Gli assiomi e il metodo ipotetico-deduttivo
Veniamo ora al problema di come si giustificano le affermazioni di una teoria. Quando dimostro un'affermazione a, utilizzo altre affermazioni b, c, ...; allora debbo giustificare b, c, ... mediante altre affermazioni, e così via. Se la teoria viene svolta in modo 'ingenuo', informale, ci si può accontentare di risalire a «proprietà evidenti» (ma, come abbiamo osservato, l'evidenza è un criterio soggettivo).
Se invece vogliamo costruire una teoria in modo formale, dobbiamo avere alcune precauzioni. Ad esempio, nel dimostrare le proprietà b, c, ... non possiamo utilizzare la proprietà a: ad esempio, sia a l'affermazione 'la somma delle ampiezze degli angoli di un triangolo è 180°', e sia b 'tagliando una retta con due rette parallele si ottengono angoli alterni interni uguali'; abbiamo utilizzato b per provare a, e non sarebbe corretto, ora, usare a per provare b. Intendiamoci: non è detto che per forza la dimostrazione di a debba dipendere da b (se si riesce, si potrebbe anche dimostrare b a partire da a); ma una volta che b si è usata nella dimostrazione di a, non è lecito usare a per dimostrare b, non si può instaurare un circolo vizioso.
La situazione è abbastanza simile a quella del problema delle definizioni: si vorrebbe dimostrare tutto, ma questo non è possibile; bisogna scegliere alcune affermazioni che non si dimostreranno, gli assiomi o postulati.
Ad esempio, nella geometria di base di cui si parlava nel paragrafo precedente, i primi assiomi sono: 1) dati due punti, esiste una sola retta alla quale essi appartengono; 2) dati un punto P e una retta r alla quale P non appartiene, esiste una sola retta parallela a r, alla quale appartiene P.
Naturalmente questi assiomi debbono contenere i termini primitivi della teoria (oltre a termini logici, come 'esiste un solo', 'dati ...'). Essi precisano l'utilizzazione dei termini stessi, ne delimitano il significato: sono «definizioni implicite» dei termini primitivi (H. Poincaré, 1854-1912).
Già Aristotele aveva rilevato la necessità di porre alla base di ogni scienza un sistema di assiomi, 'conosciuti dall'intelletto', 'necessari, indimostrabili, ... veri'.
Oggi nessuno direbbe più che gli assiomi sono indimostrabili: siamo noi che, non potendo dimostrare tutto, scegliamo qualche affermazione da non dimostrare. Potremmo sceglierne altre; più esattamente, la teoria che si può costruire a partire dagli assiomi a, b, c, ..., di solito si può ottenere anche da altri assiomi p, q, ... Basta accertarsi che da a, b, c, ... si possono provare p, q, ...; e da p, q, ... si possano provare a, b, c, ...
Anche nei confronti degli assiomi c'è un atteggiamento realista e uno formalista. Ecco quanto scriveva D. Hilbert (1862-1943), formalista, al realista G. Frege: «Lei scrive: 'il fatto che gli assiomi sono veri ci assicura che essi non si contraddicono fra loro'. [...] ho sempre detto esattamente il contrario: se assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in mutua contraddizione con tutte le loro conseguenze [...], allora esistono gli enti definiti da quegli assiomi».
I realisti considerano gli assiomi come proprietà manifestamente vere, descrizioni della realtà; per i formalisti essi sono invece arbitrari, privi di per sé di significato, sottoposti alla sola condizione di non contraddittorietà. La trattazione vera e propria della teoria, fatta da uno dei punti di vista, non differisce dalla trattazione fatta dall'altro punto di vista; entrambi chiedono che nelle dimostrazioni si utilizzino solamente gli assiomi e i teoremi già dimostrati. La differenza torna a manifestarsi allorché la trattazione formalista ha bisogno di assicurarsi che i suoi assiomi non sono contraddittori.
Nel seguito ci atterremo all'impostazione formalista, che permette di trarre maggiori frutti dai sistemi assiomatici.
http://www.sapere.it/tca/minisite/sc...ica/id314.html