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“Finalmente l’alba” (2023) di Saverio Costanzo
All’uscita da un cinema una ragazza viene notata da un agente che la invita a fare un provino. Parteciperà anche la sorella che però viene scartata in quanto troppo timida, ma la star del film in produzione, vedendola, la preferisce alle altre e la convince a recitare nel suo film. “Finalmente l’alba” era in concorso a Venezia nel 2023 e ci mostra Cinecittà dopo la guerra e all’indomani del neorealismo, con film leggeri e starlet nevrotiche e capricciose. La ragazza senza grande ambizione si troverà catapultata in un ambiente che non le appartiene e durante una festa in cui succede un po’ di tutto, il suo imbarazzo raggiungerà il culmine. Un buon soggetto, soprattutto per quel rimando a certe cose passate come "Bellissima" di Visconti, ma il film fatica a reggersi in piedi, per via di personaggi disegnati male e per una lunghezza esagerata, malgrado un cast di ottimo livello che non è riuscito a salvarlo.
Finalmente l’alba **
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Barrett!!! Ciao, come stai tutto bene? A proposito di Venezia, stai seguendo la mostra del cinema? Bei film per ora, peccato l'eccessiva politicizzazione secondo me. Te che ne pensi?
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conogelato
Barrett!!! Ciao, come stai tutto bene? A proposito di Venezia, stai seguendo la mostra del cinema? Bei film per ora, peccato l'eccessiva politicizzazione secondo me. Te che ne pensi?
Tutto bene grazie. La sto seguendo soprattutto grazie ad Hollywood Party. Non credo sia la miglior mostra possibile, comunque il film di Rosi su Napoli sembrerebbe un gran film, un docufilm probabilmente.
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Nei mesi scorsi Hollywood Party ha dedicato una intera puntata al cinema dei fratelli Coen, ho riguardato così alcuni dei loro film a partire dal primo “Blood Simple” (1984), un noir dal bel finale anche se ancora distante dal loro stile che invece ritroviamo immediatamente nel successivo, “Raising Arizona” (1987 - Arizona Junor qui da noi), dove una coppia formata da una poliziotta e un criminale non potendo avere figli ne rapiscono uno. La vicenda paradossale che fa incontrare e innamorare due persone che invece dovrebbero stare ben distanti tra loro rende evidente come gli autori volessero prendere le distanze dalla società dell’epoca. I personaggi dei Coen del primo periodo sono quasi sempre delle caricature come usciti da un fumetto, le loro storie appaiono reali ma sono raccontate come se non lo fossero. Con “Barton Fink” (1991) arriva il successo e la Palma d’oro a Cannes. Un autore teatrale viene convinto a scrivere per Hollywood, ma una volta arrivato a Los Angeles è costretto a confrontarsi con personaggi surreali che sembrano usciti fuori dalla penna di uno scrittore. Gli Oscar arriveranno con “Fargo” (1996), nel quale un uomo organizza il rapimento della moglie per costringere il suocero a pagare il riscatto. Il film è un mix di fatti realmente accaduti ma i Coen trasformano la vicenda drammatica in una sorta di commedia grottesca. Anche in “The Big Lebowski (1998) c’è un rapimento e un riscatto da consegnare e una sfilza di grandi attori che vi recitano. Lo sfaccendato Lebowski è il personaggio più famoso uscito dalla penna dei due fratelli e Jeff Bridges lo interpreta alla perfezione. La sua vita cambierà per sempre per un caso di omonimia ma il film zoppica nella narrazione apparendo più come una serie di sketch legati tra loro come un medley dove il lavoro principale viene fatto sui personaggi. Tralasciando alcuni film arriviamo al 2008 e a “No Country for Old Men”, tratto da un libro di Cormac McCarthy, quindi con un lavoro di sceneggiatura facilitato ma che rende meno personale lo stile del film a cui però non si sottrae il personaggio principale interpretato da Javier Bardem. Ricordato per la sua pettinatura impresentabile, l’attore impersona un killer psicopatico alla ricerca di chi ha sottratto il bottino al “legittimo” proprietario in uno scenario che ricorda un western moderno. Anche se probabilmente non è il film che li rappresenta al meglio è il mio preferito. Dell’anno dopo è “A Serious Man” dove un uomo di origine ebrea è perfetto sia a casa come a scuola dove insegna, ma non riesce a raccogliere quanto seminato e delle vicende della sua vita chiede conto alla sua religione. E’ un film complesso con delle riflessioni sulla vita che ricorda il Woody Allen di “Crimes and Misdemeanor” ma che alla fine rende evidente come i fratelli vogliano prendere altre strade come pure in “Inside Llewin Davis” del 2013 (A proposito di Davis il titolo italiano). Un cantante folk si esibisce al Greenwich Village all’inizio degli anni 60 prima del ciclone Dylan (che si tra l’altro vedrà alla fine del film); non riuscendo a sfondare, senza soldi si barcamena tra un letto e un altro offertogli dagli amici e quando viene a sapere che ha messo incinta una ragazza fa di tutto affinché abortisca. Il personaggio è l’opposto di quello di “A serious man”; qui di serio o serioso non c’è nulla, si vive alla giornata in attesa che capiti l’occasione giusta, un lavoro migliore per poi tornare alle origini. Il film ha una delle loro migliori regie e una fotografia dalla luce cupa che non si può non apprezzare.
Non ho inserito i film che avevo già recensito e altri considerati minori. Ma su questo non c’è certezza in quanto osservando le classifiche presenti in rete può capitare che il miglior film per alcuni sia uno dei meno interessanti per altri.
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Ok, grazie. Ti avevo chiesto dell'eccessiva politicizzazione (e non riguardo solo alla questione palestinese). Il cinema non dovrebbe solo fare cinema, secondo te?
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Il cinema è sempre stato un potente mezzo politico, pensa alla propaganda fascista e nazista. Leni Riefenstahl è stata una grandissima regista al servizio di Hitler. Venendo ai giorni nostri il bellissimo cinema iraniano denuncia da anni il regime degli ayatollah, l'anno scorso c'è stato il film brasiliano "Io sono ancora qui" che ha vinto un sacco di premi oscar compresi dedicato alla dittatura degli anni 70.
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Non ho posto bene la domanda, perdonami. È chiaro che il cinema sia ANCHE politica, basta pensare al neorealismo del dopoguerra. Io parlavo del contorno: le manifestazioni, i cortei, gli striscioni, i fumogeni, le bandiere, quasi tutti gli attori che si sentono in dovere di fare dichiarazioni politiche.... boh, mi sembra un di più, un eccesso, un debordare lo spirito della mostra. È una mostra del cinema, non un congresso di partito.
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Originariamente Scritto da
conogelato
Non ho posto bene la domanda, perdonami. È chiaro che il cinema sia ANCHE politica, basta pensare al neorealismo del dopoguerra. Io parlavo del contorno: le manifestazioni, i cortei, gli striscioni, i fumogeni, le bandiere, quasi tutti gli attori che si sentono in dovere di fare dichiarazioni politiche.... boh, mi sembra un di più, un eccesso, un debordare lo spirito della mostra. È una mostra del cinema, non un congresso di partito.
Venezia è sempre stata così, anzi nel passato molto di più se si pensa a chi andavano i premi. Durante la Guerra Fredda Venezia era al confine con il blocco dei paesi che appartenevano all'area sovietica, una sorta di check point. Ma poi anche la sua cultura è sempre stata multinazionale, l'oriente e l'occidente che si mescolano. Io oggi la vorrei più sobria e con meno red carpet, strizza troppo l'occhio a Hollywood e la qualità dei film ne risente.
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Perfetto. La penso così anch'io.
Grazie, a domani.
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Leone d'oro a Jim Jarmusch col film "Father Mother Sisters and Brothers". Assolutamente inaspettato dopo una mostra piena zeppa di film politici e attuali. Il cineasta americano parla invece di famiglia e sentimenti....
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“Harvest” (2024) di Athīna Rachīl Tsaggarī
Gli abitanti di un villaggio inglese in epoca medievale, dediti all’agricoltura, con l’arrivo di alcuni forestieri che diffondono i benefici della rivoluzione industriale vedono messa in pericolo la loro economia; rifiutano la modernità e un eventuale utilizzo dei primi macchinari che permetterebbe una maggiore produzione, ma anche la suddivisione delle terre coltivate per favorire la proprietà privata e con cui si darebbe avvio a una primordiale società capitalistica. Quando il raccolto risulta inferiore alle attese la colpa viene data ai forestieri, interessati secondo loro solo ad appropriarsi dei terreni. Il film era in concorso a Venezia l’anno passato e ha ricevuto perlopiù recensioni negative. Ha però delle frecce al proprio arco, come una regia a tratti interessante ed efficace, come ad esempio nella sequenza della festa dopo la fine del raccolto e una fotografia analogica che evidenzia le caratteristiche di paesaggi scozzesi dove il film è girato. Dove zoppica è nella sceneggiatura fin troppo lunga, che sfocia spesso in alcune sequenze inutili e con dialoghi che più che evidenziare lo scetticismo alla modernità lo condannano con concetti difficili da comprendere al giorno d’oggi in una società come la nostra cresciuta con quei valori.
Harvest **
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“Harvest” (2024) di Athīna Rachīl Tsaggarī
Gli abitanti di un villaggio inglese in epoca medievale, dediti all’agricoltura, con l’arrivo di alcuni forestieri che diffondono i benefici della rivoluzione industriale vedono messa in pericolo la loro economia; rifiutano la modernità e un eventuale utilizzo dei primi macchinari che permetterebbe una maggiore produzione, ma anche la suddivisione delle terre coltivate per favorire la proprietà privata e con cui si darebbe avvio a una primordiale società capitalistica. Quando il raccolto risulta inferiore alle attese la colpa viene data ai forestieri, interessati secondo loro solo ad appropriarsi dei terreni. Il film era in concorso a Venezia l’anno passato e ha ricevuto perlopiù recensioni negative. Ha però delle frecce al proprio arco, come una regia a tratti interessante ed efficace, come ad esempio nella sequenza della festa dopo la fine del raccolto e una fotografia analogica che evidenzia le caratteristiche di paesaggi scozzesi dove il film è girato. Dove zoppica è nella sceneggiatura fin troppo lunga, che sfocia spesso in alcune sequenze inutili e con dialoghi che più che evidenziare lo scetticismo alla modernità lo condannano con concetti difficili da comprendere al giorno d’oggi in una società come la nostra cresciuta con quei valori.
Harvest **
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“Elisa” (2025) di Leonardo Di Costanzo
Elisa è in una prigione psichiatrica per aver ammazzato la sorella e tentato alla vita della madre. Veniamo a conoscere della sua vicenda attraverso il racconto che lei ne fa a un criminologo interessato alla sua storia. Si viene a sapere dei suoi cattivi rapporti con la madre, che neppure la voleva, delle responsabilità che i parenti le avevano dato affidandole le redini dell’azienda di famiglia ben conoscendo i suoi limiti. Il film era in concorso a Venezia pochi giorni fa e presenta un soggetto interessante a cui sceneggiatura e soprattutto regia non riescono a dare un vestito efficace, oltre ad alcuni personaggi disegnati male, soprattutto il criminologo che sembra fuori contesto. Rimane l’ottima interpretazione di Barbara Ronchi che riesce a trasmettere il malessere, il vuoto esistenziale e l’incapacità di mantener i nervi saldi nei momenti critici che accompagnano la protagonista per l’intero film.
Elisa **
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"Duse" (2025) di Pietro Marcello
Eleonora Duse è 10 anni che non recita. È malaticcia, piena di debiti, si limita a visitare i soldati al fronte. Sembra essere sul punto di morte quando ha un sussulto che la porta a esprimere il desiderio di tornare sul palcoscenico. Non pensa al cinematografo, l’arte del futuro, ma sempre al teatro, però sperimentale. Ma è un fiasco e allora si affida a d'Annunzio, l'Italia al duce. Il film era a Venezia dove ha ricevuto ottime recensioni. Non è un film semplice, con una fitta recitazione di stampo teatrale che alimenta delle perplessità all'inizio, poi fugate dalla regia di Marcello, molti fronzoli ma bravo a catturare ogni spunto di espressione degli attori. Bellissime le immagini di repertorio, riprese con un bel colore. E poi c’è la Bruni Tedeschi, vera protagonista della pellicola. Non ho mai amato particolarmente la sua recitazione, ma qui non si può non apprezzare lo sforzo effettuato nell’immedesimarsi nella Duse.
Duse ***
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Lo abbiamo visto anche noi ieri! Si, il film sta tutto nella Bruni Tedeschi e nella sua interpretazione: anche troppo lirica.
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Ma di Claudia Cardinale nessuno dice niente? Icona del cinema italiano della mia generazione; ci ha lasciati mercoledì.
L'addio a Claudia Cardinale è universale. Da ogni parte del mondo gli omaggi sono verso una donna e attrice straordinaria, capace di interpretare in modo eccellente personaggi di ogni spessore mantenendo sempre forte la propria personalità.
Dalla Francia l'omaggio doveroso del presidente della Repubblica francese: "Claudia Cardinale incarnava uno sguardo, un talento, che tanto regalava alle opere dei più grandi, da Roma a Hollywood e Parigi, che lei scelse come sua patria", ha postato Emmanuel Macron su X, "Noi francesi porteremo sempre nel cuore questa stella italiana e mondiale, per l'eternità del cinema". Commosso anche il ricordo di Thierry Frémaux, delegato generale del Festival di Cannes per il quale Claudia era "un'italiana avventuriera, libera e ardente" che "ha trasportato i nostri cuori di film in film, sempre irradiando gioia e audacia"
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Citazione:
Originariamente Scritto da
PACE
Ma di Claudia Cardinale nessuno dice niente? Icona del cinema italiano della mia generazione; ci ha lasciati mercoledì.
L'addio a Claudia Cardinale è universale. Da ogni parte del mondo gli omaggi sono verso una donna e attrice straordinaria, capace di interpretare in modo eccellente personaggi di ogni spessore mantenendo sempre forte la propria personalità.
Dalla Francia l'omaggio doveroso del presidente della Repubblica francese: "Claudia Cardinale incarnava uno sguardo, un talento, che tanto regalava alle opere dei più grandi, da Roma a Hollywood e Parigi, che lei scelse come sua patria", ha postato Emmanuel Macron su X, "Noi francesi porteremo sempre nel cuore questa stella italiana e mondiale, per l'eternità del cinema". Commosso anche il ricordo di Thierry Frémaux, delegato generale del Festival di Cannes per il quale Claudia era "un'italiana avventuriera, libera e ardente" che "ha trasportato i nostri cuori di film in film, sempre irradiando gioia e audacia"
Hai ragione, speravo che Cono scrivesse qualcosa, sia per Robert Redford che per Claudia Cardinale, visto che è sempre così generoso con chi passa a miglior vita. Rimangono i loro film, belli quelli di Redford, ricordo ad esempio "I tre giorni del Condor" e "A piedi nudi nel parco", bellissimi quelli della Cardinale che ha avuto la fortuna di lavorare con Visconti e Fellini.
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Due film premiati a Venezia.
“Sotto le nuvole” (2025) di Gianfranco Rosi
Sotto le nuvole che ruotano attorno al Vesuvio e alle sue attività di vulcano che hanno fatto cambiare faccia ai luoghi che si affacciano alle sue pendici. Come Pompei, che riserva continue scoperte che alimentano la passione di archeologici provenienti da tutto il mondo. Altri scavi mostrano i segni delle diverse epoche attraverso le varie occupazioni, dai romani ai Borboni e ora anche l’attività svolta dai tombaroli che trafugano i tesori in essi contenuti. Il terremoto, nell’area dei Campi Flegrei o nel perimetro del vulcano non fa differenza, attività tellurica che mantiene impegnati i Vigili del Fuoco anche al telefono per tranquillizzare le persone. Ci sono i porti, che attraggono non solo turisti ma anche il traffico commerciale come ad esempio il grano proveniente della martoriata Ucraina. Il documentario a Venezia ha vinto il premio speciale della Giuria e Rosi ha guidato con maestria l'opera dove ha curato non solo la regia, ma anche fotografia (b/n ottimo nei contrasti, meno quando la luce è uniforme) e suono. Alla fine ci restituisce un panorama dell'area partenopea, non solo geografica, ma anche sociale ed economica, lontana dai soliti luoghi comuni e dall’idea che spesso ci facciamo di quella bellissima terra.
Sotto le nuvole ***
“La voce di Hind Rajab” (2025) di Kawthar ibn Haniyya
Gaza nord, un'auto viene crivellata di colpi dall'esercito israeliano, all'interno un'intera famiglia viene falcidiata tranne la figlia piccola. Uno zio che vive in Germania, intuendo la situazione informa Mezza Luna Rossa, organizzazione umanitaria palestinese che opera e coordina i soccorsi nella striscia. Da qui iniziano ore disperate nelle quali la bambina, circondata dai corpi dei familiari morti all'interno dell'auto e dai tank israeliani all'esterno, chiede disperatamente aiuto agli operatori che cercheranno per ore di tranquillizzarla in attesa che un'ambulanza abbia il via libera e raggiunga la piccola. La voce di Hind è quella autentica delle registrazioni e attorno a questa voce la regista ha disegnato e cucito un film che è una via di mezzo tra cronaca e fiction. A Venezia ha vinto il Gran premio della giuria ma si sa per certo che parte dei suoi componenti voleva darle il Leone d'oro ma il Presidente, Alexander Payne, statunitense, forse per non fare uno sgarbo a Trump, ha imposto il film di Jarmush. Sarebbe stato doveroso premiare la voce di Hind con il massimo riconoscimento grazie al quale il cinema avrebbe dimostrato di non avere alcun retropensiero per quello che Israele sta compiendo a Gaza. Dai titoli di coda si scopre che il film è stato prodotto tra gli altri da Alfonso Cuaron, Rooney Mara, Brad Pitt, Joaquin Phoenix.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
Hai ragione, speravo che Cono scrivesse qualcosa, sia per Robert Redford che per Claudia Cardinale, visto che è sempre così generoso con chi passa a miglior vita. Rimangono i loro film, belli quelli di Redford, ricordo ad esempio "I tre giorni del Condor" e "A piedi nudi nel parco", bellissimi quelli della Cardinale che ha avuto la fortuna di lavorare con Visconti e Fellini.
Forse ti è sfuggito, ma avevo scritto di Redford in spazio libero sfogo nei giorni passati: molti cuori infranti, soprattutto femminili, grandissimo attore. La Cardinale? Per me, come bravura, viene subito dopo la Magnani e prima della Loren. Come bellezza, subito dopo Monica. Te che ne pensi?
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Due film presentati in concorso ai festival del 2025
“Hot milk” (2025) di Rebecca Lenkiewicz
Una studentessa irlandese accompagna la madre costretta sulla sedie a rotelle a una visita specialistica in Spagna. Conosce una ragazza di cui si innamora e da cui è ricambiata, ma non completamente, solo come amante avendo già una relazione con un’altra persona. La ragazza si troverà stretta tra una madre da cui fa da badante e che probabilmente enfatizza il suo male per averla sempre accanto e un’amante che la delude. Il film, presente in concorso all’ultimo Berlino, ha un soggetto interessante, tratto da un libro che forse leggerò, ma lo sviluppo della storia è piuttosto frammentario, con dei passaggi da un personaggio a un altro che affiancano la protagonista che rendono la narrazione spesso interrotta, modalità che probabilmente nel romanzo funziona, mentre nel film non mi pare.
Hot milk **
“Eddington” (2025) di Ari Aster
Provincia americana, cittadina nella quale c’è ancora lo sceriffo (Joaquin Phoenix), il quale entra in conflitto con il sindaco per via delle misure stingenti applicate da quest’ultimo durante la pandemia e che lo sceriffo non accetta. E’ il motivo che lo porta a candidarsi alla carica di primo cittadino e durante la campagna elettorale dimostra da subito un’intolleranza nei confronti di coloro che manifestano contro il razzismo, che avrà però l’effetto di esacerbare gli animi. Il film era in concorso a Cannes e malgrado la presenza di Phoenix e un’impalpabile Emma Stone si fa a fatica a dargli dei meriti se non quello di affrontare, all’interno di una storia piuttosto sfuocata, uno dei problemi secolari presente negli Usa. Ma ci sono esempi decisamente migliori.
Eddington **
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Comunque sei veramente inflessibile nei giudizi. Per avere tre stellette un film deve essere assolutamente perfetto per te.
Abbiamo rivisto "La ciociara" film che vinse l'Oscar. Secondo te ci arriva a tre stellette?:D
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“One Battle after Another” (2025) di Paul Thomas Anderson
Una organizzazione rivoluzionaria è impegnata nella lotta armata, soprattutto a liberare immigrati clandestini giunti negli Stati Uniti dal Messico. Al vertice troviamo una coppia con figlia. Durante una rapina in banca finita male lei viene catturata e forse liberata grazie a un ufficiale (Sean Penn) attratto dalla sua pelle nera mentre l’uomo (Leonardo Di Caprio) scappa con la bambina. Nella seconda parte lo vediamo assumere le sembianze di un personaggio che sembra uscito da un film dei fratelli Coen, e osservandolo con quell’aria da scappato di casa, non ci si può sorprendere se poi le rivoluzioni finiscono con un buco nell'acqua. In questo ultimo lavoro Paul Thomas Anderson non ha avuto bisogno di passare attraverso i festival, il film è arrivato nelle sale così, all’improvviso. Nelle parti migliori è assolutamente irresistibile grazie a regia, montaggio serrato e un utilizzo originale delle musiche; si notano influenze e stili diversi ma come nei film precedenti il regista inserisce sempre qualcosa di suo, come ad esempio nell'inseguimento tra macchine nella parte finale. Quanti ne abbiamo visti al cinema, ma il suo ha un tocco personale, con la cinepresa schiacciata sulla strada che porta lo spettatore all’interno della macchina. Peccato per alcune sequenze banali, momenti di stanca prima di riprendere con il solito ritmo incalzante. Ad esempio non ho apprezzato il modo grottesco con cui vengono rappresentati i suprematisti. Anche l'ultima sequenza in cui è presente Sean Penn l'avrei eliminata o fatta diversamente. In definitiva un film che ci parla di purezza delle razze, del senso di appartenenza e di come non ci si arrenda alla trasformazione (in peggio) delle società, con un grande Di Caprio (e un odioso Sean Penn).
One Battle after Another ***
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“Dreams” (2024) di Dan Johan Haugerud
Johanne è una studentessa di diciassette anni che comincia a sentire la necessità di avere una persona al proprio fianco, un po’ come la protagonista del libro che sta leggendo. Improvvisamente e anche un po’ inaspettatamente finisce per innamorarsi della professoressa di francese, una ragazza appena giunta nella sua scuola. Come ogni primo innamoramento Johanne sta malissimo, anche perché non riesce a tramutare il suo sentimento in qualcosa di concreto; tutto quello che immagina di dover fare quando è sdraiata da sola nel letto di casa sua va a sbattere contro un muro nel momento in cui si trova con la professoressa in mezzo agli altri; finché un giorno prende coraggio e la va a trovare direttamente a casa sua. Questi sono i primi venti minuti. Il film ha vinto l’Orso d’Oro all’ultimo Berlino e fa parte di una trilogia insieme a “Sex” e “Love”, quest’ultimo a Venezia nel 2024 (che non ho ancora visto). Secondo l’autore bisognerebbe vederli nell’ordine in cui “Dreams” sta in mezzo agli altri due. La particolarità del film, tipico esempio di cinema scandinavo, è quella di non dare punti di riferimento allo spettatore: quando pensi che accada qualcosa ne sopraggiunge invece un’altra inaspettata. Anche i sogni di cui parla sono quelli che purtroppo non si avverano mentre lo sono quelli meno desiderati, di cui in realtà non ci importa molto.
Dreams ***
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“Dreams” (2024) di Dan Johan Haugerud
Johanne è una studentessa di diciassette anni che comincia a sentire la necessità di avere una persona al proprio fianco, un po’ come la protagonista del libro che sta leggendo. Improvvisamente e anche un po’ inaspettatamente finisce per innamorarsi della professoressa di francese, una ragazza appena giunta nella sua scuola. Come ogni primo innamoramento Johanne sta malissimo, anche perché non riesce a tramutare il suo sentimento in qualcosa di concreto; tutto quello che immagina di dover fare quando è sdraiata da sola nel letto di casa sua va a sbattere contro un muro nel momento in cui si trova con la professoressa in mezzo agli altri; finché un giorno prende coraggio e la va a trovare direttamente a casa sua. Questi sono i primi venti minuti. Il film ha vinto l’Orso d’Oro all’ultimo Berlino e fa parte di una trilogia insieme a “Sex” e “Love”, quest’ultimo a Venezia nel 2024 (che non ho ancora visto). Secondo l’autore bisognerebbe vederli nell’ordine in cui “Dreams” sta in mezzo agli altri due. La particolarità del film, tipico esempio di cinema scandinavo, è quella di non dare punti di riferimento allo spettatore: quando pensi che accada qualcosa ne sopraggiunge invece un’altra inaspettata. Anche i sogni di cui parla sono quelli che purtroppo non si avverano mentre lo sono quelli meno desiderati, di cui in realtà non ci importa molto.
Dreams ***
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“Kontinental 25” (2025) di Radu Jude
Ancora da Berlino dove al film è stato consegnato l’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura. La vicenda si svolge a Cluji, Romania, una donna è ufficiale giudiziario e deve effettuare uno sfratto nei confronti di un poveraccio che vive in una cantina e passa le giornate a cercare lavoro, bere e a chiedere l’elemosina. L’uomo, quando capisce di dover liberare la sua sistemazione di fortuna, si suicida. Il gesto manda in crisi la donna che si sente in qualche modo responsabile anche se ha agito applicando la legge. Nei giorni seguenti racconta il fatto alla madre, a un’amica, a un suo ex studente e a un prete. Si finisce per parlare anche del contesto generale, dei nazionalismi imperanti, dei rapporti tra Romania e Ungheria, di religione, su come l’economia si sta diffondendo in maniera squilibrata con la mancanza di rete che permetta alle persone di essere soccorse nel momento di bisogno. Tutti argomenti di spessore che però la regista non riesce a tramutare in un linguaggio cinematografico convincente, con una direzione statica – che a me in generale non dispiace ma che qui è utilizzata come elemento principale e non come corollario. Va detto che il film è stato girato con un iPhone 15.
Kontinental 25 **
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“Bugonia” (2025) di Yorgos Lanthimos
Due cugini dalla dubbia salute mentale rapiscono una Ceo di una multinazionale ritenendola una aliena inviata sulla terra per porre fine al genere umano. Durante il rapimento la protagonista interpretata da Emma Stone, tenta inutilmente di apparire come colpita dalla sindrome di Stoccolma e cambiando più volte versione sulle proprie origini. Il film era in concorso a Venezia dove non ha vinto nulla se non simbolicamente il premio per la più bella locandina. Personalmente l'ho trovato peggio rispetto a quanto sperassi ma meglio di quello che temessi dopo aver letto alcune recensioni non proprio positive. C'è un po’ di tutto, sequenze riuscite, altre che sembrano uscite da un blockbuster americano, citazioni di livello (Kubrick, Hitchcock e perfino Tarkovskij), le belle interpretazioni della coppia Stone Plemons, bravi soprattutto a sostenere il film nei momenti di stanca. Con questo film, remake di uno sudcoreano, Lanthimos affronta un problema non secondario ovvero come si possa conciliare il rispetto della natura con la produzione intensiva, prima che sia troppo tardi. Forse lo fa con troppa ironia e sfiorando il fantastico, per essere preso realmente sul serio. Ma probabilmente lo ottiene direttamente con la fine, bellissima e inquietante.
Bugonia ***
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“Sex” (2024) di Dan Johan Haugerud
Può un tradimento occasionale, immediatamente confessato, portare alla rottura di una relazione e anche al divorzio? In questo caso il rapporto consumato è tra due uomini, non un’attenuante, e porta la donna (e anche il suo miglior amico) a interrogarsi se il marito non sia gay. Il film, in concorso a Venezia nel 2024, fa parte della trilogia di Haugerud insieme a “Dreams e “Love” e nelle parti girate in interno ricorda “Scene di un matrimonio” di Bergman, anche se la recitazione (senza Liv Ulman) e in generale nella regia è lontana dalla qualità di quel film. Nel proseguo la donna, senza mai perdere una flemma che dalle nostre parti è raro a vedersi, si chiede del motivo che ha portato il marito a cercare quel rapporto e malgrado l’uomo sia totalmente pentito, fatica a recuperare la fiducia nei suoi confronti.
Sex **
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“A House of Dynamite” (2025) di Kathrine Bigelow
Un missile nucleare si sta per schiantare su Chicago senza che le difese statunitensi riescano a capire da dove sia partito, chi lo abbia lanciato e soprattutto come fare per intercettarlo. L’intervallo tra la scoperta del missile che viaggia sopra l’oceano e l’imminente impatto è raccontato da tre punti di vista differenti, l’ultimo quello del Presidente degli Stati Uniti. Il film era in concorso all’ultimo Venezia e all’epoca avevo letto e sentito recensioni contrastanti. Premetto che il genere catastrofico allarmistico non è tra i miei preferiti, anche perché la realtà che stiamo vivendo dovrebbe consigliare di aspettare tempi migliori per parlar di certi temi al cinema, soprattutto con la retorica americana. Però in questo caso non è solo il tema trattato che non mi convince, ma il film in generale che mi è parso deludente, una produzione che pare essere uscita da una serie televisiva scadente.
A House of Dynamite **
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“A House of Dynamite” (2025) di Kathrine Bigelow
Un missile nucleare si sta per schiantare su Chicago senza che le difese statunitensi riescano a capire da dove sia partito, chi lo abbia lanciato e soprattutto come fare per intercettarlo. L’intervallo tra la scoperta del missile che viaggia sopra l’oceano e l’imminente impatto è raccontato da tre punti di vista differenti, l’ultimo quello del Presidente degli Stati Uniti. Il film era in concorso all’ultimo Venezia e all’epoca avevo letto e sentito recensioni contrastanti. Premetto che il genere catastrofico allarmistico non è tra i miei preferiti, anche perché la realtà che stiamo vivendo dovrebbe consigliare di aspettare tempi migliori per parlar di certi temi al cinema, soprattutto con la retorica americana. Però in questo caso non è solo il tema trattato che non mi convince, ma il film in generale che mi è parso deludente, una produzione che pare essere uscita da una serie televisiva scadente.
A House of Dynamite **