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Il caso Thomas Crawford
Il Caso Thomas Crawford (Fracture)
Cast Anthony Hopkins, Ryan Gosling, David Strathairn, Rosamund Pike, Embeth Davidtz, Billy Burke, Cliff Curtis, Fiona Shaw, Bob Gunton, Josh Stamberg
Regia Gregory Hoblit
Sceneggiatura Daniel Pyne
Durata 01:53:00
Data di uscita Venerdì 2 Novembre 2007
Generi Drammatico, Thriller
Distribuito da EAGLES PICTURES
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Trama: Thomas Crawford è un ingegnere aereonautico ricchissimo. Un giorno scopre che la moglie, amatissima, lo tradisce bisettimanalmente con uno sconosciuto. Tornato a casa le spara, ma gli spari fanno dare l'allarme agli inservienti della casa. Thomas viene arrestato, e incredibilmente il poliziotto che lo cattura è l'amante della moglie ...
Commento: Grande incredibile Anthony Hopkins. Con la sua sola presenza, con i suoi monologhi e le sue espressioni intense catalizza, impreziosce e stupisce gli spettatori. Stavolta gli viene richiesto di esteriorizzare la personalità di un ingegnere aereonautico geniale e sopraffino nell'elaborare un piano diabolico (genialità che il tortuoso percorso delle sfere intimizza e mostra) ai danni della moglie che lo ha tradito e dell'amante di lei che lo ha invece catturato. Un ritratto di uomo sconfitto e distrutto dalla delusione d'amore, che trova nella vendetta più terribile una piccola panacea di guarigione per i suoi grandi dolori. Uomo grande nel lavoro, realizzato nelle opere, decadente nei sentimenti. Hopkins è bravissimo (come sempre) a modulare le varie angolazioni di umore, di essere di ghiaccio nella persecuzione dei colpevoli oltre il limite consentito, negando di domandarsi se la cosa è riconducibile a lui o meno. Uno dei grandi vecchi attori che da soli sono una garanzia di soddisfazione del film indipendentemente dalla tipologia della pellicola stessa, indirettamente validi da quello che racconta la scenggiatura.
Purtroppo, se Hopkins è perfetto, il film non lo è. A fronte di un lato tecnico strepitoso (la fotografia, ci sono sempre locali bui illuminati fiocamente a dominare la scena, anche per confortevolizzare il carattere del protagonista, benissimo impressi senza sbavature o grane di colore fastidiose) ci sono delle imperfezioni più o meno visibili nella storia (quelle situazionali con il prigioniero che sembra più libero e meno controllato del pubblico ministero di telefonare a chiunque e dovunque, quelle di meccanica del racconto con cose, che non possiamo in questa sede dire per evitare spoiler, davvero illogiche) e ogni tanto le pieghe del racconto si perdono in inutili digressioni e siparietti davvero inconsistenti. Il valore thriller con il grande dramma degli amanti non è cosa nuova nel cinema, ma il regista Gregory Hoblit (autore dell'ottimo Frequency) deve girare con gusto moderno un film che si radicalizza nel vecchio stile, e la cosa non è perfetta, troppo infastidita dalla tecnologia e dall'ambientazione dirigenziale tutta cellulari, che risulta determinante per arrivare al culmine del racconto.
La progressione che ne risulta del film non è perfetta, ci sono alcuni momenti un po' vuoti tanto per riempire (i duetti tra i due fidanzati), per riprendersi ogni volta che il grande tenebroso vecchio entra in scena a dominare il tutto.
Abbiamo, nel reparto attori, Ryan Gosling che fa l'antagonista di Hopkins (lo si era visto ne Le pagine della nostra vita) e David Strathairn (al cinema con the Bourne Ultimatum) in una parte secondaria, mentre l'avvenente fidanzata del poco credibile pm è affidata alla bellezza di Rosamund Pike (ex bond girl de La morte può attendere).
In definitiva un film dalla buona atmosfera thriller, che tiene sospesi per la soluzione di alcuni enigmi/spiegazioni che vengono date nel finale, con un grande interprete attorniato da un cast non proprio eccezionale (con Gosling che imita Ed Norton nel recitare), agendo al contrario del tipico facendoci subito vedere il colpevole ma non se il crimine paga, penalizzato mortalmente da piccoli errori di sceneggiatura (decisamente poco logico il tempo che passa tra la azione del colpevole e l'arrivo della polizia con lui che prepara tutto) e banali refusi di controllo situazionale (oltre a quelli sopra citati dopo essere stati fuori sotto la pioggia battente si entra in casa asciutti) inaccettabili in un contesto filo hitchcockiano di memoria discendente che esigeva ben altre attenzioni.
Comunque, grazie al grande Anthony, si può entrare tranquillamente per vedere un film che si ricorderà poco ma dalla atmosfera affascinante anche se non resa a dovere.
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Lo spaccacuori
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Lo spaccacuori
(The Heartbreak Kid)
Un film di Bobby Farrelly, Peter Farrelly. Con Ben Stiller, Michelle Monaghan, Malin Akerman, Jerry Stiller, Rob Corddry, Carlos Mencia, Danny McBride. Genere Commedia, colore 105 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Universal Pictures
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Trama: Eddie Cantrow è uno scapolone impenitente sulla soglia dei 40 anni. Ormai sembra che il matrimonio non sia più una cosa che lo riguardi. Le delusioni d'amore lo hanno troppo segnato e nonostante gli ammonimenti dell'arzillo padre e di un amico sposato, l'accasarsi non sembra avere su di lui nessun fascino. Ma un giorno un incontro con Laila, una avvenente bionda, gli fa cambiare repentinamente idea. Peccato che nella luna di miele vengano allo scoperto i tanti difetti insospettabili di lei ...
Commento: Inarrestabili registi i fratelli Farrelly, politicamente e allegramente scorretti e privi di regole hanno segnato il loro cinema di battute senza tema di sforare negli anatemi della morale, mostrato in logiche davvero inusuali e prospettive inaspettate (hanno creato, sempre con Stiller, quella follia pura di “Tutti pazzi per Mary” e reso grassa oltre ogni limite Gwyneth Paltrow in Amore a prima svista, per raccontare anche le gesta di Jim Carrey con una mucca in Io,me & Irene e le follie di Scemo+scemo) esagerando situazioni surreali oltre i limiti del consentito. In Tutti Pazzi per Mary un nugolo di maschi cercava di conquistare il letto della bella Cameron Diaz (film diventato famoso per lo sperma al gel che aveva fatto diventare la chioma della Diaz una sorta di sperone stile unicorno), in questo Spaccacuori (che ricorda nel titolo The Heartbreakers, un film con Sigourney Weaver, Gene Hackman e Jennifer Love Hewitt) invece un uomo vede il suo sogno di aver trovato l'anima gemella ideale infranto, proprio nel momento più bello di una strepitosa luna di miele in un paradiso turistico del Messico (location assolutamente da sogno, con tramonti strepitosi e spiagge assolate bianchissime).
Sembrerebbe che i Farrelly abbiano quindi tolto il piede dall'accelleratore per dedicarsi a qualcosa di molto intimo oppure più sentimentale, ovviamente può essere così ma non è proprio così.
Sorretto da un Ben Stiller a dir poco vulcanico e a 360 gradi, prontissimo a destreggiarsi tra le pieghe della sceneggiatura in maniera egregia, sia quando deve fare lo schizofrenico irato per colpa delle follie della neo moglie, e alla stessa maniera valido quando deve fare il sentimentale oppure lo sconsolato, il film ha dei momenti quasi stucchevoli oppure teneri, colpiti da però in maniera repentina e totale dalla mannaia della satira al vetriolo, che tutto travolge e nulla rispetta.
Non c'è amore senza sorpresa, non ci sono sentimenti che possono essere considerati sacri, situazioni consolidate di cinema poi dopo eluse senza nessun problema, in un turbinio di battute folle ed esagerato, e soprattutto mai volgare. Si parla di sesso estremo in allegria totale, si sentono scoregge finalmente ironiche senza doverle vedere come inserite per forza, le situazioni in cui la bella moglie (una biondissima Malin Akerman davvero coinvolta, tutta urli e mossette stizzite) fa vedere liberamente parte delle sue grazie in semplicità (togliendo quella folle del finale che fa concorrenza in grottesco ai capelli della Diaz in Mary) mai gratuite ma che proseguono e arricchiscono la trama, che si impreziosisce dopo la sua metà anche di una sorta di commedia degli equivoci davvero buona.
Diversamente da certo cinema comico/commedia che si accontenta di arrivare all'obbiettivo rimanendo lineare senza volersi incastrare per confortevolizzare il più possibile gli spettatori, i registi girano più volte la frittata, situazioni consolidate vengono ribaltate all'estremo e non si capisce mai il punto di fermo o l'orizzonte di arrivo, qualità davvero notevole per il risultato del film, dove le risate in certi momenti fuoriescono spontanee e fragorose, oltretutto riescono a ironizzare sulla fuga clandestina dei Messicani verso l'America innestando nel tessuto del film una sottile vena sociale.
Nel film oltre ai sopracitati abbiamo la esilarante macchietta del padre dai consigli molto aperti (interpretato dal padre reale di Ben Stiller, Jerry), mentre l'avversaria di turno è Michelle Monaghan (che fa Miranda senza troppo risultato), e possiamo brevemente ammirare la bella modella Eva Longoria in un cammeo.
In definitiva un film spumeggiante, divertente, mai parco di sorprese e giocato tutto sul fatto che in fondo di sicuro non c'è mai nulla. Altamente consigliato per una serata scacciapensieri di divertimento non scontato.
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I vicerè
I Viceré
Un film di Roberto Faenza. Con Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Lucia Bosè, Franco Branciaroli, Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco, Giselda Volodi. Genere Storico, colore 120 minuti. - Distribuzione 01 Distribution
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Trama: nella Sicilia del 1800 gli Uzeda vivono nel lusso dato dalla loro appartenenza al casato filoborbonico che ne determina la ricchezza. Giacomo dirige con durezza e molte volte con crudeltà la famiglia, accanendosi molte volte senza motivo sul figlio Consalvo. Dopo l'ennesima punizione ricevuta, il piccolo viene confinato in un monastero di monaci benedettini, dove la vita dura dei novizi fa da contraltare alle notti lascive dei monaci. Divenuto grande e ritornato in famiglia, Consalvo trova la figura del padre ormai in preda a folli superstizioni, pronto ancora a perseguirlo in quanto convinto che il figlio sia la causa dei suoi mali fisici, e oltretutto stanno arrivando i garibaldini ad unire l'Italia mettendo in grave crisi la ricca staticità degli Udezia ...
Commento: Ispirandosi al romanzo di Federico de Roberto, Faenza (che ha diretto l'ottimo Prendimi l'anima, sui mali della psiche umana) dirige un film in costume (complimenti alla pluripremiata agli oscar Milena Canonero per l'ennesima prova di classe nel vestire gli attori) sull'Italia del 1800 in piena dominazione borbonica, centralizzando la storia su una famiglia diretta in maniera dispotica da un padre reso folle dai suoi mali fisici che non esita ad addossarne la responsabilità all'incolpevole figlio reo soltanto di essersi comportato da ribelle agli ingiusti castighi.
La storia di Consalvo (interpretato, nella fase adulta, da Alessandro Preziosi, il conte Ristori di Elisa di Rivombrosa) inizia da quando bambino si muoveva curioso in giro per la tenuta con la sorella Teresa (interpretata in mnaiera acqua e sapone dalla prezzemolina “appaio spesso” Cristiana Capotondi, presente questa settimana al cinema anche con Come tu mi vuoi al fianco di Vaporidis) per poi continuare fino alla tarda maturità, volendo dare uno spaccato di vita del tempo in maniera più spalmata e completa possibile. Attraverso una rigorosa scelta storica delle location e delle scenografie, Faenza tratta un tema che rimembra i nostri passati scolastici, con l'arrivo dei garibaldini e la caduta dei Borboni, immesso nell'ottica di una diatriba familiare che solo sporadicamente incontra i lati sentimentali prettamente d'amore (lasciati soprattutto al personaggio di Teresa) che vive di continui allontanamenti e successivi ritorni a casa. Il taglio del film è decisamente televisivo, vista la produzione e l'ottica di realizzazione non poteva essere altrimenti, ma non manca mai di essere quantomeno visivamente interessante, non induce al torpore pesante nonostante varie cadute di tono soprattutto quando mancano i confronti diretti tra padre e figlio (padre interpretato validamente e con ghigno feroce dal redivivo Lando Buzzanca che dimostra di poterci essere anche lontano dai ruoli comici), dilungandosi un po' troppo sulle fasi intermedie degli incontri e in alcuni autocompiaciuti siparietti nei giardini di valore soprattutto estetico.
Non aspettatevi grandi scene di lotta o sollevazioni di piazza, questo è soprattutto un melodramma e non un film storico, vissuto sui rapporti intrafamiliari e sui matrimoni/parti di convenienza, dedicandosi nel girato solo in maniera marginale alle altre cose, permettendosi una feroce critica sulla chiesa (definendo le abitudini notturne dei benedettini “I porci di Dio”lasciando a veri devoti il compito di pregare a scusa di peccati che vengono commessi da altri), mostrando un sindaco zoppo (ed in omaggio al famoso “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba”) a sintomo di un Italia sacrificata che fatica a camminare decentemente. Non abbiamo una vera totale condanna di qualcosa, tutto è demandato a chiedere di non credere alle superstizioni assurde che non producono vera coscienza ma solo chimere di credulità (non a caso il grande bubbone di Giacomo è sulla testa) e di seguire la propria indole d'istinto di giustizia rendendo la propria vita la più cristallina possibile libera da insegnamenti e dogmi.
Faenza dirige in definitiva un film con buon mestiere, di fattura più che valida nell'allestimento visivo del tempo storico, penalizzato purtroppo da una mancanza di grandeur del racconto che si limita a circondarsi blandamente (di fatto la vita degli Uzeda non cambia moltissimo nel prima e dopo dell'arivo di Garibaldi) degli eventi mentre si muovono i personaggi in elastici narrativi (oltre ai ritorni c'è anche Consalvo che a un certo punto sente di somigliare al padre diventando anche violento) a volte troppo ripetitivi. Probabilmente un interprete più valido di Preziosi troppo legato a un tipo di recitazione che coinvolge solo fino ad un certo punto, (lo vediamo poi in ogni età, con baffi e senza, grigio e in giovinezza) e una interprete diversa della scolastica Capotondi, avrebbe dato vigore e forza maggiore a una pellicola di base da non buttare via che poi si perde per la pochezza di approfondimenti, che usciti dalla sala ha dato emozioni stanziali del momento e non di ripensamento del dopo usciti.
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SLEUTH - GLI INSOSPETTABILI
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Titolo Originale: SLEUTH
Regia: Kenneth Branagh
Interpreti: Jude Law, Michael Caine
Durata: h 1.26
Nazionalità: GB, USA 2007
Genere: thriller
Al cinema nel Novembre 2007
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Trama:Andrew Wyke è uno scrittore di successo ricchissimo che invita nella sua strepitosa casa ultra moderna nell'arredamento e altamente tecnologica il giovane Milo Tindle per chiudere un conto in sospeso, dato che lui è l'amante della moglie dell'anziano miliardario. Però il gioco di inganni che ne esce è davvero pieno di sorprese ...
Commento: Kenneth Branagh riprende un dramma teatrale di Anthony Shaffer che aveva già avuto una versione cinematografica nel 1972 ad opera di Leo Mankiewicz, chiamando ad interpretarla lo stesso attore che vi aveva partecipato al tempo solo che, per evidenti motivi anagrafici, in un ruolo diverso. Michael Caine di fatto era il giovane parrucchiere che soffiava la moglie al ricco Laurence Olivier, e nell'odierno lavoro invece è Jude Law l'antagonista che configura il bello e giovane dell'uomo, freschezza dell'esistenza che affascina la moglie spendacciona. Incredibile questo gioco di incroci, tenendo conto anche cinematograficamente di quello di Alfie, il conquistare di donne, passato da Caine a Law.
Branagh (ovviamente perfettamente a suo agio con un lavoro teatrale) introduce il film con il gioco del due senza attendere nulla, dato che due soli saranno gli attori presenti nelle inquadrature, non ci saranno altri figuranti sulla scena, presentando due macchine che convergono (le vite che si incrociano), due bicchieri, due sedie, due poltrone due sculture, e via dicendo. Chiarito il concetto base del film ("Io contro di te") il regista segue alla lettera il dettame della suspance, regalando a poco a poco durante lo sviluppo del film nuovi elementi, nuovi dettagli e incredibili sorprese. Di fatto un lavoro di sceneggiatura ormai oliatissimo, che viene diretto in maniera asciutta e precisa che potremmo definire priva di ogni autorialità, dove la mano del regista non si vede, dove non ci sono inquadrature che fanno parteggiare per nessuno dei due rivali. In ogni fotogramma non scorgiamo mai una preferenza oppure un valore di simpatia, tutto è dato dal fatto che questa sia la situazione e il più furbo e saggio vinca la tenzone divenuta ormai una sfida per la supremazia del cervello (dove anche la questione della moglie, che si vede solo in foto, diventa un dettaglio), non deve vincere il più puro oppure il più onesto. Lavoro oltretutto sopraffino che si pregia di inquadrature perfette, camere fisse in camere mobili, piene di pareti che si aprono misteriose e arcigne alla visione del nemico come sottili trappole, dando alla casa stessa un valore di terzo protagonista.
Branagh utilizza superbamente la nuova tecnologia (videocamere e telecamere spia guidate dal computer) che non facevano parte del bagaglio del film del 1972 rendendoli un accessorio arricchente e non un orpello, funzionali per alcune scelte di stile e che aiutano la comprensione allo spettatore senza corrompere la purezza del lavoro in un ambito emozionale. Duello tra grandi attori, dove non solo Caine (che non ha bisogno di altre prove per definirlo tale) trova in Law un fantastico compagno di lavoro, praticamente perfetto, con espressioni che vanno dallo stupito, al terrorizzato, al sardonico in grande armonia tra di loro.
Si vede da subito la perfetta sinergia attoriale, restiamo incantati dalla durezza delle parole e dal confronto totale tra due generazioni tanto diverse con il grande vecchio potente e ricco che non vuole lasciare partita e ultima parola a chi sgomita per primeggiare la scena.
Un lavoro davvero da non perdere, facendo un applauso al grande scenografo che ne ha allestito la cornice visiva davvero magistrale (arredamento futuristico e statue evocatrici di sensazioni ingarbugliate e misteriose come la vicenda, iconografia perfetta nella statua umana con i fili di ferro aggrovigliati), e alla grande musica intimista di sottofondo, godendo di due interpretazioni magistrali, che ha saputo valorizzare i dialoghi in modo che non vengano toccati stili radicati nel passato.
Non perdetevelo e premiate un lavoro intenso per nulla difficile da seguire nonostante sia stanziato in una sola location, prevedibilmente zeppo di strepitosi discorsi come da doverosa origine teatrale e che vi coinvolgerà dal primo all'ultimo secondo. Produzione di un appassionato Jude law che ha contattato lui stesso direttamente Branagh, convincendolo ad abbandonare i suoi lavori classici per questo dramma.
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I guardiani del giorno
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TITOLO ORIGINALE
Dnevnoy dozor
TITOLO INTERNAZIONALE
Day Watch
NAZIONE
Russia
GENERE
Azione, Fantastico, Horror
DURATA
132 min. (colore)
DATA DI USCITA
09 Novembre 2007
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REGIA
Timur Bekmambetov
SCENEGGIATURA
Timur Bekmambetov
DISTRIBUZIONE
20th Century Fox
PROTAGONISTI Konstantin Khabensky, Aleksei Chadov, Yuri Kutsenko, Igor Lifanov, Galina Tyunina, Sergei Lukyanenko, Rimma Markova, Mariya Poroshina
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Trama: Anton continua la sua lotta contro le forze dell'oscurità, dopo che l'eletto sembra che abbia scelto la fazione oscura della lotta facendo pendere in loro favore la bilancia in perfetto equilibrio da mille anni (dopo che le due parti avevano deciso di controllarsi l'una con l'altra per vivere ognuna in sicurezza). Avendo dalla loro l'eletto, i vampiri vorrebbero a tutti i costi provocare una guerra con i guerrieri luminosi del giorno, e quasi a favorire questo piano inizia una misteriosa sequela di delitti che viene addossata da parte loro ad Anton, costretto a trasmigare nel corpo di una donna, Olga, per sfuggire alle ricerche ... intanto che lui cerca di dimostrare la sua innocenza al tribunale della doppia inquisizione la situazione precipita nel caos, con la sola possibilità della ricerca di un potentissimo manufatto, il gessetto del fato, capace di esaudire qualunque desiderio venga scritto con esso ...
Commento: tratto dal romanzo di Sergej Luk'janenko. prosegue, dopo i Guardiani della notte, film sorpresa del 2004 che con un budget modesto ottimizzò i costi e riuscì a sorreggere con degli effetti speciali più che decenti una storia interessante, la trilogia che vede le forze del giorno e della notte contrapporsi (l'ultimo capitolo sarà I guardiani del crepuscolo). Questo i Guardiani del giorno di fatto è costruito sulla falsariga del primo come impianto narrativo, una storia aggrovigliata come poche (nonostante un ampio sunto riepilogativo iniziale che introduce anche alla leggenda del gessetto del fato, sarebbe essenziale vedere il capitolo precedente per comprendere il tutto appieno), che riparte dritta da dove si era fermata.
Adesso le forze del male stanno tramando ai danni di Anton chissà quale piano per scatenare la lotta definitiva, avendo il non trascurabile vantaggio di avere con loro l'ago della bilancia rappresentato dall'eletto che si è schierato dalla loro parte. Nella durata extra di questo film (140 minuti) avremo modo di vedere bellezze di tendenza ed effetti speciali mirabolanti in computer graphics (a differenza di quelli efficaci ma artigianali del primo capitolo, i soldi della Fox che ha acquisito i diritti si vedono) assolutamente inediti per un film Russo, con macchine sportive che viaggiano sui vetri di un palazzo in maniera orizzontale (vedere per credere!), che corrono in corridoi d'albergo ed esplosioni di tutti i tipi che coinvolgono l'inerme città campo di battaglia dei due opponenti.
Molto buone sono anche le trasfigurazioni durante il passaggio tra una realtà e l'altra durante i combattimenti e gli inseguimenti, eseguite utilizzando gli occhiali scuri con una logica di visione che prende spunto dal lontano film di Carpenter dei tempi d'oro Essi vivono. Tutto il film si muove fracassone ed esagerato (compresa la scena della ruota gigante ispirata da 1941:allarme a Hollywood), con colpi a ripetizione da ambo le parti che non lesinano di darsele di santa ragione, impreziosendosi anche con degli ottimi inseguimenti su strada. Purtroppo la mano americana della produzione con occhio allo spettacolo puro sembra farsi sentire negativamente, perchè a fronte di questo ottimo comparto tecnico, la storia è difficile da seguire, tortuosa, lo spettatore si perde (come del resto avveniva facilmente nel primo capitolo) nella ricerca mentale dei fatti accaduti prima che si collegano a quanto visto ora, a capire chi è il tale e perchè fa quello; la stessa congiura non è chiarissima e alcuni punti morti di raccordo che dovrebbero spiegare la vicenda invece alzano il tasso di incomprensione, sopratutto per chi arriva alla visione digiuno del capitolo precedente come si diceva. Probabilmente lo spettatore interessato leggendo le varie recensioni sul web (si spera ovviamente anche questa) può fare luce sui punti oscuri della vicenda, e data comunque la buona idea del soggetto (alla sceneggiatura del film ha partecipato anche il creatore della vicenda letteraria), in seguito a questa opera informativa eseguita può godere del film maggiormente rispetto al momento dell'uscita della sala dove esce un po' confuso e frastornato (tra l'altro il finale un po' facilone e deludente, non lascerebbe molto spazio alla prosecuzione della vicenda).
Fa effetto vedere un film dell'Est tanto ricco di effetti, ma ormai il regista è vicino alla corte di Hollywood ed è in predicato per dirigere l'adattamento cinematografico del violento ed eccessivo fumetto di supereroi Wanted, per cui attendiamoci di vedere altri film con registi della zona ex Urss fatti con gusto americano.
In definitiva un film che è bello da vedere e un po' più ostico da seguire, con alcuni punti di racconto davvero poco chiari alla prima visione, che ogni tanto si perde in alcune trovate che probabilmente a Bekmambetov piacevano senza dare impulso alcuno alla trama, ma visionario e catastrofico, dalle lotte al fulmicotone che avvince sempre quando sono di fronte due nemici storici come bene e male, luce ed oscurità contrapposte in tregue tanto facili a rompersi per quanto sono sottili ad esserci. A costo di ripeterci, la visione del primo capitolo è assolutamente essenziale, per cui se siete intenzionati a vedere questo action-fanta-horror movie dell'est recatevi prima al più vicino noleggio di dvd.
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The minis - nani a canestro
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Regia: Valerio Zanoli Sceneggiatura: Valerio Zanoli Attori: Dennis Rodman, Gabriel Pimentel, Joe Gnoffo, Dana Woods, Bradley Laise, Richard Portnow, Kalan Shires, Rusty Burns, Tamara Melnyk, Caroline Macey, Tyler Riegleman, Tonya Banks, David Jean Thomas, Paul Hayes, David E. Brown, Fabio Cannavaro (voce italiana di Dennis Rodman), Francesco Toldo (voce italiana), Dan Peterson (voce italiana) Produzione: Really GoodPaese: Italia, USA 2007Uscita Cinema: 09/11/2007Genere: CommediaDurata: 82 Min
Trama: Quattro nani amici tra loro e amanti della pallacanestro decidono di iscriversi a un torneo di basket per riuscire a dimostrare di valere nonostante l'altezza ridotta. Tra problemi personali e varie discussioni tra i quattro, la svolta sembra arrivare con l'ingaggio dell'ex campione di NBA Dennis Rodman che attirato dai soldi e dalla pubblicità avuta dalla strana impresa, accetta di vivere questa surreale esperienza sportiva ...
Commento: Valerio Zanoli (opera prima) è l'autentico factotum di questa commedia per ragazzi (ma sarebbe meglio dire per bambini in età prepuberale), eseguendo non solo la regia ma anche la sceneggiatura.
La storia riguarda un gruppetto di nani (quattro per la precisione) che nonostante l'altezza non cedono alla tentazione di partecipare a un torneo di basket, anche perchè per vari motivi i 50.000 dollari di premio fanno molto comodo. L'incredibile è che dopo averli ignorati, l'ex campione NBA Dennis Rodman (tatuatissimo e pieno di piercing con un paio di vistosi grandi anelli orecchini) decide di giocare con loro il torneo attirato solo dai soldi che la strana impresa può portare. Ovviamente nel seguito della storia conosce meglio i quattro amici di taglia ridotta, e va oltre il discorso del solo denaro, e tutto vira sul sentimentale. Sembrerebbe la classica commedia senza pretesa buonista orchestrata e costruita su una idea diversa dal solito per renderla originale, invece il tutto è di una banalità e di una vuotezza oltre il possibile, con una regia scolastica priva di qualunque fascino, e una sceneggiatura che potrebbe ridurre al valido di 20 minuti il già corto metraggio del film (82 minuti). Zanoli indugia tantissimo sulla preparazione del pretorneo con scontatissime scenette che rendono dei poveri imbecilli le persone cosidette normali (il manager privo di scrupoli e l'insopportabile bionda amica delle mucche) e invece di contro elevano a valore coloro che la natura sembra aver punito. Sembra un dovere dire quello che è altamente scontato, potrebbe essere giusto considerando il messaggio per un target di piccoli e famiglie, peccato che lo si fa colpendo i nani invece indirettamente, in quanto nella storia prima che si accorgano che vengono presi in giro da coloro che li attorniano ci vogliono oltre che cose evidenti delle parole dirette addirittura. Bisognerebbe dire a Zanoli che i suoi protagonisti sono corti di altezza, non di cervello.
Tra l'altro a furia di tentare di farli sembrare simpatici a tutti i costi si raggiunge l'effetto opposto, dandogli una moglie e una figlia di statura normale diversi dagli altri cattivoni che continuano a non credere nelle loro grandi capacità da vino buono in botte piccola.
Per un ora si assiste a una continua sequela di banalità, noiosa e ripetitiva, (nelle ottiche di racconto suespote), sia per i piccoli spettatori (d'età, ovviamente) che i loro genitori. E dopo che Rodman si è redento, ha fatto pulizia della sua pelle cattiva e diventato candido come un giglio, inizia il torneo più banale degli ultimi tempi, dove il doveroso surreale lascia il posto allo sbadiglio, e che il finale alla "volemose bene nonostante tutto" nulla salva e anzi disturba.
Per un lavoro di tale facilità, pochissime pretese e target facile da accontentare, è abbastanza grave che si abbia alla fine un miscuglio di noia e buonismo fastidioso, che un regista inesperto e incapace liquida velocemente come fastidiosa pratica da sbrigare (evitando di pagare i grafici che protestano realizzando degli orrendi cartelli di presentazione delle partite sullo schermo, e anche gli effettisti che sul finale confezionano una scena ridicola).
Tenete conto che il doppiaggio, sia nella traduzione che nella vocalizzazione sonora, poi è la cosa più orrenda vista dai tempi di Shaolin Soccer, Cannavaro (alla fine del film sui titoli di coda c'è una mini intervista con lui) e Toldo saranno dei grandi campioni di calcio, ma è meglio che lascino ad altri il compito di eseguire voci sullo schermo. Nel film sono presenti anche le voci di una importante radio italiana (RTL, ampiamente citata) mentre per soddisfare la produzione si pubblicizza anche Yahoo! e altri marchi.
Se dovete vedere un film con un grande ex campione di basket rivedetevi Space Jam!, mentre dobbiamo constatare che l'unica cosa buona di questo film è l'ingresso omaggio ai bambini al di sotto dei 12 anni se accompagnati dai genitori, che sicuramente dimenticheranno questo film con la velocità di quanto è durato.
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nota : volevo ringraziare il forum per l'attenzione che dedica al topic, quasi 6000 visite sono un onore davvero immeritato e una grande soddisfazione per me che ne ho scritto una gran parte e lo aggiorno con i miei deliranti scritti grafomani lunghi e tediosi. un grazie al preparatissimo Mat e agli altri mod di discutere che mi hanno sempre spronato a non smettere di scrivere e ai miei 25 lettori (ma sono molto di più di quelli del manzoni invece). Thanks. lasciamo parlare il cinema che sa aprlare molto meglio ora.
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Come tu mi vuoi
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Un film di Volfango De Biasi. Con Nicolas Vaporidis, Cristiana Capotondi, Giulia Steigerwalt, Elisa Di Eusanio, Paola Carleo, Paola Roberti, Marco Foschi, Niccolò Senni. Genere Commedia, colore 107 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Medusa
Trama: Giada è una ragazza trascurata nel vestire, ma studiosa ed intelligente che ha una sorta di difficile convivenza con i dogmi della moda e dei vestiti firmati e griffati, stili e metodi di vita che odia in quanto la luccicante estetica dell'apparire è ben più ricercata della soddisfazione dell'essere. Ma un giorno trova sulla sua strada il giovane Ricky, ricco rampollo di famiglia la cui voglia di studiare è agli antipodi della sua voglia di divertirsi e godersi i soldi. Questi due mondi tanto diversi incominceranno ad incontrarsi nei gusti e nelle scelte dopo una scommessa di poco garbo ...
Commento: Davvero una bella piccola sorpresa questo film diretto da Volfango De Biasi (opera prima del regista anno di nascita 1972), remake del misconosciuto Kiss Me del 1999 di Robert Iscove (anche nella locandina), dove la Capotondi (divetta che ultimamente appare parecchio al cinema, recentemente nel pessimo film allo spray Scrivilo sui muri e questa settimana ne I Vicerè) è Giada, una ragazza sciatta e trascurata nel vestire e priva di trucco che si innamora di un ragazzo dell'alta borghesia dedito unicamente al divertimento in costosi club privè, interpretato dal suo compagno di avventure di Notte prima degli esami Nicolas vaporidis ( che recentemente ha interpretato Cemento armato facendo una parte drammatica). De Biasi abilmente introduce il cambiamento di Giada da brutta e insulsa nell'apparire in maniera graduale, non ha fretta di correre, la dipinge come una ragazza conscia dei suoi ideali e che lascia da parte le facili convinzioni illusorie di una tv trash fatta di veline (come l'inizio con i budini morbidi e dolci da mangiare senza mani iconizza) trasformandola poi successivamente in una schiava dell'amore che per rincorrere il suo sogno si trasforma, priva di pastoie e legami intellettuali non si controlla più e si perde nell'oblio di voler essere quello che il compagno desidera indipendentemente da tutto. Davvero un messaggio ben calibrato, reso ancora migliore dalla trasformazione del suo compagno, che dopo l'inizio per necessità e scommessa prende l'abbrivio di un cammino eciso per migliorarsi, facendo il percoso uguale ed inverso della compagna, quando lei diventa una drogata dei vestiti e lui invece perde la sua inutile vacua libertà per dedicarsi a migliorare non l'aspetto ma l'interno. La verità sta nel mezzo, e perdendo uno un pezzo della propria zavorra per l'altro riusciranno a volare, insieme o meno, senza più problemi.
La filosofia dell'essere rispetto a quella dell'apparire, la cosidetta bellezza interiore, viene scavata e ripresa in una chiave diversa e pregnante, non serve a niente negare la propria bellezza nascondendola dietro un aspetto dimesso (Giada non è brutta, ma solo trascurata) solo per partito preso, l'importante è evitare che questa ti ossessioni (l'amica e coinquilina, interpretata da Elisa Di Eusanio le dice "Non succede niente se per un giorno non ti vesti da zoccola!") facendola diventare una ragione di vita. La Capotondi non esita neppure a lanciarsi in una scena di nudo durante la fase "Monstre", dimostrando di avere le carte in regola per essere una possibile promessa mantenuta del cinema italiano (le bollenti scene di Volevo solo dormirle addosso già dimostravano questa sua inclinazione ed agio a girarle). In mezzo la algida ed altera presenza di Fiamma, l'amica di Ricky, (interpretata da Giulia Steigerwalt) sorta di femme fatale che per gioco e noia vuole ribaltare le teorie del brutto anatroccolo rincitrullito dall'amore, rendendola ridicola e dimostrandole che le cose che possiedi prima o poi ti possiederanno (citandolo da Fight Club), rendendoti schiavo delle stesse. Non ci potrai più rinunciare, non ci sono alternative e possibilità diverse.
Sfruttando il fatto poi che la Capotondi sia laureata in Scienze della Comunicazione, De Biasi modella il personaggio su solide conoscenze per facilitarla nell'interpretazione e nella convinzione delle idee, riprendendo in chiave universitaria (stessa cosa questa per Vaporidis) quella liceale di Notte prima degli esami. Il film ha un buon ritmo, diverte e non annoia, dura il giusto e ha un finale (anche se scontato) di misura a mezzo, rispettando quanto raccontato prima di filosofia. In definitiva una pellicola di basse aspettative iniziali (sembrava l'uso senza idee di due divetti per attirare teen) che invece si rivela una piccola sorpresa spuntata da dove meno te l'aspetti, priva di cose astratte ma piena di discorsi concreti, pronta a giudicare degli aspetti della società illusori e vacui senza mezzi termini per poi dimostrare come sia bello comunque avere certe cose condannate di idea o fare parte e godere le cose dolci di quel mondo che qundo è lontano sbeffeggiamo.
Deludente Vaporidis troppo monotono, ottima e coinvolgente la bifacciale Capotondi che nella versione lustrinata fa davvero girare la testa.
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La leggenda di Beowulf
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disponibile in alcune copie sia in 3d che in digitale 2k nelle sale specializzate
Titolo originale: Beowulf
Lingua originale: inglese
Paese: USA
Anno: 2007
Durata: 102
Genere: fantasy
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: Neil Gaiman, Roger Avary
Casa di produzione: Warner Bros
Interpreti e personaggi
Ray Winstone: Beowulf
Anthony Hopkins: Re Hrothgar
John Malkovich: Unferth
Robin Wright Penn: Regina Wealtheow
Brendan Gleeson: Wiglaf
Crispin Glover: Grendel
Alison Lohman: Ursula
Angelina Jolie: madre di Grendel
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Trama: In un antico regno Danese, Il re Hrothgar è minacciato dalle apparizioni nella sala dei banchetti del demone Grendel, che ogni volta che si festeggia qualche vittoria o si organizzano orgie appare seminando morte e distruzione tra i suoi soldati e il suo popolo. Disperato, viene chiamato ad aiutarlo per sbarazzarsi del demone un coraggioso guerriero di nome Beowulf, possente e di cui si raccontano mirabolanti imprese. Ma a quanto pare Beowulf è bravo con la spada ma nel contempo tanto bravo con la lingua a raccontare fandonie, ed è il momento di sapere quanto sia coraggioso sul serio dato che il demone sta per tornare ora che la sala delle lussurie è stata riaperta ...
Commento: Da un poema epico anonimo di circa la metà dell'VIII secolo. Robert Zemeckis (pupillo di Spielberg e indimenticabile regista della saga di Ritorno al futuro) è da due anni circa che sta pensando a questo ambizioso progetto, cioè di portare sullo schermo il poema epico anglosassone più lungo mai scritto. E si cimenta nell'impresa in maniera atipica, cioè utilizzando la tecnica del motion capture (usata anche nel film Polar Express) che permette di translare in computer grafica movenze e aspetto degli attori.
Utilizzando delle star di prima grandezza come Anthony Hopkins (che nonostante l'età non verdissima è quanto mai produttivo, è in queste settimane nelle nostre sale cinematografiche con tre film), Angelina Jolie (che però appare pochissimo, splendidamente dorata a nascondere le sue grazie, anche lei questa settimana al cinema anche con Un cuore grande) e John Malkovich (che fa Unferth), Zemeckis da una marcia autoriale in più a livello di recitazione filo shakespiriana a questo dramma epico, per poi trasformare i suio attori in pupazzosi figuranti animati immersi in mondi fantastici. Il film visivamente è uno splendore (se trovate la sala che lo proietta in digitale ovviamente preferite questo tipo di formato di visione a quella con pellicola classica), con paesaggi stupendi, mostri giganteschi che si muovono perfettamente, scene di battaglia apocalittiche dell'uomo contro gli abomini della magia e della natura, solo qualche volta dei movimenti in corsa dei cavalli e qualche personaggio nella scene di massa appare un po'scattoso.
A livello di storia, e qua sono le note dolenti, purtroppo siamo di fronte a un prodotto che conserva la linearità del poema epico, con l'eroe che affronta i mostri impavido, flette i muscoli, raccoglie consensi ma macchiandosi di un grave peccato di superbia per colpa anche di un non celato delirio di onnipotenza poi dopo deve fare i conti con le sue colpe. Le variazioni nella trama sono davvero minimali e tutte abbastanza scontate, le destinazioni del manufatto d'oro (autentico protagonista della storia) prive di sorpresa, il comportamento di alcuni personaggi del tutto stereotipato (il consigliere, il guerriero spalla fidato e via dicendo), intendendo ovviamente come lettura stereotipo una trasposizione cinematografica arrivata dopo altre opere che non riguarda la sua origine letteraria che essendo tanto antica è iniziatrice e non plagiatrice.
Ma lo spettacolo nell'ottica del godimento per divertimento è davvero grandioso: le grossolane fandonie raccontate da Beowulf sono rappresentate con un lavoro sopraffino e ridondante (come la voce di Pannofino, il doppiatore di Kurt Russell, che urla come non mai nella sua splendida carriera di prestavoce), la lotta finale è un caleidoscopio di inquadrature mozzafiato che la camera sembra non poter seguire tanto sono frenetiche, le apparizioni a corpo dorato della malvagia madre demone d'acqua (la Jolie) a dir poco suggestive, soddisfacendo appieno un pubblico che è venuto in sala per godersi le imprese muscolari e grandiose di un eroe indipendentemente dalle sue poche variazioni di evento, (con adattamento di scenggiatura da parte di Neil Gaiman e Roger Avary, uno famoso scrittore di comics e l'altro collaboratore alla sceneggiatura di Pulp Fiction e regista di Killing Zoe). In definitva un film che esalta le doti del guerriero/uomo oltre ogni limite come da tradizione scandinava, che vive per tutta la sua durata senza stancare o intorpidire, da guardare molto per la tecnica, sopratutto in un ottica da amanti di videogioco (molte scene sembrano tratte dal games God Of War con protagonista uno spartano di nome Kratos spaccamontagne come Beowulf, e un arma con il nome dell'eroe è presente in Devil May Cry), appesantito da alcune scene pensate per il 3d (vi sono anche alcune copie con questo standard) con oggetti che vengono contro allo spettatore (per valorizzare la tecnica multidimensionale) apparentemente per chi guarda una copia senza occhialetti senza senso. Un buon film privo di vero fascino, dove la leggenda poco approfondita nei risvolti umani, si perde per lasciar posto alla meraviglia del facino della lotta.
Una curiosità: il Grendel è interpretato da Crispin Glover, il George McFly di "Ritorno al futuro", il padre di Marty, mentre l'eroe a tutto tondo è nella vita l'attempato cinquantenne Ray Winstone (The Departed).
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Il nascondiglio
Uscita in sala: 16/11/2007
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Regia: Pupi Avati
Anno di produzione: 2007
Durata: 100'
Tipologia: lungometraggio
Genere: thriller
Paese: Italia/USA
Produzione: Duea Film, Rai Cinema; e Motion Pictures Midwest (Usa)
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interpreti:
Laura Morante (Lei)
Yvonne Sciò (Ella Murray)
Burt Young (Muller)
Treat Williams (Padre Amy)
Tom Röttger Morgan (Lester Murray jr.)
Rita Tushingham (Paula Hardyn)
Peter Soderberg (Las Shields)
Giovanni Lombardo Radice (Vincent)
Angela Pagano (Liuba)
Sydne Rome (Signora Wittenmeyer)
Angela Goodwin (Madre Superiora)
Marin Jo Finerty (Liuba da Giovane)
Chiara Tortorella (Egle Lanzillo)
Marina Ninchi (Signora Shields)
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Trama: nel 1952 durante una notte di neve poco prima di Natale avviene un terribile delitto in una casa dello Iowa gestita in maniera autoritaria da delle suore. Nel 2007 una donna chiamata semplicemente Lei decide di aprire un ristorante nella stessa casa rimasta chiusa per 55 anni. Ma delle strane vocine che provengono dalle intercapedini la impauriscono a tal punto da dover cercare aiuto per scoprirne l'origine che sembra collegata a quanto successo tanti anni prima ...
Commento: Sospeso tra pazzia e ragione, ecco arrivare il nuovo film di Pupi Avati (autore che si cimenta sopratutto in commedie, l'ultima fu La cena per farli conoscere ma che ha un particolare amore per i film a sfondo thriller parapsicologico, indimenticabile la sua ormai lontana La casa dalle finestre che ridono), ambientato non in atmosfere padano/italiche ma nello Iowa, in una zona isolata immersa nella campagna.
La vicenda di Lei (una Laura Morante chiamata a una parte meno impegnativa dei suoi soliti intensi ritratti di donne disadattate o impegnate nella cornaca) si snoda ricollegandosi a un luttuoso fatto successo 55 anni prima durante una fredda notte di Dicembre, quando due ragazze sparirono nel nulla in una grande casa denominata "Dei serpenti" diretta in maniera dispotica e severa da delle suore senza troppi scrupoli.
Lei è un personaggio con gravi problemi psichici dovuti a un terribile evento, e una volta uscita di clinica decide di ricostruirsi una vita aprendo un ristorante ma la malasorte le affida un luogo tutt'altro che ideale per farlo.
Avati decide di far parlare la casa per trasformare le sicurezze del luogo che ci dovrebbe ospitare e proteggere in insicure trappole/prigione, dove l'ospite che ci minaccia è l'atavico inquilino che vede in noi un intruso.
La voce in falsetto che sbiascica l'immortale "Magic Moment" attraverso le grate è perfetta per incutere paure, come lo sono gli sguardi impauriti della protagonista attraverso gli angusti corridoi delle intercapedini, segno della paura di mezzo dello sguardo che abbandona la luce per entrare nel buio più tetro.
Giocando su questi elementi i momenti di suspance sono molto alti, la tecnica ormai lontana di mettere il rumore altisonante per marcare l'evento ancora valida, tutti nella casa è soffuso di vero mistero, il peccato purtroppo non è l'inside (praticamente perfetto per una tipologia di lavoro come questo) ma l'outside, quello che succede al di fuori della casa è del tutto privo di fascino, con momenti quasi imbarazzanti della ricerca della verità e l'incontro con una informatissima pseudo amica (una insulsa Yvonne Sciò) con (guarda caso) figlio a carico che aiuta sempre per aumentare il pathos dato che essendoci un minore presente il coinvolgimento dovrebbe essere maggiore.
Personaggi secondari (che in film di tale ambientazione sono basilari per la buona riuscita del tutto) tratteggiati davvero male, come quello del prete digrignante che sembra lanciare con gli sguardi maledizioni (interpretato da Treat Williams) oppure quello enigmatico di Muller (interpretato da Burt Young, ricordabile per essere stato il Paulie di Rocky). E il tutto non ha neanche le atmosfere magiche Padane che Avati seppe mirabilmente creare, calando così in un gusto italiano della ripresa luoghi che non sanno evocare nulla di davvero empatico con quello che vediamo nella casa maledetta.
Come di solito capita, vengono recuperati nomi ormai scomparsi dalla scena da tempo (troppo anziani probabilmente per fare reality) come l'incartapecorita Sidney Rome, che invece di fare atmosfera dimostrano la mancanza di sinergia con il palcoscenico abbandonato da tempo.
In definitiva Avati con questo film fa un passo indietro costruendo un mezzo lavoro, monotono nelle sue meccaniche di costruzione e prosecuzione del motore della storia, perfetto invece nelle atmosfere degli interni, peccato che la casa del mistero non sia ovunque ma soltanto in determinati momenti del racconto.
Film come di consueto per il regista quando gira questo tipo di prodotti praticamente privo di effetti speciali, da guardare e privilegiare sempre e comunque rispetto ai prodotti scialbi di genere horror teen americani.
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L'abbuffata
Titolo originale: L'Abbuffata
Nazione: Italia
Anno: 2006
Genere: Commedia
Durata: 102'
Regia: Mimmo Calopresti
Cast: Gérard Depardieu, Diego Abatantuono, Donatella Finocchiaro, Paolo Briguglia, Nino Frassica, Donatella Finocchiaro, Valeria Bruni Tedeschi, Lele Nucera, Lorenzo Di Caccia, Elena Bouryka
Produzione: Dania Film, Gagè Produzioni, Istituto Luce, RAI Cinema
Distribuzione: Istituto Luce
Data di uscita: Roma 2007
16 Novembre 2007 (cinema)
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Trama: nello splendido paesino di Diamante, in Calabria, succede davvero poco o nulla. Per sfuggire alla noia e alla assoluta mancanza di stimoli, tre ragazzi volonterosi decidono di girare un film sulla loro terra riprendendo la storia di un amore emigrato trenta prima e che ora sta per tornare. Dopo aver affrontato la placida flemma del paesino per nulla entusiasta dell'idea, i tre decidono di partire per Roma per cercare un grande attore da reclutare. Insospettabilmente, alla fine i loro sforzi sembrano essere stati premiati, ma ...
Commento: Mimmo Calopresti (La felicità non costa niente) dirige con poca fantasia e senza vera convinzione questa pellicola che è un film nel film. Quattro amici, tra cui due fratello e sorella, (interpretati scialbamente da Paolo Briguglia, Lele Nucera, Elena Bouryka, Lorenzo Di Ciaccia), sono determinati a girare un film per dare alle loro vite monotone nel paesello dimenticato una frustata di energia. La composita popolazione di Diamante (splendido borgo della Calabria) però non ne vuole sapere di impegnarsi a fondo, partendo dalle menti più aperte e interessate che dovrebbero essere i primi a doverlo accettare, come il guru cinematografico ritiratosi a contemplazione e che propone film di Fellini alla piazzetta (Diego Abatantuono), oppure il professore ritiratosi che dovrebbe conoscere l'inglese e che non accetta la parte perchè deve tingersi i capelli (Nino Frassica).
Calopresti per uscire dal pantano di una storia ferma e sospesa tra omaggi felliniani e tanti nostalgici (ma in fondo vuoti e platonici) richiami di quanto era bello il cinema italiano del passato (con una incredibile frase aggancio di un ragazzo amante della settima arte vissuto su Giove fino ad ora che non sa chi è Martin Scorsese, facendo dichiarare ad Abatantuono che bel paese in celluloide viene visto con occhio migliore e più critico dagli stranieri), trasferisce poi il tutto con stile da gita turistica a Roma, alla febbrile ricerca della star che potrebbe interpretare il redivivo amore tornato dopo trenta anni come da copione. Siamo di fronte comunque ad un gioco monotono e poco calibrato della logica degli entusiasmi spenti e riaccesi che i quattro anonimi ragazzi male trasmettono, dove tutto tende a cristallizzarsi per omaggiare in lungo e in largo presentando anche delle macchiette orribili (come quella del prete giovane che ripete le stesse cose all'infinito "A Diamante si possono solo avere battesimi, matrimoni e funerali") fino a giungere alla cosa più monotona ed insulsa come la critica alla tv spazzatura durante la trasferta romana. L'apparizione di Flavia Vento è il cameo meno desiderato della storia del cinema, mentre la scena stile Grande Fratello serve per ribadire l'ovvio senza nessuna valida nuova proposizione.
Allungando il brodo con frasi fatte, interviste, piccoli amori infranti e ripresi, intervallando la storia in capitoli-frammento con delle scene delle onde del mare che si infrangono sul molo (luogo d'incontro spirituale dei ragazzi con lo spento e sconsolato guru ormai pietrificato mentalmente nei tempi che furono) tutto si avvicina stancamente verso la fine dopo la grande sorpresa dell'arrivo sconvolgente della star (e che star!), con la morale che in fondo certe volte è inutile tentare di portare cose nuove, dato che i tempi nuovi sono talmente beceri, inutile contaminare il perfetto odierno radicato nel passato, anche se statico.
A questo proposito la chiusura della storia non ammette altre letture, con la scena agonizzante/morituro televisiva, e le luci si riaccendono sull'ennesimo omaggio dopo l'abbuffata (titolo omaggio a Mastroianni più volte citato).
Valeria Bruni Tedeschi fa la fidanzata amorosa (che fornisce la motivazione per cui arriva e si conosce la Star) di Depardieu (convinto chissà come a partecipare a questo film), mentre Donatella Finocchiaro fa la barista del borgo.
In definitiva un film monotono e inconcludente, che pastrocchia con temi da cineforum senza minimamente essere incisivo nel svilupparli, con interpreti presenti solo per dovere di firma che vero entusiasmo, girato quasi come un filmino familiare con la grave colpa che invece si voleva fare altro partendo da dogmi e stili poveri. Tranquillamente evitabile.
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Matrimonio alle bahamas
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Regia: Claudio Risi
Genere: Commedia
Durata: 104'
Cast: Massimo Boldi, Anna Maria Barbera, Biagio Izzo
Trama: dopo una tremenda delusione d'amore, Valentina, che ha vinto una borsa di studio in America, decide di sposare Bob un americano che inaspettatamente si rivela essere ricchissimo. ma la famiglia di lei, milanese/romanaccia buzzonica, all'arrivo alle Bahamas combina dei veri disastri con comportamenti del tutto inadeguati alla situazione ...
Commento: Stavolta il cinepanettone di Boldi è stato anticipato di un mese rispetto al solito per non scontrarsi (e perdere, come l'anno scorso) il confronto con DeSica. Il cipollino nazionale è (ma guarda caso) un padre preoccupato per le sorti della figlia (la bella Lucrezia Piaggio), che deve anche tenere a bada le tendenze del cognato Oscar dalla manolesta troppo facile. Tassinaro milanese di professione che opera a Roma, Cristoforo Colombo (eh si, si chiama davvero così) dovrà saggiamente orchestrare il matrimonio della progenie in una terra ricca e lontana, figlia che si sposa con un ragazzo di estrazione familiare tutt'altro che vicino a quello delle sue umili origini di lavoratore sacrificato ma di buoni propositi. L'amorevole moglie (Anna Maria Barbera in arte Sconsolata) gli sarà vicino nell'impresa mentre il resto del gruppo familiare farà di tutto per rovinare ogni cosa in preda a un delirio buzzicone con comportamenti del tutto inadeguati alla situazione snob. I fratelli Vanzina, responsabili di tanti scempi cinematografici per pubblici oceanici, orchestrano la sceneggiatura di una commedia qualunque, basata su concetti strabusati dove si scontrano le famiglie ricche oltre ogni limite dai comportamenti altolocati con la massa italiana di trasferta che si rivela sempre come delle cavallette impazzite pronte a distruggere ogni cosa al suo passaggio. Sfruttando due tronconi di trama, prima ci fanno capire le motivazioni di un matrimonio tanto affrettato, poi dopo collocano i personaggi che abbiamo conosciuto nella nuova realtà (locations da sogno e yacht principeschi) in modo da preparare a dovere lo scontro culturale per suscitare situazioni che dovrebbero essere ilari e invece sono pedestri.
Le cose, in fondo, sono sempre uguali, con presente la bellona di turno (una procace e provocante Victoria Silvstedt al pieno della siliconica forma fisica in costumi supersuccinti) come era già venti anni fa, con rutti e versi inappropriati vari (giustificati dal dover marcare la natura buzzica dei personaggi), i cugini/parenti messi lì per fare un po' di colore (sono gli orrendi Fichi d'India) e le espressioni contrite di Enzo Salvi sono le mossette e le recitazioni forzate che ormai non fanno più ridere nessuno (e nelle sue imprese ci va di mezzo pure un povero cagnolino, sembra che nei cinepanettoni ormai sia d'obbligo introdurre questo elemento).
Biagio Izzo, che fa il ricco italiano che ha fatto fortuna in America ma ancora innamorato del belpaese, riesce almeno a calibrare un personaggio senza eccedere come fanno tutti gli altri, tutti protesi a difendere la propria classe sociale dal "nemico" esasperando la propria natura. Alla fine abbiamo anche un colpo di scena che chiude la vicenda con tanta fretta e senza farci vedere nuove prospettive perchè sono arrivati i fatidici 100 minuti canonici ed è ora di chiudere baracca e burattini.
Claudio Risi (figlio di Dino Risi) è in regia a fare lo yes man senza scampo, con il solo scopo di riprendere figuranti senza poter minimamente avere diritto di scelta, blindato da una sceneggiatura piatta come deve essere e dovrà essere finchè ci sarà Boldi & Co, che evita addirittura di riprendere tramonti e albe in maniera propria ma usa immagini di repertorio.
Non si può che ripetersi sempre (la recensione dell'anno scorso di Olè era alquanto simile), sono prodotti del tutto innocui ma onesti, idenficati da subito nel loro bassissimo valore di puro intrattenimento che il pubblico conosce a menadito, anche stavolta non c'è nulla di nuovo, per cui chi entra sa cosa trova e non si lamenti dopo. Bisogna accontentarsi delle splendide spiagge che da turisti vedremo solo dopo risparmio notevole, peccato vengano rovinate da figuranti e addirittura rime rap balordamente messe in bocca al figlio di Boldi. Noi non possiamo che confermare questi platonici assunti, se non chiudere la recensione con il segnalare il fatto che giocare d'anticipo senza cercare valore di qualità alla fine non porterà grandi risultati perchè a furia di vedere in maniera sempre uguale conviene prendere un dvd di Natale passato piuttosto che pagare biglietto ogni volta.
Cameo di Solange e Gigi marzullo.
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The Matador
Regia: Richard Shepard
Genere: Thriller
Durata: 90'
Cast: Pierce Brosnan, Greg Kinnear, Hope Davis
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Trama: Per Danny, mite uomo d'affari, che ha avuto la casa devastata da un albero del suo giardino caduto durante una notte di tempesta, sono in arrivo grossi guai finanziari. Una trasferta in Messico per lavoro però gli permette di incontrare Julian, un killer a pagamento in grave crisi nervosa. Incredibilmente due persone tanto diverse potrebbero essere la soluzione dei problemi l'uno dell'altro ...
Commento: il quadruplice interprete di James Bond, Pierce Brosnan (Golden Eye, Il domani non muore mai, Il mondo non basta, La morte può attendere) ha partecipato a questa lineare commedia noir, produzione del 2005, probabilmente perchè al tempo era voglioso di strapparsi le vesti del gentiluomo agente segreto di Sua Maestà interpretando un crudele e insensibile killer a pagamento, tabagista e alcoolista, che tratta le donne come oggetti solo da usare per soddisfare le sue voglie sessuali senza limite (in una scena sembra voglia adescare anche una ragazzina). Il cosidetto "dissipatore di problemi in maniera drastica" è un personaggio estremo, per nulla romantico, mosso solo dai compensi da spendere per vivere al massimo una vita dissoluta. Apparentemente invecchiato più del suo vero stato anagrafico e in una versione baffuta, Brosnan non accetta nessun compromesso, dice una barzelletta oscena (di cui non sapremo mai la fine) a un padre che gli racconta del figlio morto, incancrena di marcio il suo personaggio fino alla svolta, fino a quando cioè il buddy-buddy così strano si forma, quando Danny (Greg Kinnear, presente in Little Miss Sunshine e visto recentemente in Fast Food Nation), in piena crisi finanziaria lo ascolta, si confronta con lui e i due mondi tanto lontani e distanti entrano in osmosi, aiutati anche dalla dolcezza della moglie di Danny (vista ne L'Imbroglio - The Hoax, ideale e perfetta per questa parte acqua e sapone).
Il film è giocato totalmente su questi dualismi agli antipodi, dove un killer crudele senza scrupoli si ritrova imperfetto, nevrotico, sull'orlo della follia, e soltanto il più buono delgi uomini potrebbe ridargli un po' di sicurezza, sopratutto per il fatto che anch'esso dovrà perdere la sua purezza per cercare di risolvere i gravi problemi finanziari che lo affliggono.
Commedia noir non molto riuscita (fa molta fatica a tenere desta l'attenzione nonostante duri solo 90 minuti), deve il suo titolo al fatto che il personaggio di Brosnan adora vedere le corride (c'è una lunga scena in cui Julian e Danny fanno amicizia immersa in una arena dove intanto che i due parlano un abile matador compie il rituale) e come un grande matador agisce con un colpo solo (filosofia de Il cacciatore DeNiro) per porre fine alla vita del bersaglio e chiudere il suo contratto. Il ritmo è molto blando, i fatti salienti che avvengono davvero pochi, l'introspezione morale e umana, anche se da dover fare in chiave comedy, insignificante (fatto grave questo perchè fattore essenziale per un film che parla di paure e nevrosi da stress , anche se dovute a motivi tanto inconsueti da essere un killer) annacquando il tutto molto velocemente e con semplicità. Davvero pateticamente ridicoli i momenti quasi onirici dello stress di Brosnan, con se stesso che vede una sua vittima come se fosse lui bambino, oppure quando si immedesima nell'essere lui il destinatario del colpo di fucile da cecchino. Come è ugualmente senza nessun fascino l'incontro con il terzo polo, la tenera moglie di Danny che annuisce senza problemi a racconti di spargimento di sangue per meri motivi di denaro. Richard Shepard (regista televisivo e che poi avrebbe diretto Richard Gere in The Hunting Party) al tempo era molto acerbo, e per paura di trovare vicoli ciechi di storia, e forse per il fatto che dirigeva due star, evita nel modo più assoluto di approfondire assunti al di là di quelli tratteggiati all'inizio e di cui si è detto, si limita a riprendere senza autorialità lunghi discorsi e banali situazioni, cercando di impreziosire il tutto ogni tanto con qualche perla di saggezza che comunque anche l'essere umano più becero ha del buono dentro di lui.
In definitva una commedia noir a due che non è il peggio del peggio, fila via tranquilla per una serata d'evasione di nessuna pretesa e dalla corta durata, ma troppo semplice e troppo banale che si può comunque di vedere senza nessun problema anche in televisione, che si scorda subito dopo averla vista. Un divertissement disimpegnativo per chi l'ha fatta e recitata, figuriamoci per chi la vede.
Da censurare i fastidiosi cartelloni con scritte gigantesche che appaiono con i nomi delle città ogni volta che il killer itinerante per il mondo raggiunge una nuova destinazione.
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una autentica perla imperdibile
recensione della settimana del 23 novembre 2007 1 di sette
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Across the Universe
Un film di Julie Taymor. Con Jim Sturgess, Evan Rachel Wood, Joe Anderson, Dana Fuchs, Martin Luther, T.V. Carpio, Spencer Liff. Genere Commedia, colore 131 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Sony Pictures
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Trama: Inizi anni 70, il giovane Jude, stanco della vita monotona e ripetitiva dei docks di Liverpool, si reca a New York a cercare nuovi stimoli emozionali. Lì trova una città in fermento culturale creativo ma anche in piena protesta contro la disastrosa guerra in Vietnam che sta mietendo vittime tra i ragazzi Americani. Lì però incontra anche l'amore, che ha la faccia pulita di una ragazza bionda e degli altri giovani in cerca di indipendenza personale. Il gruppo costruitosi attorno alla figura della cantante Sadie sembra rimanere fuori dal coinvolgimento diretto della guerra, se non fosse che all'improvviso uno di essi viene chiamato al reclutamento ...
Commento: Una spiaggia, un uomo solo, improvvisamente arriva il canto che riempie la solitudine e toglie le barriere dello spazio per calare il nostro status di singoli, in nome della musica gli animi si riempiono e non siamo più soli. Così parte questo bellissimo Across the universe diretto da Julie Taymour (autrice di Frida con Salma Hayek) strepitoso omaggio agli immortali versi resi con anima sonora sublime dei Beatles, che fanno da autentico leitmotiv e motore del racconto. Jude (il nome del protagonista è riferito di fatto alla canzone con ritornello che lo ricorda) è il traghettatore di emozioni che unisce idealmente la città dei quattro scarafaggi (una Liverpool grigia e monotona, senza emozioni e dalla vita qualunque) alla America fine anni sessanta sconvolta dalle vicende del Vietnam.
Come per altri film musicali la grande ferita americana (oggi chiusa per via di quelle nuove aperte e in fondo ricordata e ripresa più dal cinema che da altri riferimenti storico/culturali odierni) non è vista direttamente nel suo svolgimento (le scene belliche sono intense ma brevissime) ma quanto più nelle sue conseguenze sull'humus socio culturale della popolazione, con il convivere dell'evento dei movimenti hippie e della pop art del pre/dopo Woodstock. La regista non lesina di fornire iconografie dirette sin da subito, come la scritta Freedom sul ponte vicino al luogo dove Jude e Prudence fanno l'autostop, oppure con frasi al vetriolo che condannano il falso perbenismo (“siete tutti così pulitini, e poi potreste essere quelli che ammazzano a martellate nonna” dice Sadie) o altre che indicano di guardare dentro nell'animo e non solo all'apparenza ( “Non c'è specchio nel bagno” indicando la necessità di andare ben oltre a un lavaggio esterno con il sapone).
Il film vive di incredibili momenti onirici (bellissime sia le coreografie del balletto nella caserma al momento del reclutamento, tante quanto quelle stile Atalante nell'acqua oppure quelle psichedeliche del circo con gli uomini blu) ma il tutto è calato in una atmosfera serissima di condanna alla guerra, di ricerca della libertà personale come quella culturale di tutti senza dover poi diventare come chi si condanna (“credevo che le bombe le usassero gli altri”) per eccessiva folle miopia nel perseguire i propri ideali. Le parole dei Beatles vengono messe addosso a personaggi di ogni estrazione sociale (neri, disadattati, mendicanti, uomini comuni di strada) e modificati di stile, con un gusto incredibile per la sperimentazione intelligente. Impossibile non emozionarsi mentre sui tetti si canta “All you need is love”, mentre tutto intorno parla di odio e di incomprensione, con la legge che teme più i canti di protesta che gli atti criminali densi solo di odio.
Come si sottolinea “La musica è l'unica cosa che riesce ad avere un senso per poter scacciare i demoni” quando l'intransigenza delle parti non permette nessun dialogo.
Le scenografie non sono ricchissime, fondamentalmente l'arte che ne compone gli elementi visivi è abbastanza povera, ma i balletti sono talmente densi di fascino e pieni di arte da lasciare impietriti dall'emozione (e ci scappa pure una citazione de Il grande Lebowsky), in un graduale riversamento dal terreno all'onirico (come dimostra il cambiare del titolo del bar dove vanno i ragazzi da Delicatessen a Psychedelic Delicatessen). Sul lato attoriale (in fondo privo di grandi nomi) bravissimo Jim Sturgess (che fa Jude) mentre la bionda protagonista Evan Rachel Wood (dopo Thirteen e Down in the valley una bella conferma) è il ritratto acqua e sapone di un america che da Happy days diventa da Scream days (facendoci perdonare la citazione di un serial tv del 1974 nella creazione è posteriore alle date degli eventi del film).
Un film in definitiva stupendo, perfetto nel voler trasmettere in maniera completa un messaggio, grandioso nel chiudere un cerchio narrativo e dalla narrazione originale e suggestiva utilizzando le canzoni immortali di un tempo che fu. Attraverso l'universo d'accordo, ma anche attraverso l'animo di noi tutti per un film imperdibile che non deve per nessun motivo essere tralasciato, indipendentemente che piaccia il film musicale o meno in quanto buca completamente il genere per rivolgersi a tutti noi in maniera completa, donando un messaggio di pace e amore unico non platonico. Perderselo sarebbe davvero imperdonabile, anche se non si capisce perchè ogni tanto i sottotitoli italiani (essenziali in un film che muove le immagini e il racconto con la comprensione dei testi delle canzoni) spariscono senza senso. Guest star Bono Vox nella parte di un folle imbonitore stile circense.
Hey Jude ...
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Factory Girl - la vera storia di Andy Warhol
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Un film di George Hickenlooper. Con Sienna Miller, Guy Pearce, Hayden Christensen, Jimmy Fallon, Jack Huston, Armin Amiri, Tara Summers, Mena Suvari, Shawn Hatosy, Beth Grant. Genere Biografico, colore 90 minuti. - Produzione USA 2006. - Distribuzione Moviemax
recensione 2 di 7
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Trama: Edie Sedwich è una ricca ereditiera con un passato oscuro fatto di scabrosi segreti per via di vicende legate al padre occorse quando era ragazzina. A metà degli anni Sessanta, annoiata e senza particolari stimoli, incontra il cantore della pop art Andy Warhol. Affascinata dalla sua arte si perde nel suo mondo perverso e trasgressivo, che le costerà parecchio a livello economico e dal quale sembra davvero non riuscire ad uscirne nonostante la dipendenza da droghe le possa costare davvero molto per la salute ...
Commento: I film su Andy Warhol (ricordiamo “Ho sparato ad Andy warhol” del 1996 di Mary Harron) di solito non sono incentrati principalmente sulla figura dell'artista in se stesso, ma si dedicano soprattutto a raccontare gli effetti normalmente devastanti che l'influsso estremo e fuorviante dell'artista legato alla possenza dei genitali maschili ha (nel film in alcuni punti arriviamo ad autentiche odi su centimetri e fascino della forza del fallo, compreso quello di un cavallo), effetti che non vengono evitati neppure con disperate fughe per fare ritorno alla realtà abbandonata per immergersi completamente nel mondo della cosidetta “Factory di Warhol”, il suo capannone arredato in maniera spartana e originale secondo un gusto del tutto personale dove si girano i filmini amatoriali che molte volte sono stati tacciati a giusta logica di pornografia.
Edie Sedgwick, la Factory Girl del titolo, (interpretata da una Sienna Miller, presente in Casanova, a dir poco strepitosa, pronta ad abbruttirsi e a spogliarsi senza nessun problema, calata perfettamente nella parte) di fatto la fuga la tenta metaforicamente correndo come una disperata per una New York tempestata di Warhol Style (il famoso poster al negativo di Marilyn è davvero dappertutto), sin dall'inizio del film che poi si sviluppa come un lungo flash back che ne racconta la storia partendo dall'inizio dove il lungo baratro di droga e sesso era iniziato. Warhol viene descritto come un genio estroverso ma volubile, che definisce il cinema capriccioso nei business e che cerca di essere pessimo facendolo però bene. La cosa più suggestiva è sicuramente il suo tentativo di sbattere in faccia all'America l'America, dove i lati nascosti che vengono chiusi allo sguardo esterno lui li porta in superficie rivoltandoli come un calzino, senza problemi se siano maschili o femminili (“Tu sei il re delle checche” dice il padre di Edie a Warhol). Con il senso di oggi per la guerra antifumo di fatto è straniante vedere tanta nicotina sullo schermo, con addirittura nugoli di persone che fumano allegramente in una sala cinematografica senza nessun problema. Warhol alla fine degli anni sessanta era diventato un riferimento delle culture eversive, per cui anche la sua musa Edie si trasformò in questo, diventando eccessiva e in continua necessità di trovare nuove forme di proposizione spinti da droghe e sesso facile, tenendo conto che il genio artistico era anche un uomo estremamente legato a quanto le persone lo ispirassero.
La Factory di fatto diventa un rullo compressore di persone, usate e gettate senza problemi. Tra l'altro la dipendenza dall'appartenere a quel mondo è totale (di fronte all'ennesima dimostrazione di assoluto menefreghismo nei suoi confronti Edie dice “Io non riesco ad odiarlo!”), e neppure il possibile amore verso un famoso cantante folk la fa uscire dal baratro la convince ad uscire. Sarà solo quando fisicamente ci sarà un altra musa presente (prima una ragazza praticamente uguale a Edie, un clone buono tanto come l'originale per sottolineare il disprezzo per le persone e il fascino solo estetico più che umano diu Warhol per le cose, poi una fascinosa tedesca alta e possente simbolo più maschile che femminile sogno fallico/ermafrodita contemporaneo) che Edie capisce tutto ma ormai sarà troppo tardi e dopo un lungo periodo di cura (ogni tanto si vede la Miller che imita delle interviste post evento in cui si sta disintossicando) morirà a soli 28 anni.
Il regista George Hickenlooper (lo ricordiamo per The Killing Box del 1994) intervalla fascinosi bianco e nero dei filmini amatoriali alla vicenda vera propria, tutta girata con fotografia sgranata per sottolineare il tono del film di persone sempre incomplete alla ricerca continua di obbiettivi che in fondo di preciso non sanno neppure loro dove possono portare.
Il ritratto della sfortunata brevemente temporanea musa di Warhol è appassionato, coinvolto ed interpretato benissimo (oltre alla strepitosa Sienna Miller anche Guy Pearce, che era protagonista in Memento, tratteggia un ottimo Warhol spocchioso e altero nei comportamenti), senza nessuna edulcorazione o antipatici formalismi di stile (il divieto ai 14 anni di fatto è per le scene di nudo ma soprattutto per quelle di iniezioni di droga che potrebbero dare un messaggio fuorviante di essenza imprescindibile valore artistica nell'atto). Un film da vedere senza nessun particolare tipo di background, efficace ritratto dedicato ad una ragazza ricca ingenuamente incapace di gestire il fascino che un artista totalmente fuori dagli schemi ha esercitato in lei, consigliato per una serata di impegno e di approfondimento non pesante su un artista controverso (consigliata la visione abbinata con lo stupendo Across the universe sugli schermi in questi giorni).
Sui titoli di coda miniinterviste agli invecchiati protagonisti del tempo e una del 1971 al vero Warhol.
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