Conoscerai sicuramente Pareyson: ha dedicato gran parte della sua Vita proprio nella definizione di cosa possiamo intendere come Verità e come Valori.
"Il relativismo, sopprimendo la verità, è il padre di quella che si chiama crisi dei valori, dello scetticismo d’una parte della gioventù d’oggi e dell’irrazionalismo a cui per contraccolpo un’altra parte di essa si aggrappa, della totale incertezza della distinzione fra bene e male, anzi dell’indifferenza verso questa distinzione, con la conseguenza che tutto è egualmente lecito, donde lassismo, permissivismo, e, in fondo, disperazione. Ciò voleva dire Dostoevskij quando sosteneva: Se Dio non esiste, tutto è permesso. E soggiungeva: anche l’antropofagia. E infatti, se non c’è distinzione fra bene e male, perché escludere come male l’antropofagia? Per via consequenziale, ne potrebbe derivare, alla Jonathan Swift, una "modesta proposta": introduciamo l’antropofagia, che potrebbe essere la soluzione dei preoccupanti problemi della sovrappopolazione del globo e delle decrescenti risorse della terra.
La meditazione che ho così condotto mi ha portato ad affrontare il problema del male e della sofferenza, che con tanta intensità affliggono il genere umano, come s’è abbondantemente potuto constatare proprio in questo secolo. È a questo problema che mi sono dedicato negli ultimi anni e nel quale sono attualmente impegnato. Qui si presenta una constatazione preliminare, ed è che la filosofia si è dimostrata generalmente incapace di affrontare validamente questo problema. È solo da Kant, attraverso Schelling, in parte Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, l’esistenzialismo, che si è cominciato ad approfondire questo problema. Esso si trova invece egregiamente affrontato in quello che si può chiamare mito, nel senso più intenso del termine, cioè nell’arte, specialmente nella tragedia, sia antica come quella greca sia moderna come Dostoevskij, e nella religione, specialmente nella religione biblica e cristiana. Anche i filosofi che meglio hanno trattato il problema vi sono riusciti più come cristiani che come filosofi: alludo, ad esempio, a S. Agostino e Pascal. Dostoevskij non è stato un filosofo, ma la filosofia ha molto da imparare da lui, perché nessuno scrittore ha meditato con tanta profondità come lui sulla tragica condizione dell’uomo, così inesauribile nel fare e subire il male e così facile preda della sofferenza. E nessuna religione come la cristiana ha saputo interpretare l’uomo alla purissima luce del male e del dolore, al punto da coinvolgervi la stessa divinità. Già Hegel aveva messo la tragica vicenda del Dio sofferente e redentore al centro della stessa filosofia, ma per un paradossale capovolgimento ne era risultato un sistema che giustifica e quindi nega sia la sofferenza che il male. L’idea profonda della presenza del male e del dolore in Dio stesso, cioè al centro della realtà, come una grande vicenda cosmoteandrica, sta al centro dell’esperienza religiosa cristiana: saper penetrare con la riflessione filosofica in quel mistero, e renderlo parlante per tutti gli uomini, credenti o non credenti, può essere il compito e l’ambizione d’una filosofia che sappia imparare dall’esperienza religiosa senza pretendere di tradurla in termini filosofici e senza asservirsi ad essa, ma parlando il proprio linguaggio e mantenendo la sua rigorosa autonomia."
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Luigi Pareyson (Piasco, 4 febbraio 1918 – Milano, 8 settembre 1991) è stato un filosofo e accademico italiano.
Nato il 4 febbraio 1918 a Piasco, in provincia di Cuneo, da genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, si laureò in Filosofia all'Università degli Studi di Torino a soli ventun anni, nel 1939, con una tesi dal titolo Carlo Jaspers e la filosofia dell'esistenza, che poi venne pubblicata nel 1940 dall'editore Loffredo di Napoli. Durante l'università, compì spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere personalmente Jacques Maritain, Karl Jaspers e Martin Heidegger.[2]
Per la sua precocità, si fece notare dai più importanti filosofi del tempo, tra i quali Giovanni Gentile.
Allievo di Gioele Solari e Augusto Guzzo, dopo aver seguito in Germania i corsi di Karl Jaspers, insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Camillo Benso di Cavour di Torino e al liceo classico di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della Resistenza italiana, tra i quali Uberto Revelli e Ildebrando Vivanti. Nel 1944 fu arrestato per alcuni giorni. In seguito agì nella Resistenza, insieme con Norberto Bobbio, Leonardo Ferrero, Duccio Galimberti e Pietro Chiodi e Maurilio Carle, continuando a pubblicare anonimamente articoli sui temi della scuola e dell'educazione.
Nel dopoguerra insegnò al liceo classico Vincenzo Gioberti e in vari atenei tra cui l'Università di Pavia e quella di Torino dove, conseguito l'ordinariato nel 1952, ebbe la prima cattedra di estetica, appositamente creata per lui. Nel 1964 passò alla cattedra di storia della filosofia che resse fino al pensionamento, nel 1984, quindi la nomina a professore emerito, nel 1988.
Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Luigi Stefanini che la fondò nel 1956 a Padova.
Ebbe molti allievi, fra cui Umberto Eco, Gianni Vattimo, Valerio Verra, Francesco Tomatis, Mario Perniola, Sergio Givone, Giuseppe Riconda, Diego Marconi, Giuseppe Massimino, Marco Ravera, Ugo Perone, Claudio Ciancio, Maurizio Pagano, Aldo Magris e Valerio Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro della Repubblica e sindaco di Torino.
Morì nel 1991 a Milano.