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Tempo di Carnevale
Carlino, è già tempo di Carnevale ! Le feste si susseguono. E’ trascorso poco tempo dall’arrivo dei re Magi e la conclusione delle solennità religiose, già cominciano le feste pagane. Un po’ di tregua, per favore, altrimenti mi viene una crisi d'ansia.
Nei telegiornali stanno facendo vedere le sfilate dei carri, balli e baldorie, che noia.
“La noia” è anche il titolo del brano musicale cantato da Angelina Mango che ha vinto il Festival di Sanremo, che ovviamente disdegno.
Ti faccio leggere quel che scrissi alcuni anni fa (in un articolo per un giornale) sul Carnevale mentre ero a Venezia con una mia amica.
Ho passeggiato tra calle, campi e campielli per guardare gli adulti mascherati. Essi desiderano far vedere i loro abiti di “scena”, spesso molto costosi. Gioiscono e ringraziano se ricevono i complimenti per il loro abbigliamento, gradiscono farsi fotografare o riprendere dalle telecamere. In questa occasione piazza San Marco sembra un set cinematografico, con dame e cavalieri che passeggiano e vanno verso Riva degli Schiavoni o nella calle che conduce nel Campo San Moisé e al Ponte dell’Accademia; altri camminano nelle quattro strade dette delle “Mercerie” (la “Marzaria de l’orologio per Rialto”, seguono la “Marzaria San Zulian”, la “Marzaria del Capitello” e la “Marzaria San Salvador”) fino al cinquecentesco ponte di Rialto che unisce le due opposte rive del Canal Grande.
La sera le luci illuminano piazza San Marco, gremita dalle persone mascherate che sostano nei portici delle Procuratie Vecchie e Nuove, in particolare davanti al Caffè Florian o all’interno dello stesso bar, dove si siedono intorno ai piccoli tavolini anche per farsi ammirare e fotografare dai passanti davanti le sei vetrate del locale.
Lo scenario evoca due famosi personaggi del ‘700 veneziano Carlo Goldoni e Giacomo Casanova.
Carlo Goldoni (1707-1793) cita il Carnevale di Venezia in alcune delle sue commedie: “La vedova scaltra”, “ I rusteghi”, “Le massere”, “Le morbinose”. E ciò che narra è importante anche come fonte documentaria dell’epoca.
Sul carnevale Goldoni scrisse questa filastrocca:
La stagion del Carnevale
tutto il mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
Carnevale fa rallegrar.
Chi ha denari se li spende;
chi non ne ha ne vuol trovar;
e s'impegna, e poi si vende,
per andarsi a sollazzar.
Qua la moglie e là il marito,
ognuno va dove gli par;
ognun corre a qualche invito,
chi a giocare e chi a ballar.
Anche Giacomo Casanova (1725 – 1798) nel periodo di Carnevale usava nascondersi il viso con una maschera, e come altri, in quelle notti veneziane attraversava calli, campi e campielli indossando il mantello nero ed il cappello.
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Si mascheravano i ricchi e i poveri, i giovani per sembrare donne, i miseri per entrare nelle corti dei nobili, le dame per avere avventure amorose.
E’ la Venezia del ’700, quella di Giacomo Casanova e di Giorgio Baffo, poeta erotico che abitava in Campo San Maurizio e per un periodo insegnò al Casanova l’arte della seduzione.
Giorgio Baffo ebbe molta influenza negli anni dell’infanzia di Giacomo Casanova. Fu lui che convinse la famiglia a mandare Giacomo a studiare a Padova e sempre lui lo presentò al senatore Malipiero che divenne suo protettore per un lungo periodo della sua vita.
A Venezia c’è il museo del Settecento veneziano, ospitato nel bel palazzo “Cà Rezzonico”, invece nel nobiliare Palazzo Mocenigo, ci sono al primo piano affreschi e arredi della seconda metà del Settecento, ed ospita il Centro studi di storia del tessuto e del costume: nelle sale sono allestiti diversi aspetti della vita e delle attività del patriziato veneziano tra il XVII ed il XVIII secolo. Sono esposti abiti con ricami, merletti e numerosi accessori.
segue
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Carnevale di Venezia. Piazza San Marco: un incontro casuale e l’irresistibile "colpo di fulmine".
A volte la vita ci fa regali meravigliosi, crea le circostanze affinché dal nulla scaturisca una scintilla inaspettata, e s’avvera il miracolo.
I miei occhi hanno incontrato quelli di una sconosciuta donna vestita da dama del ‘700 ed ho avvertito una forte emozione. Gli sguardi, un sorriso, la reciproca attrazione.
Quel bel viso mi ha fatto volare con la fantasia ed ho pensato alla sua complicità, mi son lasciato coinvolgere dall’illusione di felicità.
Poi quella donna attraente è scomparsa tra la folla, quella scintilla si è spenta.
Per dimenticare sono andato come osservatore non partecipante alla “Scuola grande della misericordia” per assistere al “Ballo del doge”, appuntamento tra i più raffinati e sontuosi del jet set internazionale, per festeggiare come nel ‘700 veneziano la trasgressione del Carnevale.
Ci sono spettacoli e balli anche durante la fastosa cena di gala.
I partecipanti indossano tutti i costumi storici veneziani e sono i protagonisti di questa incredibile festa.
L’evento è riservato ad ospiti appartenenti alla cosiddetta élite con attitudine cosmopolita e con codici di comportamento affini in ogni parte del mondo. Per questi, la cultura non è ancillare alla ricchezza, ma la cultura senza ricchezza è forse poca cosa…
Il detto “la classe non è acqua” si usa per dire che la classe, ovvero il modo di comportarsi di una persona, è una caratteristica rara e non comune come l'acqua.
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Il carnevale di Venezia è conosciuto in tutto il mondo per la sua coreografia teatrale, doxa la hai ben descritta come tua percezione nell'incontrare le persone mascherate e sotto certi aspetti pure inebriante, la sensazione che tutto quello che c'è nelle fastose vesti soprattutto femminili con la fissità della maschera indossata che esprime un qualcosa di attraente direi colmo di curiosità di chi c'è dietro la maschera e la scelta di essa mi da l'impressione che disinibitamente esprimi la personalità sia nelle dame che nei cavalieri.
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Nei miei luoghi c’è ancora la tradizione che le maschere del paese, dai più piccoli agli adulti ed anche più in là con l’età, con fisarmoniche e tamburi, tutti in gruppo, visitino le case come oggi, ed in cambio di due risate e battute, magari un giro di ballo, si aspettano un obolo per il carro allegorico allestito. Quest’anno la sfilata dei carri si terrà appena il prossimo sabato, a causa del maltempo.
Chi posta La canzone di Bacco e Arianna?
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Il Carnevale per me è oltre a quello di Venezia che è bellissimo, ma è altrettanto bello quello di Putignano che ho vissuto anni fa guardando i carri allegorici e la gente che si divertiva!
Ricordo che c'era un freddo che spaccava, ma riscaldava la musica, i coriandoli e la gente che ballava e cantava. :shy:
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Citazione:
Originariamente Scritto da
follemente
Chi posta La canzone di Bacco e Arianna?
Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Quest’è Bacco e Arïanna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia
di doman non c’è certezza.
Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo
se non gente rozze e ingrate:
ora, insieme mescolate,
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio, è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s’altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi siam, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c’ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
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Simpatica, divertente, calza bene con il carnevale. Non ne ero a conoscenza.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Durante
Simpatica, divertente, calza bene con il carnevale. Non ne ero a conoscenza.
E' un canto carnascialesco di Lorenzo il Magnifico.
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E questa, La maschera di Trilussa, vi piace?
Vent’anni fa m’ammascherai pur’io!
E ancora tengo er grugno de cartone
che servì p’annisconne quello mio.
Sta da vent’anni sopra un credenzone
quela Maschera buffa, ch’è restata
sempre co’ la medesima espressione,
sempre co’ la medesima risata.
Una vorta je chiesi: “E come fai
a conservà lo stesso bon umore
puro ne li momenti der dolore,
puro quanno me trovo fra li guai?
Felice te, che nun te cambi mai!
Felice te, che vivi senza core!”.
La Maschera rispose: “E tu che piagni
che ce guadagni? Gnente! Ce guadagni
che la gente dirà: Povero diavolo,
te compatisco… me dispiace assai…
Ma, in fonno, credi, nun j’importa un cavolo!
Fa’ invece come me, ch’ho sempre riso:
e se te pija la malinconia
coprete er viso co’ la faccia mia
così la gente nun se scoccerà…”.
D’allora in poi nascónno li dolori
de dietro a un’allegia de cartapista
e passo per un celebre egoista
che se ne frega de l’umanità!
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Lady Folle, leggere la poesia di Trilussa per me è come ascoltare un amico che parla lo stesso dialetto (nel suo caso del passato). Invece per te è difficoltoso capire il significato delle sue parole ?
Per oggi concludo la mia partecipazione al forum dedicandoti questo post :D
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“Girotondo delle mascherine” (filastrocca di autore sconosciuto)
"Girotondo, girotondo,
noi giriamo tutto il mondo.
C'è Gianduia e Meneghino,
Pulcinella e Arlecchino.
C'è Brighella e Pantalone,
Meo Patacca e Balanzone,
Beppe Nappa siciliano,
Stenterello che è toscano...
Girotondo, girotondo,
noi viaggiam per tutto il mondo,
e con noi portiam la gioia
che è nemica della noia".
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Gentilissimo, grazie!
Il dialetto di Trilussa mi è chiarissimo e lo adoro.:love:
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La maschera di Trilussa che hai postato mi ha fatto ricordare una frase che pronunciò un manager di una multinazionale. Disse piangi e piangerai da solo, sorridi e il mondo sorriderà con te.
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Simile al nostro Carnevale è un’allegra festa popolare ebraica denominata “Purim”, dura due giorni ed i bambini si mascherano.
Questa festività avviene nel mese di Adàr, che può essere di 29 o 30 giorni ed è il sesto mese nel calendario luni-solare ebraico di tipo ordinario, costituito da 12 mesi, e da 13 mesi negli anni bisestili. Tale variabilità fa corrispondere l’Adàr al mese di febbraio od anche marzo del calendario gregoriano.
Il Purim comincia il 14 del mese di Adàr e si conclude al tramonto del giorno successivo. La ricorrenza è preceduta da un giorno di digiuno, detto “digiuno di Ester”, ragazza ebrea orfana, che circa 2500 anni fa venne scelta come moglie dal sovrano persiano Assuero e salvò il popolo ebraico dal complotto di Aman, il perfido consigliere che voleva indurre il re a sterminare tutti gli ebrei nel suo regno. Per commemorare lo scampato pericolo fu istituita la festa di Purim, che nella lingua ebraica significa "sorte", perché il giorno stabilito per la tentata strage fu scelto sorteggiandolo. Questo racconto è nel “Libro di Ester”, contenuto nella Bibbia ebraica ed in quella cristiana.
Il precetto del digiuno che precede il Purim va rispettato dall’alba al tramonto. Poi è prevista la cena, lo scambio di doni, le offerte per i poveri ed i pasticcini di forma triangolare denominati le “Orecchie di Haman“, con semi di papavero ed altri ingredienti.
La sera del 14 di Adar e la mattina successiva nelle sinagoghe viene letta la Meghillah o “Libro di Ester”, che in dieci capitoli narra la sua storia, ma la lettura viene interrotta dai presenti nel tempio ogni volta che viene nominato il malvagio Haman, citato nel predetto libro per 77 volte: lo disapprovano a voce alta oppure battono i piedi sul pavimento, ma l’oggetto caratteristico più usato per non far udire il nome infausto è il gragger, che viene fatto roteare per produrre forte rumore.
Il “gragger” è simile allo strumento musicale “tric-trac” di legno.
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Caro Cono, eroico combattente della fede cristiana, oggi ti voglio raccontare un po’ di storia del Carnevale di Venezia. Il primo documento che lo cita come usanza è dell’anno 1094, firmato dal doge Vitale Falier. Ma fu un editto del 1296 del Senato della “Serenissima” ad istituirlo come festa pubblica autorizzata.
Dopo circa 700 anni, nel 1797, a seguito del “Trattato di Campoformio”, Venezia venne ceduta all’Austria, che bandì molte usanze, fra le quali il Carnevale. Questo fu ricominciato nel 1979 da alcune associazioni cittadine ed è ormai famoso in tutto il mondo.
Il travestimento tipico veneziano, che risale al '700, veniva indossato sia dagli uomini che dalle donne: si compone di tre elementi: una particolare maschera bianca denominata baùta (si pronuncia con l’accento sulla ù), il tricorno di colore nero (= cappello a tre punte), il mantello nero, detto anche tabarro o jabod.
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La baùta, di colore bianco, è la maschera tradizionale del Carnevale veneziano.
La conformazione della maschera permette anche di bere e mangiare senza doverla togliere e mantenere l’anonimato.
Nel passato il carnevale veneziano attirava chiunque avesse denari da spendere e voglia di vivere situazioni fuori dall’ordinario. Non solo nelle feste dei palazzi ma anche nelle sale da gioco. La più antica, gestita dallo Stato, era quella nel Palazzo Dandolo. Ricchi giocatori, non solo veneziani ma anche stranieri, spendevano molti soldi nei tavoli da gioco proprio perché si sentivano tutelati dall’anonimato della maschera, che era obbligatoria.
La bauta veniva indossata da ricchi e poveri, uomini e donne, aristocratici, borghesi e religiosi, che si confondevano celando la propria identità.
Cono, immagina la scena: individui avvolti dal tabarro, il viso nascosto dalla maschera, sul capo il tricorno. Camminano tra le calli avvolte nella nebbia ed entrano in un palazzo illuminato dalle candele. Si levano il mantello svelando qualcosa di sé dagli abiti che indossano e dalla forma del corpo che si intuisce sotto i vestiti.
Si scrutano a vicenda attraverso le fessure della maschera cercando di indovinare la persona che si cela.
Solo il Carnevale consentiva di vivere situazioni come queste, irresistibili agli occhi dei visitatori stranieri. Il fascino della città sospesa tra terra e acqua unita alla trasgressione resa possibile dall’anonimato.
Le donne come maschera per il viso anziché la bianca baùta usavano la “moreta” (o moretta) cosiddetta perché di colore nero.
Ci sono numerosi dipinti a Venezia che testimoniano l’utilizzo di questi indumenti. Appaiono, in particolare nelle opere pittoriche di Pietro Longhi e Francesco Guardi. Te ne farò vedere alcuni prima della Quaresima: per te è tempo di contrizione, di meditazione e non posso indurti in tentazione.
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Animo nobile, grazie per la sensibilità :lode:
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Buongiorno Cono, stamane di Venezia ti offro la veduta della Ca’ Rezzonico.
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L’edificio prospetta sul Canal Grande. Fu progettato da Baldassarre Longhena su incarico della nobile famiglia Bon. Il cantiere venne aperto nel 1667 ma per difficoltà economiche dei committenti la costruzione venne lasciata incompiuta.
Nel 1751 Giambattista Rezzonico l’acquistò e lo fece completare. Il cantiere chiuse nel 1758.
Lo so, la tua curiosità ti motiva a chiedermi chi erano i Rezzonico, ed io brevemente ti dico che un primo Rezzonico documentato a Venezia si chiamava Aurelio, ed era l'anno del Signore 1638. Era, originario della provincia di Como e dedito all’attività finanziaria e al commercio. Era un discendete dei conti Della Torre di Rezzonico, da cui il cognome.
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Castello di Rezzonico, costruito nel 1363 dal feudatario Della Torre, poi Della Torre-Rezzonico.
Il maniero è situato nella sponda nord-occidentale del Lago di Como.
Dal 1687 il ramo veneziano dei Rezzonico entrò a far parte del patriziato della città lagunare. Di questa famiglia faceva parte Carlo Rezzonico (1693 – 1769), che il 6 luglio 1758 fu eletto al soglio pontificio col nome di Clemente XIII.
Ora Cono virtualmente saliamo lo scalone d’onore per poi entrare in quel che fu il bel salone da ballo, ancor oggi ornato con gli affreschi e i lampadari di Murano.
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Nei tre piani dell’edificio si dipana il Museo del Settecento Veneziano. Possiamo ammirare i mobili, le porcellane i lampadari, ecc., ma in particolare i capolavori di Giambattista e Giandomenico Tiepolo. Nella collezione di quadri ci sono i dipinti dedicati a Venezia da Guardi, Canaletto e Longhi.
Nel prossimo post ti offro la foto di un dipinto di Francesco Guardi riguardante il Carnevale di Venezia.
segue
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https://www.visitmuve.it/wp-content/...Il-Ridotto.jpg
Francesco Guardi, Il Ridotto, olio su tela, 1746 - 1750, Museo del Settecento Veneziano, Ca’ Rezzonico, Venezia
In questo dipinto è raffigurata la sala grande del Ridotto. Si vedono anche altre sale più piccole con i giocatori.
Il “Ridotto” era la sala da gioco nel Palazzo Dandolo a San Moisé. Era frequentato anche da Giacomo Casanova.
Veniva aperto in occasione del lungo periodo di Carnevale veneziano, che nel ‘700 si dilungava dal 26 dicembre al mercoledì delle Ceneri.
Poiché il gioco d’azzardo era per legge illegale, il Ridotto di San Moisè, aperto nel 1638, era l’unico ad essere considerato legittimo, ed era gestito dallo Stato: la Repubblica di Venezia.
I frequentatori erano obbligati ad indossare la maschera, di solito la baùta: bianca per gli uomini, nera per le donne. Erano esclusi dall’obbligo i nobili addetti ai banchi di gioco (i croupiers) che dovevano indossare la parrucca e la toga nera; venivano stipendiati dal governo. Erano nobili impoveriti, appartenenti alle famiglie meno ricche; venivano denominati “Barnabotti”, nome che deriva dalla parrocchia di San Barnaba.
Questa casa da gioco accoglieva veneziani e stranieri, nobili e gente comune, ricchi e poveri. Fu quindi quasi naturale che in tale ambiente iniziassero a diffondersi attività come la prostituzione e l’usura. La presenza continua nelle sale di usurai e meretrici, il problema della dissipazione dei capitali con il gioco d’azzardo, gli oscuri rapporti d’affari tra gli usurai e i Barnabotti, motivarono la magistratura più temibile della Serenissima, il Consiglio dei X, a decretare la chiusura di questo Ridotto nel 1774.
Ed ora passiamo all’immagine.
E’ evidente la promiscuità degli strati sociali osservando i loro vestiti.
A destra, c’è una donna che indossa un abito bianco tiene in mano un fuso e una conocchia (attributo distintivo delle prostitute) vicina ad un Barnabotto che sembra dare ad un uomo una chiave, presa dal mazzo di chiavi: un fatto di facile interpretazione.
Sull’estrema sinistra un altro Barnabotto è intento a prestare denari ad un nobiluomo mascherato.
Un bambino gioca con il cagnolino.
p. s. La sorella di Francesco Guardi, Maria Cecilia, nel 1719 si unì in matrimonio col famoso pittore Giovan Battista Tiepolo.
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Gabriele D’Annunzio, Carnevale vecchio e pazzo
Carnevale vecchio e pazzo
s’è venduto il materasso
per comprare pane e vino
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia a un pallone.
Beve e beve e all’improvviso
gli diventa rosso il viso,
poi gli scoppia anche la pancia
mentre ancora mangia, mangia…
Così muore Carnevale
e gli fanno il funerale,
dalla polvere era nato
ed in polvere è tornato.
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Concludo questo thread con due dipinti del pittore veneziano Pietro Longhi (1702 - 1785), custoditi a Venezia nella pinacoteca della Fondazione Querini-Stampalia, nell’omonimo palazzo del XVI secolo.
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Venezia: Palazzo Querini Stampalia
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Palazzo Querini-Stampalia, una veduta d’interno
https://th.bing.com/th/id/R.f77daf0d...pid=ImgRaw&r=0
Pietro Longhi, Il Ridotto, olio su tela, 1750 circa, Pinacoteca Querini-Stampalia, Venezia
Questa composizione fu ispirata al Longhi da un precedente dipinto realizzato da Francesco Guardi, custodito alla Ca’ Rezzonico (vedi precedente post).
La scena si svolge nel salone centrale del Ridotto di Palazzo Dandolo a San Moisé.
La scena del "Ridotto" occupò la fantasia del Longhi in numerose versioni.
https://upload.wikimedia.org/wikiped...hi-ridotto.jpg
Pietro Longhi, il Ridotto di Ca' Giustinian, olio su tela, 1750 circa, pinacoteca Querini-Stampalia
Una copia è a Bergamo all'Accademia Carrara
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Allegati: 1
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Carlino, sei sempre il benvenuto ! :approved::clap
Il dipinto di Pieter Brueghel il Vecchio (Lotta tra Carnevale e Quaresima) giunge “a cecio” o se preferisci “a faciolo” (idioma in romanesco che comprendi, ma per gli altri… significa = al momento giusto). Infatti quest’anno il “Mercoledì delle Ceneri” è coinciso con la “Festa degli innamorati” e penso che pochi siano andati in chiesa per ricevere dal celebrante la cenere sul capo o sulla fronte e sentirsi dire:“Ricòrdati, Uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai.”(Meménto, homo, quia pulvis es, et in púlverem revertéris).
Col passar del tempo non c'è più la "lotta tra il Carnevale e la Quaresima". Infatti dai giornali ho appreso che molti “innamorati” quest’anno anziché festeggiare al ristorante hanno preferito le cosiddette “spa”, altro che cenere sulla fronte o sul capo....
Di questo dipinto di Pieter Brueghel il Vecchio ho nel mio documento virtuale un post che ho collocato nel forum ma non ricordo quando e in quale topic. Lo ripeto
https://warekaoshouse.files.wordpres...brueghel-2.jpg
Pieter Bruegel il Vecchio: “Lotta tra Carnevale e Quaresima”, dipinto ad olio su tavola; 1559, Kunsthistorisches Museum, Vienna.
Il cognome di questo artista fiammingo era Brueghel, ma in questo quadro si firma col cognome Bruegel. E tale cognome usò dal 1559 per firmare i suoi dipinti.
Pieter Bruegel o Brueghel è indicato come il Vecchio per distinguerlo dal figlio primogenito, Pieter Bruegel, detto “il Giovane”.
Il noto dipinto “Lotta tra Carnevale e Quaresima” esprime simbolicamente la contrapposizione tra la “festa” e la “penitenza”, la transizione tra i due periodi liturgici.
Per comprendere la struttura narrativa di questa raffigurazione bisogna immaginarla divisa in due parti da una linea verticale, che dalla casa centrale in alto scende verso il basso e passa nel breve spazio antistante tra l’uomo panciuto sulla botte ed il carrello trainato da due religiosi.
Sulla sinistra c'è il riferimento al Carnevale con persone che mangiano, bevono, ballano giocano di fronte l’osteria de “La sposa sudicia”, che narra di un matrimonio tra zingari. Sulla destra, invece, personaggi e scene evocano il periodo della Quaresima.
Anche la composizione architettonica denota il contrasto tra le due realtà. Sulla sinistra c’è la locanda con due botti per il vino vicino l’entrata; sulla destra c’è la chiesa, da dove escono i fedeli.
Il Carnevale è simboleggiato dall’’uomo obeso (con la camicia celeste ed i calzoni rossi a cavalcioni sopra una botte per il vino) che sorregge con la mano destra lo schidione dove sono infilzate varie carni. Sulla testa ha un cesto con altri cibi, mentre un prosciutto, trapassato da un coltello, è affisso sul coperchio della botte. In terra ci sono alcune carte da gioco, il guscio di un uovo e delle ossa, ben visibili negli ingrandimenti fotografici dei particolari.
La Quaresima è impersonata da un’anziana donna (somigliante ad un uomo), alta e magra, dal volto triste, seduta nella sedia che è su un carrello trainato da una monaca e da un frate. La donna che raffigura la Quaresima contrappone allo schidione del Carnevale una pala da fornaio con sopra due aringhe, che simboleggiano i cibi permessi dalla Chiesa durante i periodi di penitenza o di astinenza dalle carni.
Un richiamo alla carità nel periodo di Quaresima è rappresentato dall’uomo (nell’angolo in basso a destra) che dona alcune monete ad una povera donna seduta che chiede l'elemosina ed ha il suo bambino sdraiato su una sedia rovesciata sul ciglio della strada.
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Mi sono ricordata di uno strumento simile che mi aveva costruito mio padre, che si usava proprio per scacciare " gli spiritelli maligni".