compromesso storico che permettesse alla Stato di ridurre la situazione di tensione, superare il periodo emergenziale mettendo in pratica un socialismo democratico. Il rapimento Moro e la sua uccisione fece naufragare il progetto portando al lento disfacimento della Prima Repubblica, a alla caduta dei partiti tradizionali con la fine della Guerra fredda e poco più tardi con tangentopoli. Il film è stato presentato a Roma e si avvale di ampie immagini di repertorio, che forse sono la cosa migliore del film, a cui manca nella parte originale quello di rappresentare davvero l’epoca di cui parla, anche per le troppe immagini che raffigurano la famiglia Berlinguer all’interno delle mura di casa. Lo stesso Elio Germano, bravissimo per carità, non riesce a replicare la maschera intensa e espressiva del vero Berlinguer.
Berlinguer – la grande ambizione **
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Noooo Barrett, solo due stelline? Noi lo abbiamo visto ieri a Firenze. Solo per l'interpretazione di Germano almeno 4, dài.
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https://www.youtube.com/watch?v=2WWFWvKdZnc
Rivisto ieri dopo tantissimi anni
Sempre bellissimo
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Originariamente Scritto da
conogelato
Noooo Barrett, solo due stelline? Noi lo abbiamo visto ieri a Firenze. Solo per l'interpretazione di Germano almeno 4, dài.
Mi dispiace ma non mi ha convinto. Avrei tolto gran parte delle scene familiari e inserito qualche scontro in seno al partito sull'idea del compromesso storico.
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“The Substance” (2024) di Coralie Fargeat
Nel giorno del suo compleanno un'attrice affermata, ma sull'orlo di essere licenziata dal suo show per via dell'età, subisce un terribile incidente dal quale esce sorprendentemente illesa. In ospedale un medico notando il suo disagio psicologico le allunga una pennina usb nella quale vengono riepilogate le istruzioni per ritornare giovane. Non si tratta di semplice cosmesi o di chirurgia plastica, ma qualcosa di innovativo, che richiede allo stesso tempo fegato e comportamenti precisi e irreprensibili. Il film, che a Cannes ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura, è un duro attacco nei confronti di chi non accetta l'invecchiamento e di chi ci lucra. In questo caso la persona coinvolta fa parte del mondo dello spettacolo, ma vale anche per persone meno esposte, soprattutto quelle più giovani, sempre alla ricerca della perfezione estetica da evidenziare sui social. Il film è oltremodo eccessivo, tutto è elevato all'ennesima potenza. A parte la storia inverosimile, la regia è frenetica, il montaggio serrato, il suono assordante, la musica ossessiva, le inquadrature in primo piano al limite del macro. Un film che sembra uscito da un set di Cronenberg, con l'utilizzo di interni e obiettivi che ricordano Kubrick e con una spruzzata di pulp alla Tarantino.
The Substance ***
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
Mi dispiace ma non mi ha convinto. Avrei tolto gran parte delle scene familiari e inserito qualche scontro in seno al partito sull'idea del compromesso storico.
Ma il film è stato impostato più sulla persona, Berlinguer, che sul politico.
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conogelato
Ma il film è stato impostato più sulla persona, Berlinguer, che sul politico.
Allora si doveva fare un altro titolo.
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Semplicemente...."Enrico"?
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“The Apprentice” (2024) di Ali Abbasi
Donald Trump nelle sue prime esperienze da imprenditore tra gli anni settanta e il decennio successivo. Più che dal padre il giovane Donald, apparentemente impacciato e goffo, viene plasmato dall’Avv. Cohn che gli consegna il paradigma dell’uomo di successo: attaccare sempre, non ammettere mai reati, dichiararsi vincitore anche quando si perde. Così Trump inizia la sua carriera da immobiliarista costruendo la Trump Tower a New York e tra le altre cose un casinò, sposa una modella, Ivana di origine ceca e affronta con impeto tutti i problemi che gli si presentano davanti. Il film era in concorso all’ultimo Cannes ed è diretto da Ali Abbasi di cui avevo apprezzato il precedente “Holy Spider”. Malgrado il mio disappunto per l’elezione di Trump, un personaggio non solo pericoloso ma piuttosto disgustoso che il film non esita a mettere in luce, The Apprentice è meno peggio di quanto pensassi, con uno stile da documentario anni settanta, da cui è difficile a volte capire se le immagini sono originali o di repertorio, e un montaggio volutamente approssimativo.
The Apprentice **
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“A Different Man” (2024) di Aaron Schimberg
Edward è un attore affetto da fibrosi facciale con il volto deformato fino a farlo sembrare un mostro. La sua vita è naturalmente influenzata negativamente da questa menomazione e solo la sua vicina (Renate Reinsve) sembra essere interessata a lui. Dopo che un medico testa su Edward una nuova terapia che ha l’effetto di eliminare ogni traccia della malattia, decide di prendere un’altra identità continuando però a vivere nella stessa casa e dicendo ai vicini che Edward si è suicidato. Un giorno scopre che la solita vicina sta selezionando attori per un testo teatrale basato sulla vita di Edward e lui decide quindi di partecipare al casting. Il film, presente all’ultimo festival di Berlino dove ha vinto il premio per la miglior interpretazione maschile, ha natura di opera indipendente che lo rende scarno nella forma, ma non per questo meno meritevole, anzi con alcune frecce al proprio arco, con il difetto a mio parere di non prendere una unica direzione in quanto tende a sviluppare il tema sia in maniera patetico/drammatico che comico/ridicolo.
A Different Man **
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Ma poi il mio film sei riuscito a vederlo?
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Originariamente Scritto da
conogelato
Ma poi il mio film sei riuscito a vederlo?
Non ancora. Ma lo farò, abbi fede:rotfl: Oggi vado a vedere "Anora".
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“Anora” (2024) di Sean Baker
Anora è una escort che lavora in un locale di New York dove conosce un giovane russo figlio di un miliardario. Dopo pochi incontri il ragazzo le chiede di passare insieme una intera settimana al termine della quale le fa la una proposta di matrimonio che la ragazza accetta e che viene immediatamente celebrato a Las Vegas. E’ una delle tante versioni moderne della favola di Cenerentola, ma qui più che rompersi l’incantesimo si guasta virando decisamente verso toni volgari, grotteschi e comici, con alcune scene davvero esilaranti. A Cannes “Anora” si è aggiudicata la Palma d’Oro, un premio meritato per Sean Baker, regista che non ha mai tradito la sua vena di autore indipendente (“The Florida Project”, “Red Rocket”) che vede quali protagonisti dei suoi film gli emarginati, gli esclusi, i mezzo falliti o falliti del tutto, magari in cerca di riscatto o che lo ricevono senza averlo cercato, come appunto Anora che per un attimo sfiora la svolta a una vita passata a soddisfare le voglie altrui e la cui vera natura è ben rappresentata nella scena conclusiva. Il film non mi ha convinto del tutto per via di una sceneggiatura che presenta alcuni tempi morti e diverse scene ripetitive (quelle di sesso in primis), mentre convincente è la regia di Baker, davvero di alto livello. E per la regia gli avrei dato il premio a Cannes.
Anora ***
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Il film consigliatomi da Conogelato.
“Sotto le stelle di Parigi” (2021) di Claus Drexel
Una clochard dorme sotto un ponte di Parigi, all’interno di un magazzino grazie all’interessamento di un dipendente del Comune. Fuori dalla porta, una notte, si presenta un bambino di colore che la donna cerca in tutti i modi di mandare via per non avere problemi con le autorità. Il bambino però dal giorno seguente inizia a seguirla dappertutto fino a quando la donna non finisce per perdere la sua sistemazione. Da questo momento in poi la clochard si occuperà del bambino adoperandosi a rintracciare la madre. Il film analizza tre problemi in uno ovvero i senzatetto, gli immigrati e il rapporto tra questi e coloro che sono già integrati. Tutto sommato ha una certa qualità nella direzione, ma banalizza i temi trattati edulcorandoli oltremisura ed enfatizzando dove sta il giusto e il buono in contrasto con l’egoismo da parte di persone insensibili. Sicuramente adatto ai bambini, magari da far vedere durante le feste anche per introdurli ai problemi della nostra società. Per chi volesse vedere tre film di spessore usciti recentemente che trattano del problema dell’immigrazione il mio consiglio va a “Io Capitano” di Matteo Garrone e soprattutto a “Green Border” di Agnieska Holland, entrambi dell’anno passato e “La storia di Souleymane” di Boris Lojkine uscito quest’anno.
Sotto le stelle di Parigi **
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Visti i tempi, per me è molto più adatto a noi adulti....
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“Juror n. 2” (2024) di Clint Eastwood
Malgrado la moglie sia oggetto di una gravidanza a rischio, un giurato non esita a impedire una veloce conclusione di un processo per omicidio allungando la discussione per giorni. Il protagonista ha un motivo valido per bloccare la necessaria unanime decisione della giuria, ma non dico altro per non svelare il punto centrale del soggetto del film nel caso in cui qualcuno avesse già deciso di andare a vederlo. Personalmente non sono tra quelli che nel corso degli anni si è mai stracciato le vesti per il cinema di Eastwood regista. Mi è diventato persino un po’ antipatico quando saltò fuori che tentò, da giurato di Cannes, di bloccare un premio a “Caro diario” di Nanni Moretti. Diceva che non comprendeva tutto questo interesse nei confronti di quella persona che andava in giro in motorino per le strade di Roma. “Giurato n. 2” non mi sembra di una qualità diversa dai suoi film precedenti e non mi pare neppure una storia originalissima e a parte alcune forzature giudiziarie, tipiche di un certo cinema americano, oltre al senso di rimorso e all’impossibilità di raccontare la verità da parte del protagonista, aggiungendo il dietrofront dell’ultimo minuto, quello che il film ci ricorda è che se le indagini per un delitto sono fatte male o neanche fatte, è automatico pensare che il colpevole sia quello più facile da considerare tale.
Juror n. 2 ***
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Sei inflessibile. Mettersi addirittura a contestare Clint Eastwood....
Vabbè.
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“Paris, Texas” (1984) di Wim Wenders
In questi mesi stanno uscendo in sala alcuni capolavori dei decenni passati tra cui “The Godfather” parte seconda, “Pulp Fiction” e appunto “Paris, Texas”.
Prima scena, un uomo vaga nel deserto americano, apparentemente senza meta. Viene recuperato dal fratello che lo porta a casa sua dove vive il bambino che l’uomo ha avuto anni prima da una ragazza poi scomparsa. Travis, il nome dell’uomo, fatica a ricordare il passato e di essere perfino padre, ma in pochi giorni, vivendo insieme al bambino e guardando un vecchio video dove loro appaiono in momenti spensierati, riaffiorano in lui quegli istanti che aveva cancellato dalla sua mente. Si mette quindi alla ricerca della madre del bambino ritrovandola in un luogo squallido; l’incontro tra i due è commovente, ma è nulla rispetto a quello successivo tra lei e il bambino in una stanza di un hotel. Il film vinse all’epoca la Palma d’Oro a Cannes; nella regia di Wenders l’espressività delle immagini si sposano perfettamente con la precisione delle inquadrature, i primi piani si alternano ai campi lunghi e il diaframma è spesso chiuso per evidenziare ogni millimetro della scena; la storia, scritta da Sam Shepard, narra del vuoto esistenziale dopo un abbandono in una società che non prevede gli anticorpi; la fotografia di Robby Muller è intensa e abbina le variazioni cromatiche ai riflessi; la musica di Ry Cooder lacerante.
Paris, Texas *****
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Ehhhh uno dei più bei film del secolo scorso! :love:
Peccato la Natassja Kinski non abbia mantenuto nel tempo le premesse che lasciava intravedere come attrice, vero? Qua fu eccellente.
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“Conclave” (2024) di Edward Berger
Il Papa è morto. Si apre quindi il conclave per l’elezione del successore, con vedute opposte tra i cardinali, più progressisti alcuni altri meno. Durante i tentativi di elezione vengono fuori situazioni scabrose con il diretto coinvolgimento di candidati, alcune reali, segnalate tra l’altro anche dal Papa prima di morire, altre montate ad arte per screditare possibili vincitori. In questa veste la Chiesa viene dipinta come un covo di serpi, e qui mi pare nulla di nuovo, tra chi pensa di fare un servizio a Dio, chi alla Curia e chi a se stesso. Ma la sorpresa uscirà fuori a Papa eletto e sarà una vera bomba, comunque in linea con i nostri tempi. Berger l’avevamo apprezzato due anni fa con il film di guerra “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, Oscar al miglior film internazionale e con questo conferma di essere un regista di alto livello. Ottime tutte le componenti del film, oltre alla regia si segnalano fotografia e interpretazione, soprattutto quella di Ralp Fiennes. Nel cast presenti anche Isabella Rossellini e Sergio Castellito. Pur essendo un film fin troppo compassato (guardandolo il mio pensiero non poteva non andare alla versione ben più movimentata e surreale che sullo stesso tema fece Nanni Moretti) è difficile pensare che non riceva candidature ai prossimi Oscar.
Conclave ***
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“Small little things like these” (2024) di Tim Mielants
Un venditore di carbone di un piccolo villaggio nella cattolicissima Irlanda scopre le condizioni di vita a cui sono costrette delle giovani ragazze senza famiglia ospitate in un convento gestito da suore. La vicenda riporta alla mente dell’uomo un trauma che non è mai riuscito a superare e malgrado abbia una mezza intenzione di intervenire, viene avvisato che le suore controllano un po’ tutto nella zona ed è quindi meglio che si tenga per se la scoperta. Il film era in concorso a Berlino e si avvale di un ottimo cast tra cui Cillian Murphy (Oppenheimer) e Emily Watson e a parte un certo indugiare persistente in alcune situazioni che finiscono per renderlo troppo lento, mi è parso ben fatto.
Small little things like these ***
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“Freud’s last session” (2023) di Matt Brown
Tratto da un testo teatrale narra di un incontro ipotetico avvenuto a Londra all’inizio della seconda guerra mondiale tra Sigmund Freud e C.S. Lewis, uno dei padri del genere fantasy. Mentre la guerra entra nel vivo, i due discutono di diversi argomenti soprattutto di religione e omosessualità e non essendo d’accordo su nulla finiscono per analizzarsi l’un l’altro. Pochi esterni ma con flash back dell’infanzia di Freud, della morte della madre e qualcosa anche di Lewis. Particolarmente riuscita la descrizione del rapporto morboso tra Freud e la figlia, forse il personaggio più interessante e che alla fine rende il padre partecipe di un dettaglio della sua vita privata. Il film sconta dell’inevitabile struttura teatrale ma si regge grazie alla solita grande interpretazione di Anthony Hopkins. Sempre più vecchio e sempre più bravo.
Freud’s last session ***
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Fa come il vino, Anthony Hopkins
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“Grand Tour” (2024) di Miguel Gomez
Inizio del secolo scorso, Edward si deve sposare a Londra ma all’ultimo ha un ripensamento e scappa in Asia. Prima tappa Singapore, poi Birmania, Vietnam, Filippine, Giappone, Cina. Si adatta senza difficoltà agli usi e ai costumi dei vari paesi, rischiando più volte l’arresto ma pensa che la prigione del matrimonio sia peggio. Nella seconda parte la protagonista è Molly, la fidanzata di Edward, che si mette sulle sue tracce per riportarlo a casa, ripetendone lo stesso percorso. Grand Tour era a Cannes dove ha vinto il premio per la miglior regia. Nella prima parte appare come un documentario naif, per come riporta il modo di vivere delle popolazioni dei paesi visitati dai due protagonisti, descrivendo situazione economica e tradizioni, con inquadrature dei palazzoni delle città e del traffico fatto essenzialmente da ciclomotori, per poi spostarsi nelle campagne, con le sue baracche e i personaggi pittoreschi. Nella seconda parte, quella con Molly protagonista, la storia appare più lineare e con una sceneggiatura scritta in maniera più tradizionale per un film. Le immagini alternano il colore con il b/n, purtroppo il solito grigio topo di questi anni, anche se successivamente, nei primi piani e nelle riprese con meno luce, migliora significativamente. Una voce fuoricampo descrive parte delle vicende anche se quasi sempre slegate dalle immagini che vediamo. Bellissimo l’utilizzo della musica (Strauss, Verdi, Frank Sinatra, musica locale etc.), l’ultimo brano con cui si arriva ai titoli di coda è “La mer” nella versione americana. Dopo i primi minuti ero perplesso ma alla fine la stravaganza della storia e della regia, con quello stile caleidoscopico dal sapore anni 30, alternato a sequenze perlopiù didascaliche e quel l’humour sempre dietro l’angolo, mi hanno conquistato.
Grand Tour ***
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Si, però alla fine dicci se i due si ritrovano.