“L’arte della gioia – seconda parte” (2024) di Valeria Golino
Allontanatasi dal convento, in attesa che si materializzi la vocazione, Modesta viene accolta a braccia aperte nella sua proprietà vicino a Catania da una ricchissima baronessa che non perde tempo per affidarle compiti di responsabilità, primo fra tutti quello di seguire un figlio menomato che vive segregato in una camera della casa e che a Modesta accende interessi e ambizioni. Ma non c'è solo lui nel suo perimetro; c'è la figlia della baronessa, l'autista e il fattore, tutte pedine che la ragazza manovra a proprio piacimento per ottenere ciò che vuole. Ma accanto a un’idea della ragazza che la disegna egoista e cinica tesa solo a raggiungere i suoi obiettivi, ce n'è un’altra con la quale si può notare come lei dispensi gioia e conforto nei confronti delle persone che circondano. Perché il suo motto è mai più schiava ma neppure padrona, ora che è diventata la persona più importante dopo la baronessa. Ma fa un errore che in verità non lo è ovvero rimanere incinta in una casa dove non è consentito. Ma ormai il suo orizzonte si è ampliato verso la città, perché la vita di campagna tra contadini e persone che hanno una visione limitata le rimane stretta.
Rispetto alla prima parte in questa c'è più carne al fuoco nel racconto con il rischio che si scivoli verso il polpettone che la maestria della Golino evita. Un plauso alla regista.
L’arte della gioia ***