Bella, complimenti!
Gli occhi di una donna, raccontano tutta la storia del mondo....
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Bella, complimenti!
Gli occhi di una donna, raccontano tutta la storia del mondo....
Osservazione
Se non vado a passeggio per il parco,
nelle alte sfere potrò aprirmi un varco.
Se ogni sera alle dieci vado a letto,
non dovrò consumare il mio belletto.
Se gli stravizi riuscirò a evitare,
qualcuno forse potrò diventare.
Ma rimarrò quel che sono al presente,
perché non me ne importa un accidente.
Dorothy Parker
Silenzio
Mio padre usava dire :
« Un uomo superiore non fa visite lunghe,
né ha bisogno di farsi mostrare la tomba di LongFellow
o i fiori di vetro di Harvard.
Indipendente come il gatto –
che trascina la preda in un cantuccio,
la coda mozza del topo, pendula come una stringa dalla bocca-
gode talvolta della solitudine,
e può restare senza più parole
per parole che l’abbiano incantato.
Il sentire più profondo si manifesta sempre nel silenzio ;
non nel silenzio, nella discrezione ».
E non era insincero se diceva : « Fate della mia casa il vostro albergo ».
Ma gli alberghi non sono residenze.
Marianne Moore
Novembre
Un velo d’acqua trema
al calore d’un raggio
una foglia di faggio
si distacca e non cade.
Lembi di nebbie rade
fumano a fior di terra
dal leggio di una serra
piovon gocce iridate.
Sulle cose create
che sembravano morte
che sembravano assorte
in un sonno dolente
ecco!
vola il sole d’oriente
con la chioma di nubi (R. Mucci)
Canto delle donne, Alda Merini
Io canto le donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro “non follia”
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate”
il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio,
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli
il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia,
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto”
la sfera di cristallo per una bocca “magata”.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo
canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino
ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso
canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,
canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva al porto.
Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche
canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
“Se domani non torno”, di Cristina Torres Cáceres
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucia).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Godimento
Mi sento la febbre
di questa
piena di luce
Accolgo questa
giornata come
il frutto che si addolcisce
Avrò
stanotte
un rimorso come un
latrato
perso nel
deserto
(Giuseppe Ungaretti)
O Santa Barbara,
amica del minatore.
Quando mi lascio alle spalle
il sole che illumina e mi incammino
nel buio ventre della terra:
Tu sei con me!
Quando il sudore della fronte
si impasta con la polvere,
a formare un monumento di fatica:
Tu mi aiuti!
Quando il ricordo dei cari
mi stringe la gola riarsa
ed aiuta la lacrima a rigare il mio volto:
Tu mi ascolti.
Quando là, nel profondo, trepido
accendo la miccia
e la mina sta per brillare:
Tu mi proteggi!
Perciò ti invoco e a Te mi affido!
Santa Barbara, prega per noi.
ER PRESEPIO
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.
TRILUSSA
Conosco appena le mani,
le scarpe che metto ai piedi.
Conosco il giorno e la notte
e i terrori del vento.
Ma gli anni? Dove son gli anni,
e tutti i libri che ho letto?
I volti amati si sfrondano
delle loro vicende,
non restano che i nomi.
Tutto nella memoria
cade a pezzi, sprofonda
senza rumore
nelle botole dei morti.
Ah, dove sono le acute presenze
del passato, le sue calde forme,
la cera su cui incidevano
i miei sentimenti?
Dove si nasconde il senso
delle cose che ho vissuto,
e i brividi lucenti
e i cieli dell'avventura?
Vittorio Bodini, 6 gennaio 1914 – 19 dicembre 1970
La tristezza di questi natali
Signore, ti muova a pietà.
Luminarie a fiumane, ghirlande
di false costellazioni oscurano
il cielo di tutte le città.
Nessuno più appare all’orizzonte:
nulla che indichi l’incontro
con la carovana del Pellegrino;
non uno che dica in tutto
l’Occidente: “Nel mio albergo si, c’è un posto”!
Non un segno di cercare oltre,
un segno che almeno qualcuno creda,
uno che attenda ancora
colui che deve venire …
Non attendiamo più nessuno!
Tutto è immoto, pure se
dentro un inarrestabile vortice!
E’ così, è Destino, più non ci sono
ritorni, né ricorsi: è inutile
che venga! Tale è questa
civiltà gravida del Nulla!
Ora tu, anche se illuso di credere
o figlio dell’ateo Occidente,
segui pure la tua stella – così
è gridato per tutta la città
dai vessilli – segui, dico,
la stella e troverai cornucopie
vomitare leccornie, o non altro
che spiritati manichini
di mode folli in volo
dalle vetrine …
Poiché falso è questo tuo
donare (è Natale!), falso
perfino stringerci la mano
avanti la Comunione, e
trovarci assiepati nella Notte
a cantare “Gloria nei cieli … “.
Un amaro riso di angeli obnubila
lo sfavillio dei nostri presepi, Francesco
cantore di perfette, tragiche
letizie: pure se un Dio
continuerà a nascere,
a irrompere da insospettati recessi:
là dove umanità alligna ancora
silenziosa e desolata: dal sorriso
forse di un fanciullo
della casba a Daccà, o a Calcutta …
Nessuno conosce solitudine come
il Dio del Cristo: un Dio
che meno di tutti può vivere solo!
Certo verrà, continuerà
a venire, a nascere
ma altrove,
altrove…
DAVID MARIA TUROLDO
L’Odio di Wislawa Szymborska
Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.
Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce ma lo rafforza.
Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via
Patria o no –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi!
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
arrivata per prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità:
sa creare bellezza
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro.
– lui solo.
La differenza
Penso e ripenso: - che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.
Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.
- O papera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'é pensato.
Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'essere cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.
Guido Gozzano
C'è qualcosa nell'aria
e non mi riferisco
a ciò che avete letto
sui giornali, né alle voci
che avete messo in giro,
e nemmeno a ciò che detestate nominare:
la crepa nell’intonaco della casa nuova,
i fusibili che si bruciano spesso, i rubinetti che gocciano,
i giochi pericolosi dei bambini.
Sta succedendo qualcosa
che non riuscite a capire.
Qualcosa si è mosso.
C’è qualcosa nell’aria.
Sta lì nel pasticcio
del mezzobusto che legge una cosa per l’altra.
O nel tremore della mano del perdente
mentre gira l’ultima carta.
Sta lì di domenica, il pomeriggio presto,
quando il sole ustiona i tetti
e uno straccio bruciacchiato viene soffiato, senza ombra,
lungo i marciapiedi e i porticati della città morta.
Mark Strand
(Trad. Damiano Abeni)
Fuoco e ghiaccio
Alcuni dicono che il mondo finirà nel fuoco,
Altri dicono nel ghiaccio.
Da ciò che ho testato del desiderio
Sono d’accordo con coloro che preferiscono il fuoco.
Ma se dovessi perire due volte,
Credo di conoscere abbastanza l’odio
Per dire che per la distruzione il ghiaccio
È anche grandioso
E sarebbe sufficiente.
Robert Frost
SERA DI FEBBRAIO
di Umberto Saba
Spunta la luna. Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s'allaccia;
sbanda a povere mète.
Ed è il pensiero
della morte che, in fine, aiuta a vivere.
«Ho sceso,
dandoti il braccio,
almeno un milione di scale,
e ora che non ci sei,
è il vuoto a ogni gradino.»
Eugenio Montale
Una Luce esiste in Primavera
Non presente in qualsiasi altro periodo
Dell’anno
Quando Marzo è a malapena qui
Un Colore sta là fuori
Su Campi Solitari
Che la Scienza non può cogliere
Ma la Natura Umana avvertire.
(Emily Dickinson)
Non l’ho ancora detto al mio giardino -
Perché potrei esserne sopraffatta.
Non ho proprio la forza ora
Di svelarlo all’Ape.
Non ne farò parola nella strada,
perfino le botteghe stupirebbero ch’io
timida ed ignorante come sono,
abbia l’audacia di morire.
Emily Dickinson
Anche la mia :love:
No, non voglio baciarti in una giornata di sole. Non voglio che sia estate.
Non voglio che sia in mezzo alla folla.
Vorrei baciarti in una di queste sere d’inverno, quando il sole scolora nel grigio e nel freddo; quando sarà più facile trovare, insieme,
l’alba dentro l’imbrunire....
Pablo Neruda
Elizabeth Barrett Browning.
Se devi amarmi, per null’altro sia
se non che per amore.
Mai non dire:
“L’amo per il sorriso,
per lo sguardo,
la gentilezza del parlare,
il modo di pensare
così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno”.
Queste son tutte cose
che posson mutare,
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo
il tuo conforto, e perderti.
Soltanto per amore amami
e per sempre, per l’eternità.
Sublime
“Prato d’aprile” di Ada Negri
C’era un prato: con folte erbe, frammiste
a bianchi fiori, e gialli, e violetti;
e fra esse un brusio di mille piccole
vite felici; e se sull’erbe e i fiori
spirava il vento, con piegar di steli
tutto il prato nel sol trascolorava.
E volavan farfalle, uguali a petali
sciolti dai gambi; e si perdean rapidi
i miei pensieri in quell’aerea danza
ove l’ala era il fiore e il fiore l’ala.
Ma dov’era quel prato? Non so più.
E quel vento soave, che scendea
sull’erbe folte, a renderle
curve e beate, e me con loro, in quale
tempo io dunque l’intesi? Non so più.
Fu un sogno, forse. E che mai altro, o vita,
chiedere a te dovrei? Vita perduta,
nella tua verità non sei che un sogno.
Chi non è bello ha il torto di esistere;
la bellezza ama solo la bellezza.
Aprile volge le spalle a Gennaio.
La bellezza è perfetta.
La bellezza può tutto.
La bellezza è la sola cosa che non esiste a metà.
(Victor Hugo)
Sono nata il ventuno a primavera
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
Alda Merini
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vedere tutto intero il tuo volto
Il secondo per vedere i tuoi occhi
Il terzo per vedere la tua bocca
E l’oscurità intera per ricordare tutto questo
Mentre ti stringo fra le braccia.
Jacques Prevert
Primavera 1938 – Bertolt Brecht
Oggi, domenica di Pasqua, presto
Un’improvvisa tempesta di neve
si e’ abbattuta sull’isola.
Tra i cespugli verdeggianti c’era neve. Il mio ragazzo
mi ha portato verso un piccolo albicocco attaccato alla casa
strappandomi ad un verso in cui puntavo il dito contro coloro
che stanno preparando una guerra che
puo’ cancellare
il continente, quest’isola, il mio popolo,
la mia famiglia e me stesso. In silenzio
abbiamo messo un sacco
sopra all’albero tremante di freddo....
arriva la Settimana Santa. Quanti ricordi infantili, mi suscita questo periodo dell’anno! Ricordi prettamente infantili, quando, a metà della settimana, cominciavano le vacanze pasquali, e non si andava a scuola fino alla metà della settimana successiva; non erano lunghe come quelle natalizie, ma erano comunque bellissime. Poi c’erano i riti religiosi che la mia famiglia, essendo cattolica, seguiva scrupolosamente; nel pomeriggio tardo del venerdì santo si andava in chiesa, a visitare i Sepolcri; nello stesso giorno non si mangiava alcun tipo di carne; la sera, poi, si assisteva alla Via Crucis che era trasmessa dalla televisione. Il sabato iniziavano i preparativi per il giorno della Pasqua. Ora che è passato quasi mezzo secolo, mi rendo conto di quanto siano belli questi ricordi, così lontani che mi occorre frugare con insistenza nella memoria per farli riemergere. Pur avendo perduto da decenni la fede, ricordare questi eventi mi procura un benessere indescrivibile, poiché appartengono al periodo più felice della mia esistenza.
MERCOLEDÌ SANTO
di Nicola Moscardelli (1894-1943)
Le ore passano frettolose quasi timorose d'essere riconosciute.
Dietro i cancelli belano gli agnelli come se sapessero d'essere già stati venduti. Il loro belato purifica l'aria. Se il profumo delle margherite avesse una voce sarebbe simile a quella dell'agnello. La giornata passa presto tra sole e nuvolo come di marzo. Se un canto di donna si leva, subito si spegne.
Gli abitanti del paese sono distratti e sui calzoni di tutti i giorni portano la giacca nuova, perché la giornata è metà lavoro e metà festa.
Il tramonto arriva quando meno ci si pensa: rosso come d'estate.
Il belato degli agnelli nella sera che odora come un prato si ode appena appena, come se il sangue del tramonto fosse il loro.
(Da "Le grazie della terra", Carabba, Lanciano 1924