Visualizzazione Stampabile
-
“A real pain” (2024) di Jesse Eisenberg
Due cugini americani di origine ebrea, David e Benji, si rincontrano in occasione di un tour organizzato in Polonia, con la possibilità di visitare anche la casa della loro nonna. Sin da subito si notano le differenze tra i due: uno è una persona composta, marito e padre perfetto, l’altro è scapestrato, divertente, anticonvenzionale e con un tentativo di suicidio alle spalle. Anche nei confronti delle altre persone che partecipano al tour il comportamento dei due cugini è opposto, con continue rimostranze da parte di David nei confronti di Benji per il suo modo di fare sopra le righe. Nelle loro discussioni Benji accusa David di averlo abbandonato nel passato quando avrebbe avuto bisogno di lui, mentre David ha sempre una ragione valida per giustificare il suo comportamento. Il film è diretto ed interpretato da Jesse Eisenberg che finora conoscevamo solo in qualità di attore e l’ho guardato per le varie candidature ai Golden Globe e un premio vinto che sicuramente aprirà al film le porte degli Oscar. Direi una bugia se dicessi che mi ha entusiasmato. Ho trovato ridondante l’utilizzo continuo delle musiche di Chopin, mentre nelle scene di collegamento si nota una regia dallo stile scolastico. Rimane il rapporto forzato tra i due e il generale malessere di Benji.
A real pain **
-
"Carry on", thriller molto ricco di suspence. Il protagonista è un addetto alla sicurezza aereoportuale che, minacciato da un anonimo, deve far passare un determinato bagaglio ai controlli di sicurezza. Non voglio svelare troppo della trama per non togliere la sorpresa, ma a me è piaciuto molto. Una tensione sottile e continua che dura nel corso di tutto il film, e che ti lascia con il fiato sospeso anche nei passaggi più lenti. Ma anche un sottile gioco psicologico decisamente avvincente.
-
Non ridete di me.
Non amo la fantascienza anche se un po’ di infarinatura ce l’ho, e quindi mi sono persa innumerevoli film, nonché i sequel.
Quindi, quando Bumble mi parla di Glodrake, non ho la minima idea dell’argomento.
Ma ieri, per caso, ho guardato Il pianeta delle scimmie (1968) che ho trovato davvero notevole, per essere un film americano, e nel finale ho capito perché non ha preso l’ Oscar come miglior film.
Che ne pensate?
-
Avevo visto tanti anni fa in televisione il primo e non mi era dispiaciuto.
-
vista tutta la saga eccetto gli ultimi due
A me sono piaciuti tutti ma non il remake di Tim Burton,
-
Scusate, ma inevitabilmente mi avete fatto venire in mente il devastante incendio in corso a Los Angeles: i vigili del fuoco hanno ammesso che non ce la fanno a domarlo, è troppo violento, alimentato dal vento. Già due vittime e trentamila evacuati, fra di essi anche i ricconi e gli attori di Hollywood. Il fuoco non fa distinzioni.
-
Citazione:
Originariamente Scritto da
Breakthru
vista tutta la saga eccetto gli ultimi due
A me sono piaciuti tutti ma non il remake di Tim Burton,
Citazione:
Originariamente Scritto da
Barrett
Avevo visto tanti anni fa in televisione il primo e non mi era dispiaciuto.
Forse dovrebbe essere rivalutato: nel processo delle scimmie al protagonista io ci ho visto il riflesso dei processi alle streghe ed agli scienziati nel Medioevo.
Ed immagino che la statua della libertà ormai insabbiata e rovinata gli sia costato l’Oscar: il film ha ricevuto sì la statuetta per il miglior trucco ,ma non come miglior film.
-
Anche io ho visto tutta la saga del pianeta delle scimmie, compreso l'ultimo uscito lo scorso anno.
Il primo anni '68 e poi quello del 2011 secondo me sono stati i migliori.
Come Break non mi ha entusiasmato il remake con Tim Burton e neanche gli ultimi più recenti dopo "L'Alba del pianeta delle scimmie" del 2011.
-
Siamo a 5 morti e 150.000 evacuati! Los Angeles intera circondata dal fuoco. La siccità persistente degli ultimi mesi in California ha spianato la strada all'inferno in atto.
-
“Babygirl” (2024) di Alina Reijn
Una manager di una importante società che si occupa di automazione e di intelligenza artificiale ha un particolare interesse nei confronti dell’erotismo anche se non riesce a raggiungere l’orgasmo con il marito. Quando conosce un giovane stagista che la provoca con ingenui ammiccamenti la donna capisce di voler sperimentare qualcosa di più coinvolgente, malgrado si renda in breve tempo di essere all’interno di una relazione tossica che potrebbe minare la sua vita e il matrimonio. Il film era a Venezia e si avvale della presenza di Nicole Kidman e Antonio Banderas con l’attrice vincitrice della Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, devo dire meritata. Guardandolo, appunto con la presenza della Kidman, mi è venuto subito in mente “Eyes wide shut”, ma è solo per la sua presenza e poco altro, in quanto se la forma non è mi è dispiaciuta lo stesso non posso dire per la sostanza che mi è parsa interessata solo a enfatizzare il livello erotico del film con una seconda parte faticosa da seguire. Inoltre, posso accettare un brano degli Inxs in una scena torrida, ma non uno di George Michael in una successiva, il punto più basso del film. Da ultimo ho pensato a “Ultimo tango a Parigi” e ho capito che avevo di fronte un tentativo poco riuscito.
Babygirl **
-
Ma non ci dici niente Barrett del dramma di Hollywood? Paesaggio lunare, devastazione, ville degli attori distrutte (salva per adesso quella di Tom Hanks)
-
Il mio cinema non è proprio quello rappresentato da Hollywood. E poi cosa saranno 22 morti contro i 50 mila di Gaza o la guerra in Ucraina. Tra l'altro gli americani hanno appena eletto un presidente che nega i cambiamenti climatici. Mi dispiace per quelli che hanno perso la casa certamente.
-
Un pensiero che, francamente, non mi aspettavo da uno come te :(
Comunque ufficialmente a rischio anche la cerimonia degli oscar.
-
“Queer” (2024) di Luca Guadagnino
Anni 50, un americano rifugiatosi a Città del Messico passa da un bar all’altro, posti frequentati da una coorte di persone eccentriche e annoiate. Più di tutti è però uno studente che lo stimola particolarmente, forse perché appare distante e disinteressato oppure per via di una donna che spesso lo accompagna. Riesce comunque a convincerlo a seguirlo in Sud America. Il film, in concorso all’ultimo Venezia, è tratto dall’omonimo libro di William Burroughs e si compone di tre parti e un epilogo. Quella che mi pare più riuscita è la prima dove la regia di Guadagnino si esprime al meglio grazie anche a montaggio e fotografia e a dialoghi che nell’incedere appaiono più letterari che cinematografici, con la rappresentazione della flora di Città del Messico che rende l’idea del personaggio e dello spirito che ha partorito il soggetto originario. Nella seconda e nella terza parte ambientate in Ecuador e poi nella giungla, il film cambia totalmente con un’ambientazione più uniforme e il rapporto tra i due che diventa via via più intimo anche nel condividere esperienze extrasensoriali. L’epilogo vede il protagonista tornare alla base due anni dopo ma da solo. In questa parte ci sono due scene che mi hanno ricordato “2001 A Space Odyssey” di Kubrick; mi chiedo, sono frutto del caso oppure è una citazione volontaria? Ottima l’interpretazione di Daniel Craig, finalmente liberatosi della maschera “di una unica espressione” di James Bond. Soprattutto nelle scene in cui risulta alterato da alcol e droghe sorprende per il realismo della sua recitazione aiutando Guadagnino a creare delle sequenze convincenti. Ho trovato strano invece l’utilizzo di brani moderni (tra cui Nirvana, Prince, anche uno dei Verdena) accanto a quelli d’epoca e alla musica originale di Trent Reznor.
Queer ***
-
Siccità, di Paolo Virzì su rai movie. Abbastanza deludente.