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Quiet quitting
La frase inglese “quiet quitting” significa “silenzioso abbandono del posto di lavoro”.
Ed anche:
“eseguire la propria mansione per mantenere il posto di lavoro, ma senza entusiasmo o sforzo e senza accettare attribuzioni lavorative extra.
Lavorare il necessario per non perdere il posto di lavoro, rifiutarsi di fare straordinari, aderire a progetti e assumersi responsabilità che non rientrano nell’orario di lavoro e nelle mansioni indicate sul contratto.
È un fenomeno sempre più diffuso, che sui social è diventato virale nelle ultime settimane con il nome di quiet quitting, ovvero “abbandono silenzioso”.
E' una controtendenza rispetto alla hustle culture, che è il mito di matrice statunitense secondo il quale le persone dovrebbero dedicare tutta la propria vita al lavoro. Un mito che, secondo diversi esperti, causa il cosiddetto fenomeno del burnout, l'esaurimento.
Secondo Harvard Business Review l’abbandono silenzioso non riguarda tanto la volontà dei dipendenti di lavorare di più o di meno e con maggiore o minore coinvolgimento, quanto la capacità di un manager di costruire un rapporto con gli impiegati che non li induca a non vedere l’ora di uscire dall’ufficio.
Secondo il report 2022 “State of global workplace” di Gallup, solo il 14% dei dipendenti in Europa può essere considerato davvero coinvolto nella propria attività lavorativa.
Questo fenomeno sociale forse sarà sempre più diffuso in futuro, in particolare con la generazione "Z", per la quale non sembra essere il denaro la priorità ma l'equilibrio tra lavoro e vita privata.
Carlo Bordoni: “Lavorare stanca. Una rivolta silenziosa” (Corsera, la lettura, 26 – 11 – 2023):
Dopo l'ondata delle persone che lasciavano l'impiego nel periodo successivo alla pandemia Covid 19, ora si fa strada la pratica del quiet quitting: non ci s'impegna più di tanto nelle proprie mansioni, perché si preferisce privilegiare altre attività.
La pandemia ha lasciato il segno. Non solo nelle relazioni personali, ma anche nei rapporti di lavoro. Un segno tangibile, che ha a che fare con l'attaccamento al lavoro e provoca una delusione, un'insoddisfazione profonda e una perdita d'interesse. Si chiama «Grandi dimissioni», da Great Resignation, termine utilizzato dall'economista Anthony Klotz. Perché il fenomeno è nato negli Stati Uniti e si è presto diffuso nel mondo occidentale, mettendo alla prova analisti e sociologi impegnati nel tentativo di darne una spiegazione.
Dimissioni, anche a costo di non ritrovare un lavoro. Ma che cosa si nasconde dietro questo fenomeno?
C'è il tramonto di un'etica. L'etica del lavoro, alimentata dal rapporto fiduciario tra dipendente e impresa, che nell'era industriale aveva coinciso con un attaccamento a vita al posto di lavoro.
Nel secolo scorso, un operaio entrava in fabbrica sapendo che ne sarebbe uscito con il pensionamento. Un legame profondo, la fabbrica era sentita come parte di sé. Su questa forma di fidelizzazione hanno costruito il loro successo capitani d'industria e multinazionali. Un amore reciproco, suggellato dall'interesse padronale a trattenere una manodopera qualificata.
Principi che sono stati messi in discussione nell'età postindustriale, con la chiusura delle grandi fabbriche, la delocalizzazione e la globalizzazione. Inoltre, le nuove tecnologie hanno fatto parlare di lavoro, immateriale e persino di fine del lavoro.
Tutto sembra essere partito dal lavoro flessibile. L'idea che si potesse aumentare la mobilità e impiegare manodopera per il tempo necessario a realizzare un progetto. È stata la grande innovazione di fine secolo, che ha cancellato con un tratto di penna uno dei cardini su cui si basava la certezza del posto di lavoro. In nome della libertà, ma anche della precarizzazione, vista come occasione di nuove opportunità e persino di modernizzazione.
La flessibilità aveva però un risvolto negativo: frammentava le relazioni stabili e metteva in discussione l'appartenenza alla classe lavoratrice, trasformando gli obiettivi comuni in obiettivi individuali. Il lavoro flessibile si è rivelato una spinta a incrementare l'attività lavorativa per motivi economici, ma anche per premiare il proprio ego individuale e raggiungere migliori risultati.
Neppure l'automazione, pur promettendo la liberazione dal lavoro e più tempo libero da dedicare alla famiglia, ha dato i frutti promessi. Tanto che il termine «lavoro flessibile» è divenuto sinonimo di «lavoro maggiore», che intacca le serate e i fine settimana.
Come dimostra l'analisi di Francesca Coin, in molti settori si lavora eccessivamente, senza adeguato riconoscimento economico e senza garanzie, soprattutto nei comparti della sanità, della ristorazione e della grande distribuzione.
La spersonalizzazione dei rapporti personali e lo smartworking hanno fatto il resto, unitamente alla carenza di opportunità di miglioramento e di riconoscimenti economici.
Oggi — secondo il VI Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale — il 64,4% degli occupati dichiara: «Il lavoro mi serve solo per avere i soldi di cui ho bisogno». Non c'è più feeling, non c'è più amore. Confermando che l'identità si costruisce altrove, non più sul posto di lavoro.
Eppure anche il boom delle grandi dimissioni sembra in regressione. Superato dai tempi rapidi e da nuovi bisogni. È cambiata la strategia.
Ora la modalità per esprimere la propria insoddisfazione si chiama quiet quitting, abbandono silenzioso. Niente dimissioni clamorose, né perdita dello stipendio, ma un'oculata gestione del proprio tempo. Impegno al minimo, nessuno straordinario, rifiuto del lavoro festivo. Non c'è solo l'astensione dall'invio di mail la sera o nel fine settimana, ma una deliberata propensione a dare di sé il meno possibile. Il quiet quitting rasenta il sabotaggio, spinge a compiere il proprio dovere senza passione, non credendo a quanto si fa, rallentando il ritmo, rinviando il più possibile senza concludere.
Negli Stati Uniti fioriscono studi per prevenire e affrontare il problema dell'abbandono silenzioso. Rispondono con ironia gli italiani Maura Gancitano e Andrea Colamedici, col titolo: "Ma chi me lo fa fare". Il quiet quitting è il lato peggiore della disaffezione: oltre a creare un danno economico all'azienda, conferma lo scollamento definitivo con l'etica del lavoro. È il lavoro salariato a non attrarre più. Persino il consumo compensatorio ha fatto il suo tempo. Invece di ricercare il sostituto della mancata soddisfazione nel consumismo, ci si accontenta del denaro per vivere. Crudo realismo che si lascia alle spalle ogni idea filantropica.
L'irruzione della pandemia ha trovato un terreno già compromesso, dove alle criticità evidenziate (insoddisfazione, assenza di prospettive, insufficiente ritorno economico, eccesso di ore di lavoro che impediscono la cura della famiglia), si è aggiunto l'isolamento del lavoro da remoto.
Forse per questo prevale la spinta a vivere al presente, senza preoccuparsi di un futuro incerto. Mentre l'etica tradizionale del lavoro imponeva il sacrificio individuale in favore delle generazioni future, ora c'è solo il presente e nessuno a cui passare il testimone.
Di fronte all'evidenza che il sacrificio non sarà seguito da un miglioramento, né per sé, né per altri, ma solo da ulteriori sacrifici, anche l'idea di progresso si è arresa a una realtà umana insoddisfacente.
Se il nostro presente è caratterizzato da un'assenza di prospettive, cosa che sappiamo essere uno dei problemi principali delle giovani generazioni — soprattutto di quell'11% di Neet che non lavora, non studia e non cerca un'occupazione — è spiegabile come l'alternativa possa essere ricercata in un cambiamento di vita.
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È un altro segno dei tempi: tutto si annacqua, tutto annega nell'insipido e nell'indistinto....
Il Lavoro come formazione della Persona, il Lavoro che dona dignità, alla Persona, il Lavoro come Missione civile e religiosa....("l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro" - "Col sudore della tua fronte lavorerai")...un lontano ricordo
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
È un altro segno dei tempi: tutto si annacqua, tutto annega nell'insipido e nell'indistinto....
Il Lavoro come formazione della Persona, il Lavoro che dona dignità, alla Persona, il Lavoro come Missione civile e religiosa....("l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro" - "Col sudore della tua fronte lavorerai")...un lontano ricordo
Hai scritto: "Il Lavoro come formazione della Persona, il Lavoro che dona dignità, alla Persona, il Lavoro come Missione civile e religiosa". Hai dimenticato di aggiungere :" il Lavoro come punizione". Sii coerente con quello che tu stesso scrivi.
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Ehilà ciao! Non è affatto una punizione, il lavoro. È semmai cooperare con Dio al miracolo della creazione....
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Ehilà ciao! Non è affatto una punizione, il lavoro. È semmai cooperare con Dio al miracolo della creazione....
:mumble:
Allora il testo al quale mi riferivo, sbaglia.
"All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato
dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”,
maledetto il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane,
finché non ritornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere ritornerai!».
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Ritornando in tema
Mi sbaglio, o il fenomeno é tipico dei paesi "dell'occidente ricco"?
Quando i primi livelli della piramide dei bisogni maslowiana sono soddisfatti, si ha tempo e voglia (tentativo di humour di bassissima lega :ban: ) di pensare ad altro. O no?
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Citazione:
Originariamente Scritto da
restodelcarlino
:mumble:
Allora il testo al quale mi riferivo, sbaglia.
"All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato
dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”,
maledetto il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane,
finché non ritornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere ritornerai!».
Rifletti: il Lavoro dell' Uomo già era contemplato in incipit ("Dio pose l'Uomo a custode del Suo giardino, perché lo preservasse e lo coltivasse...."). Le lacrime e il sudore sono una conseguenza del Peccato.
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Forse nessuno ha preso in considerazione il burn-out in tempi in cui si dilata il periodo in cui poter andare in pensione: cosa può fare o praticare, se non il quiet quitting, una persona colpita da questo male, visto che non può pensionarsi in tempi ragguardevoli?
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:OT:
:mumble:
burn-coso.....sarebbe "depressione" e quiet-cosaltro, "smettere tranquillamente" ?
si, in inglisc é molto più chiaro
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Citazione:
Originariamente Scritto da
restodelcarlino
:OT:
:mumble:
burn-coso.....sarebbe "depressione" e quiet-cosaltro, "smettere tranquillamente" ?
si, in inglisc é molto più chiaro
Non mi pare sia proprio un sinonimo di “depressione”, ma un iponimo, un particolare tipo di depressione: con burnout si fa riferimento allo stress sperimentato nel contesto lavorativo e/o derivante da esso, che determina un malessere psicofisico ed emotivo, accompagnato da vissuti di demotivazione, di delusione e di disinteresse (Scaramagli).
Il quiet quitting è anche un iponimo e consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza entusiasmo e senza fare straordinari o assumersi responsabilità straordinarie.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Rifletti: il Lavoro dell' Uomo già era contemplato in incipit ("Dio pose l'Uomo a custode del Suo giardino, perché lo preservasse e lo coltivasse...."). Le lacrime e il sudore sono una conseguenza del Peccato.
quindi, non una "punizione"...:mumble: mi verrebbe quasi da domandare come mai per un battezzato il lavoro non divenga ipso facto un gaio trastullo. Ma non lo faccio. :D
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Originariamente Scritto da
follemente
Non mi pare sia proprio un sinonimo di “depressione”, ma un iponimo, un particolare tipo di depressione: con burnout si fa riferimento allo stress sperimentato nel contesto lavorativo e/o derivante da esso, che determina un malessere psicofisico ed emotivo, accompagnato da vissuti di demotivazione, di delusione e di disinteresse (Scaramagli).
Il quiet quitting è anche un iponimo e consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza entusiasmo e senza fare straordinari o assumersi responsabilità straordinarie.
appunto dicevo: "si, in inglisc é molto più chiaro"
:D
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Originariamente Scritto da
restodelcarlino
quindi, non una "punizione"...:mumble: mi verrebbe quasi da domandare come mai per un battezzato il lavoro non divenga ipso facto un gaio trastullo. Ma non lo faccio. :D
Esatto RDC! Non è una punizione. Il nostro lavoro ci edifica, ci costruisce come Persone e, per un credente, collabora con Dio all'opera della Creazione....:)
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Il quiet quitting vale anche quando ci si lascia?
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Per me questo atteggiamento è frutto di una delusione, di aspettative di carriera fallite. Pensavo che far bene premiasse, e invece siamo tutti sempre nello stesso brodo di mediocrità condivisa. Quindi sì, adesso faccio lo Stretto indispensabile anche io, la vita è fuori...
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Esatto RDC! Non è una punizione. Il nostro lavoro ci edifica, ci costruisce come Persone e, per un credente, collabora con Dio all'opera della Creazione....:)
Mi puoi citare il passo della Bibbia, nel quale il lavoro passi da sudore e lacrime a "collaborazione paritetica"? A mia conoscenza, meglio, ignoranza, il discorso é chiuso col
"Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane"
e quanro tu affermi, sono illazioni senza alcuna base biblica.
Attendo dimostrazione. "Biblica, e testuale", non copincolla di blablabla di esegeti e commentatori vari
tenchiù
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Il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma anche un Valore in sé, Rdc. Poiché contribuisce a realizzare la nostra umanità, ci fa sentire utili alla società e agli altri e così contribuisce a dar senso alla nostra esistenza....
Dio stesso è un Dio che lavora....che opera....e poi si riposa (il settimo giorno, il "segno" della Festa da santificare) Gesù Cristo stesso lavora come uno di noi nella bottega di Suo padre ("Il figlio del carpentiere"). Pensa a quante persone vanno in crisi e si sentono emarginate ed escluse proprio perché manca loro il Lavoro. Proprio perché esso è una realtà connaturata al nostro essere Persona!
Altro che punizione, dunque. Altro che pena da scontare.
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In sostanza, a parte citare (senza saperlo) Marx, hai svicolato. Quindi, deduco che l'ultimo passo biblico che citi il lavoro sia "sudore e lacrime". E di "paritetica collaborazione", nisba.
Fino a dimostrazione (non blablabla) contraria, é cosi. Per la Bibbia.
Quello che penso io del Lavoro (maiuscolo), é tuttaltra cosa. Lo conosco. E, piuttosto benino, il "mondo del lavoro". E quello operaio in particolare.
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Ma non hai letto?
"Dio piantò un giardino in Eden e vi collocò l'Uomo, perché lo coltivasse e lo custodisse"
Dio lavora....e l'Uomo lavora....collabora con Lui!
Sudore e lacrime sono il nostro retaggio, RDC. Sono conseguenza del Peccato.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Ma non hai letto?
e tu , cono, hai letto?
Citazione:
Originariamente Scritto da
restodelcarlino
"Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane"
...."retaggio".....
Vabbé.
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Citazione:
Originariamente Scritto da
conogelato
Il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma anche un Valore in sé, Rdc. Poiché contribuisce a realizzare la nostra umanità, ci fa sentire utili alla società e agli altri e così contribuisce a dar senso alla nostra esistenza....
Dio stesso è un Dio che lavora....che opera....e poi si riposa (il settimo giorno, il "segno" della Festa da santificare) Gesù Cristo stesso lavora come uno di noi nella bottega di Suo padre ("Il figlio del carpentiere"). Pensa a quante persone vanno in crisi e si sentono emarginate ed escluse proprio perché manca loro il Lavoro. Proprio perché esso è una realtà connaturata al nostro essere Persona!
Altro che punizione, dunque. Altro che pena da scontare.
cono, mi permetterei di osservare che il tuo concetto di "lavoro" sembra considerare il lavoro una sorta di privilegio. non ti dico che per me non è così, però lasciami dire che se è vero che il lavoro è un diritto, allora l'orientamento del legislatore dovrebbe essere nel senso di fare in modo che tutti possano lavorare e questo purtroppo non si verifica ad oggi. le politiche per il lavoro non ci sono più perché, ormai da anni, è venuto meno quello strumento indispensabile che è la "concertazione" tra parti sociali e cioè imprenditori (prevalentemente confindustria e sindacati di destra come l'ugl) e lavoratori. mi permetterei anche di aggiungere che il conflitto tra capitale monetario e capitale umano è sì, venuto meno, ma non perché sia intervenuta una riconciliazione, bensì per una sorta di "languore" che ha colpito sia i datori di lavoro che non investono più, sia i lavoratori, che cominciano a fregarsene pure loro. a proposito di "fregarsene" la domanda che ti vorrei porre è: ma non era meglio quando "c'era lui"?
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No! La più imperfetta delle democrazie è sempre preferibile alla migliore dittatura, amico Sandor. La crisi del Lavoro è soprattutto valoriale. Si è perso negli anni del capitalismo d'assalto (dove conta solamente il profitto) il Valore fondante. Non solo della nostra Repubblica, ma della Persona! Il Lavoro ci costruisce prima di tutto come Persona. Si è diventati, invece, delle macchine. Dei semplici strumenti di produzione asserviti al denaro.
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La crisi del lavoro è valoriale?
Ma che ca@@o stai dicendo Cono?
Vallo a dire a quelli che in autostrada mettono giù l'asfalto in pieno agosto, che, a parte il caldo, ogni tanto vengono investiti e ci muoiono su quella strada. O ai poliziotti che si fanno ammazzare per 1.300 euro al mese.
A quelli che lavorano in catena di montaggio 8 ore filate, alle commesse degli ipermercati che a sera sono fuori di testa.
E sai quanti ce ne sarebbero ancora?
Ma di che valori stai parlando?
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Cono scrive: Il lavoro ci costruisce prima di tutto come Persona
Quale tipo di lavoro?
Quanti fanno realmente quello che per loro rappresenta una passione?
La maggior parte dei lavori demoliscono la Persona, caro Cono
E se ci muori pure per il lavoro, poi hai fatto l’affare della tua vita
Il tempo a disposizione, quello del quale tu puoi deciderne la gestione, non ha prezzo
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Cono, se parli dal lato di chi dà lavoro, ci sono dei problemi, tipo per fare esempi, lavoro sottopagato, precariato, gare al ribasso e ci sta quello che dici sul profitto e lo sfruttamento.
Se ti riferisci al lavoratore la vedo più dura.
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Gli esempi che avete fatto sono calzanti: esemplificativi! l'Uomo ridotto a una macchina, a mero strumento di produzione (Chaplin nel film tempi moderni)