Condizione femminile: Costanza Miriano...e le altre
Ho letto "in diagonale" qualche copincollata di testi della Miriano, nuovo "mito ideologico" conogelatesco (o conogelatico? :mumble:). Per la precisione, tre. Penso che siano stati un "campione significativo" del "Suo Pensiero".
Avendoli in casa, a suo tempo, lessi (dalla prima all'ultima pagina) Simone de Beauvoir (Il secondo sesso ), Hanna Arendt (Vita Activa), ed, ovviamente, la Deledda e la Serao anche al liceo.
Grazie alla Miriano, sono andato a ricercarli. Tutti."La Madre" della Deledda ed "Il ventre di Napoli" dalla Serao.
Ed ho passato una mattinata (festiva) a ri-sfogliarli. Spolverando e togliendo ragnatele.
Conclusione?
Da quanto ho letto (poco e velocemente, lo riconosco. Ma anche qualche informazione complementare in rete...e conogelato sponsor), per quanto si riferisce alla condizione femminile, la figura di Costanza Miriano mi appare più fenomeno mediatico che personaggio "consistente ed originale".
Se ho ben compreso, propone un’immagine della donna centrata su sottomissione, complementarità e obbedienza, presentate come vie alla felicità matrimoniale e spirituale. I suoi libri, dai titoli provocatori, come "Sposati e sii sottomessa" o "Obbedire è meglio" hanno attirato l’attenzione proprio per la loro formula paradossale: il linguaggio provocatorio veste di apparente libertà quello che, nella sostanza, ripropone un modello tradizionale e gerarchico della donna.
Mi sembra che non sia la stessa linea delle figure che ho citato, che, penso, siano "autorevoli" in assoluto. Senza TV, senza like e senza sponsor, salvo la Storia.
Simone de Beauvoir smantella il concetto di femminilità come “destino naturale” e dimostra come la donna sia diventata “l’Altro” in una storia costruita al maschile. Nessuna “vocazione alla sottomissione” può essere considerata autentica se nasce in un mondo dove le possibilità della donna sono sistematicamente ridotte. L’idea che l’obbedienza sia una libera scelta si scontra con la realtà delle strutture educative, religiose e culturali che modellano i desideri e le identità.
La visione di vita di Costanza Miriano mi appare presentato come affermazione di libertà spirituale, e questo, nell'ottica di Simone de Beauvoir é solo una mistificazione della libertà: la donna che accetta la sottomissione perché educata a desiderarla, non è libera, ma plasmata da un sistema che la vuole funzionale, mite, rassicurante.
Hannah Arendt, non ha scritto direttamente sulla “questione femminile”, ma contribuisce profondamente alla riflessione sul ruolo delle donne nella società. In "Vita activa" , distingue tre dimensioni fondamentali dell’esistenza: lavoro, opera, azione. Quella che definirei "la sottomissione felice” propugnata da Costanza Miriano sembra collocare la donna quasi interamente nella sfera del lavoro domestico e del "biologico", escludendola dalla piena visibilità pubblica e dalla responsabilità politica.
Ma per Arendt, la dignità umana si esprime nell’azione: nella parola pubblica, nella pluralità, nella capacità di iniziare qualcosa di nuovo. Il "modo di vita"di Costanza Miriano, sarebbe come una rinuncia all’agire in senso arendtiano (me lo so' inventato io, si).
Rinuncia non solo alla libertà politica, ma anche alla dimensione più propriamente umana del vivere tra gli altri in modo non subordinato.
Grazia Deledda, invece, nel romanzo "La madre" ritrae una donna che incarna perfettamente il modello che la Miriano propone: devota, silenziosa, disposta a tutto pur di proteggere il figlio e preservarne la “purezza”. Tuttavia, la narrazione non è una celebrazione di questa abnegazione. È un dramma interiore in cui la madre è consunta dalla sua stessa dedizione.
Il dovere non è fonte di gioia, ma di angoscia. Il sacrificio è inevitabile, anche se non completamente giustificato.
Deledda, pur operando in un contesto profondamente tradizionale, lascia intravedere l’inquietudine profonda che si cela dietro il ruolo della “donna virtuosa”.
Quella che la Miriano presenta come scelta felice, è in realtà una condizione tragica, vissuta nella solitudine e nella repressione di sé.
Matilde Serao, con "Il ventre di Napoli" , offre un quadro duro ed impietoso della condizione femminile popolare nell’Italia post-unitaria. Le sue figure di donne , madri, serve, spose, sono spesso relegate alla pura sopravvivenza biologica, schiacciate dalla povertà e dalla religione come strumento di controllo. L’ideale femminile che emerge è tutto costruito dalla necessità e dall’obbedienza, senza alcuna idealizzazione di tale stato.
Anzi: il suo sguardo pietoso ma lucido svela la distanza tra virtù imposta e vita vissuta, tra predicazione morale e realtà materiale. Presentare oggi, come fa Costanza Miriano, quella sottomissione come una forma di “pienezza affettiva” appare dunque come negazionismo cieco delle sofferenze storiche che le donne hanno vissuto per uscirne.
La mia conclusione?
Cha vale quello che vale.
"Il pensiero" di Costanza Miriano, ben confezionato e "pompato" mediaticamente, presentato con toni ironici e rassicuranti, dissimula un impianto concettuale fortemente regressivo. Dietro l’invito a “sottomettersi con amore” si cela una visione ideologica della donna che, pur travestita-Dior ed imbellettata-Chanel da "libertà spirituale", rifiuta la complessità storica, sociale e politica della condizione femminile.
Hannah Arendt ci ricorda che l’essere umano diventa pienamente tale solo quando agisce nello spazio pubblico, nella pluralità e nella parola responsabile. Ridurre la donna a un ruolo domestico e funzionale, la esclude di fatto dall’azione, costringendola nella ripetizione "biologica" e nel silenzio. È la negazione della natalità arendtiana, cioè della capacità di dare inizio a qualcosa di nuovo nel mondo. Una visione che spegne la libertà nel momento stesso in cui pretende di affermarla.
Dall’altra parte, Matilde Serao ci ha mostrato il volto vero della “sottomissione”: quello di donne sfruttate, rese devote dalla fame e dalla paura, mai libere di scegliere. Prendere quel modello e riproporlo oggi come progetto volontario, è una forma raffinata di rimozione storica, se non di vero cinismo manipolatorio : è trasformare in virtù ciò che fu necessità e sofferenza.
Alla fine, qual'é questo millantato "Pensiero" ? No di certo, una vera riflessione culturale, ma un prodotto narrativo, mediatico prima che culturale o filosofico, che semplifica l’identità femminile fino a svuotarla di ogni tensione critica.
Le donne delle sue pagine non agiscono, non interrogano, non parlano davvero. E questo, in ultima analisi, è il vero problema: una voce femminile che chiede alle donne di tacere.
Ma forse, non avendo letto tutti libri, né assistito agli show tv, non ho capito nulla e travisato tutto.
Vassapé.