[QUOTE=mat612000;721533]Non sarebbe meglio che provassi a buttare gi
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[QUOTE=mat612000;721533]Non sarebbe meglio che provassi a buttare gi
XXY
Un film di Lucía Puenzo. Con Ricardo Darín, Valeria Bertuccelli, Germán Palacios, Carolina Pelereti, Martín Piroyanski, Inés Efron, Guillermo Angelelli, César Troncoso, Jean Pierre Reguerraz, Ailín Salas, Luciano Nobile, Lucas Escariz. Genere Drammatico, colore 91 minuti. - Produzione Argentina 2007.
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Trama: Alex è una ragazza di quindici anni apparentemente normale, ma a quanto pare la famiglia ha dovuto traslocare per l'impossibilità di convivere con le persone del paese per una anomalia genetica che ha fornito alla ragazza sia l'apparato genitale maschile che quello femminile. L'arrivo di una famiglia di vecchi amici (madre, padre e figlio) sconvolge nuovamente gli equilibri tanto delicati ...
Commento: Lucia Puenzo, regista di documenatri e telefilm, esordisce alla regia con questo film che tratta un argomento tanto delicato quanto inusuale per la sua rarità: l'ermafroditismo. La storia di Alex (una strepitosa quanto promettente Ines Efron, che se valorizzata ha davvero possibilità di farsi conoscere in futuro) è il motore per farci conoscere una storia diversa dalle solite (un tema davvero poco considerato al cinema, forse a memoria l'unica trama ad argomento ermafrodita da lungo tempo) davvero interessante, che scava nelle profondità del disagio e che non concede nessuna apertura a facili e concilianti ottimismi.
L'argomento del film si dipana con una secchezza impressionante, e un assoluto e totale disinteresse per i canoni estetici della ripresa. Fotografia a colori smorti, camera a mano (la regista venendo dai documentari si trova particolarmente a suo agio con tale strumento portatile) che esegue inquadrature lunghe e fisse, danno il senso di quanto si vuol mostrare, un racconto senza fronzoli per una condizione fisica davvero bifacciale, che porta ad avere sensazioni e sentimenti tanto diversi quanto contrastanti, in un cumulo emotivo sempre in ebollizione.
Nel lavoro della Puenzo questo contrasto è altamente presente, con la protagonista decisa a non perdere il suo orgoglio personale e vivere la sua condizione in libertà, pronta a cercare l'amore e a soddisfare il suo desiderio, in un terribile contrasto per l'esecuzione da scegliere come un difficile bivio.
Uomo, donna, ma sopratutto e solo persona ci sembra dire Alex ogni volta che si trova a doversi rapportare con qualcuno, persone che l'accostano spinte dalla curiosità, come se fossero al circo dei tempi passati, di vedere un freak, di toccare con mano quello che da anomalia diventa completezza se non fosse tanto diffiicle gestirla in un corpo solo. Di fatto la regista non ci mostra ovviamente nulla visivamente dell'anomalia genetica, ma ci mette alle corde più volte, filmando i ragazzi del luogo sempre in agguato per levarsi la curiosità, ci provoca mostrandoci quanto siamo curiosi e ci indica di non fare l'errore stesso che i personaggi che vediamo stanno facendo.
Molto eloquenti le scene in cui si rifiutano le pillole anticrescita del pelo, gli sguardi al corpo e alle persone, in una accettazione della propria persona che deve crescere senza alcun bisogno di essere modificata ma accettata nella sua evoluzione naturale.
Conta lo spirito, non il corpo, conta l'anima e non l'atto da eseguire. Di fatto in fondo Alex trova una sua anima gemella ideale, un compagno di conoscenza che accetta la sua bisessualità senza nessun preconcetto, ma non per questo è la stessa ragazza/o che deve accettare questa unica possibilità ma di poter anche avere una scelta, come un finale tagliente pari a un rasoio ci mostra. L'ennesima offerta di sguardo è in fondo lo specchio del nostro voyerismo patetico, che una ragazza coraggiosa ci sbatte in faccia senza avere nessun problema, risplendendo lei di purezza.
Un film che ci sentiamo di consigliare per una serata di riflessione, avvertendo che lo spettacolo che andiamo a vedere non è dei più facili, per nulla accondiscendente e che cerca di mostrare il tutto al meglio possibile senza dare soluzioni vere e proprie costringendoci a cercare noi il finale umanamente migliore.
Pregevole il logo della locandina con la terza x rotta a formare la y dei gameti diversi ma uniti.
Captivity
Un film di Roland Joffé. Con Elisha Cuthbert, Daniel Gillies, Pruitt Taylor Vince, Laz Alonso, Michael Harney, Maggie Damon. Genere Thriller, colore 85 minuti. - Produzione USA, Russia 2007.
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Trama: Jennifer Tree è una modella di successo nota per il suo atteggiamento duro e spavaldo. Una sera durante una festa di beneficenza viene drogata e portata in una prigione da un misterioso persecutore, che sembra godere del renderla in schiavitù ai suoi desideri e obbligarla a subire le sue paure più recondite...
Commento: Roland Joffe è un regista che affonda nel passato le sue opere migliori, film del calibro di Urla del silenzio ma sopratutto The Mission sono ormai lontani anni luce, ma vederlo dirigere dopo due opere controverse come La città della gioia e La lettera scarlatta, un filmino di questo tipo assolutamente anonimo viene da chiedersi perchè il lungo silenzio non sia stato prolungato. Costruito con pochi attori attorno alla bionda bellezza di Elisha Cuthbert (la figlia di Jack Bauer del serial televisivo 24), questa pellicola di poche pretese vive il suo momento migliore nei primi quaranta minuti circa, dove un festival del gore e dello splatter fa la gioia degli appassionati di genere con scene crude e forti di carne tagliata e frullata in mille modi (poi il senso di ribrezzo ovviamente va con la sensibilità di ognuno, ma qui la soglia di resistenza richiede qualcosina in più della normalità), riprendendo stili e temi di Hostel ma sopratutto Saw. Finchè la protagonista copre tutta la scena e viene costretta a una prigionia sempre più umiliante il film si fa anche vedere per via di una buona tensione e la curiosità di capire quale nuova trappola si inventa il maniaco, ma poi con l'ingresso di Daniel Gillies (fa il figlio di Jameson in Spiderman 2 & 3) tutto crolla in maniera totale, diventando una burletta con un colpo di scena capibilissimo, delle scelte di sceneggiatura discutibili e delle motivazioni di scoperta della verità poco intriganti. Di fatto la seconda parte del film (diviso idelamente in prigionia, da cui il titolo, e ribellione) è raffazzonata e veloce, tutto quello che era ristagnato all'inizio per meglio evidenziare il sadismo e la sofferenza da lumaca diventa un diretto (il film dura solo 85 minuti) portandoci in un lampo al finale. Da voci di corridoio sembra che Joffe abbia pensato a questo film senza la massiccia dose di scene crude, rendendolo diverso come concezione visiva e concentrandosi più sulla psiche della prigioniera, ma poi la produzione spaventata da un flop per mancanza di pubblico teen che vuole sangue facile, lo abbia costretto a inserire la serie di sevizie che si vedono.
Poteva essere un buon film con il rapporto carnefice-vittima sviluppato in maniera intrigante, ma il risultato alla fine è un prodotto pasticciato, confuso e per la seconda sezione non soddisfa neppure gli appassionati.
Non ci sentiamo di dare troppe colpe alla produzione, pur difendendo sempre la libertà di creazione, viste le premesse e le parti non dichiaratamente modificate (la Cuthbert dichiarò che non sapeva neppure lei quando il film finiva perchè dovevano girare sempre qualche scena nuova per il montaggio definitivo) anche con un film completamente autoriale probabilmente lo spento Joffe non avrebbe tirato fuori granchè.
La Cuthbert è bella ma come attrice è assolutamente nella media/bassa più d'immagine che sostanza, stessa cosa per Gillies che cerca di giostrare facce e smorfie per la sua parte in maniera poco credibile e per nulla affascinante.
In definitiva un film da serata molto leggera che soddisferà chi vuole scene forti (si dovrebbe pagare metà biglietto se solo per questo ad onor del vero), ma nel complesso delude perchè l'accartocciamento del pezzo centro-finale è davvero imperdonabile, rendendolo inconsistente.
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Stand by me
Regia: Rob Reiner
Anno: 1986
Genere: Drammatico
Durata: 96 minuti
Cast: River Phoenix, Jerry O'Connell, Corey Feldman, Wil Wheaton, Kiefer Sutherland, Casey Siemaszko, John Cusack
Commento: Ho letto critiche entusiastiche dappertutto su questa pellicola di Reiner, che sembra essere una delle più apprezzate degli anni '80, ed iniziai a vedere Stand by me - Ricordo di un'estate con una fiducia che mai mi sarei aspettato di veder crollata in questo modo. Sarò forse l'unico sulla faccia della terra a dire ciò, ma lo dico: non sono stato soddisfatto da questa trasposizione di questo racconto di Stephen King, intitolato The Body e di netto stampo autobiografico.
Al centro del film sembra voler esserci il concetto di viaggio: un viaggio per ritrovare il corpo di un giovane morto, che diventa metafora per il passaggio dall'infanzia all'adolescenza e quindi dall'ingenuità alla consapevolezza del destino e della morte, ma che è spinto anche dalla volontà di sfuggire all'amara realtà, dileguarsi dalla normalità che diventa sempre più insostenibile; ma questi sono concetti che rimangono per aria, a livello di supposizione - cosa che invece son sicuro non accade nel libro, perchè pur non avendolo letto, il titolo The Body è altamente esplicativo su cosa sia realmente al centro della narrazione - , perchè il film, volendo essere semplice, finisce per esserlo troppo, e diventa superficiale nell'affrontarli, non si cura di trasmettere una morale precisa ed esplicita ed invece di seguire l'evoluzione psicologica dei personaggi, fatto che dovrebbe essere sottolineato ed enfatizzato più di tutto, finisce per allungare il brodo con situazioni ripetute ed inutili.
Diverse scene contano su dialoghi e situazioni inutili, l'intera pellicola è pervasa da un senso di malinconia piagnucolosa che sembra cercare a tutti i costi di far piangere più personaggi possibili. Stand by me è una pellicola furba, che vuole commuovere, evocando una certa nostalgia dell'infanzia nello spettatore (strano però che non abbia commosso affatto me, che sono il primo a guardare con nostalgia l'infanzia passata), cercando di riaccendere quella fiamma antica dell'ardore giovanile, divenuta flebile e smorta con il sopraggiungere dell'età adulta. E come se non bastasse, la presunta commozione che i fan di questo film dichiarano di avere alla sua visione, è accentuata dall'amara consapevolezza che chi lo vede al giorno d'oggi sa che è uno degli ultimi film di River Phoenix, il James Dean degli anni '80, un'icona immortale che ora si ama e si osanna forse più del dovuto appunto perchè prematuramente scomparsa (fatto che è avvenuto anche per Brandon Lee ne Il corvo di Proyas, anche se quest'ultimo è sicuramente di ben altra qualità).
Simpatici i protagonisti, anche abbastanza ben caratterizzati, ma troppo poco analizzati (Reiner doveva soffermarsi a descrivere la loro condizione familiare disastrata, visto che essa è il motore del loro viaggio) e sfavoriti da una recitazione non certo eclatante - ho preferito nettamente sia i personaggi sia gli attori della combriccola di IT, dalla quale non è molto differente e che forse è stata ispirata da quella di The Body: meglio Jonathan Brandis di River Phoenix, molto meglio Brandon Crane di Jerry O'Connell, un po' meglio Seth Green di Corey Feldman -.
Nota di merito per le musiche, in perfetto stile fine anni '50 (fra le quali Lollipop e l'omonima Stand by me) e per la scena del treno, davvero originale e divertente.
Ma mi rincresce dirlo: appena sufficiente, anzi in bilico fra l'insufficienza e la sufficienza.
Voto: 5.5
Io non sono qui
(I'm Not There)
Un film di Todd Haynes. Con Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Whishaw, Charlotte Gainsbourg, David Cross, Bruce Greenwood, Julianne Moore, Michelle Williams. Genere Musicale, colore - Produzione USA 2007.
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Trama: La vita di Bob Dylan raccontata in un ottica molto particolare, attraverso le sue canzoni che ripercorrono dei fatti e delle emozioni senza instradarsi e rimettersi in una chiave documentaristica.
Sentendo spezzoni di Hurricane e altri suoi capolavori vediamo come le sue parole possano diventare immagini intervallate da sequenze in bianco e nero non di repertorio, se non alcune brevissime, che interpretano la sua vita.
Commento: Omaggio a Bob Dylan, in un esperimento davvero curioso questo operato dal regista Todd Haynes (cimentatosi con un film musicale come Velvet Goldmine), che abbandona tutti i canoni del racconto formale di una star (nascita, sviluppo della sua arte, splendore, poi creazione del nucleo familiare e cerchia di amici fidati, declino e morte) per affidarsi a un caleidoscopio iconografico del tutto surreale che traspone in immagini il significato delle sue canzoni, abbandonandosi a citazioni della vita vissuta solo quando vediamo con delle inserzioni il personaggio di Dylan , che si innestano sulle sei storie che compongono il film (che gode della sentita interpretazione di Cate Blanchett, ultimo film Intrigo a Berlino, in un personaggio estremo chiamato Miss Queen), alcune virate al bianco e nero.
Un lavoro di costruzione progressiva e laterale davvero azzardato, dove la storia informale delle canzoni del personaggio (perchè di questo si tratta) si muove rispetto allo spettatore con una necessità di conoscenza pressochè totale di eventi, testi delle canzoni e riferimenti alla vita del cantante autore, oltre che degli avvenimenti del momento.
Si parla di Vietnam, si parla di politica, si parla di giovani adolescenti neri vogliosi di mostrare le proprie capacità artistiche, tutte cose che sono presenti nelle sue canzoni a livello di racconto o di sensazioni, mettendo tutto in una sorta di calmo videoclip a comparti, si parla anche di Pat Garrett (spezzone interpretato da Richard Gere) ma non viene minimamente introdotto un concetto di correlazione spiegata, destinando questo film a un pubblico di super appassionati e con un notevole background dell'argomento ignorando le necessità di coloro che magari Bob Dylan e la sua opera l'hanno solo sfiorata con la conoscenza.
A quel punto se non si appartiene alla prima cerchia, (che probabilmente di questo film ne sarà entusiasta perchè ha potuto vedere una sentita interpretazione delle sensazioni che la musica che hanno amato forniva, definendo oltretutto l'artista come un Astronauta, un relatore di arte fuori dal tempo e dalla altra schiera di colleghi tanto era innovatore), si rimane del tutto straniti, vedendo uno pseudo docufilm incomprensibile, difficile da assimilare, se non impossibile, pieno di momenti in cui l'attenzione scema per cercare il torpore e il senso del tutto.
Sono purtroppo davvero illogici questi lavori che vengono a colmare una serata dedicata al cinema, in quanto non è fattibile che tutti possano avere una conoscenza così profonda del personaggio e del suo status di crescita per capire un film, sono prodotti cellebrativi per soddisfare i fan che comunque, soprattutto fuori dall'America, non vedranno oltre a loro nessuno che si sofferma a sentire la splendida canzone con ritornello “No direction home” vedendo il resto del pubblico alzarsi subito, appena l'ultima immagine di repertorio di Dylan che suona si dissolve, per raggiungere l'uscita.
Il lavoro è comunque tecnicamente pregevole, il montaggio è ottimo, la fotografia di buona fattura (grande il bianco e nero) e ci sono alcune scene oniriche molto suggestive, aggiungendo a questo un cast di stelle oltre ai già citati Gere e Blanchett come Leadger, Juliette Moore e Christian Bale, tutti arrivati per onorare un maestro della musica che è nel loro apprezzamento.
Un film in definitiva tutt'altro che morbido, sperimentale e straniante, a cui bisogna avvicinarsi con una logica diversa da quella del godimento subitaneo che esiste solo per i fan, ma come un istinto ad andare in rete o in biblioteca dopo a curiosare cose che non si sono capite la prima volta che lo schermo le ha proposte. Dura anche 135 minuti, per cui se volete rischiare un prodotto tanto alternativo sappiate che il cammino non sarà dei più corti e metterà a dura prova la vostra presenza in sala. Al cinema certe volte io non sono qui, certe volte purtroppo c'ero e altre meno male che ci sono stato. Questo film dà di partenza certezza solo con la prima ipotesi.
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stand by me rece di zazza
Ma mi rincresce dirlo: appena sufficiente, anzi in bilico fra l'insufficienza e la sufficienza.
Voto: 5.5
bella rece (come sempre) ma non concorderò mai con questo zazza. gran film.
Io vi dichiaro marito e...marito
(I Now Pronounce You Chuck and Larry)
Un film di Dennis Dugan. Con Adam Sandler, Kevin James, Jessica Biel, Ving Rames, Steve Buscemi, Dan Aykroyd, Cole Morgen, Shelby Adamowsky. Genere Commedia, colore 115 minuti. - Produzione USA 2007.
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Trama: due vigili del fuoco statunitensi molto amici, un giorno scoprono che uno di essi per avere un riconoscimento economico a seguito della cara moglie scomparsa deve trovare una nuova compagna al più presto. Ma per tenere fede a un giuramento fatto alla moglie e per i figli non si è mai deciso a trovarla, e l'unica soluzione allora è chiedere un favore molto particolare all'amico di sempre, che ha appena salvato in un incendio, per eseguire una truffa davvero singolare ...
Commento: Molto divertente questa commedia scacciapensieri, recitata da un Adam Sandler (qui anche produttore, specializzato in questo tipo di film come 50 volte l'ultimo bacio) in vena di prendersi in giro e regalare due facili risate alla platea con un omaggio agli amati vigili del fuoco, uomini apparentemente tutti di un pezzo che invece sono dei veri eroi al servizio della popolazione ma con degli apsetti umani ben precisi.
Assommando dei topoi classici per questo tipo di prodotto, dall'amico in difficoltà che non puoi lasciare (Kevin James, ricordiamolo al fianco di Will smith in Hitch!), allo sciupafemmine dal gran cuore, alla procace ed affascinate donzella di buoni intenti tutta sorrisi che entra a rompere gli schemi tra i due protagonisti maschili (una splendida Jessica Biel, che vedremo prossimamente in Next!, dagli atteggiamenti mozzafiato che oltre che uno splendido look da Catwoman vi regalerà una spiritosa scena in lingerie davvero conturbante) la trama prosegue frizzante, leggera e sullo schermo non c'è stanchezza con una ottima intesa col pubblico che sta ricevendo quello che chiedeva, divertimento tranquillo senza inserimenti di particolari volgarità o il continuo ricorso a peti o rutti (avviene questo solo in una prima assurda scena, vedere per credere). Poi tutto si dipana in modo manieristico lasciando che i due protagonisti gestiscano il tutto con l'inserimento degli elementi di contorno, come l'interpretazione di Dan Aykroid (quanto tempo è passato per lui dai Blues Brothers e da Ghostbusters) e quella di Ving Rhames (indimenticabile Marsellus Wallace di Pulp Fiction), che mette in scena una insospettabile sinuosa scena di canto sotto la doccia. Certo, nulla di nuovo sotto il sole, alcune tipologie di personaggi, come quelli della comunità gay saranno anche stereotipati in look Village People o da farfalla (la spesa al supermercato è un summa in questo, con citazione di Brokeback Mountain)
e altre cose sono un po' patetiche (prima Sandler usa la parola froci e ricchioni e poi addirittura difende la categoria a pugni specificando che il termine etico è gay), ma non bisogna dimenticare che in film di innocue pretese come questi certi atteggiamenti sono delle funzioni di supporto allo scopo (sorridere) e non veri motori di riflessione o denuncia.
Simpatica la scena del litigio sul tetto terrazzo con il ladro a piedi in aria, completamente tralasciato
mentre i due “mariti” battibeccano.
Il film è carino, simpatico, scorre leggero, non scade nel volgare e con due gigioni sullo schermo, una bella presenza e qualche interpretazione cameo gustosa. Sapendo questo e volendolo, non chiediamo oltre al biglietto d'ingresso che paghiamo.
Premonition
Un film di Mennan Yapo. Con Sandra Bullock, Julian McMahon, Nia Long, Kate Nelligan, Amber Valletta, Peter Stormare. Genere Drammatico, colore 110 minuti. - Produzione USA 2007.
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Trama: linda è una casalinga con una vita apparentemente felice, due figlie e una bella casa oltre che un affascinante marito che ama. Ma un giorno questi muore, per poi tronare vivo al mattino dopo. Allucinazioni o premonizioni per scongiurare una tragedia?
Commento: Dopo altre sue colleghe famose (ci fu ultimamente Hilary swank con I segni del male) anche Sandra Bullock, specializzata in parti brillanti e di commedia (come in Miss Detective), finisce per dedicarsi a soddisfare i produttore a fare un film a tema esoterico oppure horror. Questo davvero inconsistente filmetto diretto da Mennan Yapo (uno yes man incapace che manovra la telecamera a scatti in alcuni punti e messo lì dai produttori a filmare zone in cui ogni tanto appaiono delle controfigure di non attori) è veramente una ellissi insapore di situazioni ripetitive ("mi sveglio lo trovo, mi sveglio non lo trovo") che non sono ne affascinanti ne stimolanti nella visione. Abbiamo una donna ansiosa per una premonizione sogno che non capisce, un marito che sembra destinato a una brutta fine (interpretato da Julian Mc Mahon che una volta di più al di fuori della tv e Nip/Tuck non riesce a fornire una prova decente come nel piccolo schermo) e la presenza dei soliti saccenti che danno consigli come se avere una premonizione tragica fosse cosa quotidiana e normale tanto quanto bere un caffè.
Si assiste a una parodia dei film di ispirazione esoterica (come The Mothman Prophecy) con al centro la Bullock che proprio in queste parti non c'entra nulla (al di fuori della commedia brillante lei può fare parti diverse solo perchè e se i film li produce lei) e che fa il contrario di quanto faremmo tutti (così difficile dire al marito di quello che ha avuto sentore per salvarlo e che invece dice a cani e porci?), con delle bambine messe per intenerire le anime dolci e che risultano antipatiche come poche. Un film sbilenco, noioso, dalla trama puerile e che dal plot poverissimo non avendo nuove strade si ripete (di fatto poteva durare 15 minuti e nulla sarebbe cambiato o perso) chiudendosi con il più assurdo dei finali, facendoci chiedere come mai la fortuna ci ha abbanadonati e non abbiamo avuto la premonizione di non dover entrare al cinema. Visto le premesse in fondo ci siamo fatti male da soli, inutile dirlo, evitare con cura.
Una curiosità, l'unica cosa decente del film, la locandina, in alcune versioni aveva al posto delle foglie che compongono un viso, la Bullock in primo piano che copriva tutto il gioco compositivo, almeno una volta la distribuzione italiana ha fatto una cosa esatta in questo senso.
Il dolce e l'amaro
Un film di Andrea Porporati. Con Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Toni Gambino, Gaetano Bruno, Gioacchino Cappelli, Ornella Giusto, Emanuela Muni, Vincenzo Amato, Renato Carpentieri, Fabrizio Gifuni. Genere Drammatico, colore 98 minuti. - Produzione Italia 2007
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Trama: uno spaccato dei 25 anni della vita di un ragazzo di Palermo, Saro, che viene allevato da un padrino di cosa nostra. Dall'inizio della sua attività con una bislacca rapina, poi la maturità e la scellta di vita difficile da prendere per chiudere i conti.
Commento: un film che parla di mafia degli anni ottanta ma sopratutto della vita distorta a cui può andare incontro un giovane nato e cresciuto nei difficili quartieri di Palermo, tra padrini malavitosi che vogliono che lui guardi con i loro stessi occhi il mondo e non debba avere una identità personale ben precisa se non quella che vogliono loro.
Saro (interpretato da Luigi Lo Cascio, ricordiamolo nei due capitoli de La meglio gioventù) vive la sua esistenza solo di luce artificiale, costruita e riflessa da chi lo vuole destinata a ben altra speranza che quella di costurire una famiglia che non sia quella mafiosa. Il racconto elaborato da Andrea Porporati (sopratutto sceneggiatore televisivo più che regista) si muove con una cadenza ben precisa a centralizzare il personaggio rispetto alla descrizione dell'ambiente, facendo intuire la cancrena interna che divora Saro con degli avvenimenti laterali simbolici, con le uccisioni più o meno sensate, con la mancanza di istruzione che porta a fare atti violenti senza volerli veramente per animo malvagio (simbolica la rapina iniziale). E' il mondo che ti circonda che ti trasforma così, non sei mai tu di base, e nulla è scritto nel tuo destino se non quello che verghi tu sul pianeta, sembra dirci Porporati tramite i suoi personaggi. Lo stile di racconto è secco, asciutto, senza fronzoli, non cade mai nel patetico e mostra condizioni disagiate che sono più morali che reali, emozioni che non possono uscire per la troppa cappa di controllo e terrore.
Risulta quindi molto buono il ritratto completo del ciclo della vita di Saro, oltretutto diverso anche se non genialmente originale dai soliti tipi di scrittura che vediamo sul tema. Avvicinarsi a questi film non vuol dire vedere quintali di sparatorie e continue vendette, è un racconto più calmo e riflessivo, pacato e pungente di un mondo che ha delle regole che non risparmiano nessuno, intersecando in continuazione il ruolo di oppressori con quello delle vittime.
"Tu devi guardare con i miei occhi, non con i tuoi" dice il boss a un giovane picciotto che non sembra voler accettare, per poi alimentare con una risata liberatoria una frustrazione sopita per lungo tempo in un finale quasi ironico della contemplazione di una vita mal spesa. Accanto a Lo Cascio abbiamo una ottima Donatella Finocchiaro che fa una donna d'onore con sentimento, mentre bravi caratteristi rendono al meglio il variopinto sottobosco dei personaggi di cosa nostra. Un film italiano intelligente nella sua semplicità, emozionale nella resa, una buona prova per un autore che se grazie a produttori che gli daranno fiducia farà opere più ambiziose e ampie sarà davvero da tenere d'occhio.
Il cinema italiano una volta di più condanna la mafia, anche quella di oltre venti anni fa, senza mai celebrarla ma cercando nuove visioni di racconto come in questo caso.
La Ragazza Del Lago
Cast Valeria Golino, Nello Mascia, Marco Baliani, Giulia Michelini, Denis Fasolo, Franco Ravera, Sara D'amario, Toni Servillo, Fabrizio Gifuni
Regia Andrea Molaioli
Sceneggiatura Andrea Molaioli, Sandro Petraglia
Durata 01:35:00
Data di uscita Venerdì 14 Settembre 2007
Genere Thriller
Distribuito da MEDUSA
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Trama: sulle rive di un lago viene ritrovato il cadavere di una ragazza del luogo. Antiche leggende dicono che un serpente abiti il lago e con il suo sguardo faccia dormire per sempre, ma il solido e concreto ispettore incaricato dell'indagine non ha interesse per le leggende e scava nel passato della ragazza alla ricerca dell'assassino che ne ha provocato la morte per asfissia. Quando poi l'indagine porta alla ribalta nuovi aspetti della vita di un tranquillo paesino lacustre lo stesso ispettore dovrà confrontarsi con il suo presente ...
Commento: davvero niente male questo film diretto da Andrea Molaioli interpretato stupendamente da Toni Servillo, grandioso protagonista di film intensi diretti da Sorrentino quali Le conseguenze dell'amore. Il cinema italiano quando agisce di semplicità senza incartarsi in storie convulse e proponendo personaggi macchietta, riesce a fornire dei ritratti convincenti e delle trame affascinanti, quali questo giallo psicologico. Man mano che l'indagine del commissario Sanzio prosegue e scava nei meandri oscuri di un paesino che sembrerebbe idilliaco nella sua ambientazione lacustro montana, ci si imbatte in un profilo di uomo tormentato e che dietro alla sua facciata da duro nasconde ben diverse perplessità di quelle di un caso da risolvere controverso.
Indagine quindi che va parallela con lo scavo psicologico con i tormenti degli altri che toccano i propri, in un gioco di carta assorbente che non riesce ad essere impermeabile.
Sapientemente Molaioli (opera prima davvero pregna) gioca con la trama inserendo splendide immagini che sono dei veri e propri quadri (bellissima l'inquadratura dei due personaggi di spalle con li lago e le montagne sullo sfondo sottolineata dallo splendido manifesto del film, ma ci sono davvero altre inquadrature degne di nota pittorica), non usa benché minimamente il comparto musicale per sottolineare i momenti più intensi (come di solito accade nella facile comodità confortevole dell'abbinamento umorale tra musica e momento di situazione, abbandonando la necessità di lavorare di più sulle meccaniche dell'emozione) e fa scorrere il tutto nella calma più angosciante, senza spari, senza botti ma solo con il crepitare dei sentimenti repressi (ci si abbandona a scena d'azione solo in una breve corsa di fuga mentre l'inizio è a dir poco angosciante con i suoi silenzi che incombono sulla bambina), e alla fine la soluzione del giallo è quasi di secondo piano rispetto alle ansie dei protagonisti che la vicenda di una bella ragazza morta prematuramente ha portato alla luce. Siamo preoccupati e solidali per i tanti punti di contatto con le storie quotidiane anche nostre che possono intersecarsi con le umane debolezze, non per chiedere una geniale soluzione di scoperta e di motivazione di un delitto che già a prima vista è privo di fascino thriller o morboso in quella posa così delicata nella morte e con il corpo privo di efferati segni di violenza.
Partecipano a questo convincente lavoro in parti secondarie (ma con un mattatore come Servillo presente è difficile primeggiare) Valeria Golino e Fabrizio Gifuni.
Da notare due frasi cardine del film “I matti sono buoni finché non diventano cattivi” e “Come mai le donne devono litigare sempre di spalle, questa qualcuno me la deve spiegare!” simbolo di una insicurezza e una pace che non si trova per le difficili codifiche del parametrarsi e i muri che vengono eretti nei rapporti umani, come quell'incredibile foglio vergato con le parole che si perdono nel nulla che Sanzio legge e rilegge, segno perduto di sentimenti che non si vedono anche se ci sono.
Un bel lavoro veramente, non ridondante ma sommessamente esplorante, che nobilita anche con un lato tecnico valido il nostro cinema italiano (fotografia davvero ottima) che quando abbandona i cliché e le facili sicurezze sa mostrare le unghie usufruendo delle prove di un grande attore di gran carattere, oltretutto senza costringere lo spettatore ad arzigogolati ragionamenti per seguirlo, dandosi un tono autoriale per congiunzione/interazione e non per stressante dogma.
Black Christmas - Un Natale rosso sangue
(Black Christmas)
Un film di Glen Morgan. Con Katie Cassidy, Mary Elizabeth Winstead, Lacey Chabert, Michelle Trachtenberg, Oliver Hudson, Andrea Martin, Crystal Lowe, Kristen Cloke. Genere Horror, colore 84 minuti. - Produzione Canada, USA 2006.
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Trama: Billy è un pericoloso psicopatico che scappa di prigione per compiere la sua sete di vendetta
al danno di alcune collegiali che vivono in una casa famiglia condotta da una amichevole rettrice.
E' Natale, si scartano i regali ma anche vecchi segreti stanno per venire alla luce. Riusciranno le ragazze a festeggiare capodanno?
Commento: Non c'è davvero niente da fare, la programmazione ha bisogno almeno di un horror a settimana per poter soddisfare i facili e innocui gusti di sangue dei teen indipendentemente da quanto possa valere. Se scorrete la programmazione i distributori dal titolo facile e geniale (questo italiano poi non è tanto orrendo) sistemano tutto in modo che in cartellone non manchi mai una nuova proposta, settimana prossima avremo Severance e tra due settimane Planet Terror, probabilmente non avendo altro per questa settimana hanno anticipato un film che forse a Natale sarebbe stato ironico mettere per pescare qualche spettatore in più.
Decisamente possiamo definirla una politica assai oculata per le leggi del marketing, anche se ovviamente certi cosidetti fill-in di programmazione provocano una ellissi di qualità verso i fan del genere. Qualità, che in questo caso è sicuramente bassa ma compensata da una simpatia di fondo di un filmetto innocuo che sfrutta le atmosfere natalizie per proporre la trama di un serial killer psicopatico che compie furiosi omicidi in nome di un accadimento di tanti anni prima che ne ha segnato la psiche. Remake eseguito da Glen Morgan (autore delle sceneggiature di Final destination 1 &3) su un film del 1974 eseguito da Bob Clark, riprendendo un plot praticamente sconosciuto ai più e riadattandolo al gusto dei teen per gli anni 2000.
Il tema portante è la furia dell'odio come si diceva, che guarda caso, si compie su delle formose quanto leggerissime ragazze dell'alfa-kappa (la più famosa è la Winstead recentemente vista in Death proof) la cui unica colpa è di abitare nel luogo dell'infanzia del killer, e si sa l'assassino torna sempre sul luogo del delitto (in questo caso dell'infanzia).
Il body count e il cavaocchi day (una autentica ossessione per il debuttante regista, mette occhi dappertutto compreso uno schermo del laptop) si dipana con delle recitazioni davvero pessime delle attrici, ma il tutto sembra davvero tanto onesto e casalingo da non infastidire più di tanto un horror fan, compensando la superficialità di fondo di una trama praticamente filiforme,(superficialità resa tale anche da dialoghi comici), con degli schizzi di sangue esagerati e delle scene da b-movie di un tempo (credo che il regista abbia quintali di poster della famosa scena dell'occhio dietro al porta in Zombi 2 di Fulci) che incontrano sempre la confortevolezza dell'accondiscendenza buonista di chi è entrato senza nessuna pretesa.
Tra l'altro le sovra scritte rosso sangue sono esteriormente adatte (tutto quello che viene scritto anche a livello di lettera è vergato con il rosso), sono sinonimo del tempo che scorre per rendere a capitoli i flashback che sono la parte migliore del film, dove avviene di tutto per far capire il disagio che il serial killer ha dovuto subire per divenire quello che è.
Sospeso un po tra teen movie e gore fest casalingo, questo prodotto (che piacerebbe di sicuro a Eli Roth) sa anche prendersi in giro nella sua mediocrità, riuscendo ad essere quasi appassionante perchè sembra che sia la realizzazione di un film amatoriale che vorremo fare con la nostra cinepresa.
Chi ha bisogno di colmare una settimana priva di horror movie new entry ed è un vero fan entri pure senza problemi e si diverta innocuamente, sapendo che però gli effetti non sono propriamente soddisfacenti in quanto molte volte la camera si allontana dall'omicidio e dalle ferite facendo solo vedere del sangue che schizza, tutti gli altri lascino tranquillamente perdere un prodotto artigianale e per nulla nuovo, onestamente e assolutamente dedicato alla categoria sopradetta senza meriti propri.
La distribuzione italiana ha mostrato tanta incuria nel confezionarlo per i cinema da sbagliare il titolo nel cartellone inserito durante il film al posto di quello originale (Christmas scritto Christamas).
Una curiosità, Andrea Martin, che qui interpreta la rettrice, era la protagonista del film originale.
L'ultima legione
(The Last Legion)
Un film di Doug Lefler. Con Colin Firth, Ben Kingsley, Aishwarya Rai, Peter Mullan, Kevin McKidd, John Hannah, Thomas Sangster, Iain Glen, Rupert Friend. Genere Azione, colore 110 minuti. - Produzione USA, Gran Bretagna, Francia, Slovacchia, Italia 2007.
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Trama: Sono giorni bui per Roma, Odoacre, generale dei goti, sta organizzando una offensiva tremenda che dovrebbe culminare con la conquista e la caduta della città eterna. L'ultimo ostacolo sulla sua strada è rappresentato da un manipolo di eroi che difende il futuro Cesare, Romolo, solo un bambino, alla ricerca di una spada dai poteri eccelsi ... riuscirà questo sparuto gruppo di superstiti a ricongiungersi con l'ultima legione, la nona, sopravvissuta al massacro operato dai barbari?
Commento: tratto molto liberamente (si legge nei credits finali) dal romanzo di Valerio Massimo Manfredi, questa Ultima legione narra le gesta coraggiose di un manipolo di eroi capitanati da Romolo, un ragazzo che persi i genitori in maniera crudele nella guerra contro i Goti è destinato a condurre alla rinascita la nazione in difficoltà.
Con un cast di eccezione, oltre al grande Ben Kingsley (premio oscar per Gandhi) abbiamo Colin Firth (Il diario di Bridget Jones) e la splendida Aishwarya Rai, una attrice famosissima in India e tanto ricca da essere capace di rifiutare parti come quella di Elena nel kolossal con Brad Pitt Troy, Doug Lefler (specializzato in regie televisive) inscena una insipida sorta di compagnia della fuga e della protezione che viaggia per trovare l'ultimo rifugio da cui ripartire per la riscossa.
Partito con una lentezza insopportabile per farci consocere i personaggi, continuato con stereotipi del mondo fantasy più che dello storico come dovrebbe essere (d'altronde il personaggio di Kinsley sembra Gandalf il bianco) e finito in maniera frettolosa e balorda con un colpo di scena tanto pacchiano quanto del tutto campato per aria, questo film che doveva avere un valore di reminescenza e filmografia attingendo dallo storico si rivela essere una pellicola stile Disney per famiglie, con personaggi facilmente identificabili come quello del cattivo che ha la maschera da violento, il ragazzino spocchioso e antipatico che manca solo che si metta a cantare come Simba nel Re Leone "Sarò Re!", il protettore mentore, il soldato coraggioso e di buoni sentimenti che mette il cuore davanti a tutto, la bella guerriera e il luogotenente del cattivo tutto truce con la faccia sfregiata e in più i soldati che sembrano l'esercito dei romani da operetta che Asterix e Obelix picchiano allegramente.
Un calderone di personaggi che bolle informe, monotono e senza molto senso, dove il procedere della trama si mischia a iconografie asiatiche (la grande muraglia, la testa di drago che garrisce la vento) che estraniano e non affascinano, penalizzate anche nelle ambientazioni visive da una lavorazione alla computer graphics di valore pessimo.
Dopo una sequela di avventure tutte uguali nella meccanica (botte, controbotte,parolone d'ira scagliate al cielo) finalmente si giunge alla scontatissima scena d'amore (castissima ovviamente) e alla grande sorpresa bufala del finale. Non si sa quale fosse l'intento produttivo dello staff del film, costruire un film simpatico che presentasse battaglie edulcorate stile Abatantuono di Attila manco fossero un teatrino dell'allegria per la famiglia davanti ai pop corn, donare un affresco che prendesse il più possibile il ricordo di personaggi epici multiformi, tutte intenzioni che alla fine si traducono di fatto con un film monotono, pacchiano e che si può evitare tranquillamente senza nessun problema.
Le commistioni tanto ardite senza costruire minimamente un senso epico del film in questi contesti non vanno per nulla bene al cinema, il ricordo dello spettatore non sa dove indirizzarsi (ricordo necessario in quanto ambientazioen storica) e il suo gusto deve assaggiare un sacco di sapori che collidono tra di loro in maniera atroce senza dare soddisfazione. Si pensava che in questa senso King Arthur fosse un punto basso, ma questo è ancora peggio in quanto ancora più banale e pieno di battaglie del tutto ridicole, se non altro la pellicola di Fuqua in questo non eccelleva ma neppure banalizzava così tanto.
http://img517.imageshack.us/img517/5732/20bartvw7.gif <b>ehi, quel ciuccellone di Marsellus vi dirà qualcosa sul nostro film, sappiate che tutto quello che scriverà è buono solo per cucciarsi il calzino ... io vi ho avvisati !</b>
<b>Zitto Bracarospo! qualcosa devo dire anche io ... questa recensione non è ancora pronta! mitico!!!</b>
I simpson
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http://img129.imageshack.us/img129/7771/simp21kw2.jpg
porking soon ...
VOCI DELLA VERSIONE ORIGINALE:
DAN CASTELLANETA (HOMER SIMPSON), JULIE KAVNER (MARGE SIMPSON), NANCY CARTWRIGHT (BART SIMPSON), YEARDLEY SMITH (LISA SIMPSON).
Regista:
David Silverman
Trama: per via del terribile inquinamento del suo lago Sprinfield viene chiusa da una cupola che la divide dal resto del mondo. Homer e la famiglia, unici ad essere stati in grado di fuggire dalla prigionia devono cercare di salvare la città dal disastro ... ma quando c'è di mezzo il chiappone giallo nulla è sicuro ...
<b>Ehi, ma io sono il protagonista...non puoi dire queste cose cattive su di me!</b>
<b>zitto Homer, sono matt groening, lascia finire la recensione... </b>
<b>D'oh...ma non è giusto...mangio una ciambella...recensore, mi dai una ciambella?</b>
Commento: ecco arrivare per la prima volta al cinema dopo qualcosa come quasi 18 anni dal loro esordio cinematografico la famiglia più assurda, squinternata e provocatoria, autentico geniale fenomeno di massa del divertimento. I Simpson, il film! orgogliosamente in 2-d, è un dilatato e colorato episodio tv portato ai limiti estremi, raccontando una catastrofe per la città di Springfield dove Homer e famiglia sono costretti anche loro malgrado a fare di tutto per raddrizzare la situazione.
Subito con l'inizio dedicato a Grattachecca e Fichetto il team creativo guidato da David Silverman (autore di molti episodi della serie tv, scelto quasi come inevitabile) chiarisce che questo film viene visto come una catastrofe di proporzioni colossali per utilizzare al meglio il grande schermo, per poter mettere alla berlina Homer come non mai.
All'interno troviamo tutte le cose che hanno reso grande la serie tv: l'ironia e la grottesca esagerazione nei gesti quotidiani, le citazioni a fatti della vita di qualunque tipo in chiave farsesca (Hillary Clinton insieme a un topo per le presidenziali prossime) e le continue schermaglie tra Burt & Homer e gli ammonimenti di Margie e i disagi intellettuali di lisa. Il plot della trama poi intelligentemente è corale, interessa tutta Springfield, per cui è stato fatto in modo che vengano anche per un secondo mostrati tutti i personaggi della serie (anche quelli minori) o quasi, con ognuno che si mostra o si ribella a certe cose ormai consolidate (Martin contro Stecco e i bulli). Poi il film si avvale di diverse ambientazioni, come l'Alaska, per cui non staziona mai e si muove convincente su vari sfondi naturali aumentando il paicere di vederlo. Gli autori poi hanno inserito dei fantastici cartelli nel mezzo del film per centralizzare ancora di più la novità del grande schermo (oppure lo scorrimento di piccoli avvisi che dicevano di non lasciarsi andare a puzzette o rutti in quanto non in casa proria) e Homer esce con un suo discorso in apertura film guardandoci e parlandoci di fronte, tutti espedienti che richiamano e ossequiano la collocazione naturale [Tv] dei personaggi ma aumentando il piacere di vederlo diversamente per fare subito il confronto voluto e chiamato, gridando che questo è il film e non i soliti 25 minuti. Peccato per la breve presenza di Mister Burns, ma siamo sicuri che in un futuro cinematografico il grande ricco crudele e taccagno avrà preminenza.
Ritmo sempre elevato, gag fantastiche, avventura, tema ecologico e familiare (che belle le scene tra Burt e Flaunders) presenti, grande schermo, prima parola di Maggie, film da seguire anche e sopratutto sui titoli di coda fino in fondo, fanno del primo (ce ne saranno anche altri come fatto intendere) film della gialla famiglia un appuntamento imperdibile per tutti, fan o non fan della serie tv, in quanto anche se la totale comprensione si ha soltanto conoscendo bene i personaggi, anche il profano può divertirsi per merito della facile codifica donata al film. che dire altro di questo divertentissimo film 2.d che ha osato sfidare le tecnologie iperrealistiche restando filologico? Mitico!homer devi dire qualcosa anche tu?
<b>Dopo questa cassa di birra e quell'altra cassa di birra rimane solo un altra cassa di birra prima di aver finito la birra ...
eh, scusa, ah si ... questa recensione è finita! in 1-d!</b>
Sapori & Dissapori
Titolo Originale: NO RESERVATIONS
Regia: Scott Hicks
Interpreti: Catherine Zeta-Jones, Aaron Eckhart, Abigail Breslin
Durata: h 1.43
Nazionalità: USA 2007
Genere: commedia
Al cinema nel Settembre 2007
http://img214.imageshack.us/img214/9...ssaporiyk8.jpg
Trama: Kate Armstrong è una rinomata cuoca che eredita dalla madre delle stupende capacità culinarie. Dirige la cucina di un grande ristorante non suo, con piglio e fervore, ma un giorno una tragedia le consegna in custodia la nipote di nove anni e nel suo regno culinario entra un giovane di belle speranze simpatico e capace ... Nick Palmer. Tra problemi di famiglia e di lavoro la situazione per l'irreprensibile kate sta diventando davvero dura ...
Commento: Scott Hicks (ultimo film Cuori in Atlantide ma più famoso per l'ottimo Shine) dirige questa commedia culinaria chiamando a rapporto una coppia di belli di Hollywood come l'avvenente moglie di Michael Douglas (ricordiamola in Chicago) e il biondo Aaron Eckhart, (bravissimo in Thank you for smoking). Il titolo originale (quello italiano, neppure tanto brutto in fondo, è un titolo ripreso da Woody Allen, Accordi & Disaccordi) che significa "Senza prenotazioni" si riferisce al fatto che il cuore e la felicità della bella Kate non sono ancora stati presi, e ovviamente si riferisce anche al fatto di entrare al ristorante senza aver prenotato il proprio posto, un po' come fa Nick che appare all'improvviso con le sue canzoni e la sua carica di simpatia (arie immortali cantate da Pavarotti, casualmente e incredibilmente citato proprio durante i giorni della sua scomparsa con l'uscita italiana del film). Bisogna dire che il film ha la sua parte migliore fino a quando la Zeta-Jones recita in solitaria e senza l'arrivo di Eckhart, con la sua costruzione del muro di pietra verso gli altri che la contraddistingue e il successivo smarrimento appena arriva la nipotina (Abigail Breslin, indimenticabile in Little Miss Sunshine). La Zeta Jones sfodera una prestazione davvero non prevista, calibratissima e assolutamente convincente del ruolo di dura dalle mani d'oro in cucina, restando praticamente di ghiaccio e facendo solo sorrisi sornioni e sagaci verso i commenti del suo terapista e quelli dei suoi subalterni in cucina. Domina la scena con garbo, prende lo schermo e lo catalizza con bravura. Peccato che poi quando lo deve dividere per l'inopinato arrivo del rivale, incanalandosi la trama su binari abbastanza scontati, tutto va a finire per cadere in una commedia gradevolissima ma poco originale. Sembra tra l'altro che ormai costruire una tenda in casa sia sinonimo di famiglia (vedi anche in L'amore non va in vacanza), come se mettere un tetto piccolo dentro un tetto grande sia valore di avvicinamento per sentimenti che circolano troppo liberi e troppo dispersi anche dentro una abitazione e non solo in una grande città. In questo film i buoni valori alla fine escono tutti, l'attaccamento al lavoro ma anche il buon cuore, l'amore che subentra senza dover rendere conto ad altro che a se stessi, dove noi stessi siamo i primi a farci grandi problemi anche dove non ce ne sono perchè non ci fidiamo degli altri (e un battibecco tra i due protagonisti lo dice chiaramente che per fidarsi di qualcuno bisogna essere se stessi).
In definitiva una commedia gradevolissima, con un impianto scenico collaudato che non annoia assolutamente e che per molti tratti non è neppure molto mielosa, piena di buoni sentimenti e di buoni piatti che faranno passare 100 minuti circa gradevoli senza avere grandi pretese, confortevolizzando nella sicurezza senza banalizzarsi oltre il dovuto. Certo, vorremo rivedere Scott Hicks ai suoi valori d'esordio, ma questo plot davvero non poteva essere realizzato meglio dato gli evidenti paletti di canalizzazione del racconto che doveva prendere.
Piano, solo
Un film di Riccardo Milani. Con Kim Rossi Stuart, Jasmine Trinca, Paola Cortellesi, Roberto De Francesco, Corso Salani, Mariella Valentini, Claudio Gioé, Sandra Ceccarelli, Konrad Podolny, Michele Placido. Genere Biografico, colore 104 minuti. - Produzione Italia 2007.
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Trama: la biografia della vita contrastata di Luca Flores, morto suicida prima di avere quarant'anni, pianista jazz di grande valore vissuto fino al 1995. Gli incontri con i grandi del jazz, il successo, ma anche la sua voglia di estraniarsi per suonare in luoghi dove i suoi suoni potessero chiudersi e non aprirsi per intimarsi con il suo stato mentale corroso.
Commento: Riccardo Milani ha già diretto Michele Placido e Paola Cortellesi (qui padre e sorella di Luca Flores - Kim Rossi Stuart) nel film Il posto dell'anima che parlava di un tema impegnato come quello della perdita del posto di lavoro, adesso li riutilizza in questo lavoro biografico sulla vita di un jazzista-pianista sconosciuto al grande pubblico. Un lavoro che si concentra sopratutto sulla vita difficile e sui tormenti della persona e non solo sulle sue opere, anche se sono presenti parecchi pezzi suonati in singolo e in gruppo. Per chi volesse approfondire l'argomento c'è anche un libro scritto da Walter Veltroni dal titolo"Il disco del mondo". A livello ristretto del film, abbiamo il ritratto di un uomo tormentato e mai tranquillo, che cerca anche in un viaggio in Africa di trovare la serenità insieme alle giuste sonorità. A pesare come una spada di Damocle su di lui la morte violenta della madre di cui lui si dà colpa perennemente e che lo turba costantemente nei ricordi, stessi tragici ricordi che non vengono mitigati dall'amore sincero di una Jasmine Trinca (con Rossi Stuart in Romanzo Criminale diretto da Placido, numerosi spunti di collaborazione si intersecano in questo film) pulita e brava ragazza come non mai.
Kim Rossi Stuart è bravissimo a tratteggiare tic e poche luci di quest'uomo dalle mani di fata che scorrono sui tasti di un pianoforte, con una recitazione misurata e compassata sempre mancante di un vero sorriso perfetta per esteriorizzare il disagio che vi è dentro. Ottima anche la presenza di Paola Cortellesi, sorella dolce che si vede anche lei nei ricordi in versione bambina, mentre placido si concede la parte del leone che appare a fare il grande anxiano del film. Un lavoro che va visto nell'ottica non solo di presentare un artista ma in quella di mostrare la sua ansia che non viene vinta da soddisfazioni materiali oppure dalla presenza del pubblico, prima cercato poi evitato nella sorta di catarsi di preservare solo per se stessi la propria arte in modo che possa essere il più possibile medicina personale per curarsi. Il ritmo scelto dal regista è giustamente molto lento, le situazioni si dipanano senza clamori e tutto sembra essere un ellissi di scale sonore che tormentano senza fine, come lo stesso protagonista che non si libera dell'ossesione della perfezione, per cui è necessaria una serata di giusta impostazione non di solo divertimento, che comunque non necessita di una preparazione di base per poterlo godere.