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La sposa fantasma
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(Over Her Dead Body) Regia: Jeff Lowell – Cast: Eva Longoria, Jason Bigg, Paul Rudd, Lindsay Sloane, Stephen Root, Kali Rocha, Lake Bell, Morgan Sheppard, Sam Pancake – Genere: Commedia, colore 96 minuti – Produzione: USA 2008 – Distribuzione: Eagle Pictures - Data di uscita: 24 Aprile 2008
Trama: Kate è una perfezionista e sta organizzando a puntino il suo matrimonio con il dolce Henry, quando una statua raffigurante un angelo di ghiaccio senza ali le cade addosso uccidendola. Finita in una sorta di limbo spirituale bianco, gli viene concesso di stare sulla terra in forma ectoplasmatica che può interagire con le persone per adempiere a un compito ben preciso che la sua fretta nel aprlare con l'angelo consigliere non gli permette di conoscere. Intanto il fidanzato non si dà pace senza di lei, e per cercare di capire che cosa deve fare si rivolge a una medium in erba, esperta di catering, che dimostra molto interesse per lui. La gelosia della sposa fantasma a quel punto si scatena ...
Commento: Lo sciopero degli sceneggiatori televisivi, che ha messo nel freezer per diverso tempo le tv series, tra le altre Desperate Housewives di cui Eva Longoria Parker fa parte del cast, deve aver concesso un po'di tempo libero agli attori per fare dei prodottini cinematografici affini in cui cimentarsi, per cui la bella attrice/modella è stata reclutata nel cast di questa commediola senza pretese e di poca fantasia che narra le gesta di una puntigliosa prossima sposa schiacciata da un angelo di ghiaccio che doveva fare bella mostra durante il wedding-day. Andata in un limbo (ovviamente bianco), Kate (Longoria) viene a sapere di dover compiere una ultima missione prima di poter risposare tranquilla sulle nuvolette, però non sa quale perchè come da suo carattere troppo invadente indispettisce l'angelo che le sta parlando. Tornata sulla Terra come fantasma, trova il fidanzato Henry (Paul Rudd, visto anche in Una notte al museo e nella serie televisiva Friends, era il fidanzato di Phoebe) distrutto dal dolore che cerca conforto in una medium pasticciona e poco affidabile (Lake Bell, anche lei nelle serie tv, nel caso specifico Boston Legal). Ghost/Kate vede un avvicinamento troppo interessato tra i due e la sua gelosia esplode cercando in tutti modi di ostacolare il rapporto, la sua possibilità di farsi sentire e vedere come vuole la può aiutare nell'impresa, ma è ben altro che deve compiere.
Come si vede una commedia banalissima e scontata dal primo all'ultimo minuto, che riprende canoni abusati che si riconducono a diverso cinema, dal Paradiso può attendere a Ghost. Ma se la prevedibilità è il motore poco scoppiettante della storia, sarebbe riduttivo stroncarla in toto senza scampo, dati gli intenti onesti di divertire e rilassare senza il minimo impegno, con uno spettacolo corretto e totalmente privo di derivazioni volgari, cercando il sorriso anche in una scena dove i peti imperano nel modo più elegante possibile. A questo proposito è incredibile che il picco di ilarità al cinema si raggiunga sempre con questo artifizio narrativo, si vede che il Dantesco "... e col cul fece trombetta" in pellicola ha sempre la sua icona di sicuro rifugio del divertimento.
Nel film il regista (Jeff Lowell, sceneggiatore di Il mio ragazzo è un bastardo, con protagonista un altro interprete di Desperate Housewives) ci inserisce anche dei blandi effetti di levitazione e qualche voce ancestrale che proviene dalle superbe fattezze della Longoria (che recita come sempre impettita e superba rifacendo il verso alla sua Gabrielle Tv). In mezzo abbiamo tante cose qualunque, come l'amico gay della medium (interpretato dal Jason Biggs famoso per American Pie), la dolce sorella del fidanzato distrutto, qualche tenero animale (lui è un veterinario) e cattiveria davvero blanda stemperata ogni volta, per poter rimanere sempre nei canoni corretti e dolci dello zucchero filato che promette.
In definitiva una commediola come tante scontata e prevedibile, vista e scritta mille volte da altre parti, leggerissima e zuccherosa, che va benissimo per una serata di intrattenimento senza nessuna voglia di impegnarsi minimamente, dato che seguirla è la cosa più facile del mondo dato che possiamo scriverne la sceneggiatura ancor prima che vediamo la scena sullo schermo. Ma la sua correttezza blindata e totale la rende simpatica, se vi accontentate o cercate questo accomodatevi pure senza problemi. Per una sera ogni tanto, a volte può bastare nel "longorio" della vita moderna.
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Tutti pazzi per l'oro
(Fool's Gold)
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Un film di Andy Tennant. Con Matthew McConaughey, Kate Hudson, Donald Sutherland, Kevin Hart, Ewen Bremner, Alexis Dziena, Ray Winstone. Genere Commedia, colore 113 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Warner Bros Italia - [Uscita nelle sale mercoledì 23 aprile 2008]
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Trama: Ben "Finn" Finnegan è un incallito cercatore di tesori in crisi matrimoniale per le troppe testarde stupidaggini che compie alla ricerca della realizzazione dei suoi sogni. Ma un giorno la pista seguita sembra davvero quella giusta, e il tesoro della nave che giace sul fondale Regina Dowry a portata di mano. Salito sul megayacht del miliardario Nigel Honeycutt e di sua figlia Gemma, ritrova la ex-moglie che lavora proprio alle dipendenze dei due. La cosa sembrerebbe un impaccio, ma la nuova avventura che si prospetta potrebbe ...
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Commento: La fantasia dei titolatori italiani che ha fatto abbondanti disastri negli ultimi tempi, vuole solo richiamare nel ricordo il film con Cameron Diaz "Tutti pazzi per Mary", ma invece Fool's Gold sta per "oro degli sciocchi", la pirite che è tanto somigliante al prezioso metallo ma non vale nulla, volendo indicare nel film la ricerca inutile di tesori che per lungo tempo Finn (Matthew McConaughey) esegue senza nessun successo. Tutti questi vani tentativi lo hanno portato al tracollo matrimoniale con Tess (la bionda Kate Hudson, già in coppia con Conaughey in "Come farsi lasciare in 10 giorni"), da cui ha divorziato, ed è aiutato solo da Alfonz, un ucraino per nulla affidabile (interpretato da Ewen Bremner, che ricorderete per la sua interpretazione dell'impasticcato Spud in Trainspotting). Ma il caso e la fortuna vogliono che gli avvenimenti girino giusti, e Finn scopre un indizio sicuro su un tesoro nascosto. Arrivato sulla meganave di un miliardario (Donald Sutherland, incanutito come non mai) e della sua vanesia figlia Gemma (l'attrice mora Alexis Dziena, il cui personaggio supera in stupidità ed ocaggine qualunque bionda dello schermo in ruoli simili) scopre che l'ex-moglie lavora proprio lì. Riparte l'avventura, ripartirà anche l'amore?
Il regista Andy Tennant (diresse il brillante Hitch con Will Smith) cerca di riprendere i fasti di film come "All'inseguimento della pietra verde" e del suo seguito "Il gioiello del Nilo" con un film mix di avventura e commedia leggera con protagonista una coppia di attori giovani e prestanti. Ambientandolo nei Caraibi (con location però posizionate in Australia), ci si immerge in una cornice splendida, peccato che se è scintillante il contenitore un po'meno è il contenuto e i suoi figuranti. Ovviamente il mix è intrigante in quanto mescola scene dinamiche marine (inseguimenti e immersioni) con atmosfere da sogno di barche che lo schermo fa fatica ad inquadrare nella sua completezza, d'altro canto i due protagonisti non sono ne Douglas ne la Turner, per quanto ci sia un impegno lodevole ad essere simpatici a tutti i costi anche nel momento del pericolo, e quelli di contorno come lo spaesato miliardario interpretato da Sutherland (giunto davvero per un errore del suo manager in questo film o per passare pagato delle belle vacanze) e di sua figlia poveri di credibilità, resi vuoti da una sceneggiatura che si affida non ai colpi di scena equilibrati tra i vari passaggi di genere (avventura e commedia) ma solo alla ripetizione pedante di situazioni abusate (come quelle che vedono i due ex-coniugi dirsi "io lo farei se tu fossi ma non posso farlo dato che non lo sei ma lo farò visto che in fondo ti amo") e di cattivi da operetta di avanspettacolo.
Tra l'altro i continui passaggi tra tempi fermi del dialogo e quelli dinamici possono anche straniare lo spettatore frammistando male i generi coinvolti nella pellicola, lasciando magari insoddisfatti.
Conaughey sfodera una perfomance fisica di notevole livello (e per la gioia delle signore ampiamente con il corpo muscoloso in luce) mentre per rendere la Hudson è abbastanza castigata, con le sue scene in bikini piuttosto veloci (i maligni magari possono anche insinuare come scritto dalla stampa gossippara che non poteva fare diversamente visto qualche kilogrammo di troppo), lasciando la parte della visione fisica di un bel corpo femminile in mnaiera più consistente alla vanesia e capricciosa Gemma.
La storia alla fine per il puro divertimento senza pretese tutto gira leggero e a volte movimentato, ma è davvero priva di particolare inventiva e del tutto mancante di singolarità, e se da un lato tutto il contesto riporta alle avventure rese famose dai film di scorribande e ha il fascino di voler scoprire gli oggetti dispersi ai quattro angoli del globo, non riesce a catturare completamente la nostra attenzione.
In definitiva un film adatto per un tranquillo pomeriggio al cinema con la famiglia, sopratutto in questi tempi di ponti e gite fuori porta per chi non può muoversi, da preferire al film con la Foster per una maggiore dinamicità, ma che poteva essere qualcosa di più se ci fosse stata la voglia di rischiare qualcosa in fase di sceneggiatura rendendola meno qulaunque con una migliore calibratura del mix tra commedia ed avventura.
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Un amore senza tempo
(Evening)
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Un film di Lájos Koltai. Con Claire Danes, Toni Collette, Vanessa Redgrave, Patrick Wilson, Hugh Dancy, Natasha Richardson, Mamie Gummer, Eileen Atkins, Meryl Streep, Glenn Close. Genere Drammatico, colore 117 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale giovedì 24 aprile 2008]
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Trama: Ann è una anziana donna bloccata nel letto da un tumore terminale, che sentendo la fine della vita avvicinarsi decide di tracciare un bilancio della sua esistenza, confidandosi con le due figlie. Un po' per la malattia che la erode nella mente, un po' per dei sensi di colpa mai sfogati, la donna entra confusamente nei ricordi dei suoi amori di gioventù che non ha mai scordato veramente, parlando continuamente di un uomo sconosciuto di nome Harris. Il racconto della sua vita difficile si sovrappone ai problemi della figlia Nina che non riesce a trovare un centro di esistenza stabile ...
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Commento: Tratto dal romanzo di Susan Minot, autrice anche di altri due romanzi adattati per il cinema come The Hours e Una casa alla fine del mondo. Lájos Koltai (normalmente un direttore della fotografia con al suo attivo da regista solo un altro film nel 2005, lo straziante Senza Destino che consigliamo di recuperare) dirige un cast al femminile di grandissimo livello, che comprende oltre alle due superstar Glenn Close e Meryl Streep (che appaiono invero molto poco) Toni Collette (che fa la figlia Nina, ricordiamola al fianco di Cameron Diaz nel film In her shoes), Vanessa Redgrave (la madre immobilizzata nel letto), Claire Danes (Ann Grant da giovane), Natasha Richardson (Constance Haverford). Il film si struttura come un lungo flashback di ricordi interrotti ogni tanto dal ritorno al presente, che serve per parametrare quanto accaduto nel passato. Ann è una anziana donna ormai in fin di vita che immobilizzata nel letto ripete ossessivamente di aver lasciato morire un uomo di nome Buddy, di aver amato un tale Harris, persone che le figlie non hanno mai sentito nominare prima. La figlia Nina, in difficoltà per aver avuto varie delusioni nella vita, la incita a raccontare quanto successo tanti anni prima durante la sua gioventù. Confusamente per colpa della malattia e con qualche sproloquio, la mamma si tuffa nei ricordi.
Melodrammone dai ritmi lentissimi, si avvale di una confezione corretta (sopratutto nella fotografia, molto bella quella notturna insieme a quella degli interni) e di una recitazione valida per i ruoli (sia nel passato e nel presente), avvalendosi anche del fatto che i vestiti, e le auto, del tempo sono ottimamente presenti.
Purtroppo, nonostante questi pregi formali di costruzione, il contenuto non è per nulla coinvolgente, per lungo tempo non succede quasi nulla, la noia impera lungo il percorso viaggiante dei ricordi con una pesantezza palpabile di fondo, peccato perchè le sensazioni che propone sono anche buone, come quelle dell'amore conteso e delle difficoltà di Buddy di integrarsi con la comunità che si prepara a festeggiare un matrimonio che la sposa accetta solo come una scappatoia per non macerare nel vero amore che l'ha respinta. La fase del presente è ancora più statica, praticamente non si esce mai dalla stanza e dalla casa, con le due sorelle che accudiscono la madre a contrapporsi nei bilanci della loro vita. I dialoghi sono la parte preponderante del film, e ogni tanto si scade in immagini del tutto gratuite ed inutili, con la Redgrave che si alza per osservare un volo di farfalle di dubbia logica. Non si doveva cadere nella tentazione di fare un drammone femminile che fosse un macigno da vedere per estirpare a tutti i costi lacrime dai cuori teneri o mettere sullo schermo facili sentimenti, ma questo è quanto accade. Dopo poco dall'inizio lo scarso coinvolgimento dato dalla noia e ripetitività può anche far sbagliare nello sbadiglio le persone nelle loro connotazioni temporali cercando di coordinare i due tempi del racconto.
La mancanza di ruoli maschili validi lo appanna ulteriormente, dato che il principe azzurro che viene presentato è assolutamente anonimo e l'altro personaggio non mostra a lungo la sua vera natura, e quando lo fa paga subito le conseguenze del gesto.
Certe volte osare a Hollywood può costare caro, ma mai come stavolta il troppo formalismo privo di attrattive meriterebbe di essere ignorato.
In definitiva un film pesantissimo da vedere, ben confezionato nella forma, che non dà nessuna soddisfazione in quanto per estrarre un semplice concetto di fiducia nella vita (passata, presente e futura) ci propina quasi due ore monotone e prive di coinvolgimento da seguire, con la gravissima pecca di raccontare praticamente il nulla.
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Il treno per il Darjeeling
(The Darjeeling Limited)
Un film di Wes Anderson. Con Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman, Anjelica Huston, Amara Karan, Camilla Rutherford, Irrfan Khan, Bill Murray, Natalie Portman. Genere Commedia drammatica, colore 91 minuti. - Produzione USA 2007. - Distribuzione 20th Century Fox - [Uscita nelle sale mercoledì 30 aprile 2008]
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Trama: Tre fratelli decidono di fare un viaggio spirituale in India, viaggiando in treno, per ricongiungersi con la madre che li ha lasciati per meditare in una località remota senza curarsi neppure di tornare per asssistere al funerale del marito. Il viaggio che compiono li metterà a contatto con varie persone, ma sopratutto li riavvicinerà tra loro facendo in modo che possano conoscersi veramente con tutti i problemi che li assillano tanto diversi.
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Commento: Dopo i Tenenbaum Wes Anderson ci racconta un altro spaccato di vita familiare, stavolta però con una logica "on the road" o meglio sarebbe dire "on the train", dato che il film si svolge quasi tutto mentre siamo a bordo delle carrozze pittoresche e folcloristiche del Darjeeling Limnited, con la sua popolazione umana tanto eterogenea.
Preceduto dal cortometraggio Hotel Chevalier, che fa da prologo ideale al film, dove in una camera d'albergo vedrete uno dei tre fratelli, Jack (Jason Schwartzman, parente dei Coppola e interprete come ultimo film del Luigi XVI di Marie Antoinette) è alle prese con una sensuale e misteriosa Natalie Portman.
Quando il film comincia vediamo un altro suo fratello, Francis (un Owen Wilson in vena di parti riflessive e problematiche, che recita per quasi tutto il film con un pesante bendaggio dato che il suo personaggio ha subito un incidente terribile), correre dietro a un treno in corsa superando un uomo d'affari (Bill Murray, qua praticamente in un cammeo ma interprete di un altro film di Anderson, Le avventure acquatiche di Steve Zissou). Arrivato sul treno Francis, che ha elaborato il percorso, incontra Jack e un altro fratello Peter (Adrien Brody, anche lui con un problema alle spalle). Il viaggio per cercare la madre (Anjelica Houston) comincia, e il percorso sarà pieno di sorprese e di valore spirituale.
Anderson ha una particolare capacità nel descrivere le personalità (vedi il lavoro fatto nel gioiellino I tenenbaum) e in questo film tutto in movimento riesce benissimo a descrivere a dovere i contrasti interiori dei tre fratelli eterogenei, oltretutto senza mai perdersi in oziose spiegazioni oppure lunghe dissertazioni illuminate ma che uccidono il ritmo del film. I problemi dei tre fratelli, che sono quelli della vita ma sopratutto il fatto di non saper coesistere, sono esterni rispetto a quanto avviene nel loro percorso, sono stati lasciati in un altro luogo e momentaneamente nel freezer, adesso si deve cercare l'unità familiare capendosi tra di loro e cercando la madre ma che deve dare spiegazioni, alla quale vogliono bene ma hanno bisogno di capire perchè si è comportata in una certa maniera. Il contatto tra loro all'inizio è traumatico, ma affronatndo insieme il viaggio e le sue sorprese potranno unirsi aiutati dal paesaggio e dalla popolazioen che incontrano. Il personaggio migliore è sicuramente quello di Wilson, con le sue caratteristiche di sfregio nel corpo ma che si ostina continuamente a non lasciare l'obbiettivo, che da fratello maggiore unisce la famiglia e ne tiene idelamente le redini confiscando i passaporti data l'apparente immaturità degli altri due, dove Brody ha lasciato la compagna in cinta e Jack non esce dal suo torpore del ricordo di quanto avvenuto con la Portman (simbolizzato nel prologo). L'iconografia usata dal regista è precisa e diretta. Il treno (scena iniziale) non va perso in quanto è una occasione unica, superando l'uomo d'affari (la vita in se stessa e le sue routine) come del resto non va perso il treno del ritorno lasciando i ricordi/fardello del padre (le valigie) per tornare più maturi e consapevoli ad affrontare i problemi della vita a cui non si deve sfuggire, ma vanno risolti. L'errore lo compie la madre fuggendo in eremitaggio, non loro che affrontano un viaggio pazzesco senza una vera coesione di base. E in una bella scena di scena a scorrimento vediamo le cabine divise una ad una e i suoi abitanti, ognuno in un proprio microcosmo apparentemente non collegato ma che fa parte di un disegno più grande dove bene o male siamo tutti insieme (il treno). Il momento delle telefonate ricorda che bisogna evitare di dimenticare quanto sta a casa, ma prima di tornarci è necessario completare il percorso dello spirito in quanto la necessaria aumentata consapevolezza ci aiuta nel compito.
Il tutto avvolto in cornici incantevoli dell'India, vista come caotici mercati dove trovi di tutto ma anche come brulli paesaggi di sabbia e villaggi sperduti dalla grande dignità nonostante le difficoltà della sopravvivenza (la scena del funerale), monito ed esempio per tutti, dove se si viene accettati all'interno della comunità vuol dire aver agito con giustezza di cui dobbiamo essere fieri, anche se apparentemente non ci sono guadagni materiali.
Le diatribe tra fratelli sono gustosissime nella malinconia sempre presente di cui sono intrise, il trio d'attori è davvero in palla e gira benissimo, ognuno con le sue caratteristiche tutte diverse, lasciandoci un ricordo intenso di una vicenda fondamentalmente ottimista che guarda sempre avanti.
La madre, una Anjelica Huston lontana dalle iconografie della famiglia Addams, con capelli cortissimi, sembra essere l'unica confinata in un suo blindato esistere, senza più voler accetatre i legami del passato per esistere solo con un dorato (ma infertile) isolamento. Completano il lavoro una ottima fotografia sempre chiara e delle riprese strette sulle carrozze anguste precise e senza sbavature, micromondo quello del treno dove le avventure si possono vivere solo per il momento del viaggio e non da portare oltre ("io ho un fidanzato" gli dice la bella assistente amnate del fumo a Jack)
In definitiva un viaggio spirituale da non perdere, che dà degli ottimi messaggi in maniera eccellente, sorretto da un cast all'altezza e diretto con mano leggera senza mai stancare, appropriandosi e donando i concetti con seminale emotività. Film di questo tipo non ne circolano molti, lasciarsi sfuggire il treno stavolta significa non sapere quando sarà il nuovo passaggio.
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Saw 4
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Regia: Darren Lynn Bousman
Sceneggiatura: Thomas Fenton, Marcus Dunstan, Patrick Melton
Fotografia: David A. Armstrong
Montaggio: Kevin Greutert
Musica: Charlie Clouser
Interpreti: Tobin Bell, Scott Patterson, Lyriq Bent, Justin Louis, Costas Mandylor, Angus Macfadyen, Betsy Russell, Athena Karkanis, Justin Louis, Simon Reynolds, Mike Realba, Marty Adams, Donnie Wahlberg
Nazione: USA
Anno: 2007
Durata: 95
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Trama: Il crudele enigmista, l'uomo che prepara trappole incredibili ma con almeno una possibilità di uscita per redimere i colpevoli, apparentemente è defunto, sconfitto dal male che lo ha divorato e dagli eventi. Ma la catena di omicidi ricomincia senza tregua, e soltanto Riggs, un poliziotto di colore con un passato collegato a una delle vittime del giustiziere ingegnere sembra poter fare qualcosa. Ma anche lui è una delle vittime del crudele gioco a rimpiattino che il misterioso Jigsaw ha ideato. Farà le scelte giuste ?
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Commento: Darren Lynn Bousman (che ha diretto anche il secondo e terzo capitolo della saga di Saw) prosegue il racconto delle gesta delle azioni del terribile ingegnere giustiziere che lascia almeno una via aperta per la salvezza alle sue vittime. All'inizio di questo quarto chapter vediamo su un tavolo dell'obitorio il corpo ormai privo di vita dell'enigmista pronto per una autopsia : mentre viene sezionato il corpo, viene rinvenuto uno dei suoi tape ... l'incubo ricomincia. Ma chi è il nuovo giustiziere?
Bisogna dirlo subito, davvero niente male questo nuovo atto (assolutamente non l'ultimo, in arrivo ad ottobre il quinto capitolo e il sesto è in preparazione, d'altronde con i guadagni che hanno queste saghe è diffiicile per i produttori non continuarne le gesta) di Saw, che ha gli stessi difetti di credibilità di sempre (trappole davvero troppo esagerate per poter essere credibili se eseguite da un solo uomo oppure da lui e un adepto), ma in questo caso il gusto splatter/gore è sparato a livelli inauditi, con sezionamenti strepitosi nell'effettone, morti atroci eseguite nelle maniere più sadiche possibili, invenzioni fantasiose di come un macchinario possa condurre a lasciare questa valle di lacrime non senza aver sofferto oltre ogni limite. La trama non si discosta dalle precedenti, aggiunge l'elemento di capire chi dirige il crudele ballo delle atrocità, la polizia come sempre si agita senza condurre in maniera seria l'indagine trovando casualmente gli elementi e solo perchè l'enigmista lo vuole (come se si scivolasse sugli indizi tali e quali una buccia di banana messa dove stiamo camminando da qualcuno), il grande burattinaio ha tutto sotto controllo e non perde colpi.
Come in altre saghe arrivati al capitolo 4 si narra in flashback il passato dell'enigmista, fanno vedere l'origine della maschera e conosciamo la sua famiglia, in modo da completare il discorso della saga nella sua completezza.
Il protagonista di questo capitolo è un detective del corpo speciale Riggs, che viene rapito e sottoposto al solito crudele gioco : "Vivere o morire? Fa la scelta giusta".
Con queste premesse si capisce benissimo che la visione del capitolo odierno senza la conoscenza dei precedenti è del tutto inutile, ci sono troppi rimandi più o meno indiretti (sopratutto al terzo capitolo) al passato, chi si avvicina senza background elabora compiutamente ben poco di quanto visto, e d'altronde il discorso di riprendere i dvd ormai sul mercato è un ulteriore impulso al marketing che non deve mancare nell'ottica produttiva.
Preparatevi a uno spettacolo macabro violento senza particolari interruzioni (gli stomaci deboli si esentino ma è inutile dirlo) e di proporzioni esagerate anche rispetto ai precedenti capitoli, con macchinari talmente elaborati degni delle migliori invenzioni di macchia nera che vuole incastare topolino. L'effetto migliore è sicuramente quello iniziale dell'autopsia, ma tutti sono da rimarcare in un ottica splatter (oltre che per l'insano sadismo, davvero danno da pensare certe elaborazioni come quella dei pali appuntiti di ferro nei punti del corpo) per la fantasia di come avvengono ma anche per la quantità industriale di sangue che scorre da ogni parte possibile. Il tema musicale ossessivo poi rende il lavoro ancora più coinvolgente, riuscendo a dare il pathos nel momento giusto.
Tra l'altro la trama è tutt'altro che lineare, con flash back, introduzione di personaggi con loro protagonismo della vicenda parallelo in attesa delle inevitabili ricongiunzioni, nonostante qualcosa rimane (volutamente, visto la proiezione futura dei nuovi capitoli) oscuro alla fine del film e vi troverete a discuterne post visione con i vostri amici che hanno condiviso questa nuova esperienza enigmistica.
Inutile poi cercare delle cognizioni di denuncia a film come questi, la punizione avviene in quanto mezzo della follia e non certo come giudizio universalmente riconosciuto dei crimini, il tema se spetta a qualcuno decidere di togliere la vita a chi l'ha tolta (o seviziata e maltrattata) non può far parte di discussioni su film come Saw, che sono fatti unicamente per soddisfare gli appassionati di un genere, venuti a divertirsi a tinte forti con pop corn e coca cola, lasciando queste discussioni a film perfetti come Se7en.
La fotografia è sporca al punto giusto, come gli ambienti che anche senza odorama olezzano di marcio e trascurato, aumentando il senso di cupo e frustazione di fronte agli eventi.
Film di genere, ma se la costruzione è buona, se la continuazione della trama introdotta anni prima valida, non possiamo negare che il compito è svolto in pieno. Rimane confinato in un suo specifico valore, che esiste e sarebbe stupido e pedante negare per solo catalogazione di sottogenere (non lo fece Kubrick, e chi siamo noi per farlo?).
In definitiva un film che gli appassionati della serie, incuranti dei suoi difetti di natura, adoreranno, inutile per chi si avvicina ad esso per la prima volta perchè non ne godrà della trama, dagli effetti splatter ben fatti, ridondanti e fantasiosi, di un sadismo che avrebbe fatto venire l'infarto ai miopi censori che al tempo bloccarono il Cannibal Holocaust di Deodato.
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Iron Man
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Un film di Jon Favreau. Con Robert Downey Jr., Terrence Howard, Jeff Bridges, Shaun Toub, Gwyneth Paltrow. Genere Azione, colore 126 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Universal Pictures - [Uscita nelle sale giovedì 1 maggio 2008]
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Trama: Anthony Stark è un miliardario con una particolare predisposizione e illuminazione verso l'assemblaggio di fenomenali congegni elettronici, che costruisce la sua fortuna sulla compravendita delle armi di cui si occupa l'azienda di famiglia. Privo di scrupoli e senza particolare sensibilità, si dedica alle feste e alle donne, lasciando il compito di amministrare la società a un consigliere mentore che era amico del padre defunto. Ma un giorno, mentre è in Afghanistan per la dimostrazione dell'efficacia del missile Jericho, viene rapito da dei guerriglieri con bellicose intenzioni. Scampato all'esperienza torna alla vita civile con una nuova maturità e scopre cose davvero inaspettate, ma per fare giustizia deve dotarsi di una variopinta armatura tecnolgica : sta per arrivare Iron Man!
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Commento: Robert Downey Junior (bravo attore specializzato in parti off e di film indipendenti, come nel film In Dreams, che ha partecipato sempre a produzioni ai margini dei fasti di Hollywood), veste i panni (o meglio l'armatura) di uno dei supereroi Marvel che nella conoscenza generale non è famoso tanto quanto altri, ma che di contro è interessantissimo per tutte le sfaccettature che presenta rispetto ai canoni normali degli eroi in calzamaglia. In questo caso l'anima d'acciaio non è solo un veicolo di potenziamento, ma una necessità di vita, in quanto il miliardario Anthony Stark subisce un terribile trauma al cuore nel corso del suo rapimento in Afghanistan da parte di un gruppo di ribelli organizzati. Per potersi salvare deve avere l'aiuto di un altro prigioniero, che gli mette un impianto meccanico rudimentale nel petto (alimentato da una batteria di auto in stile e uso catetere). Finita la prigionia perfeziona il meccanismo, acquisisce una maturità spirituale ben diversa rispetto a quella del passato e decide di dedicare la propria vita ad aiutare l'umanità rinnegando quelle armi su cui aveva costruito il suo capitale. Per farlo costruisce una armatura tecnologicamente avanzata, che userà ben prima di quanto pensi. In questo film il nome da super eroe del protagonista arriva solo nelle fasi finali, la denominazione Iron Man passa in secondo piano rispetto a quella dell'uomo Tony Stark, che usa la tecnologia per migliorare spirito ed intelletto. In effetti la prima parte è sicuramente la migliore, con la sua claustrofobica ambientazione “povera” nelle grotte dove si forma l'uomo vero che migliora, in maniera credibile ed interessante. Anche il ritorno alla ricchezza della civiltà è un dettaglio, la sua mente ormai è concentrata a fare ben altro, per la sua sopravvivenza e per riparare agli errori del passato (frasi come “Io preferisco l'arma che si deve usare solo una volta” non faranno più parte del suo lessico), i soldi diventano solo un mezzo per costruire le (vere) armi del bene.
Impostazione di base complessa e poco tradizionale dei supereroi con superproblemi, d'altronde Iron Man nella storia Marvel è sempre stato uno dei “maturi”, quello che non si esitava ad innestare in trame e intrighi politici non solo in versione antirussa durante la guerra fredda ma anche contro il misterioso e minaccioso oriente (vedi un suo nemico storico, il Mandarino, che non è detto che non appaia come prime-villain in un eventuale seguito visto che qua è presente brevemente come una specie di occulta minaccia), non a caso poi è il capo degli Avengers di cui è membro storico. Purtroppo dopo la prima parte il film si sgonfia, si perde e ripete in siparietti umoristici dell'uomo che parla con la sua armatura e il computer Jarvis (che nel fumetto è il fedele servitore degli Avengers), qualche cosa stucchevole (il cuore scultura nella piccola teca) ed evolve in un combattimento stile Robocop 2 davvero di poca fantasia, abbassando di parecchio il valore complessivo del film, dato che la sfarzosa inevitabile lotta è troppo lunga e decisamente di impatto ben inferiore a quelli dei raggi repulsori che escono dai guanti e dai calzari di Iron Man. Di fronte a una sceneggiatura che fa la fine del canotto sgonfiato abbiamo un cast di tutto rispetto, che oltre a una convincente interpretazione di Downey Junior, davvero bravo, si avvale di una Gwyneth Paltrow in grande spolvero fisico (interpreta l'assistente fidata Pepper Potts, coinvolta emotivamente dal suo capo), Terrence Howard è James Rhodes, il miglior amico di Tony e ufficiale d'alto grado, per concludere con la suggestiva presenza di Jeff Bridges rapato a zero, interpretando Obadiah Stane, il consigliere numero uno di Stark.
Camei a profusione, con quello inevitabile di Stan Lee (in mezzo a delle biondone fa Hugh Hefner, l'ideatore di Playboy), due agenti Shield come Samuel L.Jackson e Hilary Swank, e lo stesso regista Jon Favreau fa la guardia del corpo e l'autista. Discorso a parte merita quello della scelta in casa Marvel di un regista (fondamentalmente un attore) praticamente novizio in questo ruolo, dopo aver insignito di tale ruolo per altri eroi ben altri nomi (Raimi, Ang Lee per esempio), volontà di poter amministrare a volere e potere delle sceneggiature calibrate di personaggi non di sicuro grande attecchimento di base (Iron Man non è l'Uomo Ragno ovviamente) senza rischi autoriali soprattutto in una ottica di produzione successiva dei seguiti. Comunque indipendentemente dalle strategie, il suo lavoro lo fa senza problemi, rispetta modi e tempi, fa evolvere a dovere il personaggio centralizzando nelle inquadrature Stark (grande punto di forza questo) poi dopo non è colpa sua se dovendo dirigere l'inevitabile combattimento deve fare solo lo yes man.
Gli effetti speciali della Ilmagic sono davvero di pregevole fattura, con dei voli mozzafiato e movimenti ottimi delle armature, che si integrano perfettamente nello sfondo cittadino (e stavolta non c'è la martoriata New York ma le spiaggie della West Coast, incredibile la villa del magnate eroe).
In definitiva un buon film su uno dei supereroi maturi della casa delle idee, che parte davvero bene ed è sorretto da un cast d'eccezione e degli effetti del tutto validi, garantendo un divertimento intelligente e buoni spunti. Purtroppo la fase d'evoluzione successiva si perde in alcune cose troppo pacchiane e il percorrere strade non nuove nella fase finale porta un calo di fascino troppo marcato e sensibile facendoci uscire dalla sala un po' delusi. Alla prossima, sperando nell'arrivo di villain di fascino esotico, tenendo conto che la trama futura non abbisognerà del racconto delle origini e potrà partire subito con altro. Visto come è andata con questo, se sarà un bene o un male lo vedremo.
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The hunting party
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The Hunting Party
Un film di Richard Shepard. Con Richard Gere, Terrence Howard, Jesse Eisenberg, James Brolin, Ljubomir Kerekeš, Kristina Krepela, Diane Kruger. Genere Azione, colore 103 minuti. - Produzione USA, Croazia, Bosnia-Herzegovina 2007. - Distribuzione Mikado - [Uscita nelle sale mercoledì 30 aprile 2008]
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TRAMA: Simon Hunt è un reporter di guerra che con il suo amico, il cameraman Duckie, non ha alcuna paura a infilarsi nelle situazioni più pericolose possibili in ogni parte del globo. Dopo una tragedia che lo colpisce direttamente, il combat reporter però perde la calma e in diretta esplode con esternazioni che ne provocano il licenziamento. Costretto a girovagare con contratti miserabili per il mondo, cinque anni dopo ritrova Duck, diventato influente all'interno del network teelvisivo, coinvolgendolo in Bosnia per dare la caccia a un terrorista criminale di guerra chiamato la volpe. Apparentemente sembra che Hunt lo faccia per la ricompensa, ma forse c'è ben altro in gioco ...
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Commento: Richard Shepard (regista di Il matador) dirige sbilencamente una pellicola che trae ispirazione da un articolo scritto sulla rivista Esquire, con gusto totalmente americano di stravolgere storie serie e tragiche per farle diventare una vuota fiction dalle molte colpe. Un incanutito e trascurato Richard Gere è Simon Hunt, (ovvio il gioco di parole tra il cognome e il ritrovo/caccia che suggerisce il titolo) un coraggioso reporter che si infila in ogni parte del globo dove ci sia in atto una guerra (“Non sai quante guerre ci sono al mondo se le vai a cercare”) seguito fedelmente dal suo cameraman Duck (Terrence Howard, al cinema in questi giorni anche con Iron Man), in quanto per loro l'unico modo per vivere la vita è il pericolo (“Il resto è televisione”). Ma dopo aver avuto una terribile tragedia Hunt “sbarella” in diretta tv, rovinato dalla tensione e dalle troppe tragedie vissute sotto pelle, rilascia dichiarazioni eversive e viene cacciato. Dopo 5 anni di girovagare reincontra Duck, e insieme al figlio di un dirigente del network, decidono di dare la caccia a un noto criminale di guerra chiamato “la volpe” attirati dalla ricompensa di 5 milioni di dollari e dalla voglia di tornare alla ribalta.
Viste le premesse, ci sarebbero tutte le condizioni per proporre una storia tragica con tutti i crismi, con l'intelletto del reporter messo a dura prova dalle tragedie che non può commentare senza esserci dentro psicologicamente, altrimenti ne viene distrutto, e invece ne esce una storia priva di qualunque mordente con l'introduzione di un feroce criminale e la sua cricca che davvero fa ridere, una collaboratrice affascinante e misteriosa (Diane Kruger che aveva cinque minuti di tempo per una particina secondaria, ma nella storia reale e non questa era un uomo, magari barbuto, puzzolente ed incolto), scene di ripresa in diretta della guerra false lontano un miglio (come quelle dell'inizio), interludi con belle donne in vacanza e non manca pure il ragazzo coraggioso, anche se novellino che fa domande continuamente e che suscita ilarità in situazioni del tutto di pericolo (“Quando ci ammazzano?”).
A chiudere il corollario del ridicolo filmico creditori di Hunt di varia stazza (il nano), incontri con vecchi amici che un secondo prima ti stavano sparando, con infine la raffigurazione di un reporter disastrato che, guarda caso, ha una tragedia alle spalle con risvolti patetici per come vengono mostrati (non possiamo dire quali per filologia di lavoro e rispetto, ma non incolpateci di averlo visto per aver suscitato la vostra curiosità scrivendo questo) che lo portano ad andare oltre.
Gabriella Simoni ed Ennio Remondino (tanto per citare due reporter di casa nostra che si sono sempre infilati in situazioni pericolose pur di fare il loro lavoro di cronaca) dovrebbero chiedere alla produzione i danni da lesa immagine, dato che questo Simon Hunt, interpretato da un Gere che vogliamo credere non abbia letto il copione e aveva bisogno di qualche dollaro per la villa nuova, sembra uscito da un fumettone di canale 5 tanto risulta falso, patetico e scontato. Si vuole fare denuncia partendo da una vicenda giornalistica ? Si prenda l'esempio del Salvador di Oliver Stone allora, e non ci si perda in miasmi hollywoodiani che devono presentare una tragedia globale in maniera così evidentemente banale costruendo una sciocca spy-story tra alberghi e con criminali da operetta che cacciano volpi, fanno lo sguardo truce (evidenziato da dei primi piani scandalosi) quando nella realtà massacravano i bambini (famosa la frase di papa Giovanni Paolo che disse “Fermatevi di fronte al bambino!”), rispondono al cellulare mentre stanno per iniziare una tortura e hanno frasi tatuate sulla fronte. E ogni tanto, dulcis in fundo, telefonatina alla fidanzata procace e bellissima che è in vacanza in Grecia, ma Duck pur geloso marcio non torna da lei perchè l'istinto e il dovere lo chiamano. Si vuole denunciare le pecche di una fallace e trascurata ricerca dei criminali di guerra serbi perchè fa più paura Bin Laden dei massacratori in pensione, si tira in ballo la Cia e si chiede con una scena cittadina di far fare giustizia al popolo, certo che sono ottimi messaggi, ma messi così banalmente e spettacolarizzati senza senso perdono ogni loro virulenza propositiva.
In definitiva un film scialbo e monotono, pieno di cose sciocche, che perde la sua attrattiva ben presto dandosi una patina di denuncia alle guerre dimenticate e ai suoi truci protagonisti lasciati in libertà da una opinione globale di poca memoria (offendendo così le vittime) che proprio ha solo nella forma e non nel contenuto, presentando due attori spaesati in cerca di comode proposizioni di poco impegno. Si può tranquillamente evitare senza nessuna remora.
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Speed Racer
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Un film di Andy Wachowski, Larry Wachowski. Con Emile Hirsch, Susan Sarandon, John Goodman, Christina Ricci, Matthew Fox, Hiroyuki Sanada, Ji Hoon Jung, Richard Roundtree, Roger Allam, Benno Fürmann. Genere Azione, colore 135 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Warner Bros Italia - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
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Trama: Speed fa parte della famiglia Racer, che da sempre corre come piccola indipendente nel circuito delle macchine da corsa superveloci in circuiti futuribili e dal percorso stile montagne russe. La Royalton, potente casa automobilistica intrallazzata nelle manipolazione delle corse, vorrebbe convincere il talentuoso ragazzo a correre per loro, ma l'ombra della scomparsa del fratello avvenuta in circostanze misteriose anni prima, e un senso di responsabilità per onorare quello sport per cui vive, fanno rifiutare l'offerta al giovane speed. Ovvio che così facendo ci si crei qualche nemico, ma entra in scena al suo fianco il misterioso Racer-x ad aiutarlo ...
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Commento: Dopo aver reso una trilogia il loro capolavoro spartiacque Matrix, i fratelli Wachowski sono andati a recuperare un cartone animato cult di Tatuo Yoshida che in Italia è famoso come "Go go Mach 5" che scorse sui nostri teleschermi negli anni ottanta ma in patria era stato creato molti anni prima. La trama narra le avventure del giovane Speed (un nome assolutamente evocativo), interpretato da Emile Hirsch (il protagonista solitario del grande film Into the Wild di Sean Penn), che sconvolto per la morte del fratello, decide di dedicare la sua vita al circuito delle corse automobilistiche su percorsi non convenzionali. Arrivato a poter gareggiare nella scuderia migliore, non accetta di partecipare con loro ma di rimanere in quella di famiglia in quanto scopre che in essa serpeggia la corruzione, ma così facendo ovviamente si attira l'odio delle potenze economiche che a questo punto lo vogliono fuori dai circuiti. Per fortuna che ad aiutarlo c'è il misterioso Racer-X (Matthew Fox, il dottor Jack di Lost), abile guidatore misterioso con il volto semi-coperto da una maschera nera. Insieme a lui, alla sua fidanzata Trixie (Christina Ricci) e alla sua famiglia, ora è pronto per onorare a dovere la memoria del fartello scomparso e cercare di ripulire il mondo dorato ma marcio delle corse.
Inutile nascondersi dietro a un dito, indipendentemente da tutti i suoi difetti purtroppo importanti (storia scontata e banale, alcune scelte discutibili di stile per onorare il nippo-style e gli anime/manga in generale, eccessiva parodizzazione dei comportamenti per rendere il film all-family) i Wachowski Bros hanno creato un lavoro visivo imponente e affascinante, con quei circuiti (chi ha giocato a Wipeout sulla Play Station ne impazzirà) assurdi e roboanti nella loro concezione architettonica, quelle vetture letteralmente sparate come proiettili sulla pista, gli scontri esagerati e terribili (dove però non si vede mai il crudele destino del pilota, salvato da un guscio di salvataggio, proprio per non urtare l'animo dei piccoli spettatori e farlo politically correct), il tutto sorretto da una fotografia caleidoscopica pop di sicura presa. Eliminato ogni possibile approfondimento, i due registi si dedicano completamente a creare una sorta di ricordo della Rock Vegas dei Flinstones in ambito formula special (e la cosa non è dovuta solo al fatto che qui c'è John Goodman nella parte del padre di Speed) ma per la presenza di un mondo coloratissimo e variopinto, preoccupatissimi di emulare Rodriguez e i suoi Spy-Kids dedicando troppo spazio a Spritol, il fratellino mangione simpatico (icona di Speed da piccolo verso il fratello Rex) e la sua scimmia (davvero addestrata benissimo), senza andare oltre, appiattendo il tutto con la vicenda che ha anche dei risvolti stucchevoli come quello della madre comprensiva (la grande Susan Sarandon in vena di rilassarsi) oppure quella del fratello onnipresente nel ricordo. Ovviamente i messaggi sono tutti verso l'ottimismo, mai perdere la fiducia (quando Speed perde volontà di combattere contro il mondo che ti vuole male l'espressività di Hirsch, che sappiamo essere notevole dopo Into the Wild, risulta deficitaria), l'unico vero focolare è la tua famiglia in cui non devi mai smettere di credere anche se non ha i mezzi che altri hanno. Questo tipo di film è come una giostra, adattissimo per trascorrere dei momenti intensi finchè si è seduti sul seggiolino, peccato che appena esci, finito il turbinare delle immagini ti accorgi che in fondo il lavoro eseguito per seguirlo (e comunque 135 minuti di durata per quello che ha da dire sono davvero troppi) è solo il fatto di essersi seduti senza altro impegno mnemonico, abbinando il divertimento di chi l'ha fatto, affascinato da dei miti del passato, al proprio senza particolare fantasia nel proporlo in una chiave almeno poco scontata, impegnandosi tantissimo nella parte tecnica e poco in quella di sceneggiatura (oltre la cartone d'origine a molti, sopratutto i meno verdi d'età, verrà in mente anche Penelope Pitstop e le Wacky Races) dove a furia di seguire roboanti scontri con macchine più dotate di trucchi della Jaguar di Diabolik si sprofonda in una sorta di torpore, approfondito da dei discorsi banalmente profondi di onore, risvegliato dagli schiaffi di immagini sovrapposte in maniera frenetica una sull'altra (poi banalmente nei momenti fermi della gara in mezzo ci mettono anche Guerre Stellari e Driven per il fatto di sentire la forza dell'auto che non è solo un mezzo inerte ma come un cavallo indivisibile dal suo cow-boy).
Bisogna entrare non certo speranzosi di vedere troppo d'altro, ma visto chi c'era in regia troviamo davvero quanto ci aspettiamo, e la cosa può deludere sopratutto per via delle eccessive caratterizzazioni parodia (come i gangsters da operetta oppure i ninja indegni dell'ordine della simil Mano/Yakuza a cui appartengono).
In questo film è tutto troppo senza contenimento, e il risultato pur se affascinante visivamente non è certo da opera esempio, troppo contaminato e con un occhio severo a rimanere nel Disney Style di fondo per famiglie.
In definitiva un film visivamente eccezionale, dal ritmo sfrenato nei momenti delle corse, ideale per il divertimento pomeridiano di tutta la famiglia, circo però limitato a questo, rutilante carrozzone di facciata senza anima e troppo corretto, con una caratterizzazione dei personaggi che viene cercata pochissimo. In fondo mantiene bene quello che promette, entrare senza aspettative oltre che a quelle tecniche un aspetto davvero importante per goderselo a dovere.
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Mongol
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Un film di Sergej Bodrov. Con Tadanobu Asano, Honglei Sun, Khulan Chuluun, Odnyam Odsuren, Aliya, Ba Sen. Genere Storico, colore 120 minuti. - Produzione Kazakhistan, Russia, Germania 2007. - Distribuzione Bim - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
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Trama: Il piccolo Temujin è un mongolo educato secondo onore e principio dal padre, promesso sposo in tenera età e che ben presto alla morte del genitore invece di diventare il nuovo Khan conosce la vigliaccheria e il tradimento di chi vuole il potere. Autoesiliato per scampare a morte certa, dovrà sopravvivere con coraggio alla natura avversa conoscendo persone amiche e nemiche, ma sopratutto vivrà anche il grande amore della sua vita che non lo abbandonerà mai. Il piccolo Temugin ora cresciuto, è pronto per diventare uno dei più grandi conquistatori del suo tempo, tanto da essere chiamato Genghis Khan?
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Commento: Sergej Bodrov (autore dell'interessante Il prigioniero del Caucaso) racconta la storia di uno degli uomini più potenti della storia, Genghis Khan, partendo dalla sua infanzia e proseguendo con la sua lotta contro il mondo per sopravvivere ai molti nemici. Khan è il termine con cui si indica il capo del clan, e ovviamente il termine Genghis indica colui che più di tutti seppe riunire al meglio la potente popolazione mongola sotto un unica egida, dato che i mongoli in generale erano troppo sparpagliati e nemici tra di loro per essere visti come una unica vera entità, conquistando vasti territori e formando un impero. Genghis si chiamava Temujin, venne educato secondo norme rigide e d'onore dal padre, promesso in sposo in giovane età, e alla morte del padre avvenuta per avvelenamento dovette scappare e cercare rifugio lontano dal suo clan per colpa di traditori che lo volevano morto.
Abile, intelligente, coriaceo, Temujin combatte contro tutto e tutti, ma i problemi maggiori li ha per via del fatto di dover dividersi sempre tra onore, sentimento e necessità.
Cinema davvero di stile questo Mongol, diretto con ampia ricerca del fascino degli spazi aperti (molto sarebbe piaciuto a Kurosawa), impreziosito da una buona fotografia anche se privo di particolari sfarzi nei costumi oppure nelle locazioni sempre comunque abbastanza povere e per questo realistiche, calate nel tempo ma anche nella realtà in quanto la troupe si è recata apposta nei luoghi reali dove tutto avvenne per la migliore verosimiglianza possibile. Gli attori (per noi praticamente dei signori nessuno) caratterizzano per bene le sofferenze della popolazione mongola che invece di riunirsi e formare una potenza vive di lotte intestine, mostrano a dovere gli aspetti di una vita dura in tutti i suoi mutamenti, dove stare all'erta è l'unica maniera per poter sopravvivere.
Bello rivedere l'uso massiccio dei cavalli, gli stunt man che cadono old-style dopo le ferite mortali dalla propria cavalcatura, gli scontri frontali tra eserciti o le visioni dall'alto (qui l'aiuto della tecnologia arriva comunque massiccio), dove le ferite sono sangue sprizzato dal corpo a dovere. Importante è notare come il senso dell'onore di Temugin e il suo coraggio lo faccia sempre rimanere impassibile di fronte alle decisioni da prendere, sia che siano dolorose ma doverose, come se il destino a cui lui si affida nella figura del lupo-mentore spirituale-icona sia una cosa predestinata e necessaria, se dovesse per comodità abbandonare il suo codice rigido la sua fine sarebbe comunque prossima.
Il film non è assolutamente pesante, la vita del conquistatore è mostrata nelle due ore in maniera molto precisa ma neppure didascalica, si limita a tratteggiare molto bene il personaggio con le sue azioni che fa e che subisce, mantenendo per questo un ritmo efficace senza annoiare mai. Alla fine può risultare anche lineare, ma se ci si pensa bene non è davvero così la cosa, dato che abbiamo un personaggio femminile molto forte e preponderante (la moglie che lo impreziosisce e lo ama profondamente, ricevendo in cambio rispetto e libertà di scelta) che fa andare su piani diversi la narrazione sopratutto nella prigionia del futuro Khan oppure quando deve scegliere come proseguire il cammino dopo un terribile evento. L'amicizia e il potere si fronteggiano, si scherniscono l'uno con l'altro modificando in maniera affascinante come potrebbero essere gli eventi quando si è passati dopo una fase di stima e un giuramento
("sto liberando mio fratello non il mio nemico").
Interessante notare come l'asciutezza priva di facili contaminazioni di spettacolarizzazioni tipicamente americane, rende la storia accessibile alla comprensione senza fastidio, anche se il fatto di fermarsi al momento in cui Temujin raduna i Mongoli e poi manca la parte della conquista succesiva di nuovi territori, eseguita anche con feroci genocidi, dipinge il sovrano universale solamente come un uomo giusto ed equilibrato, rispettoso di regole ben precise che non devono toccare il nemico se non con onore e senza inutile ferocia.
Possiamo perdonare questa troncatura a mezzo, d'altronde altrimenti il film avrebbe avuto una durata monstre e magari esulava nella possibilità della realizzazione da parte della produzione.
Speriamo che adesso Bodrov non venga attirato dalle facili sirene del consumismo Hollywoodiano che saccheggia anche artisti russi (vedi il caso del prossimo action Wanted con il regista de "I guardiani della notte" chiamato a girarlo) a fare film diversi da questi, asciutti, interessanti, non consolatori, e che ben percorrono ritratti di personaggi dandone le varie connotazioni calandoli nella natura ostile ma anche affascinante.
In definitiva un film davvero interessante, con risvolti umani intensi della lotta per la sopravvivenza, che mostra l'ascesa al potere di un personaggio storico partendo dalla sua infanzia, senza dimenticare di mostrare spazi aperti brulli fotografati molto bene e che non risulta per nulla pesante, godibile da vedere per un intelligente fruizione, prestandosi a uno stimolante invito all'approfondimento post visione.
Quando il cinema si ricorda che essere espressivi non vuol essere ridondanti, possiamo davvero avere un beneficio personale davvero congruo come in questo caso.
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Notte brava a Las Vegas
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(What Happens in Vegas…)
Un film di Tom Vaughan. Con Cameron Diaz, Ashton Kutcher, Treat Williams, Dennis Miller, Rob Corddry, Lake Bell. Genere Commedia, colore 99 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione 20th Century Fox - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
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Trama: Joy e Jack sono due completi sconosciuti che ricevono entrambi una grossa delusione : lei viene lasciata dal fidanzato che ama, lui licenziato dal padre perchè ritenuto un fannullone. Con i rispettivi amici si incontrano per vie traverse a Las Vegas, dove iniziano a bere smodatamente fino a sposarsi per errore persi nei fumi dell'alcool. Non sarebbe un problema, perchè nella città del gioco d'azzardo è tanto facile sposarsi quanto divorziare. Ma una vincita gigantesca alla slot-machine li fa rimanere iniseme per accaparrarsi la somma. Oltretuto un giudice li obbliga a fare sei mesi di matrimonio forzato per decidere come dividersi tutto il denaro. Riusciranno i due a sopportarsi abbastanza da raggiungere il temrine? Oppure ...
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Commento: Ashton Kutcher, più famoso per il matrimonio sorpresa, vista la differenza di età, con Demi Moore che per i suoi film, avrà rivisto parecchio di se stesso in questa storia di amore forzato e tribolato, dato che si parla di un giovane disordinato e facilone, che dopo essere stato scaricato dal lavoro dal padre che non ne sopporta più la pigrizia, incontra Joy, una donna molto più grande di lui d'età (Cameron Diaz, in grande forma fisica dalle gambe mozzafiato, si esibisce in un bikini a dir poco da urlo) e se la sposa. Certo, le circostanze sono sicuramente anomale, dato che lo fa con tanto alcool in corpo, senza minimamente accorgersene, in una Las Vegas dove il matrimonio è facile tanto quanto il divorzio. Ma prima che si faccia la doverosa separazione, una slot machine truffaldina fa vincere alla coppia 3.000.000 di dollari costringendoli a rimanere sposati per non perdere neppure un centesimo. Difatti un giudice, che vede in loro la possibilità di un vero amore, li obbliga a sei mesi di matrimonio per decidere poi come dividere il tutto. Chi lascerà il partner per primo, senza attendere la scadenza, della somma non vedrà nulla.
Comincia una serie di tentativi per dissuadere il compagno/a a molalre l'osso per primi.
Come si vede una schermaglia di situazioni che non è da commedia degli equivoci, in quanto le combinazioni narrative vengono provocate dalla coppia e non accadono per errore oppure inconsapevolmente.
Il tono della pellicola si mantiene su un buon ritmo per la tipologia di film, si ride di gusto parecchie volte, senza cadere nel greve delle parolacce, dei peti e dei rutti, anche se ci sono situazioni parecchio imbarazzanti come quella di urinare nel lavello pieno di piatti, dei pop corn infilati nelle mutande o riferimenti alla tavoletta del water più o meno marcati.
Tom Vaughan (praticamente un esordiente, al suo attivo solo Starter for ten del 2006) dirige il tutto senza particolari voli di fantasia, limitandosi a riprendere in maniera del tutto convenzionale questa commedia romantica, che parte con il solito assolo "Ti odio profondamente ma in fondo però può essere che ..." per vivere il meglio nell'escalation di botta e risposta tra i due pseudo coniugi. Buona posizione mantengono l'amico avvocato sempre a caccia di donne (Rob Corddry, lo avete visto anche ne Lo spaccacuori con Ben Stiller) e l'amica Tripper (Lake Bell, al cinema in questi giorni con La sposa fantasma) che apparentemente duplica il dualismo Joy/Jack con un odio sconfinato verso di lui. I due amici fanno un corollario simpatico e movimentato con i loro battibecchi, rendono meno monotono l'assioma principale "colpisci tu che poi ti ritorna" dei due protagonisti. Difatti dopo un po'le situazioni incominciano ad essere parecchio ripetitive, quello che succede nella prima mezz'ora è molto più spumeggiante ed interessante di quello che capita dopo, diventando quasi una necessità il momento della doverosa virata per andare a chiudere il film. Commedie di questo tipo non possono ormai avere di natura grossi obbiettivi autoriali (sono lontani ed irraggiungibili, anche per autori molto più dotati di questi, i tempi dei Capra e dei Wilder) ma devono riuscire a rimanere costanti nel sorprendere con nuove diramazioni di trama per non far cadere nel torpore lo spettatore, che si ritrova invece a vedere nel finale cose prevedibili e a svegliarsi totalmente nei momenti in cui la Diaz non ha paura a mostrarsi nella sua maturità corporea splendida, davvero troppo poco per poter essere completi. Ma il film, pur essendo in fondo una sorta di Guerra dei Roses blandamente all'acqua di rose, qualche spezzone divertente lo concede, avrete modo di arrivare alla fine avendo almeno apprezzato diversi momenti di spontanea ilarità, dove la parte migliore, escluso l'inizio davvero sfrenato, è quando Jack va in ritiro dai colleghi della "moglie" incantandoli tutti con la sua simpatia. Non ci sono frasi eclatanti da riportare, e tutto rimane abbastanza anonimo alla fine con una conclusione in un paesaggio tipicamente americano, una spiaggia (quanta evocazione cinematografica in questo). Dei due la Diaz è molto più in palla con la parte, sfrenata e spigliata ma con fissazioni, mentre Kutcher rimane un po'sottotono e gioca al ribasso cercando di fare il giovane che si redime dopo un passato di frivolezze convincendo poco.
Queen Latifah apapre nelle vesti della psicanalista.
In definitiva una commedia americana come tante, che gioca sul ritmo la sua parte migliore, con delle battute divertenti e delle trovate carine, che strappa qualche risata e sorriso spontaneo ma purtroppo si chiude senza troppa fantasia in canali già visti. Per un pomeriggio di totale disimpegno può anche andare, non fosse altro per ammirare la sempiterna bellezza di Cameron Diaz in grande spolvero fisico. Tanto facilmente quanto si beve, tanto per rimanere in tema con una scena del film, la si smaltisce presto.
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Carnera - The Walking Mountain
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Un film di Renzo Martinelli. Con Andrea Iaia, Anna Valle, Burt Young, F. Murray Abraham, Paul Sorvino, Paolo Seganti, Kasia Smutniak, Antonio Cupo, Eleonora Martinelli. Genere Biografico, colore 123 minuti. - Produzione Italia 2007. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 9 maggio 2008]
Trama: Durante il ventennio fascista, Primo Carnera è un gigante friulano di oltre due metri per 120 kilogrammi, che dopo un passato di difficoltà nella sua infanzia ed essere emigrato in Francia a lavorare in un circo, viene notato da un manager di pugili e convinto ad effettuare degli incontri in America. La carriera è sfolgorante, ma le difficoltà di un mondo che non ammette ingenuità si faranno ben presto vedere. Il pugile, sensibile e allo stesso tempo romantico, deve dedicere che fare del suo destino. Sopratutto dopo che ...
Commento: Sono sempre stato un sostenitore della filosofia di Renzo Martinelli di proporre argomenti scottanti e importanti (le tragedie naturali per incuria dell'uomo, il terrorismo) in maniera che si potesse abbinare spettacolo con denuncia coinvolgendo con questa cosa un pubblico più vasto che aveva voglia di vedere comunque un passatempo senza sottoporsi a un impegno maggiore (triste ma intelligente adeguamento necessario), lasciando lo spazio anche al ragionamento e alla conoscenza, magari con una superficiale proposta da approfondire in rete o biblioteca dopo perchè stuzzicati dal film che comunque ti ha fatto passare il pomeriggio tranquillo o ti ha condotto alla pizza serale.
Così poteva essere vsito Vajont (film italiano con uso corposo e inusuale degli effetti speciali), così fu Piazza delle cinque Lune, così era Il mercante di pietre. Cinema che viveva in questa maniera, attirandosi parecchi detrattori e poche lusinghe dalla critica e da chi voleva che il prodotto fosse meno luccicante ma vivesse di vita propria.
Ma in questo Carnera-la montagna che cammina, Martinelli non ha nessuna scusante, il ritratto sbilenco e troppo infiorato di stupidaggini per renderlo più scenico possibile (alla fine del film c'è una didascalia che dice chiaramente che molti avvenimenti sono di pura fantasia per renderlo scorrevole) del campione friulano di boxe che con i suoi pugni si pose anche come orgoglio Fascista e mussoliniano, è vuoto, privo di attrattive e non ha nessuna penetrazione storica, non identifica il periodo tramite le storie ed avventure del singolo come Martinelli vorrebbe.
Tra l'altro il fatto di esserne produttore e quindi totalmente libero creativamente, è una colpa ancora maggiore per il regista un simile tonfo. Andando con ordine, questa è la storia di un bambino nato di otto kg che non entra nel banco di scuola tanto è grosso, incontra una bimba che gli consegna tramite un libretto il destino ("é il mio portafortuna") e lavorerà in un circo per sbarcare il lunario e per soddisfare la fame terribile che lo attanaglia sempre.
Un colpo di fortuna lo porta a fare un primo incontro di boxe, e da lì parte come una folgore la carriera che insieme alle soddisfazioni del ring gli porterà un sacco di delusioni nella vita.
Per interpretare il gigante che cammina è stato chiamato un esordiente, Andrea Iaia, dalla voce orribile e del tutto inespressivo. Martinelli ha guardato la forma ma non la sostanza, ha preferito un corpo già formato invece di un attore di spessore recitativo che si adattasse fisicamente (impietoso e impossibile quanto mai il paragone con il De Niro che fa Jake La Motta). Poi fa fare una particina a Paul Sorvino (il direttore del circo) per ingioilellare il cast, che aveva già al suo interno un premio oscar come F. Murray Abraham (indimenticabile Salieri di Amadeus) che senza sforzo incassa (soldi non pugni) e ringrazia, poi il regista si ingegna di fantasia e fa recitare Burt Young (il Paulie di Rocky) in modo da citare argomenti correlati. In mezzo qualche caratterista italiano, la graziosa Kasia Smutniak, ed Eleonora Martinelli già presente in altri due suoi film. Ma sopratutto inscena tanta noia, delle situazioni patetiche per far cadere la lacrimuccia con il campione che all'apice del trionfo chiede la mano della fidanzata, oppure che tenta il suicidio alla Full Metal Jacket senza nessun senso, che riceve posta da tutte le parti incoraggiandolo a mostrare l'orgoglio italiano nel mondo, oppure che lui picchia perchè i suoi figli non siano poco letterati come lui.
Un ritratto emozionalmente e psicologicamente frammentato, discontinuo, che ha delle scelte tecniche balorde nel voler mettere anche l'inizio del segmento narrativo in bianco e nero con la pellicola graffiata per renderla antica.
Il filo del racconto quando raggiunge l'Italia e il Friuli perde l'unico fascino che aveva, il senso della grandeur americana, cioè gli ambienti, impastrocchiando treni che non partono per attenderlo, popolino che inneggia, abbracci, baci, litigi familiari e tanta voglia nostra di andarcene dalla sala.
Non capiamo davvero perchè Martinelli si sia perso in questa palude narrativa, si poteva dare una versione ben diretta e diversa avendo la possibilità di romanzare la vita di un campione, libero da aderenze reali nella totalità per raccontare la sua vita, invece è talmente fuori forma che anche gli incontri sono davvero banali e privi di ogni fantasia (tanto da citare Toro Scatenato nel fatto che perde in piedi un incontro).
In definitiva un film pessimo come ritratto peggiorato dal fatto che è di libera interpretazione, discutibile nelle scelte tecniche di racconto, noioso, con un protagonista senza nessuna personalità ed esperienza, che cita varie cose dimostrando anche poca fantasia. Poteva andare bene (al limite) come fiction televisiva, al cinema il grande schermo ne evidenzia ogni difetto senza nessuna pietà. I numerosi detrattori di Martinelli potranno dire "Ve lo avevamo detto!", speriamo che al prossimo lavoro il regista produttore, visto che gode anche di certo credito presso l'estero, cerchi di tenere buona la sua formula di cui si diceva all'inizio in cui è molto più valido nei suoi limiti artistici : spettacolarizzare l'argomento e non una storia di singolo che non esce dalla sua locazione personale.
E, cosa peggiore di tutte, non rende minimamente onore al campione.
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In Bruges - La coscienza dell'assassino
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(In Bruges)
Un film di Martin McDonagh. Con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Jérémie Renier, Thekla Reuten, Clémence Poésy, Jordan Prentice. Genere Azione, colore 101 minuti. - Produzione Gran Bretagna, Belgio 2008. - Distribuzione Mikado - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
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TRAMA: Ray e Ken sono due killer inglesi professionisti a pagamento ai quali è andato storto il loro ultimo lavoro, motivo per il quale Harry, il loro capo, li confina nella cittadina belga di Bruges fino al momento in cui si saranno calmate le acque. I due hanno un approccio completamente diverso nei confronti della cittadina piena di opere importanti. Ken ne ascolta il respiro artistico e ne assapora il profumo, Raymond invece la odia profondamente e non vede l'ora di tornare a Londra.
Ma queste cose passeranno in secondo piano nel momento, in cui gli sbagli che ti mordono profondamente la coscienza verranno a galla nella tranquilla Bruges che ha degli abitanti davvero particolari da conoscere.
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Commento: Il regista esordiente Martin McDonagh, apprezzato autore teatrale, deve avere un amore sfegatato per la cittadina di Bruges (Belgio, forse qualcuno la conosce per la sua squadra di calcio il cui nome gira ogni tanto per le coppe europee), tanto da farne un autentico manifesto turistico, inquadrandone i monumenti, i quadri e le opere artistiche in maniera quasi ossessionate ma rispettosa.
Tra i quadri di Van Eyck e Magritte (uno di essi simboleggia lo stato d'animo di Ray e fa da icona per la stupenda scena finale, innestando una bellissima frase mentre lo guardano “Se vai al purgatorio non sei tanto male ma neppure troppo valido, un po' come il Tottenham”) si svolge la storia di una strana coppia di killer esistenzialisti che devono fuggire da Londra per colpa di un terribile sbaglio commesso durante la loro ultima azione. Ray (Colin Farrell, che ormai dopo aver lavorato con Allen e Malick è un attore assolutamente completo) è complessato con una tendenza schizoide verso la violenza che si scatena per un nonnulla, mentre Ken (Brendan Gleeson, che ha lavorato anche con Scorsese in Gangs of New York) è più riflessivo, si gode la trasferta inopinata con serenità e attende gli ordini del suo capo Harry (Ralph Fiennes). La conoscenza con una ragazza del luogo, Chloe (Clemence Poesy, vista in Harry Potter) fa girare gli umori di Ray, che rivaluta la cittadina che odia profondamente, peccato che gli errori del passato non si possano cancellare con un colpo di spugna e tornino a presentare i conti senza pietà, anche se una rinnovata pelle di onestà e moralità dovrebbe conciliarsi con almeno una possibilità di scampo .
Dopo Pulp Fiction (ma si ispira anche a Sonatine di Kitano), un altro grande ritratto di una coppia di killer che ragiona e che perde la sua pelle violenta d'origine (“Non lo faccio qui perchè così lei non deve pulire” riferendosi a un fatto di sangue prossimo venturo all'accadimento parametrato alla dolce proprietaria dell'albergo in dolce attesa) per ragionare e capire gli errori del passato. I personaggi di Ken e di Ray sono molto simili a quelli di Jules e Vincent del capolavoro di Tarantino, mentre uno ragiona l'altro si perde in azioni inconsulte e commette stupidaggini anche se non volute.
L'arma migliore di questo film è la parola, l'ambiente che forgia (l'origine teatrale dell'autore non viene certo sconfessata da questa opera anche se a cielo aperto) e che ti riconduce verso nuovi orizzonti, facendoti capire che il passato in fondo può avere una nuova concezione se tu credi in un cambiamento nel futuro. Gli sbagli e gli errori vanno pagati, questo certamente, ma una possibilità non va negata, soprattutto come dimostrano le parole finali che chiedono di fuggire da un luogo troppo puro e tranquillo in cui ogni peccato viene amplificato dalla semplicità dell'abitato in confronto a una città frenetica che vive con il giornale della domenica uscito il sabato (tanto per citare una grande serie metropolitana di prossimo arrivo al cinema).
Non aspettatevi da questo ritratto umano bipolare violente sparatorie oppure degli inseguimenti mozzafiato (qualcosa c'è ma è molto circoscritto, e tutta l'azione è anteposta da una profonda lettura parlata del momento), qui trovate delle stranezze (un attore nano, che odia i nani neri, il quale si fa continuamente di medicina per cavalli e non disdegna di copulare con prostitute olandesi, lo interpreta Jordan Prentice che arriva da Nip/Tuck), grandi affreschi pittorici, monumenti mozzafiato aperti per l'occasione (come la torre dove si svolge la scena chiave) ma mai esagerazioni gratuite, anche perchè pure il personaggio di Fiennes, che adora Bruges e ha famiglia, ha un anima esistenzialista pure lui e non può permettere che uno sbaglio come quello commesso da Ray possa essere perdonato, diventa un rigido codice d'onore non passare certi limiti (come invece di contro faceva una altra coppia di killer dello schermo come quella di The Boondock Saints).
La composizione è davvero magnifica, immagini affascinati di opere e tranquilli canali (non per nulla Bruges è detta la piccola Venezia) discorsi ficcanti e personaggi affascinanti (con una parte femminile marginale ma perfettamente completante). Non si poteva davvero chiedere di più a questo film, che va visto e scoperto senza nessun timore oppure pregiudizio di sorta.
In definitiva un opera affascinante, con protagonisti perfetti, completa, che unisce parola e ragionamento in maniera perfetta, non originalissima perchè prende spunto da altri film precedenti, difetto marginale che si dimentica subito, priva di alcun contenuto illusorio oppure consolante che vuole mostrare l'animo umano che si parametra e si migliora se immerso in capolavori d'arte di sublime fascino, che lo permeano di purezza con il loro richiamo atavico della conoscenza di ogni possibile bivio della vita.
Non permettete che facili altri richiami vi distolgano da questa voce sublime.
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Alla scoperta di Charlie
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(King of California)
Un film di Mike Cahill. Con Michael Douglas, Evan Rachel Wood, Willis Burks II, Laura Kachergus, Paul Lieber, Kathleen Wilhoite. Genere Drammatico, colore 90 minuti. - Produzione Messico, USA 2007. - Distribuzione Moviemax - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
Trama: Charlie è appena uscito da una clinica per malattie psichiatriche, e viene dopo due anni riaccolto senza problemi ma con molti dubbi dalla amorevole figlia diciassettenne Miranda, che non lo chiama mai “papà”. Charlie ha sviluppato in clinica l'ossessione di scoprire un tesoro perduto dei conquistatori spagnoli, e non riesce a distogliere il suo pensiero da questo, nonostante la figlia lavori sodo al Mc Donald's e i suoi comportamenti provochino non pochi problemi.
Ma a quanto pare la sua strampalata teoria non è solo una invenzione, peccato che nel punto dove giacerebbe da secoli il fantomatico tesoro ci abbiano fatto un gigantesco centro commerciale ...
Commento: Michael Douglas dopo qualche apparizione cammeo o blande interpretazioni (il vero ultimo film dei qualche importanza a cui ha partecipato è Traffic del 2000), interpreta con dovizia e humour questo ritratto di Charlie, (agghindato alla Don Chisciotte ma anche da vecchietto saggio del l'Old Wild West), con baffi e barba incolti, pieno di problemi psichiatrici, genitore della giovane Miranda (Evan Rachel Wood, promettentissima interprete di Across the Univers e Thirteen, film che l'ha lanciata), ragazza che tutti sognano e vorrebbero avere come figlia, coscienzosa lavoratrice del Mc Donald's e che nonostante mille difficoltà date dall'ossessione del padre per un fantomatico tesoro spagnolo (questo il richiamo a Don Chisciotte e Sancio Panza in verisone femminile) si dimentica di poter avere una vita propria (nessun segno di fidanzati, amici oppure distrazioni nella vita di questa bella diciassettenne) e si dedica completamente a seguirne il sogno.
Il tesoro, vero o falso non conta poi molto, è il tramite per unire questi due universi diversi, che si ritrovano a seguirsi con due modalità parallele e non congiunte, una che parla di un sessantenne voglioso di aiutare la figlia e dare un senso alla sua malattia e alla sua vita, l'altra di una ragazza dolce e comprensiva che attraverso i flash back ripercorre le difficoltà e le privazioni di una infanzia povera ma che non rinnega l'amore per chi in fondo, anche se senza cattiveria, le ha provocate con un comportamento borderline.
Commedia agrodolce, lineare e semplice, che il regista Mike Cahill, prima regia, propone senza troppi voli di fantasia al suo interno, blindandola nei due protagonisti (decisamente al cinema vanno di moda le coppie strambe) e non permettendo che nessun altro elemento, se non in maniera marginale, possa intervenire nel disegno narrativo delle gesta familiari.
Il difetto che possiamo cercare all'interno di un simile prodotto è decisamente quello di agire per esagerazioni senza alimentare il fascino descrittivo in maniera seria, dove il volonteroso e divertito Douglas (probabilmente una parte che si è tagliato su misura e che voleva a tutti i costi proporre) costruisce il vecchietto strambo dalle mille intuizioni e che non si arrende davanti a nulla (fino ad arrivare a mettere muta, respiratore e maschera da sub), ma che al gusto del pubblico smaliziato di oggi può risultare troppo fiabesco e per nulla credibile nei suoi atteggiamenti (arrivando anche ad affascinare una avvenente poliziotta), che hanno anche incursioni nella musica d'atmosfera (suonava il contrabbasso prima di andare fuori di ragionamento, con degli amici stile boheme di cui uno, Pepper, ora soffre di cancro e fa le chemio). Si esagera anche dall'altro lato, dove Miranda è davvero troppo perfetta e comprensiva, la maturità del passato e le difficoltà le avranno donato una certa capacità discernitiva, ma è bella, tremendamente pulita e non disdegna di vivere in un ambiente da cui non vuole minimamente fuggire per amore del padre. Fiaba quindi, quella della tenace, che anche se vede intorno alla sua bicocca pluri ipotecata nascere famiglie perfette stringe i denti, lotta e si organizza insieme alla sua adorata Volvo in decadimento.
Nonostante queste perplessità che possono disturbare o meno a seconda del proprio gusto personale (è giusto, e doveroso, che il cinema racconti una storia anche senza perfette aderenze realistiche per poter sviluppare un concetto) i produttori di Sideways e di A proposito di Schimdt riescono sempre a sviluppare dei ritratti validi e consistenti, anche se in questi caso siamo molto lontani dalla grandeur di quello di Nicholson oppure dallo stupendo viaggio enogastronomico della folle coppia Giammatti-Thomas Haden Church.
Analizzare il ritratto padre figlia come si è letto da qualche parte in questa maniera non è certo probante per proporlo come caso e consiglio, dato che tutto è troppo ricondotto al discorso di creare una sorta di fascino avventuroso/romantico senza farne una cornice realistico introspettiva, dove tutto diventa speranza di nuova vita aspettando l'Eldorado.
Nel film troverete un finale surreale, la spiegazione del perchè lo stato della California si chiama in questo modo, un omaggio completo a non credere i folli tanto pazzi e una permeazione di buonismo dei due protagonisti in una sorta di ampolla che li rende estranei al mondo circostante, dove sembra che in fondo l'interazione e lo sfondo siano semplici bidimensionali poveri co-protagonisti.
In definitiva un film semplice, corretto e volonteroso nel cercare di affascinare con pochi elementi di trama il pubblico, sorretto da due buone interpretazioni in una cornice semichiusa verso il mondo esterno che non capisce sogno e caparbietà, ma che purtroppo non lascia il segno in maniera convincente disperdendosi in cose che lo rendono solo un passatempo non noioso senza alcuna penetrazione emotiva convincente.
A volte serve sognare, ma probabilmente il pubblico di oggi ha bisogno di storie più corpose per credere alla sublimazione di Morfeo e tenersi stretto il tutto.
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Nota: recensione senza foto per omaggiare la locandina e lo spirito del film. Non ci sono emblemi nel mondo di questo film, ma una sofferenza generalizzata
Gomorra
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Gomorra
Un film di Matteo Garrone. Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster. Genere Drammatico, colore 135 minuti. - Produzione Italia 2008. - Distribuzione 01 Distribution - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio
Trama: Napoli, quartiere Scampia e zona del porto. La camorra affonda profondamente i suoi denti in ogni attività possibile, da quella edile, tessile, ma soprattutto nello smaltimento dei rifiuti tossici. Diversi personaggi di varia estrazione cercano di sopravvivere nel calderone pericoloso e movimentato, ma in un mondo dominato dai boss i nuovi padrini emergenti oppure i picciotti appena reclutati faranno fatica a sopravvivere tanto quanto gli abitanti del luogo che si ingegnano per sopravvivere alla meglio senza recare danni od offese a nessuno.
Commento: Film sottotitolato in quanto parlato in dialetto campano. E' tempo di denuncia nel panorama cinematografico italiano, sembra di essere tornati ai fasti dei film anni settanta di Petri con il grandissimo Gian Maria Volontè protagonista, ovviamente nel dovuto rispetto di queste grandi opere. L'operazione coraggiosa e determinata non poteva essere eseguita che da due autori che non hanno paura di parlare per immagini come Matteo Garrone (regista di questo ma anche degli ottimi Primo Amore e L'imbalsamatore) e Paolo Sorrentino (che arriverà a fine mese a parlare dell'argomento mafia con Il divo, il biopic su Giulio Andreotti). E tutti e due si affidano a uno dei migliori attori italiani in circolazione, il quarantanovenne Toni Servillo che è balzato all'onore delle attenzioni con la splendida interpretazione offerta ne Le conseguenze dell'amore.
In questa pellicola di Garrone (tratta dal romanzo/inchiesta omonimo di Roberto Saviano) Servillo (praticamente unico vero attore professionista in un cast di non professionisti), è un affarista intrallazzato che si occupa di smaltire illegalmente i rifiuti tossici (affidandoli a dei ragazzini visto che i camionisti non lo vogliono fare). In mezzo a questa storia tanto degrado con il quartiere Scampia ripreso nella sua connotazione senza nessuna edulcorazione, con giovani con il culto di Toni “Scarface” Montana (viene citata una scena del film di De Palma in un cantiere in costruzione, sporco e malandato, con annessa mega vasca da bagno) che con una pistola in mano pensano di avere la possibilità di comandare rispetto ai boss del luogo ritenuti deboli ed incapaci, giovani picciotti pericolosamente messi allo sbaraglio nel giro di droga e madri che devono vivere con i soldi che la camorra gli passa per i favori e il silenzio che compiono, sarti che devono affidarsi ai clan cinesi in clandestinità per sopravvivere.
Da Camorra a Gomorra (è citata anche Sodoma con una veloce scena nei privè, d'altronde anche lo sfruttamento della prostituzione rientra nelle attività illegali del giro) il passo descrittivo della parola è breve, e di fatto è terribile la lucidità descrittiva con cui viene mostrata la vicenda alla quale non solo si deve guardare indietro senza aver paura di diventare una statua di sale dopo averla lasciata (iconizzando il fatto di essere spettatori), ma bisogna intervenire direttamente denunciando il marcio. Garrone non eccede in nulla, lascia che a parlare siano la gente e le loro case, il cemento bianco sporco e gli sguardi che indicano cosa si deve fare senza necessità di dare ordini vocali.
Non c'è musica ridondante a sottolineare la schiavitù del posto, oppure le gesta di (non) eroi ma di comuni mortali che per sopravvivere devono lottare con forza contro il potere costituito da cui lo stato è lontanissimo (polizia e carabinieri si vedono solo in una fugace scena), racconto estremo ma reale che ci fa sentire impotenti nella bellissima scena dell'iniziazione dei picciotti a colpi di pistola sul giubbotto antiproiettile (marchiati da un livido) oppure in quella degli spari degli aspiranti illusi padrini che sparano all'impazzata dopo aver trovato l'arsenale. Non conta quante armi hai, ma quanto sei nella paura della gente e nel loro credito di terrore, quanto pietrifichi l'avversario nei comportamenti che ne impediscono ogni reazione.
Niente è peggiore dell'angoscia di vedere uno stato che non c'è, contratti puliti di facciata che si aggirano con facilità e bambini che non hanno altra aspirazione che diventare mebri di un clan, oltretutto divisi se aderiscono a uno diverso e costretti alla falcidazione contemporanea e opposta dell'amico fratello che improvvisamente diventa avversario.
La scelta dei sottotitoli è perfetta per calarci nell'ambiente che si deve raccontare, sarebbe stato uno scempio vederlo in lingua italiana senza dialetto. Non dimenticherete per molto tempo la denuncia che ne viene fuori, supportata da una fotografia sporca a dovere e una ambientazione sempre scura e mai totalmente solare. Tra l'altro il racconto è fruibilissimo, non si disperde in meandri paludosi fiacchi e si permea di fascino senza nessuno orpello particolare.
Questo è cinema di denuncia, di pura constatazione amara senza cavalleggeri che arrivano a salvare da chissà dove la truppa in difficoltà. Per uscire dai guai e liberarsi dalla piovra bisognerà essere decisi e determinati, e contare solo sulle proprie forze, ma prima bisogna far credere ai cittadini che veramente che possa esistere un mondo senza camorra perchè altrimenti non c'è nessuna possibilità.
Ci chiediamo come mai questo film vergognosamente non abbia la dicitura di film di interesse culturale, mentre invece lo danno a prodotti beceri e inutili (per dirla tutta l'ultimo insignito fu un filmaccio come L'anno mille)
In definitiva un potente film di denuncia sociale asciutto e sconsolante, ma per questo ancora più prezioso, che ci presenta la situazione nuda e cruda senza romanzare in occulto nulla, esempio di cinema italiano radicato nel passato come concezione che un bravo autore sa far vivere di vita propria. Uscendo dal cinema non ci sentiamo davvero bene, siamo a disagio nella nostra vita solo apparentemente tranquilla, la camorra non è una lontana gomorra che non potrà mai toccarci, questo indica che l'obbiettivo è stato centrato in pieno.
Il meraviglioso manifesto sottolinea nel modo migliore lo spirito del film.
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Superhero - Il più dotato fra i supereroi
(Superhero Movie)
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Un film di Craig Mazin. Con Drake Bell, Sara Paxton, Marion Ross, Leslie Nielsen, Christopher McDonald, Kevin Hart, Brent Spiner, Regina Hall, Simon Rex, Pamela Anderson, Tracy Morgan, Ryan Hansen. Genere Commedia, colore 85 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione Medusa - [Uscita nelle sale venerdì 16 maggio 2008]
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Trama: Rick è uno studente appassionato di fotografia che dire sia colpito dalla sfortuna è un autentico complimento : ogni cosa che fa viene ostacolata dagli eventi, le ragazze lo ignorano e le compagnie scolastiche lo ignorano. Un giorno, durante una gita scolastica a dei laboratori di ricerca, una libellula modificata geneticamente lo punge sul collo : Rick scopre di avere dei poteri incredibili. Per il crimine si prospettano giorni duri, è arrivato il superoe più verde della Terra, l'Uomo libellula! O no ... ?
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Commento: Dietro al solito sottotitolo italiano che ammicca al sesso ("il supereroe più dotato") e allo strillone di presentazione ("basta un fischio per farlo venire") che nulla c'entrano, ormai è una becera abitudine consolidata, c'è una irriverente parodia del mondo dei supereroi che ci racconta le non gesta eroiche di un nerd a valore zero che subisce ogni possibile disgrazia dalla vita. Rick Riker (Drake Bell), nome con la doppia lettera come Peter Parker alter-ego di Spiderman, viene punto da una super-libellula in un laboratorio di sperimentazione dove si è recato con la classe per fare una gita scolastica. In seguito scopre in maniere rocambolesche che ha acquisito incredibili poteri come la superforza, lo scalare i muri ma non il poter volare. A quel punto sembra che anche la bionda avvenente Jill Johnson (Sara Paxton, specializzata in serie tv) si possa accorgere di lui, ma da grandi poteri grandi responsabilità, e l'arrivo di un supercriminale temibile come l'Uomo Clessidra (Christoper McDonald) la cui vita dipende dall'assorbire quella degli altri, non gli darà il tempo di vivere la gloria di invitanti amori adolescenziali.
Parodia dei supereroi (non solo Marvel ma anche Dc) nel film troviamo citati i fantastici 4 (con Pamelona Anderson che fa una donna invisibile con una coppia davvero esplosiva sul petto), gli X-men, Superman, Batman (la scena gay-style sul tetto davvero divertente, d'altronde da sempre il dualismo Batman-Robin ha da sempre sollecitato la fantasia di chi ci vedeva ambiguità) e ovviamente Spiderman, punto totale di riferimento visto che abbiamo anche la Zia May (qui Lucille, che è Marion Ross, che ricordiamo per essere la Marion Cunningham di Happy Days) e lo zio Ben (nel film Albert, interpretato da Leslie Nielsen ovviamente a suo perfetto agio in film come questi, lui che ha fatto la serie della Pallottola spuntata).
Vorremmo poter dire, senza nessun pregiudizio di base, che finalmente è arrivato il momento di una efficace parodia, che grazie all'apporto di Zucker (il creatore della divertente mitica Pallottola spuntata, serie principe di un sottogenere e ispiratrice di altri film) presente in produzione (insieme al regista Craig Mazin, guarda caso sceneggiatore degli Scary film), possa finalmente liberarci dalle scorie di una incancrenita sequela di inutili filmacci che grazie a un buon successo al botteghino continua a sopravvivere, ma purtroppo non è così.
Il film è migliore dei vari Epic Movie e company, ha una sua storia che procede e non è solo una sequela di situazioni completamente slegata tra loro, ma purtroppo si ricorre in maniera troppo massiccia ai peti (in una scena la ex-signora Cunningham perde ogni ritegno), i rutti e agli ammiccamenti sessuali a tutti i costi (durante il bacio stile Uomo Ragno che avete visto nei trailer succede una cosa per cui si finisce a guardare proprio lì) si susseguono con un assalto "animale" sessuale che ne fa la punta di diamante. Decisamente si ride divertiti dalle assurde botte che si danno questi imbraeroi, ma non possiamo certo parlare di leggere una storia davvero esilissima, che dopo un po' si accartoccia perdendo la simpatia e lo smalto che aveva all'inizio. Il finale, che può ricordare per varie situazioni quello della Pallottola spuntata 33 1/3, che si svolge in un convegno ovviamente di fan dei supereroi, dove libellule e clessidre si moltiplicano.
Non si può certo chiedere molto di più a certi tipi di film, che sin dal cartellone (identico a quelli degli Scary movie) indicano l'obbiettivo, ma visto le possibilità che aveva riguardo a un reparto tecnico ragguardevole che è presente (scena aerea e quelle in strada, bella quella della vecchina con cagnolino) poteva anche cercare di guardare un po' più in alto senza incancrenirsi e allinearsi a una comicità irrealistica che accumula gag citando cinematografia di genere che si accende piacevolmente e poi diventa un fuoco fatuo.
Probabilmente creare un personaggio totalmente nuovo e non solo una variazione sfigata (come si era fatto nell'ottimo Mistery men, davvero una pietra miliare nel mostrare personaggi strambi con superpoteri), avrebbe donato quel qualcosa in più che alla fin fine solo la pazzesca idea del non-potere dell'Uomo Clessidra possiede (dover "succhiare" la vita di un sacco di persone per non morire, potere diversificato ma ispirato a quello di Rogue degli X-men). I discorsi poi non sono per nulla ficcanti, privi di frasi "presa in giro" di buon effetto, che di solito simili pellicole
presentano. Si segnala il pezzo che chi scrive ritiene più fantasioso, quello dell'incontro con Xavier, le sue molte sedie, e la sua scuola dei giovani dotati ("Non asiatici" si sottolinea).
In definitiva un film simpatico da vedere solo per brevi tratti, migliore delle becere pellicole parodia che di solito girano al di fuori degli Scary Movie (ma anche questi hanno già stancato ormai) per una connotazione di movimento e un minimo di storia presente, ma purtroppo regala divertimento a sprazzi, solo agli amanti del genere "Heroes" in calzamaglia e si limita ad arrivare alla fine senza nessun vero merito, godibile e fruibile solo se accompagnati da una voglia totale di essere accondiscendenti con il suo svolgimento. In fondo ne più ne meno di quanto si può e si deve aspettarsi, anche se ovviamente si spera sempre di avere qualche bella sorpresa, che purtroppo nel cinema di solo intrattenimento leggerissimo non si riesce neppure per un minimo ad ottenere.
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