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Risultati da 1 a 15 di 26

Discussione: Idolatria cristiana

  1. #1

    Idolatria cristiana

    i cristiani sono idolatri, peggio ancora i cattolici, questa

  2. #2
    * L'avatar di Boyakki
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    Lodevole la correttezza delle informazioni storiche e dell'analisi del culto, ma posso suggerire un "ridoppiaggio" del video? Sono inascoltabili.... Imparate qualcosa dalla chiesa cattolica e datevi un po' al marketing.
    [I]Sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessit

  3. #3
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Non dobbiamo mica vendere, casomai dobbiamo acquistare.
    Inutile citare il marketing per farci un'immagine a terzi, quello che conta è lo sforzo per rimanere se stessi.

  4. #4
    Opinionista
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    [QUOTE=guardiano74;1030878[CODE]]i cristiani sono idolatri, peggio ancora i cattolici, questa

  5. #5
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Provo a fare una breve riflessione.it.
    A volte l'umore degli iscritti al sito, me compreso ( mea culpa), invece di prendere la forma ideata dai costruttori di un fraterno e sincero confronto volge verso aspre opposizioni di quale religione (o pensiero) sia meglio delle altre; ovviamente per un innato senso di appartenenza, portando la derivata prima = 0 o meglio andando per la tangente, senza quella necessaria apertura che è alla base di qualsiasi costruttiva discussione.
    Consigliando quindi a tutti, e questo vale anche per me, di riflettere e costruire anziché di distruggere mi sorge una curiosità che, per la mia superficiale conoscenza della Genesi, probabilmente Alexxander mi può risolvere.
    Perché nel libro della Creazione il nome di Dio ( gli Eloim) viene espresso al plurale? Non è forse una forma arcaica per indicare un Dio fra tanti ( Pantheon)? Che poi in seguito è diventato il Dio più grande con il nome di Yavhé, e poi unico?
    Quindi riassumendo chiedo ad Alexxander un chiarimento, considerando che in fatto di Genesi è sicuramente è più ferrato di me, perché nei Sacri Testi il riferimento a Dio è espresso in forma plurale? come se Dio non fosse un Dio unico.

  6. #6

  7. #7
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Diceva un certo Melantone: "Scriptura non potest intelligi theologice, nisi antea intellecta sit grammatice", che tradotto significa" La scittura non pu

  8. #8
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    [QUOTE=crepuscolo;1035068] [QUOTE]perch

  9. #9
    Astensionista L'avatar di nahui
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    in una nuvola di smog
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    Ma cosa intendete esattamente per idolatria?
    L'adorazione per pi
    Il vero castigo per chi mente non è di non essere più creduto, ma di non potere credere a nessuno.
    (George Bernard Shaw)

  10. #10
    Opinionista L'avatar di PACE
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    Ciò che è importante è IL MODO col quale si adora la divinità; se col cuore, profondamente, oppure come tradizione o solo quando ci aggrada, sfiorando così la superstizione. L'immagine può aiutare come no, non è il centro di tutto
    "Tutti sotto lo stesso tendone blu, il Cielo di Dio, credenti di qualsiasi religione e non credenti, con la certezza che l

  11. #11
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    L'immagine, secondo me, anche se mirabile, esprime solo il pensiero o l'opera di un essere umano; ed a volte, anzi spesso, anzi sempre, si sostituiscono a Dio.
    Su questo, anche se da bambino (influenza sostitutiva del fanciullo) rimanevo meravigliato, sono pienamente d'accordo con Ebrei ed Arabi sul fatto di non materializzare l'idea di Dio, infatti come

  12. #12
    Opinionista L'avatar di PACE
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    Vero, ma lo ammiriamo perchè ci trasmette qualcosa; perchè fà vibrare le corde spirituali che abbiamo dentro
    "Tutti sotto lo stesso tendone blu, il Cielo di Dio, credenti di qualsiasi religione e non credenti, con la certezza che l

  13. #13
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Dipende cosa suonano

  14. #14
    Opinionista L'avatar di tresor
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    sulle alpi nel nord italia
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    [QUOTE=PACE;1035947]Vero, ma lo ammiriamo perch

  15. #15
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Ultima cena (Leonardo)
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    Ultima cena
    Leonardo da Vinci, 1495-1498
    tempera e olio su gesso 460 cm × 880 cm
    Milano, chiesa di Santa Maria delle Grazie
    L'Ultima cena (detta anche il Cenacolo) è un dipinto di Leonardo da Vinci eseguito per il suo patrono, il duca di Milano Lodovico Sforza. Rappresenta la scena dell'ultima cena di Gesù; il dipinto si basa sul Vangelo di Giovanni 13:21, nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi discepoli.

    L'opera misura 4,6 × 8,8 m e si trova nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Leonardo iniziò a lavorarvi nel 1495 e la completò nel 1498, come testimoniato da Luca Pacioli che in data 4 febbraio di quell'anno ne parla come di un'opera compiuta.

    Come è noto, non si tratta di un affresco, in quanto Leonardo non ha mai realizzato affreschi nel senso esatto del termine. L'affresco è caratterizzato da una pittura stesa su uno strato di intonaco ancora fresco dove, a seguito del fenomeno di carbonatazione, il pigmento della pittura diventa parte dell'intonaco stesso garantendo una grande resistenza nel tempo. Leonardo, invece, a causa dei suoi lunghi tempi realizzativi e delle frequenti correzioni in vista del risultato finale, non "affrescava", metodo che richiede grande rapidità di esecuzione. Prediligeva invece dipingere su muro come dipingeva su tavola; i recenti restauri hanno permesso di appurare che l'artista usò una tempera grassa a base di olio di lino e di uovo stesa su un duplice strato di intonaco. La tecnica impiegata e l'uso di materiali organici, però, determinò ben presto un degrado dell'opera già citato dal Vasari nelle Vite. Stupisce nel Cenacolo la presenza di dettagli molto precisi visibili solo da distanza ravvicinata.

    Nella novella LVIII (1497) Matteo Bandello racconta come Leonardo lavorasse attorno al Cenacolo:

    « Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; solve, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove. »
    (Matteo Bandello, Novella LVIII)

    « Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. » (Giovanni 13, 21-26 Gv13,21-Gv13,26)

    Il tema, forse suggerito a Leonardo dai domenicani del convento di Santa Maria delle Grazie, è quello del momento più drammatico del vangelo di Giovanni (Gv. 13,21 e seguenti), quello in cui Cristo proferisce la frase: "Uno di voi mi tradirà" e da queste parole gli apostoli si animano drammaticamente, i loro gesti sono di stupore e di meraviglia; c'è chi si alza perché non ha percepito le parole, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come Giuda Iscariota, sentendosi subito chiamato in causa. Una moltitudine complessa di sentimenti e movimenti, che Leonardo cerca di rappresentare soprattutto attraverso i gesti delle mani e le espressioni dei volti, che però si fonde in una armonia di semplicità e bellezza unica, che rende questo dipinto uno dei più belli e citati del mondo.

    Pietro (quarto da sinistra) con la mano destra impugna il coltello, come in moltissime altre raffigurazioni rinascimentali dell'ultima cena, e, chinandosi impetuosamente in avanti, con la sinistra scuote Giovanni chiedendogli "Dì, chi è colui a cui si riferisce?" (Gv. 13,24). Giuda, davanti a lui, stringe la borsa con i soldi ("tenendo Giuda la cassa" si legge in Gv. 13,29), indietreggia con aria colpevole e nell'agitazione rovescia la saliera. All'estrema destra del tavolo, da sinistra a destra, Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati il loro smarrimento e la loro incredulità. Giacomo il Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui Filippo porta le mani al petto, protestando la sua devozione e la sua innocenza. Al centro è raffigurato Cristo con le braccia aperte che, in un gesto di quieta rassegnazione, costituisce l'asse centrale della compositiva. Se per esempio si traccia una ipotetica linea che va dal volto di Filippo (l'apostolo più in alto) a quello di Giuda (non a caso l'apostolo più in basso) questa passa esattamente dal volto di Gesù. E molte altre sono le simmetrie nascoste.

    Le figure degli apostoli sono rappresentate per esempio in un ambiente che, dal punto di vista geometrico, pur essendo semplice è estremamente preciso. Attraverso semplici espedienti prospettici (la quadratura del pavimento, il soffitto a cassettoni, gli arazzi appesi alle pareti, le tre finestre del fondo e la posizione della tavola) si ottiene l'effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, tale da mostrarlo come un ambiente nell'ambiente del refettorio stesso, una sorta di raffinato trompe l'oeil.

    La probabilità che certi particolari della composizione possano essere stati suggeriti dai domenicani (forse dallo stesso priore Vincenzo Bandello) è data dal fatto che questo ordine religioso dava grande importanza all'idea del libero arbitrio: l'uomo non sarebbe predestinato al bene o al male ma può scegliere tra le due possibilità.[5] Giuda infatti nel dipinto di Leonardo è raffigurato in modo differente dalla grande maggioranza delle ultime cene dell'epoca, dove lo si vede da solo, al di qua del tavolo. Leonardo raffigura invece Giuda assieme agli altri apostoli, e così aveva fatto pure il domenicano fra Giovanni Angelico (detto Beato Angelico), nell'Ultima cena del convento di San Marco a Firenze, lasciandogli l'aureola al pari degli altri. Altra evidente differenza tra l'opera di Leonardo e quasi tutte le ultime cene precedenti è il fatto che Giovanni non è adagiato nel grembo o sul petto di Gesù (Gv. 13,25) ma è separato da lui, nell'atto di ascoltare la domanda di Pietro, lasciando così Gesù solo al centro della scena.

    Che la scena raffigurata da Leonardo derivi dal quarto vangelo è intuibile, oltre che dal "dialogo" tra Pietro e Giovanni, dalla mancanza del calice sulla tavola. Diversamente dagli altri tre, detti vangeli sinottici, nel quarto non è descritta la scena che viene ricordata durante la messa al momento della consacrazione: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27). Giovanni, dopo l'annuncio del tradimento, scrive invece così: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri." (Gv. 13,34).
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