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Stasera sono stato al cinema a vedere Never let go, non in capolavoro, non credo lo consiglierei, ma ha i suoi momenti paurosi. È diventato difficile trovare un buon horror, ormai si abusa tantissimo di trucchetti da quattro soldi come il jumpscare, in questo film almeno ci si è limiati a un paio, costruendo invece la tensione giocando con la musica, i tempi cinematografici e instillando dubbi su ciò che stia effettivamente accadendo.
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Due film provenienti da Venezia
“Il tempo che ci vuole” (2024) di Francesca Comencini
Sul rapporto tra Francesca Comencini e il padre Luigi, conosciuto ai più per aver realizzato il miglior Pinocchio della storia del cinema e della televisione. Il film parte proprio da quelle riprese nel quale si nota la capacità di Comencini padre a gestire e a comprendere i bambini dentro e fuori dal set. Ritroviamo la coppia verso la seconda metà degli anni 70, con lei ormai diventata adulta in un contesto devastato da stragi ed eroina. Ma è anche un periodo in cui c’è una netta frattura generazionale tra padri e figli. Il loro rapporto è incrinato con Francesca che accusa il padre di non conoscerla affatto, aggiungendo che lui tranquillamente, educatamente ma in maniera viscerale, detesta le donne. Francesca è una ragazza insicura e con scarsa personalità, facilmente influenzabile. Sarà il cinema a salvarla. Il film era a Venezia fuori concorso e ha ricevuto ottime recensioni anche se personalmente non mi ha convinto del tutto. Ha lo stesso difetto di Limonov e di altre biografie cinematografiche, cioè quello di dover seguire per filo e per segno gli avvenimenti senza approfondire un periodo preciso. Apprezzabile però da un punto di vista tecnico, come pure ho trovato convincenti le interpretazioni. Per quanto riguarda la musica trovo condivisibile la scelta del secondo movimento della settima di Beethoven nel corso di una scena vibrante; fatico invece a comprendere l'utilizzo di Hey Hey My My di Neil Young nel momento in cui viene annunciato il rapimento di Moro, anche per una questione temporale in quanto il brano usciva l'anno dopo. Bello il finale, in quella massima espressione di magia che solo il cinema può esprimere.
Il tempo che ci vuole ***
“Vermiglio” (2024) di Maura Delpero
La vita in alta montagna durante la guerra e l’inverno rigido.
Il film ruota intorno a una famiglia nella quale il capofamiglia è il maestro del paese, con l’idea di continuare ad insegnare anche a casa. Protagoniste le tre figlie che dormono nello stesso letto, con sogni, aspirazioni e obiettivi diversi. La grande pensa a sposarsi con un soldato siciliano, la seconda passa tutto il giorno a pregare e a chiedere perdono per i suoi pensieri, la più piccola è la più brava a scuola ma è anche quella che possiede gli orizzonti più ampi. Improvvisamente il quadretto familiare viene sconvolto da una notizia inaspettata, da una lettera proveniente da lontano. Anche il film si incupisce, le scene diventano più lunghe, forse si perde qualcosa della naturalezza iniziale. Nell’ambientazione e nei temi trattati ricorda il cinema di Olmi, anche per l’utilizzo del dialetto e di attori non professionisti. A Venezia Vermiglio ha vinto il premio della Giuria, ed è dell’altro giorno la notizia che è stato designato a rappresentare l’Italia nella corsa agli Oscar. La regia è magnifica, con primi piani insistenti, inquadrature fisse e rari movimenti della macchina da presa; pochi fronzoli ma una cura maniacale dei dettagli. Bella anche la fotografia, con ottiche che rendono le immagini sempre un po’ sfumate. Che dire della sequenza finale che termina con i titoli di coda sulle note di Chopin? Poesia pura.
Vermiglio ****
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Quindi per te potrebbe anche vincerlo, l'Oscar.
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La strada è lunga. Ci sono due selezioni da superare prima di arrivare alla cinquina finale. Non è facile.
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Questo lo so, volevo sapere se il film ha o no tutti i requisiti per aggiudicarsi la statuetta.
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Non mi piace la parola "requisiti" come se stessimo leggendo un curriculum vitae.
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Ancora da Venezia.
“Familia” (2024) di Francesco Costabile
Storia realmente accaduta, tratta dei rapporti familiari tossici all'interno delle mura domestiche per via di un marito violento. Il film elenca i passi che portano al disastro dopo l'ennesimo tentativo in seguito all’ostacolato rientro in famiglia: inizialmente la situazione è apparentemente tranquilla, poi i segnali si susseguono in un crescendo di intensità, come i vestiti che non vanno bene, troppo tempo per buttare l'immondizia, gelosia nei confronti dei colleghi con conseguenti dimissioni dal posto di lavoro, e anche nei confronti di un figlio colpevole di un gesto gentile. I pedinamenti e l’ossessione si trasformano ben presto in un attacco fisico. Il tema è volutamente monocorde, nel quale solo uno dei personaggi viene approfondito, quello che a Venezia nella sezione Orizzonti ha vinto il premio per la migliore interpretazione. Non tutte le sequenze sono convincenti e anche la forma avrebbe avuto bisogno di una maggiore cura. Si esce dal cinema come se fossimo stati noi stessi testimoni reali di questo strazio.
Familia **
“Joker: folie a deux” (2024) di Todd Philips
Ritroviamo Joker in carcere in attesa del processo, struccato e depresso. Qui conosce Lee (Lady Gaga), psichiatra che si è fatta internare per studiarlo e che lo riaccende. La particolarità del sequel è che si tratta di un piccolo musical con vecchie canzoni che irrompono ad intervalli regolari ma che alla fine nasconde una debolezza di fondo. Se non fosse stato presentato in concorso a Venezia non sarei mai andato a vederlo e questo testimonia come da qualche anno la mostra strizzi l'occhio più a Hollywood che alla scoperta di nuovi film che hanno bisogno dei festival per arrivare al pubblico. La sceneggiatura è poca cosa, tutta incentrata sulla scoperta da parte di Arthur Fleck che l'interesse che suscita nella gente è legata a Joker e non a lui come persona. Il film è sicuramente ben confezionato ma con alcuni fastidiosi luoghi comuni hollywoodiani e con un sussulto finale. Se si deve scegliere che film andare a vedere non dovrebbe essere questo.
Joker: folie a deux **
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“Iddu – L’ultimo padrino” (2024) di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza
Un mafioso di provincia (Toni Servillo) uscito di prigione viene investito dalle conseguenze della sua precedente attività criminale e dalle sue conoscenze. Per non incorrere in ulteriori procedimenti giudiziari deve aiutare i servizi segreti a rintracciare il nuovo boss della mafia (Elio Germano) per via del loro legame. Malgrado le sue perplessità, il mafioso pensa di sfruttare l’occasione per chieder al boss un aiuto al fine di sbloccare un suo intervento edile finito nelle maglie della burocrazia comunale. Il film era a Venezia in concorso e si regge sull’interpretazione dei due grandi attori, mentre il tema dell’influenza della mafia sulla società e sull’attività politica viene raccontata con distacco e una punta di ironia.
Iddu – L’ultimo padrino ***
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Mamma mia Barrett io sullo stesso tema venerdì ho visto "Il traditore" con Pierfrancesco Favino e l'ho trovato orrendo. Neppure sono riuscito a vederlo per intero. Prima volta che mi è capitato. Orrendo!
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
"Il traditore" di Marco Bellocchio, il quale dopo la scomparsa di Bertolucci e Olmi è l'ultimo della sua generazione non soltanto ad essere in vita ma a continuare a fare film. "Il traditore" è stato presentato in concorso a Cannes e narra le vicende di Tommaso Buscetta, figura non di spicco della mafia palermitana, coinvolto suo malgrado negli scontri tra la cupola storica e quella appartenente ai corleonesi interessati a spostare i traffici illegali dal tradizionale contrabbando a quello della droga, tradendo, secondo Buscetta, lo spirito originario di Cosa Nostra. Arrestato a Rio ed estradato in Italia decide di collaborare col Giudice Falcone, permettendo alla giustizia di portare alla sbarra i capi mafia. Il film che mantiene per certi versi un taglio documentaristico, ha nell'interpretazione dei protagonisti, i loro dialoghi e i primi piani l'aspetto più riuscito. Soprattutto notevole Pierfrancesco Favino nella parte di Buscetta. Non sempre convincente invece la regia di Bellocchio, ad esempio nelle scene più movimentate o in quelle del maxi processo.
Il traditore ***
Questa fu la mia recensione. Confermo quella impressione, non tutto riuscì perfettamente.
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Mi sono guardata Interstellar, dopo aver assistito alla conferenza di un astrofisico sulle nozioni di fisica presenti nel film. Molto interessante guardarlo con un occhio più scientifico. Film splendido, peraltro.
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Megalopolis (2024) di Francis Ford Coppola
Il cinema a cinque stelle di Coppola inizia con “The Godfather – Il Padrino” (1972). Prima di allora aveva diretto film che si possono tralasciare e il Padrino cambiò tutto. Coppola impose alla casa di produzione Marlon Brando, ormai estromesso da Hollywood e gli mise a fianco una schiera di giovani attori che avrebbero fatto la fortuna del cinema americano nei decenni successivi. Si parla di Al Pacino, John Cazale, Robert Duvall, James Caan, Diane Keaton, Talia Shire. Nella parte seconda (1975) si aggiunge l’immancabile De Niro che interpreta il giovane Vito Corleone. Tratto dal romanzo di Mario Puzo, viene narrata la saga della famiglia nell’epoca “gentile” della mafia, se si può usare questo temine per un’attività criminale, prima che la scoperta del fiume di danaro che arriverà dal commercio della droga distrugga il tessuto sociale che la mafia aveva garantito sostituendosi allo Stato. Tra i due padrini, “The Conversation – La Conversazione” (1974), un film sulle paranoie del protagonista nello svolgere il lavoro di addetto alle intercettazioni, metafora di quel periodo buio che gli americani stavano vivendo tra Vietnam e Watergate. E’ in quello successivo, il mio preferito, che Coppola quasi impazzisce per dar vita a “Apocalipse Now” (1979), film che si inserisce in quel filone dedicato alla guerra in Vietnam, tema anticipato l’anno prima da un altro capolavoro “The Deer Hunter – Il Cacciatore” di Michael Cimino. Nel film Coppola rende evidente la follia della guerra attraverso varie tracce narrative, in quella principale un commando americano dà la caccia a un disertore che si è messo a capo di un gruppo di vietcong nell’impervia giungla vietnamita. Il film lo si ricorda per il monologo finale di Marlon Brando, che per pochi minuti riuscì ad ottenere un cachet milionario, per la regia di Coppola, la fotografia psichedelica di Storaro e la musica dei Doors e di Wagner che combaciano perfettamente con le immagini. Durante gli anni il film viene presentato in tre versioni differenti, con nuove scene e una lunghezza che in quella Deluxe supera le tre ore. Con Apocalipse Now termina la carriera a cinque stelle di Coppola e inizia quella di un regista quasi normale, con film meno rischiosi sia finanziariamente che per la sua salute mentale. Tra questi quelli dedicati alle bande giovanili, con un’altra sfornata di giovani attori, il terzo capitolo del Padrino, dove l’affresco viene sostituito dal contemporaneo e altri come uno dedicato a Dracula, tutti attesi dal pubblico nella speranza che si torni ai fasti del passato. Così è stato per “Megalopolis” (2024), presentato in concorso a Cannes e ambientato in una New York "romanizzata" e distopica. Qui troviamo l'architetto Catilina con l'utopia di rifondare la città per superare le crisi di civiltà e la decadenza del capitalismo, ma ha contro il sindaco Cicerone e una parte della popolazione. Nelle sequenze riuscite il film è convincente e geniale. Ma sono troppe le cadute di stile, la banalità di alcune parti oltre a i buchi nella sceneggiatura. In ogni caso lunga vita a Coppola.
Megalopolis **
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“All we imagine as light – Amore a Mumbai” (2024) di Payal Kapadia
Due infermiere dividono la casa a Mumbai, India. La più anziana è sposata, un matrimonio combinato, con il consorte da tempo in Germania per lavoro che ormai si è dimenticato della moglie. La più giovane ha invece una relazione clandestina con un ragazzo musulmano. L’unione non sarebbe accettata dalle rispettive famiglie e pertanto la coppia ha incontri furtivi, lontano da occhi indiscreti. Il film, che a Cannes dov’era in concorso ha ricevuto il Gran premio della giuria è un sunto della situazione delle donne in India dove le unioni vengono decise a tavolino e l’amore un dettaglio. Al film manca un po’ di ritmo e nel finale rallenta ancora quando però nella narrazione si incunea un fatto inatteso.
All we imagine as light – Amore a Mumbai ***
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"Sotto le stelle di Parigi" sabato scorso in prima serata su Rai 3. Un vero gioiellino, Barrett, mi piacerebbe tanto una tua recensione. So di chiederti molto.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
"Sotto le stelle di Parigi" sabato scorso in prima serata su Rai 3. Un vero gioiellino, Barrett, mi piacerebbe tanto una tua recensione. So di chiederti molto.
Appena posso lo guardo.