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Capire la Bibbia
Per capire la Bibbia bisognerebbe ragionare come ragionava chi l’ha scritta. Proviamo innanzi tutto a ragionare sull’anima.
Da “Breve storia dell'anima” di Gianfranco Ravasi
[[ Infatti, nonostante l’abitudine consolidata, il ricorso al vocabolo ebraico nefesh per designare l’anima è in verità insufficiente. Se consideriamo la ricchezza delle connotazioni, dei contenuti, delle funzioni che noi attribuiamo alla parola “anima” , dobbiamo riconoscere che è necessario andare alla ricerca di altri vocaboli biblici da allegare al discorso sull’anima. Così deve essere coinvolto anche il termina ruah, “spirito”, che è la condizione della nefesh e ne regola la forza.
Senza nefesh un individuo muore, ma senza ruah una nefesh non è un’autentica nefesh.
La ruah è allora un principio vitale, un’indispensabile energia vitale che sostiene la nefesh.
Ma è necessario convocare anche un’altra parola, leb, “cuore”; essa senza escludere l’aspetto emotivo-sentimentale, esprime in realtà la coscienza, la ragione, la volontà, la decisione, funzioni fondamentali della persona, da noi correlate all’anima. In sostanza nefesh è l’anima nella sintesi della sua totalità come si manifesta, mentre il “cuore” e l’anima nel suo valore interiore. La stessa basar, “carne”, che nella concezione greca è in netta collisione coll’anima, per la Bibbia è invece soltanto una specificazione dell’essere vivente e quindi anche della nefesh; è la nostra finitezza, la qualità esistenziale della creatura umana, fragile e limitata, diversa dalla sussistenza perfetta di Dio infinito ed eterno.
Significativa è questa comparazione tra la potenza umana, incarnata dall’Egitto e dalla sua poderosa cavalleria, e quella superiore divina: “l’egiziano è un uomo e non un Dio, i suoi cavalli sono carne (basar) e non spirito (ruah)” (Is. 31,3).
Anche la dichiarazione giovannea sul Logos, il Verbo divino si fa “carne”, va nella stessa direzione: l’Infinito e l’Eterno assumono lo statuto della “carne” umana, ossia la contingenza, la debolezza, la spazialità e la temporalità limitata (Gv 1,14).
La basar biblica non è, quindi, il “corpo” in senso stretto, ma è la rappresentazione dello stato della creatura umana in particolare e, più generalmente, di ogni vivente, quello di essere limitati, deboli, destinati alla fine.
In questa luce, anche gli organi non sono soltanto componenti fisiologiche, ma descrivono e sono metafore di funzioni dell’essere vivente e quindi anche dell’anima: il capo, il volto, gli organi interni (le viscere), il sangue. Persino le ossa diventano espressione dell’interiorità e sono messe in parallelo all’anima: “la mia nefesh-anima esulta nel Signore [….] e tutte le mie ossa dicono: Chi è come te, Signore? “(Sal 35,9-10).
La corporeità, anche nella sua parte più esteriore, è dunque per la Bibbia espressione di una struttura interiore ed è sempre protesa a definire l’io dell’uomo e la sua stessa realtà intrinseca. ]]
A mio avviso, continuando in questo senso è più facile comprendere chi ha scritto la creazione ed il senso del bene e del male attribuito a Dio ed all’uomo.
Mi piacerebbe arrivarci insieme a voi.
Ps. da considerare ruah con l'accento circonflesso sulla u; leb sulla e.
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Caro crepuscolo, della parola ruah ho questa comprensione, dal momento che traduce bene la parola "soffio". Ed é cioé l'alito che Dio soffia nelle narici di Adamo per dargli la vita (Genesi 2, 7).
Ed é anche il soffio di cui parla Qoelet e che maldestramente l'italiano traduce con "vanità". `
Nella bibbia unitaria tedesca si legge così:
»Windhauch, Windhauch das ist alles Windhauch« (Qoelet 1,2). (Un soffio, un soffio, tutto non é che un soffio)
nelle edizioni italiane : «Vanità delle vanità...tutto è vanità» (IDEM).
E quindi la nostra esistenza altro non é che quel soffio che da vita al fango, fine del soffio, fine della nostra esistenza.
Lo ritroviamo anche nel Corano 15,29:
"quando poi lo avrò plasmato e avrò insufflato in lui del Mio spirito (فَإِذَا سَوَّيْتُهُۥ وَنَفَخْتُ فِيهِ مِن رُّوحِى فَقَعُوا۟ لَهُۥ سَـٰجِدِينَ - Ruh)
prosternatevi davanti a lui".
Sugli altri temi che hai toccato, non mi sento competente.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
King Kong
Caro crepuscolo, della parola ruah ho questa comprensione, dal momento che traduce bene la parola "soffio". Ed é cioé l'alito che Dio soffia nelle narici di Adamo per dargli la vita (Genesi 2, 7).
Ed é anche il soffio di cui parla Qoelet e che maldestramente l'italiano traduce con "vanità". `
Nella bibbia unitaria tedesca si legge così:
»Windhauch, Windhauch das ist alles Windhauch« (Qoelet 1,2). (Un soffio, un soffio, tutto non é che un soffio)
nelle edizioni italiane : «Vanità delle vanità...tutto è vanità» (IDEM).
E quindi la nostra esistenza altro non é che quel soffio che da vita al fango, fine del soffio, fine della nostra esistenza.
Lo ritroviamo anche nel Corano 15,29:
"quando poi lo avrò plasmato e avrò insufflato in lui del Mio spirito (فَإِذَا سَوَّيْتُهُۥ وَنَفَخْتُ فِيهِ مِن رُّوحِى فَقَعُوا۟ لَهُۥ سَـٰجِدِينَ - Ruh)
prosternatevi davanti a lui".
Sugli altri temi che hai toccato, non mi sento competente.
Caro King Kong proviamo a capire bene insieme perché anch’io imparo cercando di approfondire, servendomi per questo di testi seri ed impegnati.
“Il Signore Dio soffiò nelle narici dell’uomo”
Ecco il primo verso; esso è tratto dal secondo racconto della creazione, quello dei capitoli 2-3 d ella Genesi. Leggiamo attentamente tenendo conto della terminologia ebraica scelta dall’antico autore sacro (si è soliti parlare di questo brano come frutto della tradizione jahvista, sorta forse nel X secolo a.C.): “ Il Signore Dio plasmò l’uomo (‘adam) con polvere della terra (‘adamah),soffiò sulle sue narici una nishmat-hajjim e l’uomo (‘adam) divenne una nefesh hajjah ” (Gen 2,7). Non abbiamo tradotto le due locuzioni che più strettamente toccano il tema dell’anima e che sono di difficile resa. Come è evidente, il versetto in poche ma pertinenti ed accurate parole delinea la creazione dell’uomo.
Iniziamo la nostra analisi dal primo elemento simbolico, la polvere della terra.
Si noti anzitutto il gioco di parole che intercorre tra ‘adam, “uomo”, e ‘adamah, “terra”; i due termini alla base hanno la stessa radice ebraica ‘dm che evoca il colore ocra dell’argilla del suolo. L’immagine è ulteriormente esaltata dal simbolismo del vasaio suggerito dal verbo indicante l’azione creatrice divina, il “plasmare”. L’idea nel suo insieme è limpida: l’uomo ha un legame costituzionale con la materia, con il creato che lo circonda. E’ questo il segno della sua fragilità, della sua finitudine, del suo limite, della sua mortalità: è ciò che poteva essere espresso con il vocabolo basar, “carne”,.
L’immagine plastica per descrivere la creazione dell’uomo e definirne la materialità o carnalità debole ed inconsistente, la sua limitatezza nel tempo e nello spazio è frequente nell’Antico Testamento ed ha variazioni suggestive, come quella del tipo nomadico-pastorale del cacio plasmato: “ Non mi hai colato come latte e fatto cagliare come cacio? Non mi hai rivestito di pelle e di carne, non mi hai intessuto di ossa e di tendini? ” (Gb 10,10-11). Si noti, in questo passo, l’introduzione anche del simbolismo “tessile”.
Ciò che preme far notare è che l’immagine in questione non è orientata a definire una componente dell’essere umano, come potrebbe essere il corpo, disprezzato dalla cultura greca proprio per la sua bruta e grezza materialità. Con il simbolo del vasaio si vuole, invece, ricordare una qualità esistenziale e strutturale della creatura umana, ossia la sua contingenza, il suo limite, la sua mortalità, nella consapevolezza comunque che anch’essa dipende dal Creatore a cui l’intero essere viene ricondotto.
Ma facciamo un passo in avanti nell’analisi del nostro versetto.
L’uomo ha un’altra qualità, quella di essere una creatura vivente. Entra allora in gioco un altro simbolismo, quello dell’insufflazione nelle narici per introdurre il respiro, simbolismo comune ad altre culture dell’antico vicino Oriente: “ Il Signore Dio soffiò nelle narici “ dell’uomo appena “plasmato”. In pratica, sia pure senza usarlo, l’autore sacro introduce l’altro vocabolo antropologico caratteristico, ruah, lo spirito vivificatore. Si legge, infatti, nel bel Salmo 104,30: “Mandi il tuo spirito, ed essi sono creati”. La base simbolica della parola ruah è appunto il “vento”, che ben esprime il soffio vitale dell’uomo, il suo respiro. In senso stretto questa insufflazione divina è destinata anche agli animali, che posseggono essi pure la ruah, il respiro della vita, come appare in una pagina apparentemente sconcertante e provocatrice del sapiente biblico Qohelet-Ecclesiaste, pagina, in realtà, più tradizionale di quanto sembri a prima vista:
Io ho pensato in cuor mio riguardo agli uomini: Dio li prova, perché vedano da soli di essere come le bestie. Infatti il destino degli uomini ed il destino delle bestie è un unico destino: come muoiono queste, così muoiono quelli, in tutti c’è un’unica ruah. L’uomo non è superiore alla bestia. Si, tutto è vuoto! Tutti piombano nell’unico luogo: dalla polvere tutto è venuto, alla polvere tutto ritorna. Chi sa se la ruah dell’uomo salga in altro e la ruah delle bestie piombi in basso nella terra? (Qo 3,18-21).
L’idea è ribadita dallo stesso Qohelet in finale al suo scritto: “La polvere ritorna alla terra come lo era prima. E la ruah a Dio che l’ha data” (12,7). Essa, comunque, appartiene al patrimonio comune della teologia biblica: “ Se nascondi il tuo volto,(o Dio)” si legge nel Salmo 104,29 “essi (gli uomini) vengono meno, se togli loro la ruah, muoiono e ritornano nella polvere”. E ancora nel salmo 146,4: “ Esala la ruah, e (l’uomo) ritorna alla terra.
Uno degli amici di Giobbe, il quarto di nome Elihu, ripete il concetto: “La ruah di Dio mi ha creato […] Se egli richiamasse a sé la ruah […] ogni carne (basar) morirebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe nella polvere” (Gb 33,4; 34,14-15).
In epoca più tarda (II secolo a. C.) è un altro sapiente biblico, il Siracide, ad affermare il principio generale: “ Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa lo fa ritornare di nuovo. Egli assegnò agli uomini giorni contati ed un tempo fissato” (17,1-2).
Abbiamo dunque visto che l’uomo è una realtà limitata e caduca; è però un vivente perché in lui Dio “insuffla” lo spirito vitale. A questo punto nel nostro versetto c’è un terzo elemento: il Creatore, oltre alla ruah della vita, insuffla un altro principio, che è definito in ebraico come nishmat-hajjim e di solito è tradotto con “alito di vita”: si avrebbe allora solo un sinonimo di ruah, al massimo un modo per indicare che la vita umana ha un’altra qualità specifica e superiore. In realtà, qui ci imbattiamo in qualcosa che più ci avvicina al nostro concetto di “anima”.
La neshamah/nishmat è, infatti, una realtà che nelle 24 volte in cui è evocata nell’Antico Testamento è attribuita soltanto a Dio ed all’uomo e mai agli animali e copre una serie di funzioni alte, che sono spesso in connessione con Dio.
E’ attraverso di essa che l’uomo compie “atti spirituali” e riceve uno statuto particolare nell’ordine della creazione. La nishmat-hajjim (hajjim in ebraico è vita) lo porta all’esistenza (Gb 33,4; 34,14) ma soprattutto lo rende intelligente (Gb 32,8), lo conduce alla lode di Dio ed al culto (Sal 150,6).
C’è, però un passo significativo del libro biblico dei Proverbi che precisa questa realtà offrendone quasi una definizione: “ La neshamah dell’uomo è una fiaccola del Signore che scruta tutti i recessi oscuri del ventre” (20,27). La pittoresca immagine usata è molto semitica , ma è chiara nel suo valore: la neshamah/nishamat-hajjim è come una lampada interiore che rischiara l’intimo più segreto dell’uomo, simboleggiato dalle “camere o recessi oscuri” del grembo. Fuor di metafora, si ha una rappresentazione dell’autocoscienza, della capacità di conoscersi e di giudicarsi, dell’introspezione e dell’intuizione e, in ultima analisi, della moralità.
Non per nulla, in altri passi biblici (Gb 4,9: 2Sam 22,16; Sal 18,10; Is 30,33), la neshamah/nishmat-hajjim è collegata all’atto giudiziario divino nei confronti del male e dell’ingiustizia. Si deve inoltre ricordare che nel racconto successivo della Genesi si avrà un’ampia riflessione proprio sul peccato “originale” e sulla scelta umana nei confronti della “conoscenza del bene e del male”.
Ciao, a presto:ciaociao:
-
Citazione:
Originariamente Scritto da
King Kong
Ed é anche il soffio di cui parla Qoelet e che maldestramente l'italiano traduce con "vanità". `
Nella bibbia unitaria tedesca si legge così:
»Windhauch, Windhauch das ist alles Windhauch« (Qoelet 1,2). (Un soffio, un soffio, tutto non é che un soffio) - nelle edizioni italiane : «Vanità delle vanità...tutto è vanità» (IDEM). -
Infatti nelle bibbie (in italiano) quel fatidico:
- Habel habalim hakkol hebel../vanitas vanitatum et omnia vanitas della vulgata) riporta "vanita'".
Come quelle catto-cristiane ( versione CEI e/o Castoldi-Pasquero) -
Altrettanto per la versione dei riformati _ versione G.Luzzi / Revis. Diodati.
Nelle note a margine vien comunque spiegato il "significato" di detto Hebel - ripetuto in tutto il testo per ben 38 volte (mentre in tutto il Tanak ricorre 71 volte) a significare proprio:
- vapore, aria, fiato, fumo, vento, inutilita', Vuoto, Inconsistenza !
Infatti tale è la Realta' del tutto, solo e sempre.. effimero, caduco, provvisorio, precario, labile.. /
e/o come riportava Siddarta Gautama (Budda): TUTTO è Transitorio !
Quanto alla versione tedesca... la mia luterana ( Deutsche Bibelgesellschaft von Stuttgart) riporta:
- Es ist alles ganz eitel, sprach der Prediger, es ist alles ganz eitel..
Che edizione hai ?
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Citazione:
Originariamente Scritto da
esterno
Quanto alla versione tedesca... la mia luterana ( Deutsche Bibelgesellschaft von Stuttgart) riporta:
- Es ist alles ganz eitel, sprach der Prediger, es ist alles ganz eitel..
Che edizione hai ?
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Einheitsuebersetzung
Herder
Freiburg. Basel. Wien
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Citazione:
Originariamente Scritto da
crepuscolo
Caro King Kong proviamo a capire bene insieme perché anch’io imparo cercando di approfondire, servendomi per questo di testi seri ed impegnati.
...............
Ciao, a presto:ciaociao:
Grazie per le citazioni e l'analisi dettagliata che salvo e all'occasione andrò a rileggere sulle fonti.
Dimmi se posso riassumere, molto grossolanamente, così:
viviamo grazie al soffio divino con il quale Dio ha trasmesso ad ogni individuo caratteristiche e qualità specifiche.
:) :ciaociao:
-
Crep, ma sono cose molto difficili, presuppongono che tu fin da bambino
abbia studiato la Kabbala, sennò si rischia di dire un cumulo di fesserie.
Sappiamo che esiste la RUACH che Dio soffia nelle narici dell'uomo e che
significa vento., e mentre la NEFESH anima il corpo fisico, la RUACH anima
le facolta' emotive e le facolta' intellettive. La vanità é una delle nostre emozioni
non lo trovo così sbagliato inserirla in Qoelet.
Ciao
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Fiammetta
Crep, ma sono cose molto difficili, presuppongono che tu fin da bambino
abbia studiato la Kabbala, sennò si rischia di dire un cumulo di fesserie.
Sappiamo che esiste la RUACH che Dio soffia nelle narici dell'uomo e che
significa vento., e mentre la NEFESH anima il corpo fisico, la RUACH anima
le facolta' emotive e le facolta' intellettive. La vanità é una delle nostre emozioni
non lo trovo così sbagliato inserirla in Qoelet.
Ciao
No, da bambino giocavo:D.
A parte gli scherzi, non credere che quello che ho scritto sia farina del mio sacco; se guardi bene ho riportato da chi ho preso tutte quelle informazioni perché risultano da un libro che sto ora leggendo. Poiché tengo molto alla figura di Gesù, che ho nel tempo interiorizzato sempre più e meglio, insomma lo sento come il mio alter ego, allora voglio aggiornarmi per capirlo sempre meglio. A me basterebbe pensarlo come lo penso, ma se voglio confrontarmi con altri, credenti o non credenti, sento la necessità di aggiornarmi; tra l'altro per farlo ho tutto il tempo che voglio essendo pensionato.
Quello che ho riportato l'ho preso per buono perché chi ha detto quelle cose è una persona colta, che sa le cose, e per giunta scrive bene.
Prima di qualche giorno fa sapevo solo che cosa fosse la ruach.
Insomma, cara Fiammetta, non sono quello che pensi, con affetto ciao:mahciao:.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
King Kong
Grazie per le citazioni e l'analisi dettagliata che salvo e all'occasione andrò a rileggere sulle fonti.
Dimmi se posso riassumere, molto grossolanamente, così:
viviamo grazie al soffio divino con il quale Dio ha trasmesso ad ogni individuo caratteristiche e qualità specifiche.
:) :ciaociao:
A mio parere è il soffio divino che fa vivere ogni essere vivente ma io credo che le caratteristiche e le qualità specifiche dipendano dal carattere del singolo e dall'esperienza del vivere.
Riportando il tutto in una similitudine moderna che riguarda la comunicazione usando un linguaggio nostro, io direi che Dio ci invia lo spirito ( onde elettromagnetiche) e noi tanti singoli telefonini (anime) comunichiamo:).
:ciaociao:
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Citazione:
A mio parere è il soffio divino che fa vivere ogni essere vivente...
Lo dici come interpretazione del contenuto biblico o perché credi sia così?
Nel secondo caso ti chiederei in che consiste il soffio pensando ad ogni organismo vivente, dai microrganismi, le piante, vertebrati ed invertebrati.
Che soffio divino potrebbe avere un batterio, un paramecio?
Soprassedo sulle onde eletttromagnetiche...:|
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Come al solito entri in gioco a gamba tesa e se ci fosse un arbitro ti fischierebbe il fallo:D.
Io parlo di ciò che conosco e so per certo che esseri umani ed animali in genere dopo aver esalato l'ultimo respiro muoiono, o se non preferisci:D se ne vanno all'altro mondo, meglio ancora da dove sono venuti, con gran piacere o dispiacere o nulla, questo non lo so.
L'argomento in gioco era prettamente religioso e particolarmente mirato al modo di concepire dei redattori della Bibbia.
Che poi personalmente io possa dire che il respiro sia la fonte della mia vita, neanche tu puoi negarmi questo pensiero; se poi i germi, gli estremofili o animaletti del genere per vivere hanno altri sistemi da cui attingere credo siano fatti loro, però nessuno, compresi tali animaletti od animalacci, a seconda del bene o del male che provocano, è autosufficiente, cioè deve attingere dall'esterno il proprio sostentamento, può essere aria, ossigeno, anidride carbonica, zolfo, sale, zucchero,ecc.
Dio, secondo la creazione ha dato vita ad innumerevoli forme, comprese le piante, anche se non ragionano come te:D.
Non credo si possa ricondurre ad un'unica forma di vita tutta la complessità del mondo sia terrestre che non.
Credere in Dio è un modo come un altro per vivere, e chi ci crede cerca di identificare questo Dio in un contesto di fede, che tu lo vogli o no, perché cercare una formula, come fai tu influenzata dalla scienza, è una missione impossibile con o senza Tom Cruise:D.
Scusa, cara Vega, se per te sono stato vago, ma forse neanche tu sai risponderti da sola alle tue continue domande.
Forse si può provare a sostituire il soffio vitale con il codice del Dna che qualsiasi forma vivente possiede in sé. Boh, non sono un uomo di scienza ma un uomo di fede.
Ps. cos'è un paramecio? Le onde elettromagnetiche cui ho fatto riferimento erano riportate, non te ne fossi accorta, per semplificare il discorso sulla totale dipendenza da Dio seppure in maniera indipendente e personalmente comunicativa.
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Vaiiiii, è partito lo sproloquio!:v
Avevo chiesto se parlavi solo di spiegazioni inerenti la Bibbia o se effettivamente stavi affermando una tua convinzione o dato di fatto sulla vita degli organismi.
Hai scritto tu "è il soffio divino che fa vivere ogni essere vivente", quindi ogni essere vivente comprende anche microrganismi, piante, funghi, bacherozzi vari e tanto altro.
Nell'ansia che hai di comunicare e di far presente le tue intuizioni o conoscenze, finisci poi per conciliare male religione e sapere.
Ti converrebbe meno Gesù e più biologia.
Fine OT. Continuate pure a parlare dei termini biblici e degli intenti di chi l'ha scritta.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
crepuscolo
ma io credo che le caratteristiche e le qualità specifiche dipendano dal carattere del singolo e dall'esperienza del vivere.
:ciaociao:
Mi lascia un po‘ perplesso. Sembra che esistano caratteristiche e qualità fuori dalla volontà di Dio.
Penso invece alla parabola dei talenti (5-3-1; Matteo) e delle mine (10-5-1; Luca) che ne indicano perlomeno una potenzialità.
:) :ciaociao:
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Citazione:
Originariamente Scritto da
Vega
Fine OT. Continuate pure a parlare dei termini biblici e degli intenti di chi l'ha scritta.
Siiiiiiiiiiiii, grazie.:clap, ma credo che per adesso ci riposeremo un po':D
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Citazione:
Originariamente Scritto da
King Kong
Einheitsuebersetzung - Herder Freiburg. Basel. Wien
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Vielen Dank :)
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Citazione:
Originariamente Scritto da
King Kong
Mi lascia un po‘ perplesso. Sembra che esistano caratteristiche e qualità fuori dalla volontà di Dio.
Penso invece alla parabola dei talenti (5-3-1; Matteo) e delle mine (10-5-1; Luca) che ne indicano perlomeno una potenzialità.
:) :ciaociao:
Perfetto! Dio infatti dona i Suoi talenti a ciascuno secondo le sue possibilità....
Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21 Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22 Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23 Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24 Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
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La Chiesa primitiva ha riferito le parabole alla sua situazione concreta, operandovi alcuni spostamenti di accento.
Questa situazione come il Dodd ha riconosciuto, è di fondamentale importanza per la comprensione delle cinque "parabole della parusia".
Consideriamo, anzitutto, la breve parabola del "ladro notturno" ( Mt 24,43s: Lc 12,39s). "Abbiate presente questo, che il padrone di casa se avesse saputo a che ora della notte sarebbe venuto il ladro, avrebbe impedito l'irruzione nella sua casa. Siate pronti anche voi, perché il Figlio dell'uomo verrà in un momento che voi non vi aspettate". Infatti se il furto notturno è un avvenimento pauroso e sinistro, la parusia, almeno per i discepoli di Gesù, è il giorno della grande gioia.
Anche la parabola di Matteo delle "dieci vergini" entra in questo contesto. "Vigilate, perché non conoscete né il giorno né l'ora". Matteo ha dunque visto nella parabola un'allegoria della parusia dello Sposo celeste, Cristo: le dieci vergini rappresentano la comunità in attesa; il ritardo dello Sposo è il differimento della parusia; la sua repentina venuta è l'improvviso sopraggiungere della parusia; il duro ripudio delle vergini stolte è il giudizio finale. Ben presto, così pare, si è visto nelle vergini stolte la figura d'Israele, nelle savie quella dei pagani; la tradizione di Luca vede in ogni caso il ripudio d'Israele alla fine del mondo descritto nel rifiuto delle vergini che bussano troppo tardi.
La terza "parabola della parusia", quella del portiere (Mc 13,33-37; Lc 12, 35-38) , rivela nei tre sinottici delle diversità straordinariamente notevoli. Essa è stata fortemente scomposta, rielaborata ed ampliata sotto l'influsso del tema parusiaco: indice dell'importanza che aveva per la Chiesa primitiva il richiamo alla vigilanza.
Se partiamo da Lc 12,35-38 sorprende anzitutto la ricompensa data ai servi vigilanti: " Io vi dico, egli (il padrone) si cingerà, li farà sedere a tavola e li andrà servendo". Nessun padrone di questo mondo agisce in tal modo. Gesù, invece , ha agito così. E così si comporterà ancora, come il padrone al suo ritorno.
continua..... con la parabola del servo cui è stato affidato il controllo ed appunto con la parabola dei servi ai quali sono stati affidati dei denari.
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Per brevità e per rimanere in tema esaminiamo la parabola che viene definita dei talenti.
Ne abbiamo tre redazioni: Mt 25,14-30: Lc 19, 12-27 e nel Vangelo di Nazzareni.
Cominciamo, procedendo in senso inverso, con la redazione che più si discosta dall’originale. Nel Vangelo dei Nazzareni, accanto al servo che ha moltiplicato il denaro affidatogli ed a quello che ha nascosto il talento, vi è un terzo servo, il quale ha scialacquato il suo denaro con le donne di malaffare e le suonatrici di flauto: il primo riceve un riconoscimento, il secondo è solo rimproverato, mentre il terzo viene gettato in prigione. Questo rifacimento infedele soltanto nell’accenno allo scialacquo, è una forma inzotichita a sfondo moralizzante che la parabola ha ricevuto nella Chiesa giudeo-cristiana.
In Luca, la parabola ha un rivestimento completamente diverso da quello di Matteo.
Al commerciante all’ingrosso di Matteo corrisponde in Luca un uomo di alto lignaggio che si mette in viaggio per ricevere un regno (v.12); un’ambasceria dei suoi concittadini cerca di sventare ciò (v. 14); ma egli ritorna come re (v. 15a) e fa trucidare i servi davanti ai suoi occhi (v. 27). Probabilmente, in questi tratti noi ci troviamo di fronte ad una seconda parabola originariamente a sé stante: quella del pretendente al trono, collegata alla situazione storica dell’anno 4 a.C. Allora Archelao partì verso Roma per farsi confermare il potere sulla Giudea; contemporaneamente si mise in viaggio per Roma una missione giudaica di cinquanta persone allo scopo di impedirne la sua nomina. Sembra che Gesù abbia utilizzato la sanguinosa vendetta che Archelao fece al suo ritorno, rimasta indimenticabile nel popolo, per ritrarre, con una parabola della crisi, i suoi uditori di una falsa sicurezza. Come allora si verificarono all’improvviso il ritorno e la vendetta di Archelao contro i suoi nemici, altrettanto improvvisa irromperà su di voi la rovina.
La tradizione anteriore a Luca aveva già fuso questa parabola del pretendente al trono con la nostra. La cucitura appare particolarmente visibile nei vv.24s: la ricompensa supplementare di una mina (=100 denari) fatta al primo servo, come l’osservazione dei presenti che il primo servo ha già ricevuto 10 mine (=1.000 denari), è assurda, dal momento che questi è appena stato nominato governatore di una decapoli. Premessa a questa parabola composita sta una frase di inquadramento (19,11) che mostra numerose particolarità stilistiche proprie di Luca, senza però che dipenda necessariamente da Luca. Questa frase afferma che la parabola è stata narrata allo scopo di allontanare dalle false speranze circa un imminente apparizione del Regno. Dal passo 49,11 si vede in qual modo Luca abbia inteso la nostra parabola. Gesù, di fronte ad una fanatica aspettazione della parusia, ne afferma il differimento e ne dà la ragione, dicendo che il tempo intermedio è un tempo di prova per i suoi discepoli. Pertanto, Luca ha scorto nel nobile personaggio, che va a ricevere l’investitura regale e torna poi a chiedere conto ad i suoi servitori, il Figlio dell’uomo, partito verso il cielo, che ritorna per il giudizio. Certamente, a torto! Gesù non si è, sicuramente, paragonato né con un uomo “che toglie dove non ha messo e miete, dove non ha seminato” (Lc 19,21), cioè un tale che è tutto proteso verso il denaro, intento, senza scrupoli, unicamente al proprio guadagno; né con un crudo despota orientale che si delizia a contemplare con i suoi occhi i nemici giustiziati.
Come dimostra un confronto particolareggiato, Matteo ha conservato la redazione più antica.
Tuttavia si possono rilevare anche in Matteo alcuni tratti secondari. Anch’egli (come Luca, ed a torto) ha inteso la nostra parabola come una parabola della parusia. Matteo deve motivare l’esortazione a vigilare perché l’ora della parusia è sconosciuta.
Questa interpretazione cristologica s’insinua in due passi della parabola: nell’espressione “Entra nel banchetto della gioia del tuo signore” e nel comando di gettare il servo inutile “nelle tenebre esteriori”. In entrambe le espressioni non parla un mercante terreno, bensì il Cristo della parusia, il quale concede di partecipare al nuovo mondo o condanna all’eterna dannazione. Ambedue questi tratti non appartengono al testo originario: per 25,21.23 questa conclusione si rileva dal confronto con Luca, secondo il quale la ricompensa rimane in una dimensione terrena. Così pure le parole minacciose di Mt. 25,30 (assenti in Luca), che oltrepassano il quadro terrestre della parabola, si rivelano come una rielaborazione redazionale, sia perché contengono locuzioni preferite da Matteo, sia perché raddoppiano il castigo, aggiungendo la pena dell’inferno a quella terrena (v.28).
Ora se tralasciamo le amplificazioni moraleggianti ed allegorizzanti, noi otteniamo la storia di un ricco mercante all’ingrosso, temuto dai suoi servi per la sua assenza di scrupoli e per la sua avidità di denaro, il quale, prima di partire per un lungo viaggio affida a tre dei suoi servi cento denari ciascuno per farli fruttare ( o semplicemente, per non lasciare improduttivo il capitale durante la sua assenza, oppure con l’intenzione di mettere i servi alla prova ) e che, al suo ritorno, esige il rendiconto. I due servi fedeli vengono ricompensati con un aumento di responsabilità. L’accento è messo sul rendiconto con il terzo servo, il quale porta avanti la magra scusa di aver conservato inutilizzato il suo denaro, perché, preso da una timorosa prudenza, conoscendo l’avidità del suo padrone, e perché ha avuto paura di scatenare la sua terribile ira nel caso di insuccesso negli affari.
Come dovevano comprendere la parabola gli ascoltatori di Gesù?
In particolare che cosa dovevano pensare del servo che aveva seppellito il suo denaro?
Hanno pensato al popolo ebreo, al quale molto era stato affidato, ma che non utilizzava il suo talento?
Hanno pensato ai farisei, i quali cercavano la sicurezza personale, in una minuziosa esecuzione della legge, ma rendevano infruttuosa la religione attraverso il loro egoistico isolamento? Abbiamo visto che gli ascoltatori di Gesù dovevano vedere nei servi soprattutto i capi religiosi, specialmente i dottori della legge. Siccome Gesù anche il Lc. 11,52 li accusa di impedire ai loro correligionari la partecipazione al dono di Dio, si fa strada l’ipotesi secondo la quale Gesù avrebbe originariamente rivolto ai dottori della legge la parabola dei talenti. Qualcosa di grande è loro affidato: la parola di Dio. Ma, come servitori della parabola, essi dovranno ben presto rendere conto di come hanno impiegato il bene loro affidato: se ne hanno usato secondo la volontà di Dio, oppure se, come il terzo servo, sviati dal loro egoismo e dallo sconsiderato disprezzo del dono di Dio, hanno privato della sua efficacia la parola di Dio.
Ps. Una mia riflessione m'induce a pensare che la parabola dei talenti, se Gesù la recitasse oggi, la orienterebbe verso tutti i preti, o chi per loro:D, e non verso i credenti in generale.
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Né verso i preti, né verso i soli credenti: Gesù Cristo dona la Sua Parola a tutti! Si rivolge a tutti quanti gli uomini: di ogni tempo, di ogni epoca e di ogni cultura. Il vangelo ha questa dimensione universale....
In particolare, come trova ciascuno di noi questa parabola? Dove ci situiamo? Ricordando che l'esatto contrario della Fede non è l'ateismo. Ma la paura! Cosa ne facciamo dei talenti che il Signore ci ha affidato? Li impieghiamo o li sotterriamo?
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Il tuo è un errato accomodamento temporale e personale.
Quando inveisce dicendo: "Razza di vipere!" o "Sepolcri imbiancati!", tu credi si rivolga a tutti quanti gli uomini?
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Esiste o non esiste il fariseismo Crepuscolo? Esiste o non esiste l'ipocrisia? Gesù Cristo ci mette in guardia da questo peccato. Oggi come allora. Il Vangelo ci appassiona ancora, dopo 2000 anni di storia, proprio perché è attualissimo. Proprio perché ci riguarda di persona. Come si fa a dire "si rivolgeva solo a loro e non a me"? La Parola di Dio non ha tempo: è valida per tutti.
"Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
Matteo 6
Tu, quando preghi....
Tu, quando fai l'elemosina....
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Ma come:D sostieni che certi amorevoli atti devono rimanere nel proprio cuore, altrimenti si è ipocriti, e mi chiedi se lo faccio?
Mi sembri un pochino assurdo; se poi usi questo metodo per far cadere il tuo prossimo nella tua trappola, allora non so proprio cosa pensare. .
Ciao buona giornata:mahciao:.
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L'autorità di un libro era proporzionale alla grandezza del nome dell’autore, ma le migliori combinazioni, come sempre, erano quelle che accrescevano il valore di entrambe le parti.
In questo caso le profezie diventavano belle e gratificanti. Si potevano attribuire a profeti di un’epoca precedente predizioni relative ad un tempo molto più vicino, ampliando le dimensioni del testo.
Le aggiunte più elaborate furono quelle fatte ad Isaia, vissuto alla fine dell’VIII secolo a.C.
La seconda metà del suo libro ora comprende le profezie di un autore ignoto (il secondo Isaia) che aveva scritto quasi due secoli dopo la morte del primo.
Questo profeta senza nome venne fuso con il grande Isaia e ne acquisì tutto il credito e la reputazione.
In pari tempo Isaia guadagnò il merito di avere previsto ed interpellato personalmente Ciro, re dei persiani, vissuto quasi due secoli dopo la sua morte:D.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
crepuscolo
Ma come:D sostieni che certi amorevoli atti devono rimanere nel proprio cuore, altrimenti si è ipocriti, e mi chiedi se lo faccio?
Mi sembri un pochino assurdo; se poi usi questo metodo per far cadere il tuo prossimo nella tua trappola, allora non so proprio cosa pensare. .
Ciao buona giornata:mahciao:.
Rifletti: "Amerai il Signore tuo Dio con tutta la tua mente, con tutte le tue forze e con tutto il tuo cuore. E il prossimo tuo come te stesso!". Gesù Cristo lo diceva solo per quelli del Suo tempo o anche per te e per me?
"Non giudicare". "Non rubare" "Non commettere adulterio" ."Amate i vostri nemici"....lo diceva solo per quelli del Suo tempo o anche per noi?
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Fai dei discorsi strani perché non consideri che Gesù si è presentato al mondo incarnandosi, che, secondo me, non so per te, vuol dire che ha assunto tutte le caratteristiche dell'uomo relative agli usi e costumi del suo tempo; un'umanità con i pregi e con i difetti relativi all'essere del tempo, cioè contingenti, ma, che poi, diventeranno universali, perché sempre ricorrenti nell'umanità.
E' ovvio che Gesù si rivolgesse a quelli che conosceva come è pure ovvio che certe verità erano e saranno universali travalicando i tempi.
Se inveiva contro gli ipocriti identificandoli allora negli scribi, nei farisei e nei sadducei, è la stessa cosa che, rapportandoli ad oggi, inveisse contro i tutori della religione, che guarda caso si comportano come quelli di allora
Non so se riesci a capire quello che ho detto, a me sembra chiaro.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
crepuscolo
Quando inveisce dicendo: "Razza di vipere!" o "Sepolcri imbiancati!", tu credi si rivolga a tutti quanti gli uomini ?
Ciao "Crep" , seconde me, egli si rivolgeva... al Clero (i gestori del culto) - di tutte le religioni (in particolare al clero monoteista...). :D
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Citazione:
Originariamente Scritto da
crepuscolo
Fai dei discorsi strani perché non consideri che Gesù si è presentato al mondo incarnandosi, che, secondo me, non so per te, vuol dire che ha assunto tutte le caratteristiche dell'uomo relative agli usi e costumi del suo tempo; un'umanità con i pregi e con i difetti relativi all'essere del tempo, cioè contingenti, ma, che poi, diventeranno universali, perché sempre ricorrenti nell'umanità.
E' ovvio che Gesù si rivolgesse a quelli che conosceva come è pure ovvio che certe verità erano e saranno universali travalicando i tempi.
Se inveiva contro gli ipocriti identificandoli allora negli scribi, nei farisei e nei sadducei, è la stessa cosa che, rapportandoli ad oggi, inveisse contro i tutori della religione, che guarda caso si comportano come quelli di allora
Non so se riesci a capire quello che ho detto, a me sembra chiaro.
Chiarissimo! Te pensi di esserne esente. Molto bene. Eppure l'ipocrisia peggiore è quella di chi preferisce accusarne gli altri.....
"Perché osservi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è nel tuo?"
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Scusa Cono eh, non per girare sempre il coltello nella piaga, ma non è quello che fai sempre tu? Pontifichi sempre e giù di indifferenza, egoismi, edonismi e compagnia bella. Anche se quasi sempre resti sul generico o vai per categorie e non direttamente sulla singola persona, hai sempre da scorgere il male, l'aspetto negativo negli altri ed in quello che fanno gli altri.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Esiste o non esiste il fariseismo Crepuscolo? Esiste o non esiste l'ipocrisia? Gesù Cristo ci mette in guardia da questo peccato. Oggi come allora. Il Vangelo ci appassiona ancora, dopo 2000 anni di storia, proprio perché è attualissimo. Proprio perché ci riguarda di persona. Come si fa a dire "si rivolgeva solo a loro e non a me"? La Parola di Dio non ha tempo: è valida per tutti.
"Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
Matteo 6
Tu, quando preghi....
Tu, quando fai l'elemosina....
Ma tutte queste buone opere, vanno fatte per la ricompensa divina o perché è giusto aiutare e far star bene gli altri? Mi pare che ogni volta che si parli di fare del bene ci sia sempre lo spauracchio di premi e punizioni e poco di disinteressato, poca coscienza, poco parlare del benessere delle pesone per il suo valore in sé.