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Discussione: L'ultimo film che avete visto?

  1. #7546
    Opinionista L'avatar di Barrett
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    "Drive" di Nicolas Winding Refn con Ryan Gosling
    La storia di un eroe anonimo

    era da tempo che lo tenevo in lista, i giudizi della critica sono tutti positivi, premiato a Cannes per la regia


    Gradevole visivamente, dialoghi quasi assenti, prevalgono gli sguardi e la mimica facciale, azione quando meno te l'aspetti, un paio di inseguimenti con la macchina

    si, beh, mah... non male, non fondamentale
    Non lo conoscevo, l'ho guardato. Ottima regia, precisa e senza fronzoli come piace a me. Film glaciale come la colonna sonora con quei suoni che andavano di moda 10 anni fa. Gosling inespressivo come un fotomodello. La ragazza è Carey Mulligan l'anno scorso in Promsing young woman.

  2. #7547
    رباني L'avatar di King Kong
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    High noon con Gary Cooper e Grace Kelly.
    Di seguito “C’era una volta il West” di Sergio Leone.
    La cosa interessante è che in entrambi i film, ci sono dei loschi figuri che aspettano un treno in una stazioncina deserta e fatiscente.
    Gli sviluppi sono poi diversi.
    Nel primo i fuorilegge vengono eliminati solo alla fine del film al termine di una battaglia con lo sceriffo.
    Nel secondo, Sergio Leone ribalta lo stereotipo hollywoodiano e li fa morire subito, colpiti da un protagonista in cerca di vendetta.

  3. #7548
    Opinionista L'avatar di Barrett
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    Alcuni spunti sulla carriera di Lars Von Trier, danese, creatore con il collega Virteneberg del movimento “Dogma 95” e sulla necessità di creare un cinema lontano dalle produzioni hollywoodiane. Nel 1996 esce “Breaking the Waves” (***) con il quale si fa conoscere presso il pubblico di Cannes. Prendendo spunto dal decalogo “Dogma 95”, nel film sono contenuti gli elementi caratteristici del suo cinema, ovvero cinepresa in spalla, montaggio ridotto all’osso, nessuna colonna sonora se non brani non originali incisi precedentemente, nessuna scenografia e qualsiasi altra cosa possa rimandare a Hollywood. Per le tematiche il film appartiene alla trilogia del “cuore d’oro”. La protagonista, una ragazza di un villaggio scozzese molto religiosa sposa un ateo e a lui dedicherà la sua esistenza, soprattutto all’indomani di un incidente che costringerà il marito a letto. Il terzo film della trilogia è “Dancer in the Dark” (***) uscito nel 2000, Palma d’oro a Cannes. La protagonista è interpretata dalla cantante Bjork, quasi cieca, che lavora continuamente per risparmiare i soldi dell’operazione agli occhi. I soli momenti di serenità sono vissuti durante le prove di un musical a cui la ragazza ripensa continuamente, anche in fabbrica immaginando che i suoni ripetitivi delle macchine fuoriescano da strumenti musicali e lei che balli insieme agli altri operai. La vicenda prenderà una piega tragica quando alla protagonista verranno rubati i soldi per l’operazione. Nel 2003 esce “Dogville” (****), già recensito nei mesi scorsi e nel quale il minimalismo del cinema di Von Trier ottiene la massima espressione da una storia interamente filmata su un palco. Minimalismo e ossessione li ritroviamo nel 2009 con “Antichrist” (***), girato nel momento di massima depressione del regista, di totale sfiducia nella vita, la quale nel film viene rappresenta nella fase più acuta. Una coppia perde il proprio figlio a seguito di una caduta dalla finestra. L’uomo supera il contraccolpo, non la donna la quale manifesta paure e fobie. Maggiore è l’impegno da parte del marito a fargliele superare e più la donna rivela comportamenti autodistruttivi e antireligiosi. Nel 2011 è la volta di “Melacholia” (***), nel quale la depressione ha ormai reso tutto ovattato, anche il rischio di una catastrofe naturale non sembra preoccupare chi ne soffre. Il film si allontana definitivamente da “Dogma 95” e sia a livello stilistico che tematico si nota un avvicinamento a Bergman e al cinema europeo in generale. Salto “Nymphomaniac” (2013) film eccessivamente scabroso e tagliato, mentre “The House that Jack Built” (2018 ****) ultimo film di Von Trier è stato da me recensito nei mesi scorsi.
    Alcune delle protagoniste dei film di Von Trier hanno dichiarato successivamente che mai più avrebbero lavorato con il regista. Ma è un dato di fatto che le loro performance siano le migliori o tra le migliori della loro carriera. Emily Watson è stata candidata all’Oscar, di Bjork non avremmo mai saputo del suo talento recitativo, Nicole Kidman è straordinaria in “Dogville” così come Charlotte Gainsbourg in “Antichrist” e Kirsten Dunst in “Melancholia”. Passando agli uomini, c’eravamo dimenticati di Matt Dillon, straordinario serial killer in “The House that Jack Built”.

  4. #7549
    Opinionista L'avatar di Barrett
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    Proveniente da Cannes
    “Red Rocket” (2021) di Sean Baker
    Un protagonista di filmetti porno torna nella propria città natale dove nessuno è davvero interessato a rivederlo. Riesce comunque ad essere ospitato dalla moglie che vive con la madre, entrambe non proprio in buone condizioni. Dopo aver cercato inutilmente un lavoro comincia a spacciare erba e successivamente intavola una relazione con una ragazzina pur continuando a vivere a casa della moglie e della suocera. Il tutto in un ambiente desolante, stato del Texas, industrie pesanti e modeste abitazioni, zero servizi, valori annullati. Film divertente ma anche amaro, realizzato con pochi mezzi ma con un risultato di qualità; qualche anno fa Sean Baker diresse “The Florida Project” il migliore dei film indipendenti del 2017, candidato a una infinità di premi.

    “Red Rocket” ***

    Da Venezia
    “The Lost Daughter” (2021) di Maggie Gyllenhaal
    Mi sono imbattuto in Elena Ferrante leggendo qualche anno fa un articolo di un giornalista investigativo il quale scoprì che dietro lo pseudonimo della scrittrice si celava con tutta probabilità la moglie dell’editore dove lavorava come traduttrice. Successivamente mi capitò tra le mani il primo libro de “L’Amica Geniale” e decisi di leggerlo incuriosito dall’incipit che riporto: “Stamattina mi ha telefonato Rino, ho creduto che volesse ancora soldi e mi sono preparata a negarglieli. Invece il motivo della telefonata era un altro: sua madre non si trovava più. «Da quando?». «Da due settimane». «E mi telefoni adesso?». Il tono gli dev’essere sembrato ostile, anche se non ero né arrabbiata né indignata, c’era solo un filo di sarcasmo. Ha provato a ribattere ma l’ha fatto confusamente, in imbarazzo, un po’ in dialetto, un po’ in italiano. Ha detto che s’era convinto che la madre fosse in giro per Napoli come al solito.” Un buon libro e soprattutto un grande successo in tutto il mondo. Lessi anche gli altri tre apprezzando soprattutto il terzo, a mio parere il migliore della serie. Quindi, quando ho sentito che il film “The Lost Daughter”, vincitore a Venezia del premio quale miglior sceneggiatura, era tratto da “La Figlia Oscura” della scrittrice, ho deciso di leggere il libro ancora prima di vedere il film e trovandolo in linea con la serie, pur essendo stato scritto alcuni anni prima. E’ sempre l’analisi psicologica dei personaggi al centro della vicenda, in questo caso una donna in vacanza al mare che si imbatte in una famiglia dove una ragazza è madre di una bambina. La donna non può fare a meno di ricordare e paragonare il suo modo di essere genitore alla stessa età della ragazza, soprattutto quando ripensa di aver preferito la sua libertà alla famiglia. Soggetto interessante impreziosita dalle interpretazioni delle attrici Olivia Colman e Jessie Buckley. Brava la regista, alla sua prima prova, nel tratteggiare il profilo psicologico della protagonista anche attraverso i continui flashback che ci riportano al periodo in cui decide di abbandonare temporaneamente le figlie Qualche riserva sulle riprese in esterno, dove la regista denota la sua inesperienza da un punto di vista tecnico.

    “The Lost Daughter” ***

  5. #7550
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    “Un Eroe” (2021) di Asghar Farhadi
    Un uomo è in prigione per non aver onorato un debito. Durante un permesso viene coinvolto nel ritrovamento di una borsa contenente delle monete d’oro. Potrebbe utilizzarle per pagare il debito e uscire di prigione, invece proprio quando si trova presso un orafo per venderle decide di restituire la borsa. Si renderà conto successivamente quanto sia difficile essere un benefattore. Farhadi, il più famoso tra i registi iraniani - già vincitore tra l’altro di due Oscar, con “Una Separazione” (2011) **** e “The Salesman” (2016) ***, ambienta le sue storie nel sociale del suo paese, una sorta di Ken Loach medio-orientale, cercando sempre di non rompere i delicati equilibri esistenti tra il suo cinema e la teocrazia. Le sue sceneggiature hanno un andamento iniziale lento per poi dipanare il cuore della vicenda con il passare dei minuti, con dialoghi efficaci e una regia precisa anche grazie a un montaggio chirurgico (vedasi “Una Separazione”).

    Un Eroe ***
    Ultima modifica di Barrett; 11-01-2022 alle 17:44

  6. #7551
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    Nelle note di “Antichrist” di Lars Von Trier è presente una dedica per Andrej Tarkovskij, regista russo pre caduta del muro, che personalmente conoscevo solo per i brevi spezzoni presenti su Youtube e di cui in questi ultimi giorni ho guardato per intero i suoi 7 lungometraggi. A parte il primo, “L’infanzia di Ivan” (1962) – nel quale si nota comunque immediatamente la sua notevole tecnica accoppiata alla nitidezza di immagine grazie all’uso di obiettivi di alto livello, ma che rimane un classico film di guerra, a partire dai successivi sono presenti le tipiche tematiche sviluppate dal grande regista russo: il ricordo, l’oblio, l’inconscio, il simbolismo, l’inutilità dell’esistenza etc. Nel secondo film “Andrej Rublev” (1966), diviso in parti, un pittore monaco vissuto nel XV secolo si chiede il motivo per cui dovrebbe dedicare le sue opere a un Dio che permette e accetta le peggiori nefandezze da parte degli uomini. Dopo aver analizzato il passato Tarkovskji si cimenta con il futuro, attraverso la fantascienza di “Solaris” (1972) nel quale uno psicologo viene inviato in una base che orbita attorno al pianeta appunto chiamato “Solaris” per scoprire il motivo che porta gli astronauti ad essere terrorizzati e incapaci di proseguire nei compiti assegnategli. Stilisticamente il film non mi convince per larghi tratti in quanto la tipica regia di Tarkovskij, poco montaggio e più movimento della cinepresa, non si adatta ai luoghi chiusi della base che caratterizza la maggior parte del film. Nel seguente, il criptico “Lo specchio” (1975) il protagonista, di cui si sente solo la voce, ricorda la sua vita da bambino e la contrappone a quella vissuta successivamente da adulto, con moglie e figlio. Qui Tarkovskij usa il colore per le immagini più recenti e un b/n derivante dallo stesso negativo del colore, per quelle passate. Da un punto di vista stilistico “Lo specchio” è il film perfetto del regista russo, con alcune tra le sue sequenze più riuscite. “Stalker” (1979) girato in piena guerra fredda, è caratterizzato da un clima glaciale e surreale, tipo post guerra atomica, con un ritmo esageratamente lento che accentua l’inesorabile disperazione dell’intera vicenda. Lo stalker è la guida, in questo caso di un professore e di uno scienziato verso l’interno di una zona vietata dove si trova una stanza nella quale si possono esaudire i desideri. Scavalcati gli anni ‘70 Tarkovskij scappa dall’Unione Sovietica visti i cattivi rapporti con il potere comunista e si sposta in Italia. La Rai produce il seguente “Nostalghia” (1983) con Domiziana Giordano protagonista. Il film è costruito sulle memorie di un poeta russo che vive in Italia e che ripensa alla sua giovinezza nel paese natale, periodo che viene rappresentato attraverso un bianco e nero che lascia di stucco. L’ultimo capitolo della sua carriera, poco prima della morte è “Il sacrificio” (1986) girato in Svezia in onore di Bergman e di cui Tarkovskij in questo film si lascia tranquillamente influenzare. E’ un’amara considerazione sulla piega presa dalla società moderna e sull’inutile utilizzo delle scoperte tecnologiche e in generale una critica nei confronti del progresso.
    Pur essendo un cinema datato, i temi trattati da Tarkovskij sono tutt’ora attuali e la realizzazione, l’originalità nelle scelte cromatiche, anche grazie all’opera di restaurazione, è di altissimo livello. Tutto questo pone il regista russo accanto ai grandi cineasti di ogni epoca.

  7. #7552
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    “E’ stata la mano di Dio” (2021) di Paolo Sorrentino
    Gran premio della giuria a Venezia, prodotto da Netflix, quindi pochi giorni in sala e poi solo sulla piattaforma. Film autobiografico in cui il giovane Sorrentino è alla ricerca della sua strada nei giorni dell’arrivo a Napoli di Maradona, di cui il regista era grande tifoso. E’ un film personale, con la sua famiglia al centro della storia, Toni Servillo il padre, e nel quale il protagonista capisce un giorno che il suo futuro sarà nel cinema, il solo che gli permetta di trovare quello che la realtà gli nega. Personalmente l’ho trovato debole, con una regia stanca senza che bastassero le acrobazie di alcuni protagonisti pittoreschi e alcune sequenze felliniane a risollevare il mio giudizio. Però leggo da più parti recensioni positive, quindi sicuramente sbaglio io.

    E’ stata la mano di Dio **
    Finito ora

    Non il mio preferito di Sorrentino, ma comunque mi é piaciuto.
    Dalla sua parte gli splendidi luoghi, il mare, la luce ... gli piace vincere facile, già lo fece con Roma.

    Bravissimo il giovane attore, Scotti, la mia stima per tutte le scene in cui ha recitato ingobbito, calato nel ruolo di ferito e deluso dalla realtà, pessimista.

    Non ho apprezzato che Sorrentino cominci già ad autocitarsi, la scena del teatro, che é l'occasione dell'incontro tra il giovane protagonista e il regista, mi ha ricordato troppo la scena del teatro vista in "la grande bellezza"
    Ps. Sorrentino è un bravissimo narratore
    Ultima modifica di Breakthru; 23-01-2022 alle 12:51 Motivo: Considerazione ultima al risveglio

  8. #7553
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    “E’ stata la mano di Dio” (2021) di Paolo Sorrentino
    Gran premio della giuria a Venezia, prodotto da Netflix, quindi pochi giorni in sala e poi solo sulla piattaforma. Film autobiografico in cui il giovane Sorrentino è alla ricerca della sua strada nei giorni dell’arrivo a Napoli di Maradona, di cui il regista era grande tifoso. E’ un film personale, con la sua famiglia al centro della storia, Toni Servillo il padre, e nel quale il protagonista capisce un giorno che il suo futuro sarà nel cinema, il solo che gli permetta di trovare quello che la realtà gli nega. Personalmente l’ho trovato debole, con una regia stanca senza che bastassero le acrobazie di alcuni protagonisti pittoreschi e alcune sequenze felliniane a risollevare il mio giudizio. Però leggo da più parti recensioni positive, quindi sicuramente sbaglio io.

    E’ stata la mano di Dio **
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    Finito ora

    Non il mio preferito di Sorrentino, ma comunque mi é piaciuto.
    Dalla sua parte gli splendidi luoghi, il mare, la luce ... gli piace vincere facile, già lo fece con Roma.

    Bravissimo il giovane attore, Scotti, la mia stima per tutte le scene in cui ha recitato ingobbito, calato nel ruolo di ferito e deluso dalla realtà, pessimista.

    Non ho apprezzato che Sorrentino cominci già ad autocitarsi, la scena del teatro, che é l'occasione dell'incontro tra il giovane protagonista e il regista, mi ha ricordato troppo la scena del teatro vista in "la grande bellezza"
    Ps. Sorrentino è un bravissimo narratore
    E' piaciuto anche a me, ho gradito soprattutto la "formazione" dell'adolescente Sorrentino, che tra Leopardi e Maradona, nonché le vicissitudini personali, è riuscito a trovare la sua strada.

    Più che Napoli, è il mare di Napoli a farla da padrone.

    Come avete interpretato la scena dell'uomo impiccato ai piedi nella galleria di Napoli?

  9. #7554
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    E' piaciuto anche a me, ho gradito soprattutto la "formazione" dell'adolescente Sorrentino, che tra Leopardi e Maradona, nonché le vicissitudini personali, è riuscito a trovare la sua strada.

    Più che Napoli, è il mare di Napoli a farla da padrone.

    Come avete interpretato la scena dell'uomo impiccato ai piedi nella galleria di Napoli?
    Penso che appartenga alla sua parte onirica. Si parla di questo regista che sta girando in galleria, qualcuno diçe "Fellini?". Quindi una citazione
    Se devo sbilanciarmi con i simbolismi allora direi l'appeso dei tarocchi, sopportare grandi sofferenze per iniziare un nuovo percorso

  10. #7555
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    Ieri sera ho visto questo



    non farò "rovinamenti"

    Sono tre mediometraggi ambientati nella stessa casa realizzati in stop-motion da diversi registi.

    Mi è piaciuta molto la prima storia, ricorda "Coraline e la porta magica", forse per via degli umani molto simili a bambole, l'ultima mi ha annoiata anche se ha un bel messaggio ed è quella di cui si trova il maggior numero di recensioni e di cui si cantano le lodi.

    Ma quella di mezzo.. in alcune scene viene da pensare:" che si prende la tipa? Voglio il numero del suo spacciatore"

    Non so se ci saranno altri episodi in futuro
    Ultima modifica di Breakthru; 27-01-2022 alle 13:41

  11. #7556
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    "The Tragedy of Macbeth" (2021) di Joel Coen

    La storia è quella conosciuta: Macbeth prende il trono di Scozia con la forza, lo gestisce con tirannia e lo perde con eguale moneta. Lungi dal voler giudicare da un punto di vista letterario l'ennesima versione della tragedia di Shakespeare (Welles, Polanski, Kurzel le precedenti nel cinema), devo notare l'ottima regia di Joel Coen, per una volta senza il fratello, di una fotografia in bianco e nero che per una volta non mi fa vergognare per via del digitale, ma rimangono delle perplessità sull'interpretazione. Denzel Washington è un Macbeth meritevole con il suo incedere poco British, per non parlare del suo accento, oppure questa è una versione da far digerire solo al mercato a stelle e strisce? In generale leggo recensioni ottime sui giornali, metà e metà da parte del pubblico. Ma Shakespeare non è affatto facile.

    The Tragedy of Macbeth ***

  12. #7557
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    "The House fo Gucci" (2021) di Ridley Scott

    Saga familiare dei Gucci, fondatori dell'omonima casa di moda, a partire dall'incontro tra Maurizio Gucci, rampollo di famiglia, e Patrizia Reggiani, figlia di un piccolo imprenditore che vede in Maurizio la sistemazione che cambierà per sempre la sua vita. Ma Maurizio non sembra interessato a prendere le redini dell'azienda, a gestire il marchio e più in generale ad accumulare ricchezza. Sarà Patrizia a convincerlo del contrario. Film biografico che si trasforma in un fatto di cronaca attraverso un percorso teso a evidenziare la vacuità e la superficialità del mondo della moda. Seguendo questo profilo è difficile trovare un significato diverso a un film che si avvale di grandi attori (Al Pacino, Jeremy Irons) ma che alla fine non aggiunge nulla di nuovo alla vicenda. Calcando la mano, Maurizio e Patrizia si incontrano per la prima volta in un locale di Milano e iniziano a parlare in inglese....sarà così per tutto il film. Due italiani che parlano tra loro in inglese, a parte qualche isolata parola o espressione, come "grazie" "buongiorno" "principessa" etc. La musica, per non sbagliare è spesso tratta dalle opere liriche italiane. Però poi c'è qualche brano italiano degli anni sessanta, anche se la vicenda si svolge dagli anni settanta in su. Piccoli dettagli che fanno capire con quale cura sia stato fatto, a parte le ville e gli alberghi più lussuosi, abiti firmati Gucci (credo). Però c'è Lady Gaga.

    The House of Gucci **

  13. #7558
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    “Don’t Look Up” (2021) di Adam McKay
    Una studentessa di astronomia (Jennifer Lawrence) osservando alcune immagini dell’universo scopre una nuova cometa e il suo professore (Leonardo di Caprio) che la stessa è diretta contro la terra e a fatica riesce ad ottenere un colloquio con il Presidente degli Stati Uniti (una spassosissima Meryl Streep) la quale non intravvede tutto questo percolo per poi tornare sui suoi passi quando deve coprire degli scandali. Il film che è tutto nella interpretazione dei grandi attori (anche Cate Blanchett e l’onnipresente Timothée Chalamet), è una parodia del cinema che si occupa del pericolo che viene dallo spazio e di quello tipo Malick circa il significato della vita o cose simili. Ottima l’impaginazione con titoli di apertura e di coda che presentano delle sorprese.

    Don’t Look Up **
    Detesto i film catastrofici, ma questo l’ho gradito, soprattutto per la conclusione che lo ha riabilitato, e perché ha sollevato parecchie questioni, pur rimanendo un film comico: il rifiuto di molti a seguire la scienza, il peso dei mass-media e dell’apparire, la reazione delle moltitudini.
    Magari qualche statuetta la riceverà, visti anche i nomi altisonanti.

  14. #7559
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    “The power of the dog” (2021) di Jane Campion
    Due fratelli gestiscono un ranch, ma il lavoro è soprattutto sulle spalle di uno dei due, mentre l’altro sembra svolgere apparentemente un ruolo di direzione. Quando quest’ultimo si unisce a una giovane vedova con un figlio cresciuto e un problema con la bottiglia i rapporti tra i due fratelli peggiorano. Questo è solo l’inizio, mentre la fine è inattesa. Presentato a Venezia, il film è un western al crepuscolo dove i protagonisti, ma anche l’intera società che li circonda, sono oramai interessati a godersi il benessere ottenuto (si vede anche una partita di tennis). Magistrale la regia della Campion (Leone a Venezia per questo) all’interno della quale aleggiano i fantasmi di John Ford e Sergio Leone. Ottime anche le interpretazioni di Kirsten Dunst e Benedict Cumberbatch. Non così efficace la sceneggiatura, della stessa Campion, che sembra ostentare sui dettagli più che rendere maggiormente incisiva la storia.
    The power of the dog ***
    Un film di aspre solitudini ed in cui il disagio è tutto interiore. A riscattarli un’ambientazione favolosa, un Far-West degli epigoni ed un’omosessualità taciuta.

    Non si merita l’Oscar, troppo lento e poco accattivante.

  15. #7560
    Uncharted, super film di mega azione con Tom Holland (lo Spiderman della Marvel Cinematic Universe), tratto dall'omonima serie di videogiochi. Racconta le avventure del cacciatore di tesori Nathan Drake. Direi molto, molto bello (per chi ama il genere ovviamente).

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