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1408
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recensione 3 di 7
Un film di Mikael Hafström. Con John Cusack, Samuel L. Jackson, Mary McCormack, Jasmine Jessica Anthony. Genere Horror, colore 104 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Lucky Red
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Trama: le stanze d'albergo si sa sono inquietanti di natura. Mike è un autentico esperto di esse, da quando ha perso la figlia cerca disperatamente di riuscire a scoprire l'esistenza di fantasmi dentro a qualcuna di esse, ma apparentemente la ricerca non dà frutto alcuno. Un giorno gli perviene una cartolina in cui c'è una sinistra segnalazione “Dolphin Hotel, non entrare nella 1408”. Speranzoso che sia la volta buona, si reca nel luogo per provare la veridicità sulla maledizione della stanza e dei suoi 56 misteriosi omicidi/suicidi ....
Commento: Da un racconto di Stephen King. Niente case disperse nelle campagne oppure dimore grigie e diroccate per questo film dal titolo solo numerico del regista Mikael Hafström (Derailed - Attrazione Letale del 2006), ma un grande albergo lussuoso nel centro della New York di tutti i giorni.
John Cusack (lo ricorderemo soprattutto per Alta Fedeltà dal romanzo di Norby) è il protagonista praticamente unico (Samuel L.Jackson appare praticamente per 5 minuti ma con una presenza di gran classe) di questo thriller a sfondo parapsicologico/esoterico dove una stanza (non una casa) maledetta proprio non vuole saperne di essere accogliente nei confronti di chi ospita ne tantomeno come in questo caso di chi la sfida. Il racconto, lo diciamo subito, purtroppo è claudicante e senza troppa fantasia, diretto oltretutto con poca energia e fantasia da un regista probabilmente troppo inesperto per agire al confronto di produzioni di questo tipo (effetti sufficenti racchiusi in pochi metri quadri ma inquadrature assolutamente anonime che si limitano ad essere leggermente diverse solo per quelle dall'alto, cercando di creare una sorta di presenza maligna sulla testa del protagonista). Di contro a una buona progressione della costruzione del mistero nelle sue spiegazioni, partendo dal bodynovelcount nella stanza chiusa del direttore Jackson fino all'incontro con mobili e arredamento prima anonimi e poi minacciosi, c'è purtroppo una continuazione del tutto priva di fascino su cosa avviene, con azioni ripetitive e meccanismi fin troppo abusati che dopo un po' stancano. Accostamenti banali d'idea con futuri eventi nei quadri, finestre che portano fuori in una specie di mondo tasca parallelo, cambiamenti di clima privi di ogni spessore narrativo (un termostato maledetto), la supertecnologia che non aiuta nulla in quanto servono nervi saldi e piena convinzione dei propri mezzi, accatastano minuti che alla fine sono solo per riempimento della metratura, rese oltretutto ancora più banali dalle citazioni di altre opere di King poco convincenti, come la radio derivazione di Christine (senza contare per quella della casa maledetta più famosa, quella di Psycho 1 presente sulla tuta da sub).
Gli spaventi poi non sono efficaci, male articolati e senza il giusto senso dell'inganno verso lo spettatore che non si dovrebbe aspettare il loro arrivo.
Cusack tra l'altro non ha proprio la faccia da ruolo per questo tipo di interpretazioni, tenendo conto che effettua espressioni sempre uguali di stupore sena mai voler caricare l'intensità, e la differenza si vede nel breve spazio dove arriva Jackson che domina completamente.
Se poi tenete conto che il finale è del tutto privo di vero fascino e di grande originalità, potrete ben dedurne che alla fine da salvare c'è davvero poco.
In definitiva un film dagli spaventi innocui e dal pathos praticamente nullo, ottimamente orchestrato in campagna pubblicitaria da un ottimo trailer e con un tema affascinante, affidato in maniera totale ad un interprete solista inadatto e ad un regista di valore anonimo che prende spunti da temi che avrebbero fascino in altre ambientazioni, che regala ben poche emozioni durante il suo percorso, colpevolizzando nel giusto una trama ripetitiva e poco ispirata che sarebbe stata salvata solo da un finale e spiegazione eccezionale dei come e dei perchè che purtroppo non è pervenuta. Intrattenimento con brividi innocui da cinema leggero di seconda serata.
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Milano-Palermo : il ritorno
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Milano Palermo - Il ritorno
Un film di Claudio Fragasso. Con Giancarlo Giannini, Raoul Bova, Ricky Memphis, Simone Corrente, Romina Mondello, Gabriella Pession, Libero de Rienzo, Enrico Lo Verso. Genere Azione, colore 95 minuti. - Distribuzione Buena Vista
seguito di Palermo Milano solo andata.
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Trama: il ragioniere della mafia Turi Leofonte ha passato 11 anni in carcere per le sue colpe, dopo aver collaborato da pentito con la giustizia. Ora è libero, ma rischia di finire nelle ire di Rocco Scalia, il nuovo boss nel frattempo insediatosi, intenzionato a mettere le mani su un tesoro nascosto da Leofonte, che secondo le intenzioni di questi dovrebbe finire invece per i nipoti. Per il trasporto all'inverso rispetto a quello iniziale viene chiamato ancora Nino Venanzio e la sua squadra. La partenza da Milano viene però messa subito in pericolo da una misteriosa talpa che rivela al boss Scalia il percorso studiato da Venanzio che dovrebbe essere segreto ...
Commento: undici anni dopo Claudio Fragasso (mediocre regista di horror di serie b che si firmava Clyde Anderson) torna a raccontare la vicenda del pentito di mafia Turi Leofonte (Giancarlo Giannini) e del suo rapporto di odio/fiducia con chi lo scorta, cioè l'ufficiale calabro Nino Venanzio (Raoul Bova). Facendo il percorso all'inverso, questo rapporto si trasforma, diventa una sorta di rispetto dovuto anche perchè il ragioniere della mafia smette di usare solo con i numeri e dimostra buoni sentimenti verso i propri cari in pericolo. Film di ampia derivazione televisiva (le meccaniche sono praticamente identiche a quelle della "squadra" o di "distretto di polizia") vive i suoi momenti migliori (di fatto gli unici) sulla tensione degli inseguimenti e degli spari, che occupano gran parte del film, cadendo in maniera verticale poi in situazioni ridicole quando le pistole non parlano e si devono mostrare invece i sentimenti oppure i rapporti umani. Riprendendo situazioni da Padrino (sottolineate dalle ottime musiche di Pino Donaggio) la battaglia urbana iniziale avviene sotto una cupola mentre si stava assaporando il suono di una romanza, e ci ricordiamo del lavoro di Coppola anche quando il piccolo Toni deve prendere una decisione sull'autistico Stefano, a paradigma di un baby Michael Corleone. Fragasso all'inizio prima di partire con il lungo inseguimento e la continua sequela di sparatorie (la trama è tutt'altro che approfondita, in fondo è tutta qui) ci mostra che anche i poliziotti hanno una famiglia (la Pession e Libero de Rienzo sono divisi per una scappatella di lui ma il figlio li può riunire), facendolo addirittura dire al pessimo Ricky Memphis per dare coraggio a uno sfiduciato Raoul Bova, come una famiglia hanno anche i criminali e Turi lo sta dimostrando. Tra cadute di tono paurose (la tragica scena della piazza con Chiara in braccio a Venanzio è a dir poco ridicola), discutibili artifizi tecnologici per arrivare ai punti di incontro e alle locazioni dove si nascondono gli obbiettivi, sbagli situazionali davvero grossolani (in alcuni momenti si vedono persone passeggiare o lavorare tranquille mentre infuriano botti e spari), parte una colossale serie di combattimenti ed inseguimenti con ogni possibile mezzo o arma da fuoco, che rende il film scorrevole e movimentato.
Peccato che un film come questo debba giocoforza basarsi anche su altro, non può cristalizzarsi sulla sola azione, e difatto quando le cose si calmano sembra di assistere a una banale puntata dei serial tv sopra citati in quanto il momento dell'approfondimento è totalmente inesistente, privando di vere emozioni il tutto.
Di fatto Giannini recita utilizzando un centesimo delle sue grandi capacità, mentre gli altri si adeguano senza ribellarsi , anzi, con gioia, al taglio televisivo che Fragasso ha voluto dare favorito da un casting ad hoc per questo obbiettivo. Mentre Lo Verso digrigna espressioni crude circondato da picciotti cattivi da operetta (il personaggio della Femme brutal, Domino, è a dir poco orrendo) per tratteggiare un vendicativo boss della mala per riparare ai sorti subiti dal padre, gli unici a donare emozioni al di fuori di furiosi combattimenti sono i due piccoli interpreti di Stefano e Tony, il primo con le sue credibili espressioni attonite, da bimbo osteggaito all'ingresso della comprensione del mondo (e capacità da Codice Magnum), e il secondo con l'animo di chi deve diventare grande troppo presto e nel modo del tutto sbagliato. I piccoli incontri tra i due ragazzini sono intensi, due mondi diversi che non si capiscono ma che si incontrano.
In definitiva un film che non ha particolari pregi, che si può vedere assolutamente slegato rispetto al primo, le spiegazioni sono ampie ed abbondanti di quanto (poco) è successo nel capitolo precedente, che vola veloce per via delle numerose scene d'azione, ma che purtroppo allo stesso tempo ce ne scordiamo con uguale facilità per via della totale mancanza di una cifra stilistica filmica precisa, e le frasi ridondanti che ogni tanto si sentono ("per me vivere o morire è lo stesso dolore") accentuano solo il senso di una visione di poco conto che vuole darsi dignità oltre i suoi meriti reali. Ridateci gli onesti poliziotteschi di una volta ...
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5 di 7
MEIN FUHRER - LA VERAMENTE VERA VERITA` SU ADOLF HITLER
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(Mein Führer - Die wirklich wahrste Wahrheit uber Adolf Hitler)
Un film di Dani Levy. Con Helge Schneider, Ulrich Mühe, Sylvester Groth, Adriana Altaras, Stefan Kurt, Ulrich Noethen. Genere Commedia, colore 89 minuti. - Produzione Germania 2007. - Distribuzione Videa - CDE
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Trama: Germania, 1944. Hitler è stanco e depresso, non riesce ad uscire da uno strato di prostazione personale per la guerra ormai persa e per il sogno della razza ariana e della grande Germania in decadimento. Goebbels, preoccupato di quanto sta accadendo, decide di chiamare da un lager nazista un professore ebreo di recitazione che dovrebbe ridare energia al fuhrer. Il compito è tutt'altro che semplice, oltretutto gli intrighi di palazzo che si stanno tramando potrebbero rendere il risultato della parata della rinascita e dell'orgoglio ben diverso dalle aspettative del cancelliere ...
Commento: il compianto Ulrich Mühe (protagonista splendido del film premio oscar Le vite degli altri e purtroppo recentemente scomparso) è Adolf, un professore ebreo di recitazione che abbandona il lager per cercare di ridare forza e vigore ad un Hitler ormai spento e sconsolato per la guerra ormai persa (la vicenda è ambientata alla fine del 1944). Goebbels, il cancelliere promulgatore delle idee del terzo reich, ha pensato bene che organizzando una parata nella Berlino fintamente rifatta (e invece distrutta dalle bombe alleate) con un Fuhrer (il cantante Helge Schneider) al massimo della forma l'orgoglio nazionale poteva essere ritrovato.
L'idea di base del film diretto da Dani Levy (ha diretto Zucker! che in Germania ha guadagnato molto bene) è quella che molte volte è più importante recitare e fingere di essere convinti di quello che si deve dire, anche se ciò non corrisponde alla realtà, per cercare di arrivare all'obbiettivo anche con l'inganno. L'opera di rassicurazione e convincimento di un Fuhrer ormai mentalmente depresso passa attraverso l'odio che questi ha per gli ebrei, di fatto il dualismo che si crea tra i due protagonisti è quello dell'allievo che deve prendere dal maestro i dettami e la forza per poi usarla per schiacciarlo, se avesse un professore tedesco ad aiutarlo non si avrebbero gli stessi stimoli. Come dimostra lo splendido cartellone, però l'astuzia di inculcare idee proprie facendole sembrare quelle che servono ad altri è un mezzo molto più fine e degno di menti molto più preparate. Chi si avvicina a questo film, realizzato da ebrei, non pensi assolutamente di trovarsi di fronte a una pellicola ridanciana che mette tutto in burletta, qui la satira è grottesca, malinconica e calibrata, non ci sono battute sguaiate o situazioni comiche pure, ma solo comportamenti paradossali che un regime dispotico e autoritario provoca non solo da parte di chi lo subisce (gli ebrei) ma anche da parte di chi lo compone (gli stessi tedeschi), arrivando alla nevrosi. Per cui assistiamo continuamente a saluti meccanici inutili inneggianti al fuhrer, seguiamo le riunioni dei capoccioni tedeschi sicuri all’apparenza ma che non sanno che pesci pigliare, cose che non ci fanno certe ridere ma soprattutto pensare a quanto una società possa divenire alveo di infermità mentale se non correlata da una logica di valori costruttivi, cosa che invece gli ebrei di contro sono disposti a fare con il loro sapere e con el loro capacità.
Film come questo ovviamente devono scontrarsi nel ricordo del capolavoro di Charlie Chaplin “Il grande dittatore”, ma ovviamente senza arrivare a tali punti di lirismo e poesia, questo film di Levy ha una sua precisa dignità, raccontando non Hitler ma quanto più il suo mentore spirituale per la ripresa cognitiva.
Grazie ad una strepitosa prova d’attore di Muhe, che costruisce un personaggio sfaccettato e malinconico, i tedeschi vengono resi come i romani di Asterix, convinti di ordire dei piani che loro credono di comandare e che invece la furbizia di un piccolo disprezzato ebreo ritorce loro contro. Il loro Fuhrer viene plagiato, modellato, ricondotto su strade passate di sicurezza di se stesso ma non con convinzione, ma come un burattino che giocherella nella vasca da bagno con una navetta di palstica. L'uomo leader sparisce, rimane solo il simbolo del tutto innocuo, anzi scomodo per gli stessi tedeschi, di una vuota utopia. E il circolo narrativo si chiude con chi ora può guardare con soddisfazione la sconfitta non tanto dell'uomo ormai minato da insanabili conflitti interni al di là della finzione ordita da Goebbels, quanto più della sua idea di oppressione, in una Berlino fasulla tanto quanto chi comanda.
Il film è chiaramente di parte, la satira colpisce solo unilateralmente, ma la costruzione ci fa capire che la morte dello stesso fuhrer ormai alla deriva (che viene anche a dormire in mezzo una famiglia di ebrei) a quel punto sarebbe dannosa per lo stesso popolo della stella di David, perchè gli stessi tedeschi (che confondono addirittura ormai l'Adolf ebreo con quello vero) vedendo come è ridotto il loro condottiero si convicerebebro a chiudere per sempre la partita con il mondo.
Non entrate in sala chiedendo risate facili, qui siamo davvero in un altra ottica, è un film grottescamente impegnato che riprende spunti aperti da La caduta con Bruno Ganz, richiede una dose di attenzione particolare, che alla fine premierà i vostri sforzi con una sodisfazione cognitiva davvero buona. Lasciate perdere cose più facili ma vacue, e premiate questi buoni spunti intellettivi, anche perchè purtroppo è l'ultima occasione per applaudire un grande professionista scomparso troppo prematuramente.
Sui titoli di coda delle impressioni davvero surreali e durante il film inserzione di immagini di repertorio.
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Il risveglio delle tenebre
(The Seeker: The Dark Is Rising)
Un film di David L. Cunningham. Con Alexander Ludwig, Ian McShane, Frances Conroy, Christopher Eccleston, Gregory Smith, Amelia Warner, James Cosmo, Jim Piddock. Genere Azione, colore 94 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 20th Century Fox Italia
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Trama: Will ha un destino di cui è ignaro, è il depositario di un mistero da lungo tempo tenuto celato, che potrebbe far spostare l'ago della bilancia della battaglia millenaria tra luce e tenebre. Giunto il momento che le tenebre si stanno scatenando, il gruppo dei vetusti lo toglie dalla sua vita semplice con i suoi fratelli per rivelargli il segreto che porta con sè ...
Commento: Primo adattamento cinematografico di una serie di romanzi della scrittrice Susan Cooper, questo The Seeker:The dark is Rising (in Italiano hanno tradotto solo la seconda parte per non rivelare il grande mistero che cela Will, il ragazzo protagonista) è un poco fantasioso e monotono film fantasy sospeso tra passato e presente, realizzato presentando una cornice familiare del tutto anonima di un padre con 6 figli. Uno di essi è l'inconsapevole Ricercatore, destinatario del segreto e delle capacità in lui latenti che possono sventare i terribili attacchi del cavaliere delle tenebre (esatto, uno solo, interpretato da Christopher Eccleston senza nessun pregio particolare, cattivo tratteggiato in maniera davvero anonima). Alla ricerca dei sei segni per sventare il male (segni da conservare in una cintura artefatto) Will, scopertosi eroe dopo essersi sentito lo sfigato di turno per lungo tempo, dimostrerà a tutti quanto coraggio possiede per impedire che il mondo cada preda del terrore e del gelo.
La necessità di sfornare un film fantasy a tutti i costi da proporre nel periodo prenatalizio (prima che arrivino i colossal pigliatutto) ha convinto i produttori e i distributori ad attingere anche ai romanzi della Cooper, peccato che lo abbiano fatto affidando la regia a uno spento ed anonimo David L. Cunningham (ricordiamolo per Fight for freedom, sicuramente migliore di questo) che ha svolto il compitino da perfetto yes-man.
La trama, di per se neppure fantasiosa, viene sviluppata in maniera monotona e sbrigativa, con viaggi nel tempo talmente veloci da risultare ridicoli (manderemo Cunningham a scuola da Doc Brown di Ritorno al futuro) alla ricerca dei sei segni della luce, e tutto, a partire dal clan dei vetusti ( capitanati da Ian McShane e da Frances Conroy, la Ruth di Six Feet Under) appare e si mostra dal segreto come se fosse la cosa più scontata del mondo ("Ciao, siamo il clan dei vetusti eredi dei templari" con risposta"Dammi il 5 bello, mi sento un po' sfigato ma ci starò dentro a fare il ricercatore e la missione"), tutto quello che avviene è privo di qualunque interesse ed emozione, ogni cosa altamente prevedibile mentre anche gli effetti speciali alla cg segnano il passo.
Si voleva fare una specie di Ponte per Therabithia in chiave veramente fantasy (il bel film di questa primavera invece lo era solo per via della necessità di uscire dalla relatà ed era uan contaminazione visiva limitata), con il tutto giocato tra le diverse epoche (presente e passato) per accontentare il numero di spettatori più alto possibile, sia gli amanti dell'epico in costume (anche se di costumi ne vediamo davvero pochi) sia di quelli delle commedie adolescenziali (presente pure un timido tentativo di innamoramento e i rapporti difficili con i fratelli più grandi).
Si parlava prima dei viaggi nel tempo, che sono talmente fulminei da essere assenti, con brevissime inquadrature che poco utilizzano le scenografie e i rari costumi allestiti (surreale il momento del regalo dell'orologio ...), togliendo qualunque sapore epico alla vicenda.
Durando solo 94 minuti non si può parlare di torpore vedendo questo film, finisce per fortuna presto, il problema vero e reale è che se si devono fare film di genere fantasy per forza e sopratutto con tale pochezza, sarebbe bene che uscissero solo in home video per non intasare una programmazione già troppo piena che penalizza i lavori di qualità nell'esposizione in cartellone.
In definitiva una pellicola anonima come poche, noiosa e che si muove insapore tra le insicurezze giovanili patetiche del protagonista (un biondo ed antipatico Alexander Ludwig) che non trova sbocchi di gloria nella vita reale, mal sorretto da un cast svogliato e che neppure nel lato tecnico si segnala.
Evitatelo con cura in quanto se non floppa clamorosamente il rischio di altre trasposizioni cinematografiche dei libri della Cooper è molto alto.
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a venerdì! 7 di 7 conclusa!
Lezioni di cioccolato
Uscita in sala: 23/11/2007
interpreti:
Luca Argentero (Mattia) Violante Placido (Cecilia) Neri Marcorè (Corrado, il Maestro) Hassan Shapi (Kamal) Carlo Giuseppe Gabardini (Milo) Monica Scattini (Letizia) Francesco Pannofino (Luigi) Ivano Marescotti (Ugolini) Marco Marzocca (Osvaldo, Nonno di Kamal) Regina Orioli (Clara) Francesco Lagi (Parrucchiere) Walter Corelli (Direttore)
Medhi Kraiem (Amed, l'Operaio)
soggetto:Fabio Bonifacci , Christian Poli (Collaborazione)
sceneggiatura: Fabio Bonifacci , Christian Poli (Collaborazione)
montaggio: Danilo Torre
costumi: Sonu Mishra
scenografia: Alessandro Vannucci
fotografia: Giovanni Cavallini
suono: Giuseppe D'Amato
aiuto regista: Milena Cocozza
produttore: Riccardo Tozzi Marco Chimenz Giovanni Stabilini Matteo De Laurentiis
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Trama: Mattia è un imprenditore senza scrupoli che non si tira indietro pur di concludere affari costruendo case di lusso a basso costo. Un giorno un operaio egiziano non in regola si fa male e viene ingessato. Per sfuggire alla denuncia alle autorità Mattia vuole convincerlo a prendere dei soldi, ma il manovale rinuncia in cambio del fatto che il cinico padrone diventi fintamente egiziano e gli faccia vincere un concorso per mastri cioccolatai a cui doveva partecipare lui. Costretto dal ricatto per non finire in prigione, Mattia conoscerà inaspettatamente un nuovo modo di vivere le cose e delle persone davvero particolari. Ma più pasticcione che pasticcere riuscirà a far reggere l'inganno fino al giorno dell'esame?
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Commento: il sapore e il gusto del cioccolato sono sempre state delle cose che hanno solleticato la fantasia degli artisti, il cioccolatino lo scarti dall'involucro e poi ne assapori prima il guscio più duro e poi il ripieno che è molle e delicato, un po' quando una bella donna si spoglia e poi si concede. Di fatto il regista Claudio Cupellini (aveva realizzato precedentemente solo un episodio del film a sfondo calcistico 4-4-2) non lesina a trasmettere questo concetto, solo che lo ribalta sulla esistenza del cinico Mattia (Luca Argentero, ex del Grande Fratello tv), che per salvarsi dalla denuncia di un operaio egiziano che si è fatto male lavorando in nero per lui e senza le necessarie protezioni (interpretato in mnaiera divertentissima dall'eclettico Hassan Shapi, tutto mossette ed espressioni particolarmente accentuate), deve spogliarsi del suo carico di superbia, della sua arcigna sopravvalutazione di se stesso e sopratutto degli abiti firmati, il telefonino ultimo grido e la vettura di lusso. Ed ecco così che l'insapore e spregevole uomo d'affari sporchi si addolcisce, viene lavorato dagli eventi per mostrare lati nuovi e migliori. L'incontro con Cecilia (Violante Placido, in una parte di ragazza complessata da dei traumi passati e che come da tradizione non ci fa mancare un bel nudo artistico parziale) diventa poi la molla per risolvere i propri problemi in maniera radicale, in quanto grazie a lei e Kamal non si vuole più tornare al punto d'origine.
Vengono a contatto e confrontati mondi e stili diversi, Europa e Africa si trovano e si mischiano, i pregidiuzi vengono messi alla berlina in maniera non macchiettistica oppure solo per essere politically correct. Notiamo come l'incontro con un fioraio pakistano avviene con grande dignità di spiegazioni di modi e fatti della sua terra d'origine, Kamal ha una dignità propria imparagonabile alle costrizioni delle sue condizioni lavorative, mentre gli europei sono molto più basilari e sciatti, come il personaggio di Luigi (Francesco Pannofino, strepitoso doppiatore, riconoscerete prima la sua voce di lui) sempre alla ricerca dell'alcool e delle donne, oppure quella degli altri studenti della scuola di cioccolato (i laboratori della Perugina, il film è ambientato totalmente in Umbria) che vedono il corso come una sola occasione per mettersi in mostra ed ereditare le aziende dolciarie dei padri.
Il dualismo tra Mattia e Kamal diventa alla fine un fondersi progressivo, dove man mano che passa il tempo la grande tempra morale dell'egiziano esce alla grande a migliorare come un grande ripieno in osmosi lo squallido esistenziale dell'italiano che lo tiranneggiava.
Argentero come attore non è certo un grande interprete, anzi, si notano parecchie indecisioni e delle sbavature, ma sente parecchio il personaggio, portando con la sua buona volontà una recitazione come si diceva non precisa ma spontanea. La figlia di Michele Placido si muove invece molto più sicura, e anche in questa parte brillante si rivela decisiva per far cambiare le sorti della bilancia del gradimento, con una femme di bell'aspetto nevrotica e schizzata che passa da stati umorali agli antipodi in un batter d'occhio. Chiude il cerchio degli interpreti principali Neri Marcorè in una versione lungo capelluta, che fa il maestro cioccolataio dalle grandi massime che vanno in controtendenza ai sistemi edili di Mattia/Kamal.
il ritmo del film è molto frizzante, le situazioni si intersecano senza sosta e la sceneggiatura mai blanda. La simpatia di Hassan Shapi straripante ed efficace contribuisce a marcare i momenti del film nelle variazioni di situazione in maniera ottima. Stupiscono sopratutto i dialoghi, sempre calibrati, mai sguaiati, in un compendio preciso delle situazioni presentate.
In definitiva una commedia italiana davvero di buon gusto, dolce e con il giusto sapore retroamarognolo, che ha come ciliegina al suo interno un finale non scontato e dei sani valori di racconto. Da premiare senza problemi per una serata all'insegna del divertimento intelligente. Il messaggio dentro il cioccolatino è assolutamente valido.
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Nella Valle Di Elah (In the Valley of Elah)
CastTommy lee Jones, Charlize Theron, James Franco, Susan Sarandon, Josh Brolin, Jonathan Tucker, Jason Patric, Frances Fisher, Rick Gonzalez, Barry Corbin
Regia Paul Haggis
Sceneggiatura Paul Haggis
Durata 01:54:00
Data di uscita Venerdì 30 Novembre 2007
GeneriGuerra, Drammatico
Distribuito daMIKADO
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Trama: Un anziano poliziotto militare americano in pensione, non ricevendo notizie del figlio reduce dalla guerra in Iraq dal quale è appena rientrato, inizia una indagine personale per scoprire che fine abbia fatto.
Dopo l'orrenda scoperta del suo cadavere fatto a pezzi e poi bruciato, mette da parte le angosce per la tremenda perdita e aiutato da una coraggiosa poliziotta cerca di scoprire gli assassini del figlio e far luce sull'intera vicenda ...
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Commento: Paul Haggis dopo i fasti e i premi vinti con Crash torna alla regia con una vicenda molto americana di segreti e di angosce legate alla nuova grande ferita targata USA, quella cioè legata alla guerra dell'Irak. (“L'unica soluzione per il problema Irak è una bomba atomica” si dice nel film). Rispetto ai film sulla guerra del Vietnam, i film che trattano dell'argomento sopra specificato, non entrano direttamente nella scena della battaglia mostrando grandi avvenimenti campali e terribili lotte all'ultimo sangue, (un caso ma solo parzialmente contrario fu per esempio Jarhead), come anche per l'Afhganistan (un esempio in questo senso è il recente “Un cuore grande” con Angelina Jolie) ma vivono di eventi collaterali a quanto di orrendo vissuto dai soldati americani. Questo Nella valle di Elah (titolo legato alla lotta tra Davide e Golia e che viene specificato nella pellicola, chiaro riferimento al fatto che il gigante americano se sottovaluta gli avvenimenti può fare una brutta fine anche in confronto a cose infinitamente meno forti di lui) non sfugge alla regola della pellicola non “on the battle field”, e ci racconta le angosce e le paure di un padre coraggio (uno strepitoso Tommy Lee Jones, prova da oscar la sua) di fronte ad un avvenimento tremendo come la perdita del figlio, avvenuta in maniera per lui incomprensibile, non sul campo ma a pochi metri dalla caserma in America, dolore atroce per un vecchio soldato avvezzo al dolore dato che ha già perso precedentemente un altro figlio. Lee Jones tratteggia la faccia dura di un uomo che non può piangere, che abbandona le angosce esterne visive (lasciate maggiormente alla moglie, una ottima come sempre Susan Sarandon in una parte comunque defilata) per concentrarsi nel dolore infinito alla ricerca della verità. Rimaniamo estasiati da tanta perfezione recitativa, con il volto dell'attore al limite del distaccato e del determianto contemporaneamente.
All'altra attrice premio Oscar (per Monstre), la stupenda Charlize Theron in versione mora e senza lustrini, viene invece affidata la parte di una coraggiosa poliziotta che affianca il genitore distrutto nella sua lotta personale. Parte anche la sua di secondo piano, composta e senza sbavature, che ovviamente viene offuscata dal protagonista a tutto tondo.
La vicenda, bisogna dirlo per indirizzare a giusto gusto il possibile spettatore, si dipana per le quasi due ore di visione (114 minuti) in maniera tutt'altro che movimentata, il discorso affrontato da Haggis è puramente emozionale, le scene di azione sono limitate a pochi minuti, come del resto lo scenario Irakeno occupa ben poco all'interno della pellicola limitandosi ai filmati-flashback contenuti nel cellulare del figlio scomparso. Pellicola decisamente vigorosa, apre i sentimenti senza cadere mai nel patetico patriottico o nell'illusorio, affronta coraggiosamente il tema mostrando atti impuri collaterali di una guerra sporca che come il Vietnam lascia ferite indelebili nell'animo e nella psiche, film talmente puro e privo di variazioni vere di tono da rendere le motivazioni della morte del figlio secondari, dedicandosi pienamente alla fine dell'ideale di grandi illusioni che una bandiera sventolata perennemente rovesciata non esita a mostrare, in uno scavo psicologico davvero degno.
Film dedicato ai bambini innocenti vittime delle guerre, da vedere senza esitazioni, godendo pienamente di una superba prova attoriale e di una trama lontana dai clamori e dai botti Hollywoodiani tutta incentrata sui valori personali di famiglia, dovere, patria che tradisce. Pellicole così sono le benvenute per poter di nuovo emozionarsi spontaneamente senza che siano introdotti vacui e inutili elementi di disturbo spettacolare.
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Il diario di una tata
Il diario di una tata
(The Nanny Diaries)
Un film di Shari Springer Berman, Robert Pulcini. Con Scarlett Johansson, Laura Linney, Paul Giamatti, Nicholas Reese Art, Alicia Keys, Chris Evans, Nathan Corddry. Genere Commedia, colore 105 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 01 Distribution
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Trama: Annie Braddock è una ragazza di bell'aspetto neolaureata. Non trovando una giusta collocazione nel mondo lavorativo si ritrova quasi casualmente a fare la Tata di un bambino di una famiglia altolocata. Ma quello che sembra un ingresso idilliaco dentro un mondo di fiaba si rivela invece un terribile scontro di culture e abitudini tra lei e la sua altezzosa datrice di lavoro ...
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Commento: i registi Springer German e R.Pulcini riprendono e omaggiano (a più riprese) l'immortale film madre di tutte le tate della Disney Mary Poppins, inserendo nella trama la splendida Scarlett Johansson, studentessa di buone maniere, alle prese con una madre superba della alta borghesia newyorchese (l'algida ed altera Laura Linney, ricordiamola per Kinsey).
La trama è abbastanza vuota e scontatissima, la giovane inesperta entra in un mondo di sogno non suo anche se sconsigliata dall'amica del cuore (una splendida Alicia Keys), che di fiabesco ha solo gli orpelli materiali strumentali ma è privo rispetto emozionale. Si sa, poi l'animo puro combattendo la sua battaglia indomita riuscirà comunque a farsi forza nei contrasti e nelle differenze dei ceti sociali, superando l'impotenza economica con quella spirituale ed umana.
Per accentuare il concetto di Tata=donna di servizio, signora=altolocata tenuta e pretenziosa, la splendida Scarlett Johanson viene vestita in modo qualunque ordinario, mentre la splendida come non mai Laura Linney (davvero una battaglia di bellezza ad altissimi livelli) è vestita con splendidi capi a tubino oppure di grandissima classe.
Era interessante l'idea di inserire in un contesto Sex and the city il film sulla tata dai ricordi anche della serie televisiva a lei dedicata (ampie le derivazioni dalla serie televisiva, a partire oltre che da New York alle Manolo Blanik, al nome del dolce spasimante, Aidan, interpretato dalla fiammeggiante Torcia Umana dei Fantastici 4 della Marvel Rick Evans), ma non ha davvero un riscontro di grande movimento sullo schermo. Il film gira parecchio a vuoto su se stesso, si ripete in continuazione nelle meccaniche di confronto, è poco divertente e il contenuto dallo sfavillante contenitore davvero povero. Alla fine ci si annoia parecchio vedendo il pusillanime comportamento della ricca signora e le contromosse della dolce tata preoccupata ormai solo per il bimbo e non più per il suo futuro economico, mentre il lato in cui si scava nelle porcherie del marito che vengono ignorate per etichetta e il non sporcare la propria immagine agli altri, la ciliegina insapore messa sopra una torta con gli ingredienti giusti per fare una buona commedia ma dal sapore risaputo che le nostre papille gustative cinematografiche ormai riconoscono come privo di quel tocco di classe e gusto in più oltre al buon presentarsi. Di fatto è inutile continuare a battere sugli stessi tasti per tutto il film, introdurre un personaggio maschile bello, buono e corretto (tutti sprezzanti nell'alta società, mariti amici e signore, ma lui guarda caso il massimo del trovabile) per poi ridurre il tutto a una filippica patetica per darci la moralina sull'essere madri prima che signore viziate.
Un lavoro che poteva essere decisamente migliore, concentrato tutto sul cast e non sulla storia, poco coinvolgente e decisamente privo di vere virtù reali che quelle introdotte a forza con blandi concetti senza vera capacità non fanno sentire. Se vi piacciono le due splendide attrici, i ricordi Sex and the City con i suoi outfit da sogno, potrà forse accontentarvi, per gli altri vale davvero la pena dirigersi verso altre commedie, di Big (l'eterno grande amore di Carrie Bradshaw, la protagonista del serial tv più volte qui citato) in questa pellicola c'è davvero poco.
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Come d'incanto
titolo originale : Enchanted
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Cast Amy Adams, James Marsden, Susan Sarandon, Patrick Dempsey, Timothy Spall, Rachel Covey, Idina Menzel, Matt Servitto, John Rothman, Joseph Siravo
Regia Kevin Lima
Sceneggiatura Bill Kelly
Durata 01:47:00
Data di uscita Venerdì 7 Dicembre 2007
Generi Live-Action, Animazione, Commedia
Distribuito da BUENA VISTA INTERNATIONAL ITALIA
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Trama: La principessa Giselle vive in un mondo di fiaba tra animaletti premurosi in una foresta incantata. Un giorno viene salvata da un giovane e bel principe azzurro, che le giura amore eterno. I due devono sposarsi subito come nelle migliori fiabe, peccato che si sa dove c'è un regno c'è anche una regina malvagia che è tra l'altro la matrigna del principe, la quale pensa bene di liberarsi della sgradita nuora mandandola nel mondo reale nella città di New York ...
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Commento: Lasciata da parte oramai da tempo la battaglia classica dei cartoni di Natale per evidente incapacità creativa rispetto alle case concorrenti che propongono prodotti più vari e spigliati, affidandosi solo ai prodotti da lei distributi ma creati dall'ottima Pixar, la Disney cerca di tornare ai vecchi fasti nel tempo del panettone con un film misto, con inserti a cartoni di stile classico che poi tracimano nel normale film con personaggi veri, senza però mischiare sullo schermo contemporaneamente le due tecniche (stile Roger Rabbit per intenderci) se non per brevissimi limitati momenti oppure con i movimenti del tenero ma furbo scoiattolo Pip.
La storia di Giselle parte come un immenso pout pourri di citazioni dei grandi classici della casa di Burbank, dove la dolce principessa è un po' Biancaneve e un po' Alice, ma anche Bella addormentata nel bosco e riprese di storie varie altre che vi lasciamo al piacere di scoprire.
Lo scopo del regista Kevin Lima (affezionato Disney Man e regista di Tarzan) nel film è introdurre in un mondo non suo un personaggio fatato, quasi facendo una sorta di Shrek educato e composto, che mette alla berlina i luoghi comuni delle fiabe poco adatti al crudele mondo di oggi con i suoi ritmi forsennati e le sue aride strumentali convinzioni. Quando Giselle (interpretata da una brava Amy Adams, ottima con espressioni attonite e ingenue, suo ultimo film nel 2006 con Ricky Bobbit) entra nel nostro mondo lo fa attraverso un tombino, paragone spirituale di un nuovo viaggio cominciato dal basso e con l'incontro sgradito con un barbone sporco e sdentato, da subito deve scontrarsi (non c'è più tempo per saluti e canti "Benvenuta a New York!" le dice il tenero avvocato divorzista Robert, interpretato da Patrick Dempsey) con la nuova realtà anche se lei si ostina a crederlo solo un viaggio in una landa sperduta e oscura. Lo scontro culturale tra due mondi tanto distanti (i cartoni con stile classico poi sono ovviamente zeppi di personaggi tenerissimi, cerbiatti, dolci uccellini e teneri topini, mentre nel mondo reale ad aiutarla ci sono scarafaggi e topi di fogna) è mostrato con grande delicatezza, la regia è bravissima a non perdere il contatto con il passato da subito ma a trasformare il personaggio da fiaba nel corso del cammino, movimentando il tutto con l'arrivo dell'ingenuo Principe protagonista di goffe avventure in un mondo che non capisce (interpretato da James Marsden, ultimo film il recente Hairspray) e dell'oscuro Nathaniel (interpretato da Timothy Spall, il codaliscia di Harry Potter e il Calice di fuoco), ma sopratutto con l'arrivo dell'esuberante e prezioso, oltre che devoto, scoiattolo Pip, dalla mimica in CG stupenda, espressivo e divertente (la gag del porta abiti è a dir poco strepitosa) che ha il compito di sorreggere il Principe goffo che crede un pullman un mostro da abbattere e infilzare.
L'osmosi tra i due mondi è divertente, leggera e movimentata, ci si commuove di fronte alle canzoni fuori tempo e fuori luogo, e la simpatia e la bravura degli attori fanno scorrere via divertente il film senza perdere l'istinto iniziale di raccontare che certe cose da fiaba in fondo sono solo un'illusione improponibile, buone per sognare in un comparto stagno per uscire dalla monotonia ma che non possono sorreggere una vita intera ("Non so che farò domani, come potrò mai dire per sempre?"). Poi però purtroppo, al momento di tirare le somme con l'arrivo della regina malvagia sulla scena (la grande Susan Sarandon, sugli schermi questa settimana anche con La valle di Elah), il film non osa nulla e si perde parecchio, con una trovata risolutiva banalissima e un finale di sapore del tutto platonico, che rimane in linea produttivamente ma scialbo e prevedibile.
In definitiva un buon film, realizzato bene e con garbo, che diverte e commuove (non dimentichiamo il bel balletto al Central Park, colorato e fantasioso che confronta rap con favola), raggiunge bene l'obbiettivo prefissato, finalmente integra validamente canzoni con storia (e la Disney da tempo questo non sapeva più farlo), ripropone le amate animazioni classiche che fecero la fortuna e l'arte della Disney, peccato che poi alla fine perde quel valore amarognolo malinconico che lo aveva contraddistinto. Un grande passo avanti comunque rispetto al poco fastoso recente passato, un film da gustare per le feste che può far scappare la lacrimuccia ai più teneri che vorrebbero almeno per un momento cadere in un pozzo profondo per ritrovarsi in un mondo di fiaba.
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La musica nel cuore - August Rush
La Musica Nel Cuore - August Rush (August Rush)
Cast Freddie Highmore, Keri Russell, Terrence Howard, William Sadler, Jonathan Rhys Meyer, Alex O'loughlin, Robin Williams
Regia Kirsten Sheridan
Sceneggiatura Nick Castle, Paul Castro, Kirsten Sheridan
Durata 01:40:00
Data di uscita Venerdì 30 Novembre 2007
Generi Drammatico, Fantasy
Distribuito da MEDUSA (2007)
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Trama: Rick Evans è un ragazzo di 11 anni cresciuto senza ne padre ne madre che ha un gigantesco talento naturale per la musica. Ogni suono di strada viene letto e trasformato in armonia. Deciso a trovare i suoi veri genitori (che non ne conoscono neppure l'esistenza, in quanto il padre e la madre, entrambi musicisti, per vari motivi o lo credono morto oppure non sanno che è nato) scappa dall'istituto che lo ospita per recarsi in città. Purtroppo il suo talento viene scoperto dal "Mago", un sedicente personaggio di strada vestito country che ha scopi di lucro precisi nei suoi confronti che gli darà un nuovo nome, August Rush ...
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Commento: Kirsten Sheridan (più sceneggiatrice che regista pura, ha scritto In America-Il sogno che non c'era del 2004) dirige questo filmetto a sfondo artistico musicale in maniera vuota e anonima come poche. La trama parte dall'assunto che da un amore talmente intenso (anche se di una sola notte) tra due musicisti puri, non possa non scaturire un grande risultato genetico improntato sulla loro passione (della serie anche se non nasce nell'ambiente e non viene toccato dall'habitat circostante l'illuminazione comunque esiste). E così su un romantico terrazzo allietato da una musica di strada celestiale, Lyla Novacek (una Keri Russell dalla faccia pulita come non mai e grande musicista di strumento classico, presente in Mission impossible 3) si concede all'estroverso cantante rocker melodioso di una band Jonathan Rhys-Meyers (apatico con poco impegno e lì solo per mostrare la sua apssione per la musica, che ricordiamo invece per la grande parte in Match Point di Woody Allen), poi dopo la notte d'amore sublime le strade si dividono con la stessa magia (che grande amore, tanto forte e indissolubile da non permettere un nuovo incontro contro il mondo crudele e cattivo) peccato che il seme nato sotto le stelle venga fatto perdere da una bussola davvero maligna.
(e tra l'altro lei non trova il modo di contattare un rocker di una band in vista per avvisarlo almeno che sta ospitando il suo primogenito). La fiera del pacchiano continua con l'incontro del bimbo disperso ormai undicenne (tralasciando il come e chi ha corrotto l'ospedale per occultare alla madre il piccolo) che parla al suo tutore di istituto nero di buon cuore (Terrence Howard, fresco protagonista de Il buio nell'anima). Ma la musica repressa troppo ora va liberata e le strade della città sono pronte per l'arrivo di una nuova star. Inutile dire che se già la prima mezz'ora è sconfortante, piena di nullità ultramielose, il resto è ben peggio. Il piccolo Rick/August (interpretato dal volonteroso ed incolpevole Freddie Highmore, visto in Arthur e il popolo dei Minimei) viene contattato dal"Mago" (Robin Williams) che non è altri che una versione country moderna del Fagin di Oliver Twist con tanto di corte dei miracoli e piccoli vagabondi accoliti, stavolta non ladruncoli ma musicisti in erba, che vivono in un teatro abbandonato. Williams cerca di tratteggiare il personaggio di un bastardo duro e senza cuore, ma la pochezza della trama confina il suo buon esempio in un angolo accucciato, troppo interpretativo di un personaggio flaccido per un film tanto stucchevole. Si arriva a certi punti dove ci si chiede se il ragazzo invece di essere ispirato sia stordito ( ha 11 anni ma non ne fa una logica di cosa nella vita) tanto si mette nei guai senza senso alcuno per provocare la lacrimuccia facile. L'odissea minoritaria di questo genio musicale in erba ha picchi di follia davvero inconsueti, irrispettosi per lo spettatore, quando si eseguono note celestiali suonando la chitarra come se fosse un bongo, si trova la comunità dei neri e sa pure suonare l'organo in chiesa, mentre i due genitori si riconvertono alla musica dopo 10 anni ispirati dall'onda lunga melodiosa del figlio che suona (vedere per credere).
Si salvano almeno le musiche (classiche e non) che ogni tanto si odono nel film, in un film con la musica nel cuore era almeno il minimo, ma anche queste vengono rovinate dalla pessima ambientazione e dall'inutile inserimento delle azioni dei protagonisti in cerca di una scialuppa di salvataggio e dell'ultimo ciak. E così tra una corsa in metropolitana, accadimenti davvero poco credibili nelle meccaniche, si arriva stancamente al finale utile solo per alzarsi dalla poltorna del cinema e chiudere questa poco edificante esperienza.
Un lavoro davvero povero sotto tutti i punti di vista, registicamente privo di qualunque invenzione, che per piacere deve trovare dall'altra parte un ricettore dal cuore zucchero caramelloso cosparso. Gli altri si astengano senza nessun problema.
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The Kingdom
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The Kingdom
Un film di Peter Berg. Con Jamie Foxx, Chris Cooper, Jason Bateman, Jeremy Piven, Danny Huston, Richard Jenkins, Ashraf Barhoum, Ali Suliman. Genere Poliziesco, colore 110 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Universal Pictures
Trama: una squadra di supesperti dell'FBI viene inviata sotto stretta copertura politica in Arabia Saudita per investigare su un terribile attentato che si è consumato su un centinaio di civili Americani che risiedevano lì per lavoro. Arrivati sul luogo trovano da parte delle autorità competenti una diffidenza unita a una voglia di non coinvolgerli più di tanto anche da parte dello stesso consolato americano. Trovare i colpevoli sarà durissima, ma hanno dalla loro un alleato fidato e inaspettato ...
Commento: Il buon attore Peter Berg (pupillo del grande regista Michael Mann, che invece qui è produttore, ed autore come regista della commedia del 1998 Cose molto cattive con Cameron Diaz) dirige questo action movie dalle forti tinte terroristico investigative che si lascia andare a dei botti roboanti solo nell'ultimo quarto di pellicola.
La trama è semplicissima:in Arabia Saudita, (accusata di forti collusioni con il terrorismo dopo che si seppe che 15 su 19 dirottatori dell'11 Settembre erano figli suoi), numerose famiglie di tecnici americani sono presenti sul suolo per supervisionare l'estrazione del petrolio ed aiutare i tecnici locali. Un giorno durante una partita di softball un terribile attentato sconvolge l'opinione pubblica americana come quella saudita, il cui giovane principe è deciso a tutti i costi di dimostrare che il suo paese con i terroristi ha solo da perderci e non ne è il mandante. Però dato che gli investigatori mediorientali non sono per nulla all'altezza, per non far perdere la faccia al sultanato viene mandata in gran segreto una task force di abilissimi investigatori dell'FBI dal grande fiuto. Peccato che quando arrivano siano troppo bravi ed iniziano addirittura a essere degli incomodi per tutte e due le nazioni.
Il film cerca di darsi da subito un tono cronachistico con l'inizio esplicativo della situazione sui titoli di testa (abbiamo anche una suggestiva animazione di un aereo che sta per schiantarsi contro le torri), per continuare poi man mano a presentare i protagonisti sullo schermo con sovrascritte che ci indicano nome, grado e corpo di appartenenza (sia per i Sauditi che per gli americani).
Il film non è un puro action movie convenzionale, la vendetta dopo il delitto è più ragionata del solito, la squadra investigativa (capitanata da un arcigno Jamie Foxx, altro pupillo di Mann e premio oscar per Ray, affezionato padre e chioccia per i devoti pulcini che comanda) per lungo tempo non spara un solo colpo, tutto si muove cercando il particolare che potrebbe portare al colpevole, in un ambiente diffidente e con lo stesso consolato americano che preme perchè i Boys se ne tornino a casa al più presto con un premio di consolazione ma non quello vero, credendo di aver assolto ai compiti e vendicato i due colleghi scomparsi. Purtroppo Berg non è certo un gran regista, e l'investigazione tra battibecchi e mugugni prosegue vacua e monotona sia nelle meccaniche che nella scoperta dei nuovi pezzi del puzzle, con frasi altisonanti ("Noi americani non siamo senza peccati, sono io il primo a dirlo, ma il nostro lavoro lo sappiamo fare bene") e la continua esposizione delle idee del leale e bravo collega saudita (Ashraf Barhoum) che con quei cattivoni proprio il suo paese non c'entra nulla.
Dopo un po' vedere questa squadra di omaccioni e superdonna (che deve mettere una coperta per coprire le castissime tette) che si contiene per dare un tono artistico di plusvalore al film stanca, gente come la Garner (bella e brava protagonista del serial Tv Alias) oppure Chris Cooper (indimenticabile il suo padre marine in American Beauty), sono fatti per il movimento, e difatto tutto sembra bollire sotto la trama pretesto per dire allo spettatore in cerca di piogge di proiettili (da far invidia a Black Hawk Down) che presto l'azione arriverà.
E che azione, dopo un patetico colpo di scena quanto mai telefonato, l'ultima parte del film è praticamente priva di parole, coperta di soli urli, spari, botti e guerriglia urbana con le pallottole che, come da buona tradizione cinematografica non finiscono mai. Utilizzando anche una buona fotografia che esplode letteralemnte in quel momento, opera tanto per cambiare di un italiano, Mario Fiori, la mano registica cambia completamente, da insicura e piena di incertezze e minusvalori si trova ad essere valida e competente, e viene il forte dubbio che Michael Mann sia intervenuto pesantemente ad aiutare il suo pupillo lasciato fino a quel momento orfano.
Si chiude con un messaggio bilaterale farneticante, dove la soluzione del problema sembra davvero estrema.
Comunque affidare un tale pastrocchio action/political/investigativo a un regista praticamente esordiente è stato un grande azzardo, e i difetti di una pellicola che alla fine non è ne carne ne pesce vengono confermati pure dal reclutamento in una parte secondaria importante di Jason Bateman, bravo caratterista sopratutto di commedie ma completamente fuori parte qui.
in definitiva un film che voleva darsi un tono e ha fallito il bersaglio, risultando monotono per il troppo girare intorno al vero momento e motivazione per cui è stato concepito. Lo spettacolo d'azione comunque alla fine non manca, il problema è che bisogna attenderlo troppo ma sopratutto senza senso.
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Paranoid Park
Un film di Gus Van Sant. Con Gabe Nevins, Dan Liu, Jake Miller, Taylor Momsen, Lauren Mc Kinney, Olivier Garnier, Scott Green. Genere Thriller, colore 90 minuti. - Produzione Francia, USA 2007. - Distribuzione Lucky Red
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Trama: Portland. Il sedicenne Alex, appassionato skaters, accompagna un amico al parco apposito per poter sfogare la loro passione sportiva, unico vero momento di grande interesse in una vita monotona e senza particolari stimoli. Un incidente avvenuto nella stazione dei treni, con la misteriosa morte del sorvegliante, minaccia però di cambiare questo incedere monotono e ripetitivo della quotidianità dei ragazzi.
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Commento: Dal romanzo omonimo di Blake nelson. Il talentuoso regista/pittore indipendente Gus Van Sant (diresse anche Nicole Kidman e Uma Thurman) torna alla regia con un film dedicato interamente ai ragazzi e alla sua città di nascita, Portland, raccontandoci il disagio e l'esistenza di un sedicenne del liceo locale (Alex, interpretato da Gabe Nevins, ottimo nell'asciutezza e compostezza di una interpretazione mai fuori dalle righe e compassata come richiesto dal copione) che si trova suo malgrado accidentalmente invischiato in un brutto fatto di cronaca locale, la morte di un sorvegliante della stazione dei treni.
Il tipo di racconto ricorda moltissimo quello del suo precedente Elephant, dove il disagio giovanile lì esplodeva in atti violenti ed inconsulti di morte all'interno dell'ambiente scolastico, qua invece nel parco delle paranoie (luogo dove vanno gli skaters a provare i loro numeri sul cemento di appositi mezzi tubi grafitati con le bombolette) il disagio implode, i protagonisti adottano una tecnica di chiusura nel loro paradiso riserva, il parco appunto, per trovare la serenità e l'interesse scintilla di vita che nelle normali attività della società non trovano.
Alex non è un ragazzo privo di soldi oppure di comodità, ma è privo, insieme al fratello, di un vero faro guida per la sua vita, con genitori che stanno divorziando e che non sanno minimamente gestire la situazione dei figli.
Questa mancanza di vere logiche lo porta a disinteressarsi al partecipare a tutto, rimanendo apatico anche di fronte ad un amplesso con la bella fidanzatina (scena girata con una perfezione e tenerezza cristallina, mostrando nulla facendo capire tutto il senso di visione opposto di coinvolgimento con sguardi e carezze) ma anche di fronte al terribile evento che lo vede protagonista, del quale preferisce non fare parola a nessuno (davvero surreale la scena del binario con il povero sorvegliante completamente staccata dal contesto generale del film in quanto ad iconografia di visione).
Con la flebilissima trama gialla, in pratica un pretesto per sottolineare e non vero motore di racconto, Van Sant ci narra di come per essere veramente degni del loro interesse, dobbiamo coinvolgere maggiormente i ragazzi ad interagire e alle attività, capendo ed aiutando, senza mai reprimere, altrimenti li relegheremo in riserve come di fatto è Paranoid Park, sorta di isola felice di maggior interesse della guerra in Irak (della quale Alex dichiara di non volersi minimamente interessare senza leggerla sui giornali dopo averla presa come scusa di disinteresse mentale durante il rapporto/confronto con le ragazze).
Film di regista e non di attori (praticamente tutti esordienti o quasi), Van Sant gira in Super8 e 35MM le sue astrazioni mentali donando sin dall'inizio (come in Elephant) una sorta di quadri naif strepitosi con camera fissa in cui si muovono sul paesaggio le auto o i protagonisti, in un apertura ciclica di giorno e notte che si rincorrono. Notevole l'uso della tecnica del mostrare la solitudine esistenziale come un deserto, dove i protagonisti si muovono in lunghi corridoi vuoti, e le grandi concentrazioni avvengono solo nel parco degli skaters, ma incredibile è anche l'aspetto femminile del racconto, dove le ragazze sono le uniche ad avere il piglio di affrontare le cose in maniera ferma e decisa rispetto all'impermeabilità emozionale dei ragazzi ("Comprerò io i preservativi" e "Non mi puoi mollare dopo aver fatto l'amore con me"). Ci sono delle scene cinematograficamente perfette come quella del litigio silenzioso, oppure quella della doccia mondaproblemi, realizzate nel modo più semplice e asciutto da un regista che come tutti i grandi sa far privilegiare l'arte partendo da cose tecnicamente povere (e i brevi commenti musicali sottolineano perfettamente il tutto).
Siamo di fronte a un lavoro completo, sentito e coinvolto, un racconto semplice ma completo di chi vorrebbe farsi scivolare addosso il mondo ma non può perchè alla fine le cose ti rincorrono, ma per nulla difficile da seguire nel suo svolgimento, privo di qualunque orpello, per cui purtroppo la maggior parte del pubblico potrebbe disinteressarsi a una pellicola totalmente dedicata alla riflessione, nella quale un regista che non ha paura di essere dalla parte totalmente del suo disagiato protagonista, prova a darci un nuovo grande quadro da mettere nella memmoria.
In questo periodo natalizio ci sarà altro tempo per le cose innocue e colorate, non ci rovineremo certo le feste, ma le impreziosiremo, se godiamo di un piccolo intenso bel film come questo.
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The Hitman
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Regia: Xavier Gens
Genere: Azione
Durata: 100'
Cast: Timothy Olyphant, Dougray Scott, Olga Kurylenko
Trama: Creato in laboratorio, preparato con severi metodi d'allenamento, l'agente 47 è un sicario d'eccezione, un Hitman appunto. Privo di emozioni e sentimenti, può uccidere chiunque in favore dell'organizzazione e dello scopo. Un giorno a San Pietroburgo l'organizzazione gli affibbia una missione davvero difficile : uccidere il presidente Russo. Ovviamente ci vuole ben altro per spaventare l'assassino totale, ma le due belle lunghe gambe che spuntano all'orizzonte possono invece rappresentare qualcosa di nuovo ed inaspettato ...
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Commento: Dal game della Eidos. Ed ecco che alla industria del cinema in crisi di idee, si accende una nuova fantastica lampadina, perchè non fare uno dei film più facili della storia su uno degli assassini seriali in missione più amati dei videogiochi? Ed ecco che così viene prelevato il pelatissimo Killer 47 (che sta per il numero affibbiatogli dai suoi mentori) con tanto di codice a barre in testa, messo davanti a una missione ritenuta impossibile (uccidere un presidente Russo) ma con tante armi in mano e sopratutto tanti cattivoni da massacrare. La trama è tutta qui, con l'inserimento della bella Olga Kurylenko a fare bella e inutile presenza (concedendosi dei nude look davvero da infarto).
Io sparo tu muori, l'unico leitmotiv di una trama davvero a cervello zero (ad un certo punto poi un ingresso ovviamente non dalla porta di apertura fa vedere due ragazzi che giocano ad Hitman per Ps2), dove i colpi di scena sono del tutto assenti, i combattimenti una sequela di stupidaggini situazionali a ripetizione, degne delle comiche più di un action movie vero e proprio. Timothy Oliphant (scelto dopo il diniego del muscolare Vin Diesel, se avesse accettato chissà il codice a barre sulla nuca nera come usciva), che aveva partecipato al Kinghiano L'acchiappasogni, fa il killer senza pietà inarrestabile in maniera del tutto credibile in quanto totalmente privo di personalità, (mai parte e paga fu più facile ...), se non fosse per quei piccoli interludi amorosi dove probabilmente neppure lui credeva possibile avvenissero nel copione. L'inesistente regista Xavier Gens (opera prima) chiamato da Luc Besson (produttore del film) a fare lo yes man totale, ovviamente fa di tutto perchè l'insipida vicenda non venga diretta ma soltanto filmata, cercando di lasciare agli altri attori protagonisti (che vengono dalle serie tv più svariate come Desperate Housewives, Prison Break e Heroes) più briglia sciolte che può. Non si capisce davvero perchè non è stato chiamato a dirigere Uwe Boll, uno dei peggiori director disaster della terra, perchè in fondo una"non trametta" come questa lui l'avrebbe trasformata in un carrozzone dell'assurdo privo di ogni logica ma sicuramente stupidamente ironizzante. Sempre meglio qualcosa di brutto che il nulla di brutto.
Chi si avvicina a questo film lo deve fare pensando che sta andando a vedere uno spettacolo per bocche molte buone a tutta grancassa, totalmente a cervello vuoto, privo di qualunque piega thrilling, dalla trama minimale, e tutto relegato alle sparatorie che sono la parte totale del film, ma sono inserite in contesti tutti uguali ed innocui, ripetitivi nelle meccaniche senza dare nessun valore al lavoro. Dicono che il sonno della ragione crea mostri, Il sonno della creatività ha creato Hitman, auguriamoci che i produttori si sveglino davvero presto prima di realizzare altre trasposizioni videoludiche talmente orrende.
La mancanza di un protagonista duro e crudo come per esempio Jason Statham (quello dei Transporter), non permette neppure di conferire quella sorta di assurdo onirico che qualche volta salva questi filmetti, altra balordaggine produttiva, e il rimpianto aumenta sapendo che nel 1991 il mitico al contrario Chuck Norris partecipò ad un film che si intitolava Hitman (avevano il richiamo giusto e non ci hanno pensato, il texas Ranger pelato sarebbe stato davevro suggestivo, e i suoi mitici calci rotanti a ripetizione il sale da intervallare ai monotoni colpi di pistola che vediamo in questo film).
Un film talmente brutto che fa rimpiangere la mancanza del tasto chiudi partita sulla poltrona del cinema, che non soddisferà neppure i fan più accaniti del game in quanto a differenza di questo il tasso di coinvolgimento è zero.
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La promessa dell'assassino
Titolo originale : (Eastern Promises)
CastViggo Mortensen, Naomi Watts, Vincent Cassel, Donald Sumpter, Michael Sarne, Jerzy Skolimowski, Sinéad Cusack
RegiaDavid Cronenberg
Durata01:40:00
Data di uscitaVenerdì 14 Dicembre 2007
GeneriThriller, Drammatico
Distribuito daEAGLE PICTURES
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Trama: Londra. Nel periodo natalizio una ragazzina quattordicenne muore di parto. La levatrice che l'ha assistita senza riuscire a salvarla, cerca di indagare su chi potrebbe essere il padre della bimba. Tutto potrebbe far ricondurre a un fatto di violenza pedofila eseguito da una capo della mafia russa. L'indagine diviene da subito oltremodo pericolosa, e soltanto un coraggioso appartenente al clan di nome Nikolai sembra volerla aiutare veramente, mentre anche i suoi stessi familiari cercano di scoraggiarla dal continuare le scottanti indagini ...
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Commento: il grande regista franco-canadese David Cronenberg, autore di grandi lavori e considerato uno dei director più visionari ed eccessivi dell'epoca moderna (vedere per credere il suo cosidetto ciclo della filosofia carne, con la manipolazione delle fisionomie dei corpi), prosegue il trend iniziato nel 2005 con History of Violence virando completamente verso uno stile più reale di racconto e di azzeramento dell'astrazione visuale. Stavolta Viggo Mortesen (protagonista anche del precedente film sopracitato di Cronenberg) è il grandioso protagonista che tratteggia un ritratto di killer senza scrupoli della mafia Russa che deve giocare di bilancino per giostrare i suoi sentimenti verso la coraggiosa levatrice (interpretata dalla brava e bella Naomi Watts, che era la lady di cui King Kong si innamorava nel film di Peter Jackson) e contemporaneamente non tradire il suo clan, il cui capo sembra si sia macchiato di un orrendo crimine. Il clima natalizio della pellicola contrasta fortemente con le immagini (non visionarie ma durissime) che vediamo sullo schermo, come se Cronenberg ci tenesse a sottolineare che le cose brutte succedono sempre e le feste sono solo congiunture temporali che non inficiano assoutamente sulla crudezza delle azioni dell'uomo. La storia è brutale, parla di atto di pedofilia con morte susseguente della povera madre bambina, le azioni/reazioni innescate dall'indagine della levatrice violentissime, in una spirale senza fine che lascia solo sangue per strada. Cronenberg con la sua arte filmica di altissimo livello riempie le scene di grandi momenti di impatto (la scena dei bagni, l'arrivo della bambina gravida nella farmacia, l'abbandono nelle acque dei corpi) donando alla trama del film, semplice e lineare storia di vendette e punizioni, una grande tensione di base ed un fascino tutto autoriale al lavoro. Lo spettatore, anche il fan più accanito legatissimo alla lunga fase dei film visionari ed astratti del regista e che magari vede sgraditamente questa nuova tipologia di racconto del tutto slegato da temi paranormali o d'amalgama, riesce a leggere nel dipanarsi degli eventi le simbologie del corpo tatuato oppure il sangue perso sono comunque delle icone diverse ma non meno pregne di quanto sia importante preservare la propria integrità morale prima di quella fisica, dove le persone più indifese (i bambini) sono l'ago della bilancia per la vita che deve proseguire donandogli una serenità che certi atti basici e primordiali possono solo corrompere. I grandi temi del film sono l'onesta contro i sorprusi verso i piccoli, la caparbietà (che va contro anche ai voleri della propria famiglia che cerca di dissuadere la levatrice dall'indagine che scotta), per finire con la determinazione senza paura nel combattere anche per ciò che viene definito un valore perso, anche perchè se si scava in ogni persona, anche la peggiore, possiamo estarre del buono.
Mortensen è bravissimo a portare sulla scena i disegni di Croneberg, killer/autista esistenziale perfetto, (non esita neppure a recitare completamente nudo nella strepitosa e durissima scena dei bagni), la tensione rimane sempre altissima e non si concede mai un momento di stanca, riuscendo ad elevare ad attore anche il non eccelso Vincent Cassel (fa il figlio sessuomane del boss, ma di fatto molte volte lo vediamo solo in parti defilate quando non recita al fianco della moglie Monica Bellucci) che qui riesce ad essere convincente nella cruda ottusità del personaggio che interpreta.
Un film davvero ottimo, che supera in intensità l'iniziatore del nuovo corso registico History of Violence che viveva parecchio di stereotipi meno affascinanti di questi, realizzato con maestria e che ci costringerà ad avere dei validi moti emozionali di condanna (che portano a una riflessione sugli argomenti trattati) sia per la crudezza di quello che racconta e per certe immagini forti che possono turbare gli spettatori meno avvezzi alla visione di sangue e tagli di varie genere.
D'altronde se si vuole dare un messaggio forte e preciso non si può tergiversare nascondendo la cruda realtà, e non aspettatevi che sia Cronenberg ad occultare la sua prosa dietro immagini tenue o più consolanti.
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La bussola d'oro
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Cast Nicole Kidman, Daniel Craig, Eva Green, Jim Carter, Tom Courtenay, Clare Higgins, Sam Elliott, John Bett, Magda Szubanski
Regia Chris Weitz
Sceneggiatura Chris Weitz
Data di uscita Venerdì 14 Dicembre 2007
Generi Azione, Avventura, Fantasy
Distribuito da 01 DISTRIBUTION
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Trama: Nel mondo parallelo di Lyra ogni essere vivente è accompagnato da una trasfigurazione animale (detta Daimon) instabile in continua trasformazione nelle fasi più giovani della vita, e il legame empatico che si crea tra le due entità è totale, fino ad arrivare alla morte di una a seguito del decesso dell'altra. L'ambigua e bellissima signora Colter sembrerebbe avere scoperto un terribile segreto che riguarda questo legame e coinvolge la giovane Lyra e il suo Daimon Pan in una pericolosa avventura tra le terre ghiacciate dominate dal popolo degli orsi ...
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Commento: Avvertenza importante: è il primo capitolo di una trilogia tratta dai romanzi "Queste Oscure Materie" di Philip Pullman, per cui la storia alla fine del film rimane completamente sospesa.
La New Line Cinema cerca di rinverdire i fasti della trilogia del Signore degli anelli con questa ambiziosa trasposizione cinematografica fantasy contaminata, che ha nel cast diverse star di prima grandezza come l'algida e bellissima Nicole Kidman (che interpreta l'ambigua cattiva del film) e il novello 007 Daniel Craig (che invece fa la parte del buono), di Eva Green (bond girl di Craig e qui bella strega volante con arco) per concludere con la partecipazione del cow boy style a tutti i costi Sam Elliott (che praticamente riutilizza gli stessi abiti del recente Ghost Rider con Nicolas Cage). La vicenda raccontata in questa prima parte della trilogia tratta dai libri di Philip Pullman (i prossimi saranno La lama sottile e Il canocchiale d'ambra) narra della strana società di uno dei tanti ipotizzabili mondi paralleli dominata da una casta di persone detta "Il magistero" (sorta di oligarchia dal controllo totale sulla società), dove ci sono dei territori ai margini dominati da varie multiformi etnie anche non umaniformi come quella degli orsi, che vivono in stato di semilatitanza in lande disperse, rispetto al grande potere centrale che domina una società tecnologicamente avanzatissima. L'ipotesi del film è che il controllo per poter essere totale deve agire sin dagli albori sulle due configurazioni del giovane cittadino (sia quella reale che quella dello spirito anima guida, che ognuno ha, configurata in un animale detto Daimon, dove l'empatia è talmente totale da far morire uno in conseguenza della scomparsa dell'altro), impedendo ogni moto di ribellione rispetto a chi comanda. Chiunque si opponga deve giocoforza confrontarsi con la forza fisica della repressione. La vicenda si svolge partendo da una bambina di undici anni che vive teoricamente in piena tranquillità (interpretata dalla giovane Dakota Blue Richards), costretta a una fuga precipitosa dopo aver ricevuto una sorta di dorata macchina rivela verità (La bussola del titolo).
La trama è davvero complessa ed eterogenea (d'altronde il mistero avrà tempo altri due film per dipanarsi), perchè si passa da ambientazioni popolose ed industrializzate (affascinanti le macchine volanti stile aeromobile Zeppelin e le visioni dall'alto degli abitati) a quelle di una sorta di pianura gelata, ma anche i protagonisti dopo essere stati i politici e gli scienziati diventano invece gli zingari, i pirati, gli orsi, o cow-boy volanti.
Gli animali, sia i Daimon che gli altri, parlano, colloquiano con tutti e vengono ascoltati e capiti, in una sorta di correlazione di idea che li porta a trasfigurarsi come umani. Un mondo fantasy tanto composito anche di elementi non proprio completamente correlati tra di loro, potrebbe di fatto essere affascinante, una possibile voglia di dire una parola nuova e diversa, però di fatto alla fine troppe diversità accatastate fanno stridere il tutto facendolo sembrare un pasticcio mal lievitato piuttosto che una torta saporita partendo da elementi gastronomici agli antipodi.
La vicenda ha di fatto un suo fascino conformato dal visivo di base, gli effetti sono buoni (lontanissimi da quelli stupefacenti della trilogia di Jackson comunque), il movimento delle controparti animali e degi orsi è morbidissimo come le futuristiche macchine ben congegnate nel design, ma purtroppo la vicenda latita a decollare, troppo relegata alle fughe della bimba coraggiosa (alcune davvero troppo rocambolesche, in fondo non è proprio di base una avventuriera) e alle entrate affascinanti della Kidman (sempre stupenda ed emozionante in abiti fascianti bellissimi), mentre tutto l'insieme risulta stirato e forzato, con i personaggi secondari che entrano nella trama quasi a casaccio e senza una logica ben precisa.
Bisogna tener conto che probabilmente il regista Chris Weitz (About a Boy del 2002), trovandosi di fronte a un romanzo così complesso e che ha un primo capitolo dove praticamente quasi nulla viene svelato (contrariamente ad altre trilogie che comunque tutte le motivazioni base erano esplicate da subito mentre rimaneva in sospeso la modalità d'attuazione) ha preferito giocare parecchio nella trasposizione accellerando tempi ed azione, i personaggi sono pochissimo caratterizzati o analizzati, facendo risultare il prodotto godibile a livello di fruizione alle famiglie (la scena campale finale è un veloce concentrato di azione totale), ma con un fondo di emozionalità narrativa e di fascino quasi nullo, non possiamo certo dire di considerare l'orso ex-alcoolizzato carismatico oppure la Kidman una grande cattiva, come del resto la credibilità della Green in versione streghesca è quasi nulla per come ci viene proposta. Il tentativo di girare stereotipi del fantasy in un frullato con altro in definitiva fallisce, non miseramente ma comunque non ci porta certo ad attendere con particolare ansia il seguito della vicenda, come del resto il valore politico di fondo del film di cui si parlava prima si disperde dopo averlo abbozzato.
Bisogna dire che comunque bisognerebbe attendere tutto l'insieme (il secondo e il terzo film) per poter dare un vero giudizio reale, dato che una volta che tutta la trama è stata dipanata potremo dire se i tasselli che alla prima parte hanno un po' deluso poi invece hanno creato un buon quadro completo. Parlando solo di questo capitolo, in definitiva senza cercare valori diversi o vere soddisfazioni, il film può divertire in superficie per la sua colorata visualità ma purtroppo non si converte in nulla di concretamente convincente.
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L'amore ai tempi del colera
(Love in the Time of Cholera)
Un film di Mike Newell. Con Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno, Benjamin Bratt, Catalina Sandino Moreno, Hector Elizondo, Liev Schreiber, Fernanda Montenegro, Laura Harring, John Leguizamo. Genere Drammatico, colore 138 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 01 Distribution
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Trama: Florentino Ariza è un giovane di belle speranze che si innamora perdutamente, inizialmente ricambiato, della bella Fermina Daza, giovane donna di Cartagena. Il padre di lei però ha ben altri progetti matrimoniali e costringe la figlia ad andarsene lontano mettendo Florentino nella disperazione più totale. Passano gli anni inesorabilmente ma nonostante lei si sposi con un altro e abbia dei figli lui non abbandona minimamente l'idea di coronare il suo sogno lunghissimo d'amore. Dopo 53 anni qualcosa accade ...
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Commento: Giovanna Mezzogiorno, dopo aver ben interpretato vari, più o meno intensi, personaggi femminili, trasloca in America per il suo primo film targato USA sotto la direzione di Mike Newell (eclettico nel fare commedie come 4 matrimoni e un funerale oppure dei gangster movie come Donnie Brasco). Il film a cui la nostra brava e bella connazionale decide di partecipare è un ambizioso progetto, portare sullo schermo uno dei romanzi d'amore per eccellenza, quel "L'amore ai tempi del colera"di Gabriel Garcia Marquez, ritratto di un uomo (interpretato dal bravo Javier Bardem, su cui tutta la pellicola si regge, ricordiamo la sua eccezionale prestazione in Mare Dentro di Amenabar) follemente innamorato di uan donna (Fermina, interpretata dalla Mezzogiorno) tanto da attendere un arco di tempo lunghissimo (53 anni a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo) per cercare di coronare un sogno d'amore. La storia è quanto mai semplice, partendo con un lungo flashback dopo che è accaduto un fatto atteso in maniera spasmodica da Florentino, si ripercorre la strada separata che i due protagonisti hanno fatto divisi ed allontanati sullo sfondo di una Cartagena minata dalla guerra civile e dal colera. Cercando di consolarsi per il fatto che Fermina sia assolutamente inavvicinabile senza mai far calare il suo amore, Florentino si consola come può con un nugolo interminabile di altre donne (ne tiene il conto su un diario) ma di base la sua infelicità è totale ed incolmabile tanto da portare anche alla pazzia per il dolore la vecchia madre. Newell orchestra un affresco che sembrerebbe all'inizio di grande fascino dato che l'arco narrativo copre oltre mezzo secolo, ma non riesce minimamente a dare spessore e consistenza alla vicenda, che dopo l'inizio tenero e zuccheroso, tende a ripetersi in maniera monotona e noiosa ribadendo sensazioni e concetti superiori con poco impatto emotivo. Lo spettatore non si ritrova ammaliato e coinvolto, anche perchè il contorno situazionale (la guerra civile, il colera e la povertà generale) non si sente, non ci si immedesima nel momento storico come si dovrebbe per rendere il tutto completo (prendiamo l'esempio di Via col vento per dare un idea di che concetto vogliamo esprimere) anche se ci viene detto in quale situazione i due amanti paralleli si trovano, ed anche i paesaggi fluviali e forestali perdono di fascino sembrando gli incolpevoli ospiti di una vicenda con colori smorti. Errori ovviamente gravissimi, che fa cadere verticalmente il film di qualità, e complice anche una Mezzogiorno insufficente, spaesata e senza verve (il trucco che rende i due man mano sempre più vecchi è molto buono ma probabilmente gli ha nuociuto affaticandola) tutto il girato si regge unicamente sulla ottima interpretazione di Bardem, grande tratteggiatore dell'anima tormentata di Florentino che non trova pace, una visualizzazione perfetta di colui che le donne desiderebbero avere come compagno fedele e incrollabile di fronte a tutto, che sacrificherebbe tutto se stesso per amore. Nonostante ogni tanto sia coinvolto in scene del tutto gratuite e illogiche (come quella dell'amplesso con la vedova durante i combattimenti furiosi e le cannonate oppure quella dell'amante che non si toglie i segni del colore sul corpo), l'attore non cede a un adattamento cinematografico inconsistente e frettoloso (le musiche di Shakira poi sono un inutile compendio sonoro senza valore) e man mano il suo personaggio diventa il centro della nostra attenzione catalizzando e facendolo affezionare. Una prova davvero da Oscar, vedremo se l'Academy Awards lo considererà. Partecipano poi senza graffiare Benjamin Bratt (che fa il dottor Juvenal Urbino che combatte il colera) e il ben più incisivo, ma purtroppo in altre occasioni, John Leguizamo (il padre di Fermina).
In definitiva un film sull'amore totale ed eterno che non si ama, che cerca di essere d'atmosfera con qualche immagine ricercata, pieno di frasi altisonanti che non fanno da fascinosa e profumata chiosa su quanto visto ma solo da affermazione dovuta vuota ed inconsistente per essere private del loro messaggio per colpa di un contesto povero, che valorizza un personaggio per meriti non suoi ma dell'attore, che può piacere, magari lasciando qualche lacrimuccia (si dice nel film "Il cielo piange per Fermina" nel momento che piove), nella sua integralità solo a chi ha il cuore (molto) tenero e si accontenta di vedere raccontato e non contestualizzato. Il grande romanzo di Marquez nel suo fondo narrativo è rispettato, peccato che questo film non ne faccia sentire il vero profumo, come quello dei numerosi fiori mostrati.