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zampognari
L’8 dicembre, in concomitanza della celebrazione dell’Immacolata Concezione, ci sono tre tradizionali eventi: l’allestimento del presepio e/o dell’albero di Natale, l’arrivo in città degli zampognari.
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Gli zampognari sono così chiamati perché suonano la zampogna, un antico strumento musicale. Le canne sono collegate ad un otre di pelle nella quale il suonatore insuffla l’aria.
Il nome della zampogna deriva dal latino “symphōnĭa” (sembra impossibile crederci, ma è vero), che significa armonia, consonanza di suoni.
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Questo strumento musicale era diffuso nel Vicino Oriente e in altre località del Bacino del Mediterraneo.
Nel Libro del profeta Daniele la zampogna è citata col nome in aramaico: “sumponyàh”.
In epoca romana le lunghe marce delle legioni erano accompagnate dal suono di vari strumenti musicali, fra i quali una particolare zampogna derivata dal flauto di Pan, denominata In latino “utriculus” o “tibia utricularis”.
Nel Medioevo e in epoca moderna la zampogna venne diversificata in varie tipologie territoriali, una delle quali è la cornamusa scozzese (“great highland bagpipe”), di quattro diversi tipi. Veniva usata anche durante le battaglie.
Allegato 29837
Ancora oggi ci sono reggimenti scozzesi che continuano a marciare al suono delle cornamuse.
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L’abbigliamento degli zampognari
Nel passato l'8 dicembre in numerosi paesi e città arrivavano gli zampognari.
Le coppie di suonatori che giungevano a Roma di solito avevano ai piedi lunghi calzettoni di lana di pecora, al posto delle scarpe usavano le “cioce”, con lacci a forma di fettucce attorcigliate sulle gambe; indossavano pantaloni di velluto nero lunghi fino al ginocchio, giacche di lana di pecora o giacconi di montone, e sulla testa mettevano un cappello nero, di feltro, di forma tronco-conica avvolto da nastro rosso. Si proteggevano dal freddo indossando il tabarro, il mantello a ruota, in panno pesante o di lana ruvida, di colore nero, allacciato al collo con un fermaglio. A tracolla il tascapane, utilizzato per metterci il cibo nella prima parte del viaggio verso la città, e gli oggetti per la pulizia personale.
Così apparivano i suonatori di piffero e zampogna, che dall’Appennino centrale andavano per le strade della città per suonare le tradizionali melodie natalizie e la speranza di ricevere in cambio offerte di denaro. Su prenotazione si recavano anche nelle case e nelle botteghe per suonare e cantare davanti al presepio o alle immagini di Maria col Bambino Gesù. Come compenso ricevevano cibo, dolciumi, denaro.
A Roma e a Napoli gli zampognari giungevano dalla valle del Liri e dalla Val di Comino (prov. di Frosinone), dal versante meridionale delle Mainarde, da Scapoli e Castelnuovo al Volturno, frazione del Comune di Rocchetta al Volturno (prov. di Isernia), da Fossalto (prov. di Campobasso).
Nel XIX secolo a Roma gli zampognari venivano chiamati “Li piferari” (i pifferai). Arrivavano nella capitale il 25 novembre, giorno in cui la Chiesa cattolica commemora Santa Caterina d’Alessandria (d’Egitto). Solitamente erano in due, talvolta tre: uno suonava la zampogna, un altro il piffero, il terzo cantava.
Per la questua giravano per le vie della città, si fermavano a suonare vicino le edicole mariane diffuse nel centro storico. Ce ne ha lasciato il ricordo il noto pittore romano Bartolomeo Pinelli.
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Bartolomeo Pinelli: “Li piferari in Roma”; acquaforte con coloritura, 1809.
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LE CIARAMELLE
di Giovanni Pascoli
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne' suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s'accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!