Se mi chiedessero di scrivere una lettera a una bambina che sta per nascere, lo farei cos
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Se mi chiedessero di scrivere una lettera a una bambina che sta per nascere, lo farei cos
… sembravamo due creature di specie diversa. Ricordo invece quando ci somigliavamo, quando gli estranei ci riconoscevano come madre e figlia. Ma adesso lei è diventata minuscola e fragile, pur avendo una statura normale.
…sembravamo due creature di genere diverso, come un grasso rinoceronte accanto a un rugoso impala.Se aveste saputo che eravamo madre e figlia, avreste sospettato che per qualche misteriosa pratica di wodoo io fossi cresciuta nutrendomi della sua linfa vitale. Come i moscerini. Le madri-moscerino non depongono le uova, ma generano figli nell’interno del proprio corpo senza aiuto di clero né di stato, e perfino senza la pur minima e accidentale assistenza maschile. E la nascitura si sviluppa nel corpo della madre, non dentro l’utero ma nei tessuti, e alla fine riempie tutto il suo corpo divorandolo dall’interno. Quando la figlia è pronta a nascere, esce a forza dalla madre-prigione, lasciandosi dietro soltanto un guscio chitinoso. Tra madre e figlia non esistono litigi: la madre-moscerino si sacrifica completamente per la prole, ma la prole non verrà mai a spaerlo. Be’, naturalmente è anche vero che le figlie così generate nello spazio di due giorni cominceranno a riprodursi nello stesso modo. Non hanno il tempo di lamentarsi della qualità della propria vita.
Non l’avevano neppure le donne d’un tempo, e mia madre aveva poca simpatia per chi si lamentava della qualità della vita, sentendisi, credo un po’ come una madre moscerino…
Tratto da “Mia madre non mi ha mai spazzolato i capelli” di Marilyn French.
"Infrequente
1.
Il prostetnico vogon Jeltz non era piacevole a vedersi nemmeno per gli altri vogon. Il suo nasone a volta saliva alto sopra la piccola fronte da porcello. La sua pelle verde scuro, gommosa, era abbastanza spessa da permettergli di giocare bene al gioco della politica del Servizio Civile Vogon, ed era abbastanza impermeabile da permettergli di sopravvivere tranquillamente, senza effetti collaterali, a profondità sottomarine di trecento metri.
Non che lui andasse mai a nuotare, beninteso. Era sempre troppo occupato per farlo. Il suo aspetto era quello che era perché miliardi di anni prima, quando i vogon per la prima volta erano usciti strisciando dai pigri mari primordiali di Vogsfera ed erano approdati ansimanti alle rive vergini del pianeta, quando i primi raggi del giovane brillante Vogsole li aveva investiti col suo splendore, era successo che le forze dell'evoluzione avevano rinunciato a occuparsi di loro: si erano coem tirate in disparte, disgustate, e li avevano esclusi dal loro elenco , considerandoli come un orrido e increscioso errore. Così, i vogon non si erano più potuti evolvere: non sarebbero mai dovuti soravvivere.
Il fatto che siano sopravissuti è una specie di omaggio all'ottusa forza di volontà-ostinazone di queste creature. Evoluzione? si chiesero. E chi ne ha bisogno? E così fecero semplicemente a meno di quello che la natura aveva rifiutato loro, finché non arrivò il momento in cui furono in grado di correggere i più grossolani iconvenienti anatomici con la chirurgia.
Nel frattempo, le forze della natura, sul pianeta Vogsfera, avevano fatto dello straordinario per compensare quell'errore marchiano. Diedero origine a una specie di granchi dalla corazza scintillante tempestata di gemme, granchi che i vogon mangiavano dopo averli schiacciati con mazze di ferro, fecero crescere alberi sottilissimi dai magnifici colori, ce i vogon abbattevano per fari i fuochi con i quali cuocere la carne di granchio e infine crearono eleganti creature simili a gazzelle, dalla pelliccia morbidissima e dagli occhi di rugiada, che i vogon catturavano e cavalcano. In realtà, erano creature poco adatte al trasporto, perché le loro schiene si spezzavano con grande facilità, ma i vogon le cavalcavano lo stesso.
Così, su Vogsfera passarono piacevolmente i millenni finché i vogon d'un tratto non scoprirono i principi del viaggio interstellare. Nel giro di pochi voganni, tuti i vogon emigrarono nel sistema di Megabrantis, il fulcro politico della Glassia; e adesso erano la spina dorsale immensamente potente del Servizio Civile Galattico.
Hanno cercato di istruirsi, di acquisire stile e savoir-faire, ma sotto molti aspetti sono ben poco diversi dai loro antichi progenitori. Ogni anno importano ventisettemila granchi scintillanti dal loro pianeta d'origine, e si divertono a passare notti d'ubriachezza facendoli a pezzi con mazze ferrate.
Il prostetnico vogon Jeltz era un vogon abbastanza tipico in quanto era assolutamente volgare. Inoltre, non gli piacevano affatto gli autostoppisti.
che goduria 'sto pezzo...
Si appoggiò a quegli ultimi refoli di luce per avvicinarsi al letto dove, sotto le coperte, una bambina dormiva ignara di qualsiasi altrove, e bellissima. Ann Deverià la guardò - ma d'uno sguardo per cui guardare già è una parola troppo forte - sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta - qualcosa come due cose che si toccano - gli occhi e l'immagine - uno sguardo che non PRENDE ma RICEVE, nel silenzio più assoluto della mente, l'unico sguardo che davvero ci potrebbe salvare - vergine di qualsiasi domanda, ancora non sfregiato dal vizio del SAPERE - sola innocenza che potrebbe prevenire le ferite delle cose quando da fuori entrano nel cerchio del nostro sentire - vedere - sentire - perchè sarebbe nulla di più che un meraviglioso STARE DAVANTI, noi e le cose, e negli occhi RICEVERE il mondo tutto - ricevere - senza domande, perfino senza meraviglia - ricevere - solo - ricevere - negli occhi - il mondo."
oceanomare - baricco
La Cosa, che aspettava, s'è svegliata. Mi s'è sciolta addosso cola dentro di me, ne sono pieno... Non è niente: La cosa sono io. L'esistenza liberata, svincolata, rifluisce in me. Esisto.
Esisto. E' dolce, dolcissimo, lentissimo. E leggero: si direbbe che stia sospeso in aria da solo. Si muove. Mi sfiora dappertutto, si scioglie, svanisce. Dolcissimo, dolcissimo. Ho la bocca piena di acqua spumosa. L'inghiotto, mi scivola in gola, mi carezza, ed ecco che rinasce in bocca: nella bocca mi rimane di continuo una piaccola pozza d'acqua biancastra, discreta, che mi sfiora la lingua. E questa pozza sono ancora io. E la lingua. E la gola, Sono io.
Sartre - La Nausea
"Cosa fai ancora qui?". La sua voce non era cattiva, ma non era neppure gentile; Sylvie si stava irritando.
"E dove dovrei essere?" chiese Irena.
"A casa tua!".
"Vuoi dire che qui non sono più a casa mia?".
Naturalmente non voleva cacciarla dalla Francia, né farla sentire una straniera indesiderabile: "Sai benissimo cosa voglio dire".
"Sì, lo so, ma ti sei dimenticata che qui ho il mio lavoro? la mia casa? i miei figli?".
"Senti, conosco Gustaf. Farà di tutto perché tu possa tornare nel tuo paese. E le tue figlie... Non raccontarmi storie! Ormai hanno la loro vita! Dio Santo, Irena, quel che sta succedendo da voi è così affascinante! In una situazione del genere le cose si sistemano sempre".
"Ma Sylvie! Non ci sono solo gli aspetti pratici, il lavoro, la casa. Vivo qui da vent'anni. La mia vita è qui!".
"C'è una rivoluzione da voi!". Lo disse in un tono che non ammetteva repliche. Poi rimase zitta. Con quel silenzio, voleva dire a Irena che quando accadono grandi cose non si deve disertare.
"Ma se torno nel mio paese non ci vedremo più" disse Irena per mettere l'amica in imbarazzo.
Questa demagogia dei sentimenti andò a vuoto. La voce di Sylvie si fece calorosa: "Ma cara, verrò a trovarti! Te lo prometto, davvero!".
Erano sedute l'una accanto all'altra davanti a due tazze di caffè vuote da un pezzo. Irena vide lacrime di emozione negli occhi di Sylvie, che si chinò verso di lei e le strinse la mano: "Sarà il tuo grande ritorno". E di nuovo: "Il tuo grande ritorno".
Ripetute, le parole acquistarono una tale forza che, dentro di sé, Irena le vide scritte con la maiuscola: Grande Ritorno. Smise di ribellarsi: fu stregata da immagini che d'improvviso affiorarono da vecchie letture, da film, dalla sua memoria e forse da quella dei suoi antenati: il figlio perduto che ritrova la vecchia madre; l'uomo che si ricongiunge all'amata cui l'aveva strappato una sorte feroce; la casa natale che ciascuno porta dentro di sé; il sentiero riscoperto dov'è rimasta l'impronta dei passi perduti dell'infanzia; Ulisse che rivede la sua isola dopo anni di vagabondaggio; il ritorno, il ritorno, la grande magia del ritorno.
Milan Kundera - L'ignoranza
Uno si costruisce grandi storie, questo il fatto, e può andare avanti anni a crederci, non importa quanto pazze sono e inverosimili, se le porta addosso e basta. Si è anche felici di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai. Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico, tac, senza nessuna ragione, si rompe d'improvviso e tu rimani lì, senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l'hai più addosso, ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell'altro sei tu. Tac. Alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora. Basta quello.
novecento?
ah gia XD
Wiston Winny senti senti.
Il vento aspro soffiava intorno a noi mentre toglievo a Winston Due il cono protettivo e con il nastro gli assicuravo al muso ricucito un bell’assortimento di fuochi artificiali. Glieli attaccai per benino intorno alla testa con del nastro adesivo da imbianchino e poi rimisi il cono, tenuto da un collare separato. Gli sentii fare quegli sciaquii da bottiglia quasi vuota che fanno i cani quando si stanno cagando sotto.
Mentre Winston Due tentava di liberarsi, vidi posarsi sulla casamatta un uccellino. Era un pettirosso, quell’antico simbolo cristiano..
E per un secondo o due pensai al significato che poteva avere, tipo porgi l’altra guancia e il perdono cristiano e altre stronzate di questo livello. Ma a quelle merdate non ci credeva più nessuno. Eri tu contro il mondo, anche l’ultimo stronzo lo sapeva. Il vento mi trapassò i jeans, pizzicandomi la cicatrice. No. Winston doveva crepare. In termini cristiani, questa era solo una guerra..
.. Per un po’ guardai il cane, non feci altro che guardarlo fisso. Era uno spettacolo: un occhio gli brillava nell’ammasso di nastro e tubi colorati di cartone attaccati al muso, serrato nel cono di plastica. Lo strano è che adesso aveva smesso di raschiare con le zampe anteriori in quel modo straziante e futile, e se ne stava semplicemente sdraiato su un fianco, ansimando leggermente.
Sembrava quasi soddisfatto.
Il mio scarpone si abbatté pesantemente sulla sua cassa toracica.
PROPRIO DOVE VOLEVO EH
STRONZO AMMAZZABAMBINI CHE NON SEI ALTRO
MI HAI SFREGIATO E AZZOPPATO PER LA VITA CAZZO
NON FARE MALE A WINSTON
NON DIRE A NESSUNO CHE E’ STATO WINSTON
VAFFANCULO PAPA’
FOTTITI
AVRESTI DOVUTO FARLO A PEZZI STO CANE
VALEVO COSI’ POCO EH, QUANTO POCO VALEVO?
FARLO A PEZZI
FARLO A PEZZI.
Winston.. Winny..
qua, bello..
qua bello..
Cosa c’è che non va, piccolo?
Eh, piccolo?
Winny-bello, il mio fedele amico.
Accesi un paio di fuochi artificiali intorno al muso dove si vedeva la carta azzurra da innesco e seguendo le istruzioni di sicurezza, mi allontanai a rispettosa distanza. Disgraziatamente Winston Due decise di fregarsene delle istruzioni.
QUI TI SBAGLI CUCCIOLOTTO.
Ci fu una piccola esplosione, uno spruzzo rosso di sangue che tinse il cono di plastica chiara. Il cane si dimenò ma restò muto. Tentavo di capire cosa stava succedendo e mi avvicinai quando un mazzetto urlando si aprì una scoppiettante via arancione nel muso di Winston due..
..Era come Kripto, il cane di Superboy.. quel cane aveva la vista termica.. avrebbe dovuto permettermi di mettergli quel mantello..
Winston due strattonò ciecamente il guinzaglio..
..poi ci fu un esplosione più grossa e il botolo andò semplicemente gambe all’aria mentre dal cono sventagliavano schizzi di carne carbonizzata e sangue. Rabbrividii e dovetti spostarmi da sottovento, sentendo la presenza di un tanfo quasi insopportabile. Preoccupato per il baccano, guardai verso la terraferma, ma sul lungomare non c’era nessuno.
In sostanza Winston Due non aveva più testa: solo un grosso tizzone nero carbonizzato avvolto in un pezzo di plastica fusa.
Chi ti ha fatto questo Winston, amico mio?
Fammi vedere, bello
Fai vedere chi è stato
Winny-bello
Winny-cocco
Chi è stato?
Chi ha fatto questo a Winny-passerotto?
Dicci chi è stato amico
Diccelo, su
Winston, Winny
Senti, senti
Cosa tieni
In mezzo ai denti
Winny winny vince sempre
Winny perde.
Chi è stato?
Ma tu non lo puoi dire
Ed è
Proprio un vero peccato per te
Povero stronzo.
Ora
Voglio
Sapere
Che
Libro
Sia
Quello
Da
Te
Citato.