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Rec
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Cast Manuela Velasco, Pablo rosso Struz, Manuel Bronchud, Vicente Gil
Regia Jaume Balagueró, Paco Plaza
Sceneggiatura Jaume Balagueró, Paco Plaza
Durata 01:25:00
Data di uscita Venerdì 29 Febbraio 2008
Genere Horror
Distribuito da MEDIAFILM (2008)
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Trama: Angela Vidal è una giornalista dilettante che sembra aver trovato la sua grande esclusiva, mentre è con dei pompieri per fare un reportage, li segue in una trasferta che sembra di totale routine in un condominio. Invece appena entrati nel luogo entrano in contatto con una misteriosa minaccia che il governo sembra conoscere dato che prontamente circoscrive tutto l'abitato impedendo a chiunque di uscire. Intrappolati e con il terribile pericolo che li minaccia, Angela e il suo cameraman sono decisi a tutto pur di riprendere ogni cosa e darne testimonianza. Certo, prima bisogna anche sopravvivere ...
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Commento: Jaume Balagueró (qui con Paco Plaza in aiuto regia e sceneggiatura), autore spagnolo prolifico e specializzato nel cinema horror di varie destinazioni/direzioni, (titoli come Fragile, Nameless, Darkness sono suoi), si cimentano con la tecnica "povera" della ripresa diretta con camera a mano (come se si facesse un film amatoriale) resa famosa dal grande successo internazionale di The blair Witch project e rispolverata (con tanti soldi di budget) dal recente Cloverfield di JJ Abrams. In questo caso l'amatorialità è dichiarata da subito, con la trama che ci comunica che la giornalista di una tv locale (che sembra una liceale che sta facendo un film per il giornale della scuola, bionda e con treccine) contatta i pompieri per un reportage, partecipa a una loro apparentemente uscita banale, per poi essere presente con la sua camera a delle agghiaccianti scene dovute a una misteriosa minaccia che costringe il condominio e i suoi abitanti in uno stato di quarantena imposta dal governo, che impedisce a soccorsi e soccorritori di uscire all'aperto.
Assistiamo a un primo tempo come doveroso soporifero per farci conoscere i protagonisti della storia, poi dopo Balaguerò e Plaza agiscono di progressione e ci conducono man mano in una interessante paurosa storia condominio inside, intendendo con questo termine un microcosmo pauroso che per la sua circolare stretta ambientazione impedisce grandi fughe aumentando il senso di prigionia e impotenza, per poi letteralmente esplodere con uno dei finali più agghiacchianti che si siano mai visti negli ultimi tempi utilizzando un misto di lerciume, buio, sperimentazione e colpi di scena da far evitare assolutamente ai cardiopatici.
Davvero interessante come con l'utilizzo della camera a mano in presa diretta si possa esplorare le abitudini delle persone (le interviste sono al limite dell'ilarità e coinvolgono diverse etnie come quelle orientali, o inclinazioni diverse come quelle gay, o anziani che perdono la memoria, che parlano di stupidaggini mentre incombe la misteriosa infezione continuando a criticare gli altri condomini per le solite banali liti di convivenza, volendo globalizzare il mondo in una stanza, o meglio in un palazzo) e poi possa farci entrare dentro l'azione in maniera totale e completa, come se noi fossimo lì sul posto.
Ci sono delle ingenuità di base piccole nel dettaglio (si trova una chiave in pochi secondi in mezzo a un mazzo di cento, i condomini sono macchiette che possono contrastare con l'ambientazioen di pericolo poco caratterizzati attorialemnte) ma si perdono nell'ansia imperante del tutto amplificata dalla camera a mano.
Avvisiamo subito di non mangiare prima del film perchè la camera è a dir poco psicopatica nei movimenti nella parte iniziale, poi si rende meno nemica della visione appena si arriva nel condominio infestato, con dei movimenti ovviamente sempre veloci e frenetici (d'altronde pure il coraggioso uomo camera, che logicamente non si vede mai, deve salvarsi mentre riprende) ma più morbidi, si stabilizza intelligimente per dare respiro allo spettatore (con delle volte che viene appoggiata per terra facendo vedere solo dei piedi o con del buio totale in cui si sentono solo le voci) e poi dopo confortevolizza il tutto con delle inquadrature fisse che riprendono una scena circostanziata (per esempio quella del bagno, chissà perchè con sbarre a serranda e chiusura a chiave).
Ma ci preme parlarvi del finale: gli ultimi venti minuti circa sono a dir poco strepitosi, ricordando il cinema di Fulci e Bava (il grande Mario ovviamente) con le loro iconografie del terrore, dove un articolo di giornale ricordava potentemente cose seppellite nel tempo ma attualmente pericolose di maledizioni nostrane. Il volo del terrore spicca al diapason (dopo averlo lentamente bollito al fuoco), si fanno salti sulla sedia di paura e tutte le certezze/sicurezze della vita vengono a mancare a poco a poco (spazio/luce/percezione) dove il lercio, il marcio e lo sperimentativo da pazzia hanno il sopravvento. Non ci sono vere innovazioni filmiche in questa pellicola, tecniche e modi sono consueti e collaudati, ma la pellicola è valida sopratutto perchè non è mai conciliativa, non si preoccupa di usare anche i bambini o i disabili (qui poi il grasso è bello è usato in modo del tutto personale) o gli eroi, come se ci fosse una sorta di parimenti di giustizia nel voler dare a tutti il concetto che non ci sono personaggi invulnerabili perchè bisogna restare politicamente correct a tutti i costi.
Un horror film di grandissimo impatto emotivo che potrebbe far storcere il naso ai teen appassionati di innocue forti emozioni solo visive e non emotive (di fatto le peggiori), qui le armi usate per difendersi sono minime e minimali, c'è solo qualche colpo di pistola, nessun uso delle armi da taglio e solo delle mazzette sfondaporte usate dai pompieri che vengono nella disperazione buone per altri usi. Gli effetti sono del tutto artigianali come piacerebbe a Stivaletti & Co. o ai tempi dell'Argento furioso e glorioso, le ferite fatte con le tecniche del tempo che vale e non di quello che accomoda usando il computer, fa davvero bene al nostro senso dell'horror vedere piaghe che vengono perforate da siringhe oppure delle bocche sanguinolente old style.
In definitiva un film pauroso come pochi che ci inchioda nel finale, ma anche dalla grande progressione man mano che scorre, dalla corta durata per via della camera a mano in rispetto dello spettatore, dove il mistero ci attanaglia dandoci una grandiosa sensazione di impotenza. Speriamo ora che non ci sia la moda dei film con questa tecnica, per non rischiare una caduta di qualità nella serialità, certo che questo nuovo figlio spagnolo (che state sicuri verrà saccheggiato immondamente dagli Americani mettendo una attrice on spot al posto della sconosciuta Manuela Velasco, e magari senza handcam) è davvero pregno di grande impatto. Non perdetevelo ed evitate senza tema i leccalecca americani che diventano numero senza essere niente. E per precauzione, controllate che il tasto rec del ricordo sia funzionante, non meriterebbe davvero di essere accantonato in fretta per la frenesia di accumulare altro.
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Prospettive di un delitto
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(Vantage Point)
Un film di Pete Travis. Con Dennis Quaid, Matthew Fox, Forest Whitaker, Sigourney Weaver, William Hurt, Saïd Taghmaoui, Ayelet Zorer, Edgar Ramirez, Eduardo Noriega. Genere Thriller, colore 90 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Sony Pictures
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Trama: Durante un summit internazionale, a Salamanca in Spagna, sul terrorismo il presidente degli Stati Uniti viene ucciso in un attentato. La ricerca del colpevole procede secondo otto visioni diverse di vari personaggi presenti sul luogo che costruiscono ripartendo ogni volta dallo stesso punto con la loro storia personale la visione totale. Alla fine della ricostruzione diversificata potranno emergere delle pericolose versione ambigue ...
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Commento: Otto prospettive differenti per descrivere un unico avvenimento tragico. Un po' Lost con i suoi flahback e flashforward (e il protagonista di questo serial, Matthew Fox, il dottor Jack dell'isola non sembra davvero messo lì a caso) e un po' 24 (action in tempo determinato con azione serrata), questo lavoro del regista Pete Travis (al suo attivo solo Cold Feet del 1998) ci mostra cosa varia per la vita di ogni persona l'essere protagonista oppure spettatore di un tragico avvenimento, se poi l'avvenimento è il summa delle tragedie politiche come la vita troncata di un presidente (nel luogo e da parte di chi si vuole combattere organizzandosi con un Summit), anzi del presidente, visto che il grande William Hurt incarna la figura dell'uomo più potente del mondo che viene ucciso (nessuno spoiler in atto, la cosa avviene subito al primo momento) il tutto si amplifica all'infinito.
Il film riprende questo tragico fatto all'inizio, poi dopo utilizzando una specie di riavvolgimento visivo da videoregistratore ricomincia tutto dalle ore 12.00 in punto per varie volte.
Sigourney "Ripley" Weaver è la regista di una tv americana (chiamata GNN con ovvi riferimenti alla CNN) arrivata a Salamanca per riprendere l'avvenimento, che in cabina di comando vede gli avvenimenti con tante camere diverese (come parafrasi e contatto ideologico delle prospettive del film), Dennis Quaid è l'arcigno detective della sicurezza con un passato particolare che non si rassegna mai, il grande Forest Whitaker è il turista che filma con la sua videocamera le circostanze e i dintorni della tragedia in maniera amatoriale, Eduardo Noriega è il poliziotto spagnolo della sicurezza, infine Fox è il collega deciso e determinato di Quaid.
La narrazione ad andata e ritorno è serratissima e non concede tregua, ha delle sorprese di retroscena non scontate, e sopratutto procede chiara senza mai far andare fuori di testa lo spettatore per seguirla.
Gli inseguimenti in auto sono spettacolari, numerosi crash contraddistinguono il visivo (i soldi spesi non sono solo per il cast stellare) rendendo il pastiche politico/action coinvolgente oltre che roboante.
In mezzo ai professionisti della difesa e alle congiure (e ai ricordi oltre che dell'11 settembre anche dell'11 marzo spagnolo), ci sono le determinanti storie di piccoli uomini e cittadini comuni che si ritrovano ad essere protagonisti involontari dello scenario tragico. Davvero una strana commistione quella di vedere tecniche collaudate in televisione (ed eseguite comunque di base con gusto cinematografico come da insegnamento appreso ed eseguito da professionisti del cinema come Kiefer Sutherland) sul grande schermo, ma la cosa funziona perfettamente a livello dinamico e visivo.
Certo, siamo di fronte ad un ennesimo figlio dell'11 settembre, come del resto il contemporaneo Rendition in uscita nelle sale lo stesso giorno, ma stavolta non ci troviamo di fronte solo a un pallido unico sbandieramento dell'onore e della patria, tutto potrebbe essere connotatto come una indagine "Del chi è stato?" che per dargli una grande ridondanza (e richiamo) allarga di importanza e orizzonti i protagonisti, visualizzando tutte le prospettive e le visioni e non solo una unica. Il pubblico che si avvicina a questo prodotto non nuovo ma atipico (un esempio di formula c'era anche nel thriller/glamour Signori il delitto è servito, tratto dal gioco da tavolo Cluedo, anche se in chiave del tutto diversa) ha lo stimolante gioco delle diverse propsettive da sviluppare potendo verificare a mente aperta e in prima persona che l'attenzione del regista abbia collegato tutto per bene. D'altronde da sempre il pubblico vuole poter giocare mentalmente anche con ciò che vede, e qui il sintomo di gioco funziona perchè il film non è verboso e il ritmo indiavolato. Logica vuole che alla fine venga fuori L'American Way of Glory, Quaid incarna il classico americano che lotta senza mai arrendersi di fronte al nemico, che è furbo e determinato ("Questi americani si credono sempre un passo davanti agli altri") ma la cosa non viene a disturbare in quanto non abbiamo davvero il tempo di pensare dato il tornado continuo di avvenimenti.
Quello che si può rimarcare a questo film è la mancanza di un approfondimento (improponibile in simile intento di totale action intrattenimento) di qualche concetto sublimale non mansueto o consueto (in fondo vive di stereotipi).
In definitiva una pellicola dal grandissimo ritmo action non originale ma atipica, che soddisferà gli amanti di genere a sfondo politico (blandamente approfondito e grandemente gonfiato) ma anche l'occasionale spettatore che cerca solo stimolante divertimento puro facile da assimilare.
Gli obbiettivi sono questi e sono raggiunti con una cifra stilistica mediocre, se si vuole altro e di meglio sono settimane grasse di cinema e non è dura scegliere variazioni di profondità più marcate. Se vogliamo rilassarci senza rimpiangere il biglietto questo film è l'ideale, senza troppo badare a contenuti che non ci sono sulla sua conformità di cartellone mostrata e che poi non arriva.
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Rendition detenzione illegale
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Rendition - Detenzione illegale
(Rendition)
Un film di Gavin Hood. Con Reese Witherspoon, Jake Gyllenhaal, Meryl Streep, Alan Arkin, Peter Sarsgaard, Omar Metwally, Yigal Naor. Genere Thriller, colore 120 minuti. - Produzione USA, Sudafrica 2007. - Distribuzione Eagle Pictures
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Trama: La "extraordinary rendition" è la cosidetta presa in consegna speciale illegale di un cittadino Usa sospettato di terrorismo e deportato in un carcere segreto dove sotto tortura viene costretto a parlare.
E' quello che capita a uno stimato e ricco cittadino musulmano padre di famiglia e sposato con una donna americana, apparentemente inchiodato senza scampo da delle telefonate ricevute da un riconosciuto terrorista internazionale.
Disperatamente la moglie chiede aiuto per la sua liberazione credendo ciecamente nella onestà del marito, ma le sue invocazioni sembrane essere solo delle grida inutili verso i palazzi del potere. Intanto i terroristi islamici stanno elaborando un piano che prevede l'eliminazione fisica del crudele capo della polizia locale mediorientale, brutale torturatore al servizio degli Usa, se non che sua figlia ...
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Commento: Si può torturare un uomo fino a farlo confessare a forza? Questo Rendition-detenzione illegale prende spunto dal fatto vero che si possa per motivi di collegamento terroristico deportare e segregare per interrogarlo in odi più o meno leciti, sicuramente non mostrati, qualunque collaborazionista. Motivazioni e misure straordinarie, ovviamente post 11/09, che il governo Americano ha varato per rendere ancora più sicura e stabile una situazione diffiicle da gestire. Per quando riguarda la trama del film, il prigioniero è un cittadino Musulmano Americano di origini egizie affezionato padre di famiglia, Anwar El-Ibrahimi, (l'attore Omar Wetwally, bravo a sottoporsi a scene crude e violente), che delle telefonate inchiodano come collaborazionista (lui è un chimico e potrebbe aver agevolato la preparazione delle bombe per i kamikaze). Brutalizzato sotto gli occhi impotenti di un osservatore della Cia (Jake Gyllenhall, uno dei due cowboy gay di Brokeback Mountain), da un capo della polizia egizia cinico e torturatore, ha l'unica speranza di avere la moglie determinata a liberarlo (una strepitosa Reese Witherspoon, ormai matura attrice, dopo el prime innocue prove, che recita con il pancione e in maniera convincente) che si muove contro tutto e tutti nei palazzi del potere. Altra protagonista di questo bello e interessante film è Meryl Streep (deputata cinica a servizio della Cia dai sorrisi perfidi ed ironici, sempre molto sicura di se stessa).
Gavin Hood (il regista di Il mio nome è Totsi, premio oscar come miglior film straniero nel 2005) dirige una pellicola asciutta, priva di sbavature inutili che ci racconta di come è facile cadere nel tranello della grande retata per credere di compiere il più possibile opera di prevenzione contro il terrorismo, come dice la Streep nella sua frase emblematica "Meglio avere 7000 persone tranquille anche se ne paga una innocente", facendo una difesa di massa contro i diritti del singolo. Certo un ragionamento che nella salvaguardia di massa non fa una grinza, il problema viene quando qualcuno dei forse innocenti e creduti sicuri colpevoli sei tu, oppure un parente o un amico stretto di famiglia. La scelta e le decisioni del paese a quel punto non sono molto chiare. Altro figlio dell'11/09, abbiamo anche un aereo che sembra voler cozzare in volo contro la famosa stele della pace, ad icona e dimostrazione del riferimento.
Le difficoltà di agire con vera logica di ragionamento sparando nel mucchio, vengono elaborate con le scene in luoghi chiusi, bui (la prigione di tortura), dove le indagini sembrano sempre ad un punto fermo, mentre il marciume dei grandi poteri viene nascosto da palazzi luminosi e perfettamente scintillanti solo di facciata, dove la povera moglie disperata si muove come se fosse nel deserto.
Hollywood e il cinema in generale, da tempo non hanno più paura di parlare, e questa nuova polla di vergogna sommersa viene messa alla berlina tanto quanto l'arrogante comportamento del capo della polizia locale mediorientale dai metodi brutali, che si ritrova il calderone del fanatismo che porta al suicidio per la guerra santa, ma anche la figlia coinvolta che per amore non connota più le ragioni del giusto.
Ragioni di Stato, sentimenti, etica, una visione dei musulmani estremisti ma anche quella dei sani ed onesti, sono mostrate nel film, raggiungendo una vitalità particolare nel momento dei confronti personali tra i personaggi.
Non ci sono mai veri sorrisi lungo il cammino, ma solo ironiche frasi a dimostrazione del giusto come risposta, o terribili silenzi dopo domande che fanno una grande immensa paura.
Si cita Shakespears per difendere il concetto di umanità, si brutalizza il verbo con violenza ("Tu picchia tua moglie ogni giorno, tu non lo sai perchè lo fai ma lei si") per difendere la estorsione della presunta colpevolezza, ma alla fine i danni e le conseguenze di un atto di vigliaccheria fatto per la logica di una difesa della massa hanno conseguenze solo di umiliazione e non di risoluzione comunque, dove i mezzi non giustificano il fine.
Interessante vedere come i terroristi kamikaze sono manovrati da una mano crudele e molto più assassina della loro ("sono solo ragazzi" dice piangente una madre affranta che ha perso il figlio, che non è compiaciuta del gesto del figlio come la logica della follia da fanatismo potrebbe suggerire) sono il corollario di una storia sporca e dannata dove gli Usa si misurano con la loro recente difficile storia priva di eroismi e di grandi imprese che lavano la ferita da trasmettere al tempo futuro.
Non potranno mai giore le perosne coinvolte in tali fatti, non solo perchè non potranno dirlo a nessuno, perchè non danno relae soluzione, mentre anche i musulmani onesti dovranno vivere con il coltello fra i denti senza mai trovare serenità di comportamento anche nel nuovo status di emigrati riconosciuti.
Strepitosa la Whiterspoon, ottima la Streep (autentica ombra sulla vicenda e grande burattinaia di impatto) bravo Gyllenhall nei suoi sguardi persi, ma davvero valida la sezione mediorientale del film con le loro paure incarnate da un asino con il suo carico caduto che blocca la strada.
In definitiva un ottimo film di denuncia, asciutto e coinvolgente, con delle interpretazioni valide che soddisfa qualunque serata diversa da quelle di un innocuo intrattenimento, per parlare di uno degli aspetti sommersi delle conseguenze della tragedia che ha cambaito il volto del decennio.
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Persepolis
Persepolis
Un film di Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud. Genere Animazione, colore 95 minuti. - Produzione Francia, USA 2007. - Distribuzione Bim
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Trama:La vita autobiografica di Marjane Satrapi, tratta dal suo fumetto e trasposta in film sotto forma di cartone animato. Le paure, le difficoltà di una donna in cerca di libertà nella Teheran dai tempi della caduta dello Scià di Persia al rigido regime degli ayatollah. Tra privazioni del proprio gusto personale e difficili viaggi all’estero, Marjane cresce e si consapevolizza della condizione delle donne musulmane e di quanto è difficile viverne la condizione.
Commento: Acclamato all’ultimo festival di Cannes dove ha vinto il gran premio della giuria, arriva finalmente in Italia il film d’animazione di Marjane Satrapi che narra la sua vita nella Teheran del velo, del proibizionismo per le donne e della repressione del pensiero e delle libertà. Cresciuta in una famiglia progressista e quindi venuta a contatto con realtà diverse rispetto a quelle di altre sue coetanee, grazie a dei viaggi in Europa e una passione particolare per le letture e la musica occidentale, sviluppa un gusto proprio reazionario che la porta a scontrarsi con i pasdaran del governo venuti al potere dopo la caduta dello scià di Persia. Lì scopre che l’ideologia di libertà è totalmente fasulla dopo un iniziale stimolante momento di entusiasmo, accetta suo malgrado di tenere il chador (il velo islamico), poi durante la guerra tra Iran e Irak emigra in Austria dove conosce nuove persone ma incontra tante difficoltà per la disillusione di trovarsi in un posto diverso da quanto si aspettava. Il ritorno in Iran dopo una cocente delusione d’amore corrisponde alla sua piena maturità e presa di posizione, conscia ormai di tutti gli sbagli commessi dal suo paese nel gestire la comunità femminile e il potere.
Alla fine, meno male che dopo inammissibili ritardi questo bel film viene distribuito dalla Bim nelle sale italiane.
Sarebbe stato un vero peccato perderselo per colpa della miopia del mercato cinematografico italiano, teso a promuovere e mettere in vetrina solo prodotti di facile richiamo e vacuo impegno.
Marjane Satrapi dirige (traendolo dal suo fumetto), coadiuvata da Vincent Paronnaud, con uno stile di animazione molto particolare, con i personaggi 2d che sono derivati dalla tecnica quasi underground del disegno schizzato e semplice, con giochi perfetti di luci ed ombre, lontano dagli scintillii del 3d, quasi totalmente in bianco e nero e solo con sprazzi di colore quando si è fuori dalla narrazione passata, stile completamente ideale per la tipologia di storia che viene mostrata sullo schermo.
La storia di questa ragazzina (poi donna) anticonformista che indossa il velo, scarpe nike e una scritta “Punk is not ded” ascoltando i Bee Gees e la musica Metal Rock, per trovare nella piena maturità sulle note di Eye of the Tiger le sue connotazioni complete, è davvero penetrante, ci appassiona e ci lascia stupiti di trovare una realtà tanto difficile per il nostro gusto occidentale, che conoscevamo sicuramente ma che forse non abbiamo mai davvero soppesato a dovere, in quanto pensavamo magari che le donne iraniane non si ponessero il problema di come esternare dei gusti occidentali in quanto non si preoccupavano di conoscerli neppure. L’incredibile è che a un certo punto del film, vedendola tanto emancipata e sofferente, pensiamo che se Marjane riuscisse ad arrivare in Europa o in America trovava la sua felicità, invece la regista ci racconta che non è proprio così, in quanto in fondo i problemi, anche se ben diversi, da affrontare ci sono lo stesso, solo che non c’è nessuno che ti impedisce di gestire il tuo look oppure la tua camminata per strada (“non deve correre così ancheggia troppo” gli dice il pasdaran “e allora non guardate le mie chiappe!” risponde lei).
In Europa l’odio o l’invidia come la dabbenaggine sono uguali nel privare anche se si manifestano in forma diversa, dove l’amore per l’arte è una scusa per farsi uno spinello, come il fatto che la padrona di casa in Austria è grezza e insofferente verso ogni sua necessità. E quando poi crolla per la disillusione di un amore tradito, sembra che tutti i grandi sogni che poteva realizzare fuori dalla sua Teheran vengano spazzati senza nessuna pietà su delle panchine che la ospitano in mnaiera inadeguata.
Sembra quasi che il dover fare le cose in sotterranea in Iran (le piccole feste proibite come i ritrovi illegali) renda il tutto più vero in quanto si è tutti uniti nelle difficoltà, mentre la libertà totale rimanda a delle cognizioni meno concrete che fanno vivere le emozioni in maniera leggera e poco personale, parlando della guerra come un avvenimento fico o delle lotte ideologiche per nulla studiate e capite come una sorta di icona rock (come dimostrato dagli annoiati amici che si lamentano di passare il natale in famiglia, proprio in faccia a lei che adora i suoi genitori liberali).
Molto importante il personaggio della nonna, moderno e ispiratorio, che dimostra come la radice di pensiero delle donne iraniane anche di un altra generazione, abbia vissuto non solo il desiderio di non obbedire alla severa legge islamica (parla del chador come di una sorta di maschera claustrofobica, porta perle e ha sempre una acconciatura ricercata) ma anche di cercare un senso a quanto sono obbligate a fare senza trovarlo. Emblematica la scena del respiro del mare.
Da sottolineare anche le scene nell‘istituto d‘arte, dove una modella completamente coperta da lunghe vesti che sembra una pera tutta uguale da qualunque punto la guardi, mancanza di forme ed elementi visivi, impedendo ogni sviluppo di studio. E la ribellione contro questa privazione del mostrarsi che avviene successivamente, dove i maschi invece possono permettersi qualunque cosa, uno dei discorsi più belli sulla libertà di espressione personale.
Un film come si intuisce composito e disilluso, dallo stile anticonformista nel mostrarsi al pubblico (e non poteva essere diversamente) che non deve essere visto come un passatempo, ma che non è per nulla criptico, difficile o che parla per enigmi. Il messaggio è chiarissimo, parte e arriva diretto e completo, permettendosi di divagare a volte nelle forme e nelle espressioni dalla sua oscurità di base (dovuta alle scene di repressione o di privazione in Iran).
La versione italiana purtroppo ha la voce completamente inadatta di Paola Cortellesi (in quella francese abbiamo Chiara Mastroianni e Catherine Deneuve), troppo carica, eccessivamente squillante per il tipo di racconto, anche se dobbiamo ammettere che l’ideale sarebbe vederlo in lingua originale (magari con la Satrapi stessa che parla) con i sottotitoli.
In definitiva un gran bel film, per pensare e riflettere senza scorticarsi il cervello, su quanto possa essere difficile convivere con le difficoltà di tenersi pensieri e stili di vita dentro un vestito che non vuoi portare.
E, soprattutto, che non basta cambiare locazione geografica per risolvere tutto, in quanto anche se la possibilità di espressione è più libera, bisogna sempre sapersi gestire a dovere in quanto maggiore è la consapevolezza che ci sono minori problemi di sopravvivenza, più facile è il dover guardarsi da chiunque in quanto possono e vogliono prendersi anche quello che non t‘aspetti per puro divertimento oppure crudeltà, privandosi di ogni ideologia, in modo peggiore di chi ti toglie la libertà ma almeno te lo dice e ti da i rigidi parametri di riferimento
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La rabbia
Un film di Louis Nero. Con Franco Nero, Níco Rogner, Giorgio Albertazzi, Tinto Brass, Lou Castel, Arnoldo Foà, Philippe Leroy, Corso Salani, Corin Redgrave, Faye Dunaway. Genere Drammatico, colore 104 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Altro Film
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Trama: Un cineasta di grandi speranze e aspirazioni artistiche marcate, cerca di fare un film non allineato e molto personale, ma nessuno dei produttori che incontra, tutti diversi tra loro, compreso uno hard, gli vuole concedere il budget per realizzarlo. Caduto in una forte forma di malinconia, perde qualunque fiducia nell'arte e decide di dedicarsi a cose più redditizie e facili come rapinare banche, ma occhi occulti lo stanno giudicando senza pietà ...
Commento: Louis Nero è uno dei registi più difficili e criptici che la cinematografia odierna propone, ed è quasi incredibile che questa contorta e velleitaria pellicola sia arrivata nelle sale (e potete scommeterci che ci starà ben poco per i motivi che andremo ad elencare di seguito). Autore di tre film completamente scevri di qualunque logica di soddisfazione del grande pubblico, arditissimi e di completa sperimentazione, a soli 31 anni è colui che ha realizzato un film di 123 minuti composto da un unico pianosequenza (Pianosequenza, per l'appunto), uno sulla follia e le allucinazioni in un ospedale (Hans, del 2005) e uno nientemeno che sul Golem in una visione completamente personalizzata. In questo La rabbia (con presente il suo mentore coproduttore che lo ha praticamente adottato e dallo stesso cognome, Franco Nero, senza di lui probabilmente questi arditi sperimentalismi a basso costo non ci sarebbero stati) si narra in forma iconoclasta di un autore di cinema che prepara una sceneggiatura di grande impatto e brillantezza (non sapremo mai quale fosse, magari quella del film che stiamo vedendo) ma che nessuno vuole far diventare un film vero e proprio. Felliniano nell'inizio e in molti segni del proseguio, tutta la scena è completamente oscura, i personaggi di contorno sono praticamente immobili mentre lo sperduto e fiduciato protagonista si muove in piazze deserte e scenografie scarne e dalle inesistenti strutture, prive di ogni orpello, le musiche sono praticamente assenti e tutto è affidato alla parola. Si parla fuori campo del film (due autori lo stanno scrivendo con una vecchia macchina a nastro?) e a un certo punto il protagonista parla con il pubblico, appaiono man mano delle figure che danno grandi verità difficili da interpretare (uno spazzino, un orientale e altri figuranti smorti e privi di vita) mentre la ricerca spasmodica della porta giusta nella spiaggia grigia e deserta (ovviamente in forma allucinatoria e onirica) testimonia la difficoltà di trovare la persona giusta. Alla fine appare anche il grande saggio (un cane), mentre il mentore che dava coraggio (Franco Nero) si rifugia nel bere per la disperazione di non trovare una collocazione alla sceneggiatura da parte del suo pupillo. Incredibile ma vero il cast (anche se sono cammei più o meno corti) è di volti noti. Vediamo apparire Giorgio Albertazzi (che bello risentire la sua strepitosa voce), Faye Dunaway (splendida per la sua età), Philippe Leroy, Arnoldo Foà e Lou Castel.
Inutile dire che Nero (Luis) si immedesima nel giovane di belle speranze, citando tra l'altro il suo lavoro in totale Pianosequenza come cosa non funzionante e rifiutata, la Rabbia del titolo è proprio per il fatto di vedere le sue opere tanto impegnate completamente snobbate da tutti e dal cinema in generale, sinonimo di un decadimento autoriale, tutto teso a nutrirsi di facili placebi. Favolosa a questo proposito la battuta di Tinto Brass (in uno dei pochi momenti completamente colorati del film) che mentre palpeggia la porno starletta sulle ginocchia gli dice che le poesie si possono anche recitare, basta farlo mostrando un bel sedere, come il produttore che gli dice di togliere il pezzo dello spazzino solo perchè appesantisce la trama anche se valido di discorsi.
Certo che sottoporsi a tali e tanti sperimentalismi statici (durata del film 104 minuti) è un impresa che richiede una preparazione fisica e mentale particolare, il messaggio alla fine viene dato, ma è di una assimilazione durissima, disperso nelle pieghe di un avvilente compiacimento nel discorrere lento e monotono, nel togliere ogni traccia di vita a tutti i costi come se la sensazione di morte imminente (del cinema) sia sempre presente. Dopo un po' lo spettatore si trova di fronte a una pellicola tanto lontana da tutti i canoni di cinema da poterla apprezzare solo se dedito a studi della scuola di cinema del Dams (stessa di Nero), locazione dove sarebbe dovuta rimanere per approfondimento e apprezzamento guidato, vuole solo alzarsi a tutti i costi (vi assicuro che ho visto molti dei miei compagni di sala farlo) e lasciare questo grido di dolore nel deserto della sua criptica proposizione.
Gli intenti possono anche essere buoni, ma se ci ragionamo bene questo film era più interagibile come trasmissione radiofonica, di fatto chiudendo gli occhi e ascoltando solo i flemmatici discorsi pesantissimi si riesce a interpretarlo meglio, dargli la giusta connotazione di verbo in quanto il visivo è solo un pastrocchio di dettami cinematografici figli della pittura di Magritte e dell'ispirazione priva di gagliarda simbolica poesia di Fellini e delle commedie povere di Bertolt Brecht. Consigliamo a Nero per il suo prossimo sperimentalismo cinematografico una pellicola completamente con inquadratura fissa di circa due ore sulla sala di cinema dove si proietta un suo film per rendersi conto di come proporsi su larga scala con pellicole tanto ardite, ma fondamentalmente vuote, non abbia nessun senso.
In definitiva un film impossibile da vedere se non in una ottica di studio cinematografico sperimentalista, difficilissimo da mandare giù per le sue immagini statiche e completamente inerti, per i suoi verbosissimi discorsi separati tra loro, dove l'interazione con lo spettatore è catatonica e non abbandona mai le tinte fosche. Il messaggio c'è, il fatto di starlo a sentire per intero un impresa davvero ardua, nonostante i bei nomi conivolti nelle riprese, e la tanta e troppa aurea di pessimismo (nel finale poi i due autori alla macchina da scrivere spiegano perchè evitare o dare l'happy end, in modo logicamente pacato e senza la minima emozione) unita a una troppa sicurezza del regista di dare il messaggio giusto proponendosi come unico portatore del vero verbo cinema, ci portano a desiderare di non essere mai entrati in sala e lasciare il regista solo con le sue masturbazioni mentali da filosofo disilluso di possedere un'arte che non lo capisce.
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Il mattino ha l'oro in bocca
Un film di Francesco Patierno. Con Elio Germano, Laura Chiatti, Martina Stella, Carlo Monni, Raffaella Lebboroni, Fiorenza Pieri, Gianmarco Tognazzi, Umberto Orsini, Gerardo Amato, Pietro Fornaciari, Francesco Casisa, Corrado Fortuna, Dario Vergassola, Donato Placido. Genere Commedia, colore 100 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Medusa
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Trama: La storia di Marco Baldini, a cavallo tra gli anni '80 e '90, fiorentino emigrato a Milano per fare il commentatore a Radio Deejay, dove tra alterne fortune trova il successo nel lavoro. Purtroppo Baldini ha un terribile vizio, quello del gioco e delle scommesse, in particolare quelle legate alle corse dei cavalli. Paradossalmente il successo in radio gli arride tanto quanto aumentano i debiti, costringendolo ad affidarsi agli usurai. Riuscirà ad uscire da questo circolo vizioso senza ricadere nelle ire di chi pretende il pagamento di lucrosi interessi ?
Commento: Seconda regia per Francesco Patierno (dopo Pater familias del 2003), che dal romanzo autobiografico di Marco Baldini estrae un film sulla insicurezza delle persone nel sapersi gestire nei momenti migliori, di disaffrancarsi dalla loro vita d'azzardi per riprendere coraggio e dignità. Omaggio della Stangata (e citata nella pellicola, la frase scritta fino all'ossessione da Jack Nicholson in Shining, almeno per come è messa nella edizione italiana del film di Kubrick, non c'entra nulla, il titolo allude al fatto che Baldini ha guadagnato un sacco di soldi facendo il commentatore radiofonico alle 7 del mattino), racconta la vita di un ragazzo fiorentino di belle speranze come Marco (Elio Germano, buon caratterista dopo la prova al fianco di Scamarcio con Mio fratello è figlio unico) che fa le prime prove in una radio locale Toscana, per poi essere notato ed emigrare a Milano alla corte di Radio Deejay, ad alta diffusione nazionale, dove viene apprezzato, lautamente pagato e può rimpinzare il portafogli ... di usurai ed allibratori. Infatti Baldini ha un terribile vizio compulsivo per il gioco, per le corse di cavalli e il poker, che lo porta praticamente alla rovina. Dovrà chiedere aiuto a chiunque per cercare di uscirne (con scarsi risultati) mentre paradossalmente il suo successo cresce tanto quanto la sua disperazione.
Chi si avvicina a questo film cercando uno spaccato musicale del periodo (fine anni 80, inizi '90) resterà ampiamente deluso, tutto è concentrato sulla storia dell'uomo disperso e corroso, che ha in se però una sorta di dono per parlare stupendamente in un microfono. Ci sono ovviamente delle note del periodo, però non è minimamente esplorato nulla, non ci sono aneddoti di giudizio detti da qualche figurante, delle perspicaci elaborazioni musicali. Il personaggio Baldini il suo lavoro lo propone solo per mostrare come riesce ad essere convincente parlando nel microfono "on air", non con la musica ma con le battute, e con le buone presentazioni di situazione da discutere.
Passano quasi inosservate le presenze femminili di Martina Stella (la fidanzata insofferente e lamentona) e della mocciana Laura Chiatti (l'impiegata comprensiva dell'ufficio delle corse dei cavalli che vuole toglielrlo dai guai), tanto quanto ci si concentra su Germano, che arriva anche a fare la voce fuori campo per precisare meglio alcuni concetti e situazioni. Come si può capire non certo un lavoro originalissimo, dove le difficoltà filmica sono legate all'evitare bloopers temporali (e uno c'è evidente, un francobollo di posta prioritaria inquadrato proprio in primo piano) come macchine con targhe europee e altro di simile (si rivedono le care vecchie lire, i telefoni bianchi e le cabine telefoniche). In questo senso il lavoro è sufficente, ci si immedesima abbastanza bene nell'età di quasi venti anni fa circa, e il nome di radio Deejay per i trenta/quarantenni è evocativo, però la mancata introspezione oltre la vicenda base, alcune forzature di racconto poco convincenti (l'incontro con la Chiatti per esempio) e dei personaggi macchietta non proprio riuscitissimi (come il compagno di trasmissione grezzo Rosario, detto per l'appunto l'animale) rendono il tutto abbastanza vacuo e con poche prospettive di angolazione di racconto. Tra l'altro viene citata una fobia davvero assurda, quella di non riuscire a dormire con in camera qualcuno, per cui Baldini non può stare coricato nelle braccia di Morfeo con fidanzate o mogli.
La situazione dopo un po' diviene monotona e ripetitiva, il giro di cose sempre più stretto (guadagno, perdo il doppio, guadagno e perdo il triplo) e lo spettatore incomincia ad annoiarsi in attesa di collegare l'inizio con il finale (tutto è visto come un lunghissimo flah-back), perdendo in un certo senso anche la eventuale voglia di attendere la mossa risolutiva per uscire dal gorgo degli affari d'azzardo.
Mancando l'introspezione e i retroscena del periodo legando storia singolo con aspetti di crescita esterni, il lavoro risulta certamente scorrevole per la sua blanda trma non tortuosa, ma davvero vuoto di particolare interesse, tenendo conto che, senza offendere Baldini, non si sta parlando di un personaggio enigmatico o carismatico, ma di un uomo qualunque dalla doppia vita non certo con aspetti esaltanti o affascinanti da raccontare, per cui lo spettatore non ha veri appigli a cui affezionarsi.
Tra i personaggi di contorno troviamo Donato Placido (facile confonderlo con Michele, i tratti sono praticamente identici), Dario Vergassola (il Big Boss della radio) e Gianmarco Tognazzi.
In definitiva un film di per se abbastanza scialbo e inutile, pochissimo profondo e troppo lineare, privo di originalità, con delle recitazioni men che mediocri (escludendo il protagonista sufficente), teso totalmente a riportare una biografia personale che non eravamo certo in pena di attendere, e dove i momenti di disperazione sono quasi allegramente superati da un entrata nella esazione delle scommesse ippiche, con il messaggio che non si impara mai dai propri errori.
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Cenerentola e gli 007 nani
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Cenerentola e gli 007 nani
(Happily n'Ever After)
Un film di Paul J. Bolger, Yvette Kaplan. Genere Animazione, colore 87 minuti. - Produzione USA, Germania 2007. - Distribuzione DNC - [Uscita nelle sale venerdì 7 marzo 2008]
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Trama: La matrigna di Cenerentola si impossessa dello scettro del potere che governa le favole e che ne può alterare gli equilibri, sconvolgendo tutte le trame uguali da anni e alterandone i finali felici. Toccherà a un lavapiatti e ad Ella (diminutivo di Cinderella) mettere le cose al posto giusto sconfiggendo la cattiva matrigna.
Ma un esercito di cattivi è stato chiamato a difendere il nuovo oscuro ordine di cose, con tanti nemici riusciranno nell'impresa i due eroi ? Tra l'altro il primcipe azzurro non è per nulla utile ...
Commento: Dopo i tre Shrek arriva un nuovo cartone irriverente verso le favole, guarda caso dai produttori dei primi due capitoli della saga dell'orco verde. Questo nuovo prodotto 3d (il primo del genere che arriva dalla Germania) concentra le sue attenzioni su questo assunto : cosa succederebbe se la bilancia dell'equilibrio delle favole andasse verso il lato oscuro (iconizzato da una luna) ? Di fatto esiste un libro che scorre all'infinito raccontando le storie sempre uguali, e una bilancia con un ago che deve stare sempre in mezzo. Quando il mago guardiano si reca a giocare a golf per un periodo di ferie, i due sciagurati aiutanti (che sembrano tratti da Pumba e Timon del Re Leone) non sanno contrastare la matrigna cattiva, e tutto il mondo delle favole va in subbuglio. Un manipolo di eroi dovrà riportare tutto alla normalità.
Lavoro che cita e prende in nuova prospettiva varie storie, oltre che a Cenerentola, (Cinderella, infatti la protagonista si chiama Ella) abbiamo la bella addormentata nel bosco, Biancaneve, da cui i nani del titolo italiano, (che ovviamente storpia in toto quello originale, Happily n'Ever After, "la felicità non sempre arriva", riferendosi alla nuova prospettiva dei mancati Happy End), visti come dei marines in tenuta da combattimento nanesco, Raperonzolo e altre ancora.
Nulla di nuovo purtroppo sotto il sole di questo film, le situazioni che presenta sono figlie di tanti altri cartoni già visti (come non pensare a Mago Merlino Disney della Spada nella roccia vedendo partire il capo guardiano?) e la trama non è poi così interessante, si muove veloce e senza arresti di ritmo, ma abbastanza prevedibile, con la scontata alleanza del povero lavapiatti (e qui si potrebbe ancora pensare a Semola del film Disney citato sopra ) e la bella.
L'unico personaggio davvero ben caratterizzato e che fornisce qualche interessante dato statistico da riportare è il vanaglorioso e narcisista principe azzurro (già messo alla berlina dagli Shrek dove fa il cattivo) che è più preoccupato della sorte del suo ciuffo biondo che di quella del paese delle favole, immobile nel pensiero fino al punto di non fare nulla se non l'ha letto nel suo libro-manuale del principe azzurro. Tra l'altro la versione italiana ha dalla sua che è doppiato stupendamente dal grande Luca Ward, che si deve essere divertito un sacco a dare quelle connotazioni frivole alla sua calda vocalizzazione. La versione imbelle dell'eroe (insieme a quella dell'addormentato de La bella) è un concentrato di spasso e di parole inutili gettate al vento senza coraggio, dove la spalla alla fine prende il sopravvento.
Davvero comunque troppo poco per un film si formale e corretto, ma purtroppo che non lascia nessun vero segno.
In definitiva un film gradevole me semplice, di fantasia limitata (contrariamente al suo indirizzo favolistico di connotazione da cui prende spunto) e indirizzato a un pubblico di famiglie con bimbi in età prepuberale, con valore di animazione nella fascia medio/bassa dei prodotti 3d ma tutt'altro che esaltante, per uno spettacolo sicuro e tranquillo a favore dei piccoli ma che deluderà per mancanza di spudoratezza (che contraddistingueva gli Shrek) chiunque abbia collezionato qualche anno in più nella sua vita. Non alzatevi subito alla fine del film, c'è un ending-scene sui titoli di coda.
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Grande grosso e ... verdone
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Cast Annamaria Torniai, Marco Minetti, Carlo Verdone, Claudia Gerini, Geppi Cucciari, Eva Riccobono, Roberto Farnesi
Regia Carlo Verdone
Sceneggiatura Carlo Verdone, Pasquale Plastino
Durata 02:11:00
Data di uscita Venerdì 7 Marzo 2008
Generi Commedia, Comico
Distribuito da FILMAURO
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Trama: Tre storie diverse non colelgate interpretate da Carlo Verdone per raccontare di tre uomini totalmente lontani uno dall'altro. Nella prima un boy scout romano sposato con una donna sarda deve affrontare il funerale della anziana madre, nella seconda un professore rigido e insopportabile insegna come si conquistano le donne, nella terza un cafone presuntuoso in vacanza cerca di conquistare una donna a taormina, con la moglie che sembra volergli rendere pan per focaccia tradendolo con una sua vecchia fiamma che ha partecipato a uno show televisivo ...
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Commento: Carlo Verdone quando nel 1981 faceva Bianco, rosso e verdone, per omaggiare il tricolore, ci teneva a dire che la v era minuscola e non significava necessariamente il collegamento a lui. In questa riproposizione ad episodi (tre sempre tre) dopo 27 anni la cosa sempre non essere più minimamente importante, dato che alla quarta volta cinematografica (contando anche un Sacco Bello e Viaggi di nozze) che si ripercorrono più o meno le stesse strade con piccole variazioni di tono, i problemi vanno ben oltre al titolo. Nella prima storia vediamo come un attempato boy scout (Verdone), sposato con una boy scout conosciuta ad un campo di addestarmento (Geppi Cucciari, nota per Zelig), abbia un sacco poco bello di problemi a portare alla sepoltura la madre improvvisamente venuta a mancare, con il fratello in Australia che ha strani motivi per non tornare subito. Episodio esilissimo questo del cosidetto "Candido", dove le situazioni sono tutte nei battibecchi con il cinico gestore delle pompe funebri. Strade consunte della risata, come quella del funerale macabramente ironico e grottesco, che fatte alla romanaccia e non all'inglese non sanno di nulla. L'episodio finisce senza un minimo di vera capacità di essere divertente e convincente nel suo svolgersi, oltretutto la parlata "strana" dei due figli non ha il minimo senso.
Il secondo episodio è il più interessante dei 3, nel quale un professore (che con i suoi comportamenti pesanti e cervellotici rende la vita impossibile al figlio) deve cercare di soddisfare un personale intenso appetito sessuale e contemporaneamente far incontrare le gioie del sesso al figlio, timido pianista impacciato. Trovata la ragazza adatta, tenera e dolce, ben presto capiremo come mai le tre mogli dell'uomo sono morte prematuramente. Episodio più variegato, recitato molto bene da macchietta (tipo quando fa la camminata con il saltello) e con delle espressioni maggiormente significative, questo divertente siparietto ha dalla sua di mettere anche qualche ambiente inconsueto per un simile film (si vedono anche le catacombe) e di proporre delle spalle a Verdone maggiormente introdotte e sviluppate rispetto al primo episodio.
Nel terzo episodio arrivano le donne, il sesso che attira e la cafonerie. Verdone e la Gerini sono una coppia in crisi con figlio, totalmente coatti e grezzi, che vanno in vacanza a Taormina cercando di ristabilire tra loro un collocquio e un rapporto, visto che ormai il figlio parla con loro solo a cartellini colorati. In questo episodio esplodono i corpi della Gerini (davvero in grande spolvero fisico) e della modella Eva Riccobono, ma la narrazione si appiattisce nelle situazioni più insulse che si potevano ideare, con una lungaggine senza senso e con delle trovate scontatissime, non si ride davvero di gusto e si hanno delle imbarazzanti presenze visive (come quella di Roberto Farnesi che è reduce dallo show "L'isola dei primitivi") oltre che a un continuo cercare di ridurre i vestiti delle due attrici.
Il film è grande e grosso, ma di durata, 131 minuti sono davvero troppi per dire tanto poco e alla fine è facile stancarsi cercando di arrivare alla parola fine. Parafrasando l'operato di Stallone che sembra possa fare solo Rocky o Rambo, anche il suo collega di chiusura di cognome, Verdone, abbia solo l'opportunità di avere pubblico solo ripetendosi all'infinito con le sue macchiette sviluppate decenni addietro. Un brutto passo indietro per il pupillo di Alberto Sordi, che ci propone nomi nuovi (oppure ci fa vedere lo sviluppo del futuro di alcuni, come Leo il vacanziere di Ladispoli che si è sposato con al macomeriana Tecla) per i suoi personaggi con situazioni vecchie e comportamenti uguali.
In definitiva un film davvero povero, monotono che cerca di attirare con il grottesco macabro, il pedante filosofico, il sensuale preponderante di sederi e seni modellati, ma che alla fine è solo aria fritta, che dimostra la stanchezza di un autore che senza vere idee ingrandisce e ripropone cose davvero troppo limitate per prendere nuova logica di esistere. E la durata eccessiva lo rende ancora più indigesto.
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a marsè ma sei sempre al cinema?......beato tu
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bhe la scorsa settimana poco, erano solo due. eh si ... sta settimana ce vivo. son 6 ... ecco il primo ... (orrendo pure)
Tutti i numeri del sesso
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Cast Simon Baker, Winona Ryder, Leslie Bibb, Robert Wisdom, Patton Oswalt, Mindy Cohn, Dash Mihok, Neil Flynn, Thom Bishops
Regia Daniel Waters
Sceneggiatura Daniel Waters
Durata 01:42:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Commedia, Drammatico
Distribuito da MOVIEMAX (2008)
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Trama: Rod Blank sembra un uomo felice e realizzato, manager d'azienda che commercializza hamburger, una fidanzata modello che sta per sposare, degli amici che gli vogliono bene e sopratutto biondo e bello. Quando un mattino la sua assistente apre le mail che lo riguardano, una contiene una strana lista che lo riguarda, con segnate tutte le donne con cui ha avuto una relazione, ma anche tutte quelle con cui l'avrà in futuro. Incuriosito e stimolato dal fatto che avrà un incredibile successo come maschio, lascia perdere matrimonio e fidanzata per dedicarsi ad accontentare sessualmente signore di qualunque tipo. Intanto però una misteriosa Darl Lady sta mandando in coma tutti gli uomini che attira con la sua bellezza, si incontreranno le loro strade in questo strano karmasutra?
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Commento: Ci sono molti motivi per cui si inserisce l'elemento "sesso" in un film, quello sicuramente più abusato è di creare dietro un motivo quanto mai futile un nugolo di belle donne che si spogliano senza nessuna ragione apparente, solo per sodisfare gli appetiti facili di un pubblico a cui piace la fase consolatoria di divertirsi con un po' di pepe senza dover impegnare minimamente qualsiasi cognizione, cinematografica o meno. Questo banalissimo "Tutti i numeri del sesso" (il titolo originale, ovviamente più sensato, parla invece della possibilità di avere sesso e morte) segue il poverissimo trend sceneggiativo senza variare minimamente interesse e tonalità, permettendosi persino di citare "Il paradiso può attendere" e "Arancia Meccanica" (dove una delle scontate donne con cui il fortunato/malcapitato avrà da misurare la capacità delle sue prestazioni si chiama Alexis De Large). La cosidetta trama parla di Roderick (Simon Baker, dedicatosi anche ai film horror con la saga di The Ring, quello americano ovviamente, e la Terra dei morti viventi di Romero) è uno yuppie di grande successo, che venuto a conoscenza di una infallibile lista di donne con cui dividerà il letto nel futuro, molla matrimonio e carriera per dedicarsi solo al felice compito di cancellare, in maniera sequenziale, man mano i nomi dal foglio di carta. Peccato che intanto che lui scalda letti e donne, ci sia in giro Death Nell (Winona Rider, caduta ormai davvero in basso nonostante una bellezza di base conturbante, che dopo A Scanner Darkly e The Darwin Awards ci poteva far sperare di meglio), una pericolosa e folle icona del male che punisce i maschi che attira con uno stato di narcosi non si sa quanto permanente.
Come si vede dall'incipt di base siamo veramente su concetti terra a terra della commedia americana per porcelloni, se non fosse che almeno queste erano oneste ed autoironiche, qui invece il regista Daniel Waters (nel 2001 diresse lo sfortunato Brad Renfro in Maial campers) cerca addirittura di darsi un tono giallo noir completamente privo di qualunque sostanza, pure moralista, dicendoci che in fondo il sesso illusorio che la società ci propina a quintali per motivi consumistici fa anche male, non bisogna perdere la bussola per delle chimere che alla fine stancano (e ci credo) e ti alsciano pure privo di fondamentali requisiti umano/familiari. Peccato che il messaggio contro sia fatto abusando di questo sistema, con bella carne femminile in visione di qualità e nessuna vera altra alternativa di interesse. Non volendo essere cattivi nella totalità possiamo cercare di salvaguardare almeno il look fascinoso della Dark Winona, che appare pochissimo e solo come intersezione della sequela infinita di prestazioni dell'infaticabile emulo dell'italico Siffredi, la Ryder ce la mette tutta per bilanciare fascino, humour grottesco e sensualità torbida, ma alla fin fine tutto scompare dietro alla tabula rasa mentale del film.
Citare come si diceva il "Paradiso può attendere" abusando dell'ambientazione bianca soffusa (ma abbiamo anche degli ancestrali contabili giustamente allupati, visto il film siamo in idoneità di situazione), portandolo ai massimi livelli di tecnologia con i destini governati da un supercomputer e dalle e-mail (se ne arriva una con solo una data cominciate a preoccuparvi ...) è banalissimo e inutile, oltretutto lo spettatore di questi siparietti inutili non se ne fa nulla in quanto ormai l'attenzione e l'aspettiva dopo un film piatto e uguale, è tutta tesa solo ad aspettare la bella successiva della lista da vedere, quasi che fossimo davanti a un catalogo di playmate. Per allungare il brodo Waters ci mette una tartaruga in diarrea, una fat-girl amante dei trichechi, un autobus di school girls vergini ("Quanto sangue c'era intorno?" chiede uno degli amici), due super lesbiche in fondo bisex che fanno le farfalle, le seguaci di Death Nell che impazzano per la città, una squillo all'apparenza vanesia che invece fa il mestiere per gli studi del figlio, uno stupro di una ottantenne lebbrosa, una veterinaria che si preoccupa dell'inutile esistenza del carrello di centro fila che non viene mai usato, la segretaria (ovviamente lesbica pura e dura per evitare che finisse nella lista incasinando troppo) sempre precisa puntuale ed attenta in quanto superiore alla sua fatale emissione di attiranti ormoni irresistibili.
Come si vede un corollario di situazioni insipide e inutili, tutte scuse che potevamo evitare senza problemi per giungere diritto al sodo del volere del regista e del compitino, cioè il nude look (aspettatevene uno davvero hot) e la fine della lista.
In definitiva un grosso lecca lecca per porcelloni americani in cui non dobbiamo cadere in trappola, vestito falsamente da noir grottesco, che ci prende in giro senza darci nessuna reale nuova visuale se non quella di attendere con ansia la fine della lista quasi fossimo al supermercato a fare la spesa, oltretutto abbiamo un sacco di alternative più valide con altra merce per far fruttare i soldi del biglietto se ci vogliamo accontentare solo di (belle) donne in galleria e rassegna, dare 102 minuti della vita per un film che alla fine ci dice "E la morale di tutto questo? Chi se ne frega!" è quasi ricevere un insulto dopo aver dato. inutile da dire, evitare con cura.
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Water horse - la leggenda degli abissi
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(Water Horse: The Legend of the Deep)
Un film di Jay Russell. Con Emily Watson, Alex Etel, Ben Chaplin, David Morrissey, Priyanka Xi, Marshall Napier, Joel Tobeck, Erroll Shand, Brian Cox. Genere Avventura, colore 110 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Sony Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 14 marzo 2008
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Trama: La leggenda del mostro di LochNess vista attraverso gli occhi di un bambino, nell'incantevole scenario del lago durante la seconda guerra mondiale, dove una strana ed affettuosa amicizia nasce e si sviluppa in maniera davvero inconsueta. Riusciranno le dimensioni, e le difficoltà della tragica congiuntura planetaria del tempo, a non influire sul rapporto tra il gigante acquatico e il bambino?
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Commento: Tratto dal libro di Dick King-Smith, autore di Babe, maialino coraggioso. Di solito è difficile nella produzione cinematografica moderna riuscire a coniugare un film divertente per le famiglie e nello stesso tempo dargli un plusvalore di interesse anche per i grandi che si sentono quasi solo degli accompagnatori della prole. Come successo nei due Babe, anche questo Water-Horse riesce nell'impresa, e se vogliamo anche molto meglio, senza essere melenso oppure scontato. Come ogni bella storia che si rispetti, partiamo dai giorni nostri dove un anziano del luogo racconta l'incantevole storia di una amicizia inconsueta ad una coppia di scettici ragazzi/turisti (nelle interruzioni del flash/back i due hanno le espressioni incantate di coloro che ascoltavano il racconto di Rose nel Titanic di Cameron), evento successo durante la seconda guerra mondiale sulle rive del lago di Lochness. Angus (interpretato dal bravo Alex Ethel, il protagonista di Millions) trova un uovo gigantesco, che presto si schiude e apre alla vita un esemplare tenero ed affettuoso di un mammifero non ben identificabile. Il cucciolo però cresce presto a dismisura e la loro tenera amicizia sembra doversi incrinare ben presto. In più la diffidenza degli uomini e dei soldati rischia di provocare un disastro irreparabile.
Davvero un plauso a Jay Russell (Squadra 49, altro film flash-back, e Il mio cane skip, che dimostra la sua adeguatezza a narrare storie di tenere compagnie) che ha saputo ricreare l'atmosfera storica del momento senza inquinare la bellezza e l'integrità del paesaggio da favola (uno dei soldati lo ammira e il suo capitano gli dice che purtroppo non sono lì per quello, ricordando che l'evento c'è ed è presente, pur senza mai vedere un nazista per tutto il film), donandoci dei rapporti multistrato (mamma/figlio, bambino/essere marino, inserviente/famiglia) di grande spessore e tenerezza. Nel procedere delle storie di solito gli effetti speciali prendono la parte del leone e sovraespongono la loro presenza, qua (pur essendo di eccellente fattura, la calvalcata sottolacustre è davvero emozionante per come è fatta) invece arricchiscono i dettami, sottolineano gli stati d'animo, ampliano gli orizzonti di visione. Inutile dire che la parte più tenera è quella dell'inizio, con l'incontro e la successiva conoscenza del cucciolo, intervallata dal disturbatore di turno, l'arcigno cane Bulldog del cuoco che non vede di buon occhio il nuovo strano arrivato (nei trailer poi vedete l'incontro tra Churchill il cane, e Crusoe, questo il nome del mostro marino, ormai grande, ma che nel film finito curiosamente non è uguale), con il continuo spostarsi per non far capire ai grandi che c'è qualcosa in casa che potrebebro non capire e prendere per il verso sbagliato. La seconda fase, quella del forzato esilio nel lago (le dimensioni contano) è quella della consapevolezza e della fine dell'innocenza, con l'incontro scontro con la realtà più grande di una inossidabile amicizia.
Il ricordo del padre è l'insegnamento migliore per il piccolo Angus, a cui vengono a mancare i riferimenti fisici ma mai quelli spirituali, tenendo il capanno in ordine e impedendo a Crusoe di mangiare le scarpe (parafrasi del cammino futuro da compiere sicuro con tale eredità di consiglio), ma nel contempo senza erigere barriere a priori, con coloro che giocoforza arrivano nella sua vita, come il tenero inserviente che pare conquistare il cuore della sua mamma e che poi sarà il nuovo amico umano.
Tutto perfetto, calibrato, divertente, umano e senza sbavature, e da notare che anche se l'originalità di base manca, questa è una storia già scritta e modificata dallo scrittore (come non pensare alla megacitazione di Flipper e di E.t.?), nulla viene davvero ricondotto nella memoria ma quanto più ben esposto senza eccedere nelle tentazioni di esagerare per stupirci, visto che l'intento è invece emozionarci.
Piccolo difetto ad essere pignoli l'orgoglio scozzese che fa dire al regista che il paesino disperso ha comunque avuto 20 uomini-eroi morti, ha fatto la sua parte di gloria nella guerra, oppure quello di presentare il milite come educato e compunto in tutti i suoi reparti, compreso l'arcigno cuoco, ma sono dettagli del tutto trascurabili e per nulla incidenti nell'economia del film che punta a ben altro.
Perfetta la scelta degli attori, madre coraggio de Le ceneri di Angela, Emily Watson fa la genitrice ormai sola che protegge ciò che gli rimane fino all'eccesso con determinata tenerezza, riempiendo la recitazione di sguardi pudici quanto semplici, Ben Chaplin (ha lavorato nientepopodimeno che con Malick in "The new World") si inserisce nella famiglia senza voler interrompere o predominare, accogliendo con curiosa sicurezza l'ingombrante nuovo arrivo (al contrario degli altri che fanno fatica ad accettare il diverso), David Morrissey (Basic Istinct 2) fa l'ufficiale deciso di buone maniere e convinto di avere a disposizione il miglior esercito del mondo, e davvero un piacere vedere nelle vesti del narratore Brian Cox (che fu Hannibal Lecter in Manhunter - Frammenti di un omicidio di Michael Mann).
In definitiva un film davvero valido, dalla validissima ambientazione visivo/storica, colmo di cose davvero buone, intrattenimento non solo adeguato ma performante per le aspettative di tutta la famiglia, senza mai perdere di tono. Una bella favola per sognare ed emozionarsi mantenendo i canoni della realtà e mai entrando in quelli della innocua e vacua fantasia fine a se stessa, accontentando grandi e piccini.
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10000 a.c.
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Cast Steven Strait, Camilla Belle, Cliff Curtis, Omar Sharif, Marco Khan, Mark Simmons, Tim Barlow, Mona Hammond
Regia Roland Emmerich
Sceneggiatura Roland Emmerich, Harald Kloser
Durata 01:48:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Avventura, Drammatico
Distribuito da WARNER BROS. PICTURES ITALIA
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Trama: nel 10.000 ac gli uomini vivono cibandosi delle carni dei giganteschi mammuth che migrano in branchi. Ma un giorno arriva una donna dagli occhi azzurri, che parla di un popolo di guerrieri demoniaci che miete morte e distruzione per renderli in schiavitù, con quale scopo preciso non si sa. Quando l'orda arriva, ai cacciatori sopravvissuti del villaggio non resta che mettersi all'inseguimento di coloro che gli hanno rubato le donne e gli amici. Insofferenti delle continue vessazioni, anche altre tribù non esiteranno ad unirsi alla compagnia di eroi ... ma le insidie, anche quelle naturali, sono molteplici.
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Commento: incredibile Roland Emmerich, lui è come un Dio impazzito e può tranquillamente permettersi di stravolgere qualunque logica fisico/storica senza nessun problema, decide in The Day After Tomorrow di salvare i superstiti dalla glaciazione bruciando dei libri in un camino, chiude ogni possibile discorso in Indipendent Day con il sacrificio valoroso di un vero americano contro un orda di marziani, nel Patriota fa andare Gibson e gli altri a dei simil caraibi in un villaggio turistico per riposarsi dalla guerra stancante, in Godzilla fa ingoiare una macchina al mostro con occupanti per poi fargliela risputare, am in questo 10000 AC il delirio di onnipotenza va oltre, qui si stravolge tutto oltre ogni limite, clima, zone, abitanti, costumi e animali commistionati senza nessuna logica storica. Possiamo ammirare degli splendidi mammuth ma anche dei cavalli, guerrieri sbarbati e puliti (alla faccia della rigidità storica de "La guerra del fuoco" di Annaud) ma anche piramidi, navi, e un egitto con accanto una zona glaciale, una foresta pluviale ed amenità incongruenti a ripetizione. Tralasciando che lui del bloopers se ne fa un baffo e da errore lo fa diventare regola, dicendoci che questo è il mondo alternativo di Emmerich (anzi, forse lui pensa che quello sia il vero periodo storico e quello dei testi un falso) e ci può mettere quello che vuole senza problemi, viene davvero difficile da credere che qualcuno possa affezionarsi a un tale minestrone di cose del tutto campate per aria, come se invece del sale si possa mettere lo zucchero per cuocere una bistecca e gustarla lo stesso.
Trama devastante nella sua concezione, unisce i gusti architettonici del regista, che non contento di creare un mondo assurdo a parte, ci propina la piramide di Stargate (l'Egitto gli piace, anche a noi, ma il problema è che quest'Egitto è quello di Emmerich) con delle venature messicano/azteche, strutture comandate da un Dio impalpabile nelle fattezze e dei sacerdoti dalle foggie degne di una festa mal riuscita in maschera (e dalle unghie lunghe e dorate). La trama, davvero facile da riassumere in poche parole, è che arriva in un villaggio (credevate che si viveva nelle grotte vero? comunque niente grattacieli) di cacciatori di mammuth (troppo facile cacciare altro, credete che gli eroi di Emmerich siano di cartone?) una ragazza di belle fattezze (appena passata dalla manicure) con gli occhi azzurri. Cattivo presagio, la sventura si abbatte sulla tribù, l'orda con cavalli fa prigionieri/schiavi, la vecchia sputacchiante grande madre (con osso tribale tenuto al mento da un elastico invece di averlo inserito nelle carni, stile Amazzonia) invita i coraggiosi (tra l'altro abbiamo una bella novità, il dualismo tra due eroi) all'impresa, si attraversano foreste pluviali con improbabili Dodo giganti, si conosce un interprete di etnia completamente diversa che meglio di D3bo conversa con tutti quelli che incontra fraternizzando (l'Onu l'ha fatto Emmerich, credete?) e poi eroismi giganti con empatia a profusione sparsa.
Una incredibile sequela di assurdità, pieno di riempitivi senza logica e con una integrazione tempo spazio decisamente nulla. Le sequenze, parlando del visivo puro, della corsa dei mammuth sono eccezionali, e fanno capire dove sono andati i soldi spesi, gli animali hanno dettagli precisi anche nel primo piano e movimenti morbidissimi. Ma, di fatto,il lato tecnico si disperde nel nulla di fronte al disarmante risultato di tutti gli altri comparti.
L'onnipotente regista voleva ricreare una sorta di storia indiana (Mammuth come i bufali, sterminio alla Soldato blu del villaggio iniziale), peccato che di western non ha nulla, ne come respiro (quante ottime contaminazioni abbiamo visto che sanno di old west, vedi gli ultimi Coen) e neppure come fascino, troppo riempito di iconografie che il regista inserisce rievocando vecchi disegni scolastici messi in una cartelletta di cose amate. Il puzzle discontinuo e per armonico ovviamente si
Recitazione volutamente anonima (il regista avrà detto agli attori "Guai a caratterizzare i personaggi, sono stati creati a immagine e somiglianza della mia mente!"), Camilla Belle è stata reclutata solo per via del fatto che Roland ha notato che ha recitato nel "Il mondo perduto", gli occhi azzurri li ha fatti elettronicamente, mentre Steven Strait avendo fatto Sky High - Scuola Di Superpoteri e The covenant (sicuramente film culto del regista) era avvantaggiato in partenza per il ruolo del cacciatore mistico che parla con le tigri ("Io ti libero ma non tu non mangiarmi!")
Poi la voce fuori campo di Omar Sharif è pedante tanto quanto fece il doppiaggio del Leone di Narnia, anche se va scusato visto che quello che deve leggere (cioè il volere del Dio supremo in regia, manco fosse il Ed Harris di Truman Show) è del tutto inutile.
In definitiva un film stupido oltre ogni limite, insulso, fisicamente voluto dall'ego sconclusionato e sconsiderato di Emmerich, che pensa di poter racchiudere tutta la storia in un vaso di pandora. Se va per qualcuno rispetto, ma per carità non apritelo mai in pubblico. Evitare con cura.
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Onora il padre e la madre
(Before the Devil Knows You're Dead)
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Cast Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke, Albert Finney, Marisa Tomei, Aleksa Palladino, Amy Ryan, Rosemary Harris, Arija Bareikis, Leonardo Cimino, Lee Wilkof
Regia Sidney Lumet
Durata 01:45:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Thriller, Drammatico
Distribuito da MEDUSA (2008)
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Trama: Due fratelli sono allo sbando, uno oppresso dai debiti accumulati per il vizio della droga, con un matrimonio in difficoltà e un lavoro che non sa più gestire, l'altro con il matrimonio già fallito e che non riesce a pagare gli alimenti per la figlia. I due decidono di rapinare il negozio di gioielli dei genitori affidandosi ad un balordo, possibilmente sperando che tutto avvenga in maniera incruenta per permettere il rimborso dell'assicurazione. Ma purtroppo qualcosa va storto e la spirale dei problemi che li coinvolge porta un terribile carico di violenza in se ...
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Commento: I grandi leoni tornano a ruggire, dopo un periodo di appannamento con lavori dignitosi ma non eccelsi, e Sidney Lumet (chi non ricorda Serpico e Quel pomeriggio di un giorno da cani) non perde l'occasione di dimostrare ai giovani registi speranzosi di quanto ancora si debba confrontarsi con lui per poter prendere esempio di come una storia intensa, sanguigna e cruenta possa toccare pathos quasi insopportabili nella sua fase finale dopo una costruzione praticamente perfetta.
Tra l'altro Lumet lo fa fa utilizzando le tecniche sviluppate sopratutto in tv e in voga in questo periodo, quella della costruzione a flash-forward e a flash-back, dimostrando di come un sistema che in altre pellicole ha dimostrato di essere facilmente criticabile (come nel recentissimo Prospettive di un delitto) in mano a un grande regista ha nuova vitalità, diversa valenza e grande fascino). La trama ci parla delle difficoltà di due fratelli in piena crisi economica, che decidono di rapinare il negozio di gioielli dei genitori, sperando per questi in un rimborso assicurativo mentre loro vendono il bottino a un mediatore. Nel corso della rapina, eseguita da un balordo del luogo, purtroppo le cose vanno decisamente storte. E qui il loro traballante mondo comincia a crollare del tutto.
Il film ruota tutto intorno all'evento, con delle didascalie che determinano ogni volta quanto manca o da quanto si parte
rispetto alla rapina. Il rapporto sistema narrativo messa in scena è intrigante, la successione degli eventi non lascia respiro e l'analisi psicologica profonda ed intensa. Il lavoro migliore viene fatto sul personaggio di Andy, il fratello maggiore, interpretato dal premio Oscar per Truman Capote Philip Seymour Hoffman, davvero in vena di grandi prestazioni recitative, che dipende dalla droga e che non sa più gestire i numerosi rappezzamenti contabili eseguiti sul lavoro, su di lui gravano le grandi responsabilità familiari, e di conseguenza di non aver saputo ben indirizzare e gestire il fallimentare fratello Hank (Ethan Hawke, anche regista con L'amore giovane) neppure nell'ultima occasione di salvezza per entrambi. Tra l'altro nei gravissimi problemi dei due si inserisce il conflittuale/sensuale rapporto con la moglie di Andy (il premio oscar non protagonista Marisa Tomei, splendida nei suoi 44 anni che si concede dei nudi a dir poco strepitosi), tratteggiato benissimo nelle sue ramificazioni e nelle sue connotazioni psicologiche. E dopo gli inganni, gli errori, le esplosioni violente di ira esplode fragorosa la figura del padre, uno strepitoso Albert Finney (visto al fianco di Julia Roberts in Erin Brockovich) che arriva nella scena continuativa più lunga (senza intervallo di andate o ritorni narrativi) a dare impronta precisa di intenzione e rigore al tutto. Quando i grandi lavorano anche i contorni sono ben delineati (lo spacciatore atipico, il balordo violento) ed ognuno si porta dietro una storia che non si può cancellare e con cui bisogna fare i conti se gli fai un grave torto.
Ritmo molto alto data la scelta di narrazione, ma sopratutto logica di lettura del tutto (la non linearità potrebeb confondere lo spettatore meno concentrato) chiara e comprensiva, ben giostrata nelle prospettive alternate di visione.
In definitiva un gran bel film, intenso, cruento in alcuni momenti, ma sopratutto pregnante nel suo scavo psicologico di fronte a difficoltà insormontabili, cosa devastante nel far vedere quando la logica si perde per la mancanza di tempo di reazione e speranze, non potendo pianificare e lasciando tutto al caso che alla fine non ci assiste se insistiamo troppo a voler esagerare, che non può non coinvolgere in pieno lo spettatore, permettendosi pure nel finale di lasciare un importante punto in sospeso con perfetta logica d'essere. Il titolo italiano non è pessimo, ma quello originale aveva tutt'altro fascino (Prima che il diavolo sappia tu sarai morto). Non perdetelo per nessun motivo.
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Mimzy e il segreto dell'universo
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Cast Joely Richardson, Timothy Hutton, Rainn Wilson, Kathryn Hahn, Kirsten Williamson, Marc Musso, Michael Clarke Duncan
Regia Robert Shaye
Sceneggiatura Toby Emmerich
Durata 01:34:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Family, Fantasy
Distribuito da EAGLE PICTURES (2008)
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Trama: Due fratelli, un ragazzino e una bambina, trovano degli oggetti misteriosi che loro credono giocattoli. Incuriositi li prendono e scoprono che hanno delle strane proprietà cinetico/fisiche. Sopratutto tra la bambina e uno degli oggetti, il coniglietto Mimzy, nasce un rapporto particolarmente intenso, come se ci fosse una sorta di interazione telepate tra i due. Ma quelli che sembrano essere solo degli innocenti compagni di giochi molto particolari si rivelano essere molto di più, suscitando l'interesse delle forze governative capitanate da un gigantesco agente di colore ...
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Commento: Toby Emmerich, lo sceneggiatore di un bel film come Frequency, dove si occupava del fato e delle realtà parallele che derivavano da esso, scrive questa storia all'acqua di rose e tutta miele (che potremmo arditamente definire una specie di Donnie Darko edulcorata per fanciulli) parlandoci dell'incontro tra due fratelli con un coniglio di pezza e delle trottole misteriose. Diretto da Robert Shaye (affezionato attore di alcuni Nightmare e alla seconda regia dopo I ragazzi degli anni '50 del 1990), il film è totalmente improntato ad accontentare un pubblico di famiglie in cerca di buoni sentimenti e visetti simpatici. I due bambini, che sono fratelli nel film, protagonisti della storia, sono la coppia più candida che esista nell'universo, con la piccola perennemente vestita di colori pastello e che stringe affettuosamente il misterioso coniglio di pezza venuto da chissà dove, Mimzy appunto, mentre il fratello occhialuto e di buone maniere, con piccoli problemi di apprendimento a scuola, si dedica a delle trottole con poteri cinetici. Stando insieme ai loro nuovi giocattoli misteriosi diventano ultra intelligenti, e la cosa viene all'orecchio delle autorità che deve scoprire il perchè che c'è dietro a tutto questo, con il rischio di dover brutalizzare l'innocenza strappando la gioia del fantastico che è in tutti noi.
In mezzo abbiamo i due premurosi genitori preoccupati di come vanno le cose, e il professore di scuola del piccolo che fa strani sogni su ponti stellari e decodifica i disegni geometrici alla base del mistero.
Tecnicamente è un film che vuole ricordare molto le ambientazioni di "Incontri ravvicinati del terzo tipo" (tra l'altro uno dei produttori del film di Spielberg produce anche questo film) con delle costruzioni e presenze casalinghe di oggetti misteriosi, ma invece poi effettivamente va ad accostarsi a film di tipo diverso, come potrebbero essere film per bambini del tipo di Navigator.
Purtroppo il messaggio completo del film, costruito nel visivo con un uso davvero minimo degli effetti speciali, e questo lo possiamo anche ritenere un pregio in quanto sarebbe anche stato peggio inserire effettoni inutili in una storia fondamentalmente intimista, risulta banalissimo e privo di vero interesse, assopendo la platea sia di adulti che di piccini pur in una durata al minimo sindacale di 94 minuti.
Di fatto questo Mimzy potrebbe essere benissimo un episodio figlio della serie televisiva "Ai confini della realtà" dilatato nella durata, dove, a differenza dei geniali episodi tv, la sorpresa finale deve colmare un vuoto di narrazione che dura lungo il film. Ovviamente viste le premesse non ci si poteva aspettare un film molto diverso, ma alla fine quello che succede dovrebbe emozionarci data la sua universalità di significato, invece ci arriva blandamente esposto, in maniera poco ferma e del tutto vacua in quanto privo di ogni forza nella sua banalità.
Si trascorrono tempi ripetitivi a dire sempre le stesse cose, ad osservare i bimbi stupiti ma tranquilli, i genitori preoccupati e le autorità che agiscono anonime, tra mantra religiosi (richiami di dei superiori che si figuralizzano nel coniglio) e sguardi entusiastici di fronte all'incredibile poco affascinante.
E cosa davvero inaspettata è il cast di non certo stelle ma neppure sconosciuti. Il capo della agenzia governativa è Michael Clarke Duncan (il gigantesco prigioniero del Miglio verde), Joely Richardson (Nip/Tuck e Maybe baby al fianco di Hugh Laurie, il dottor House televisivo) è la mamma, Timothy Hutton (da recuperare la bella commedia dove è protagonista Turk 182) è il padre.
In definitiva un film per famiglie con bimbi al seguito dai pregi tecnici praticamente nulli, noioso per la sua prolissicità, con un risultato di banale profondità in quanto a comunicazione di messaggio universale per la salvaguardia del futuro sereno e delle nostre coscienze e dei sentimenti, che si può tranquillamente tralasciare anche in un ottica di passatempo per i più piccoli in quanto saranno i primi ad annoiarsi con questi balocchi spogli di idee.
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I padroni della notte
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Cast Joaquin Phoenix, Mark Wahlberg, Eva Mendes, Robert Duvall, Tony Musante, Antoni Corone, Alex Veadov, Katie Condidorio, Burton Perez, Dominic Colon
Regia James Gray
Sceneggiatura James Gray
Durata 01:45:00
Data di uscita Venerdì 14 Marzo 2008
Generi Giallo, Drammatico
Distribuito da BIM
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Trama: New York 1988. Due fratelli, Joseph e Bobby, completamente diversi tra loro si trovano a confronto : il primo poliziotto di lungo corso, l'altro manager di un locale i cui affari vanno a gonfie vele. Un giorno la mafia russa si infiltra per commercializzare droga con la copertura del ritrovo notturno, e Joseph, con il padre, chiede al fratello di poter essere un informatore al servizio della polizia. Bobby, preoccupato solo di non rischiare di perdere la sensuale fidanzata e i suoi affari, rifiuta, ma un successivo tragico fatto è alle porte ...
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Commento: il titolo originale "A noi appartiene la notte" (come quello italiano stavolta calzante) potrebbe far pensare che ci si riferisca alle bande di malviventi che scorazzano indisturbate sopratutto nelle ore dove vince la luna sul sole, invece la frase è un indicativo di una scritta che portano i poliziotti sulle casacche, dato che i difensori della città combattono il crimine sopratutto nelle ore notturne dove avvengono retate, arresti e azioni programmate. Di fatto in questo film di James Gray (ultima pellicola The yards del 2000) la notte è il momento culminante dei punti cardine che lo compongono, (tranne quello decisivo che segna il dominio totale sulle 24 ore), dove tutto avviene oscuramente con la città che dorme e sembra non accorgersene. Trama di forti derivazioni Scorsesiane, l'influenza del suo The Departed si nota molte volte in questo lavoro, che narra di due fratelli, Joseph (Mark Wahlberg, reduce dalla prova, ancora di poliziotto integerrimo, del film prima citato) che chiede al fratello Bobby (Joaquin Phoenix, il feroce cattivo de Il gladiatore) di fare l'informatore per la polizia del locale notturno che gestisce per debellare un traffico di droga che circola all'interno.
i due sono completamente diversi, uno poliziotto idealista, l'altro manager senza troppe remore che pensa solo a mantenere vizi costosi e sopratutto la stupenda fidanzata (una strepitosa nella bellezza Eva Mendes sensuale come non mai prima). Il dualismo non tarda a venire fuori, nonostante l'arcigno padre cerchi di portare la calma e la ragione (interpretato da un Robert Duvall finalmente al di fuori delle particine di contorno ma in un solido ruolo di non protagonista importante e decisivo, ago della bilancia delle incomprensioni tra i due fratelli).
il film è teso, duro, vibrante, non ha tantissimi inseguimenti in macchina (uno solo sotto la pioggia veramente al cardiopalma) o sparatorie (relegate sopratutto per chiudere gli archi narrativi magari anche con un unico semplice colpo di arma da fuoco), ma ha delle discussioni concitate intense, momenti in cui si legge la tensione e le insicurezze come se fossero una lama tagliente su cui camminare sopra, dato che le decisioni nonostante siano magari anche coraggiose, non sono mai completamente giuste. Qualcosa va sempre storto giocando con argomenti così difficili, non si ha mai la sicurezza che anche cose apparentemente inattaccabili vadano a buon fine, e le tante promesse non mantenute (di vario tipo) presenti confermano questa impossibilità di possedere non solo il tempo determinato (la notte appunto) ma il destino globale. Gray con Little Odessa si era già avvicinato al tema della mafia russa, e qui lo sviluppa come se fosse il cancro dei sogni di grandezza di Bobby il supermanager ("Voglio grandi figli e tanti palazzi") dato che per colpa loro rischia di perdere tutto quello che ha, dovendo prendere quella famosa decisione che farà da catalizzatore di tutti i guai successivi.
Ritmo molto alto, momenti di riflessione intensi, scene di confronto delle vite dei fratelli ottimamente iconizzate (rigida presenza familiare per Joseph, feste sfrenate per Bobby) ha il difetto di mancare di grandi momenti di sorpresa, di fatto gli avvenimenti sono un po'telefonati e qualcosa avviene senza molta logica (difficile essere sottoscorta in quella maniera tanto rigida e poter andar via quando si vuole, come fa la Mendes, senza che il poliziotto di guardia intervenga), la mafia russa vive di stereotipi nei personaggi, ma il livello di gradimento non cala mai davvero in quanto la vicenda rimane interessante, e vogliamo capire i come e i perchè occulti, a tutti i costi.
Il tutto immerso in un'atmosfera plumbea, la fotografia dai colori smorti e la ricostruzione di venti anni fa (più difficile di quanto si pensi, con l'evoluzione tecnologica che galoppa ad ostacolare la correttezza temporale degli oggetti negli ambienti, niente cellulari, niente schermi piatti, si rivedono le vecchie care macchine da scrivere e i pc con floppy disk) adeguata. Meglio la recitazione di Phoenix che quella di Walhberg, qua è un po' defilato e con una parte meno caratterizzata di quella (ottima) eseguita con Scorsese.
In definitiva un film che glorifica la polizia e il suo coraggio, si fa vedere in maniera più che soddisfacente per l'intensità delle situazioni, con una coprotagonista femminile davvero da togliere il fiato (la scena iniziale del film parla da se), non esagera mai nelle situazioni roboanti da action movie che avrebbero rovinato tutto, tratteggia bene i caratteri ma che manca della solidità registica necessaria per fargli fare il salto di qualità, unita a una sceneggiatura che avrebbe dovuto essere più robusta con vere originali soluzioni che qui in fondo mancano. Ma questi Padroni della notte danno davvero un buon soggiorno in sala per l'affitto che paghiamo, il regista affinando man mano le sue capacità potrà anche riuscire al prossimo giro a darci qualcosa di completo e diverso e non solo più che soddisfacente, dato che qualche numero di base si è visto.
Bello poi rivedere Tony Musante anche se in una parte di contorno.
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