Da Il Gran Conflitto:

La pretesa della chiesa di avere il diritto di perdonare è per molti un incentivo a peccare. La confessione, senza la quale essa non accorda il perdono, tende ad autorizzare il male. Chi si inginocchia davanti a un uomo peccatore e, mediante la confessione, gli rivela i pensieri e le fantasie del suo cuore, degrada la propria dignità e avvilisce gli impulsi più nobili del proprio spirito. Rivelando i peccati della sua vita al sacerdote, che è un essere mortale fallibile, esposto anch’egli al peccato, forse dedito al vino e alla sregolatezza, l’uomo abdica alla propria dignità morale e si degrada. Poiché il sacerdote è per lui il rappresentante di Dio, egli finisce con l’abbassare il concetto della divinità a quello dell’umanità caduta. Questa confessione degradante da uomo a uomo è la molla segreta che ha provocato gran parte dei mali, che affliggono il mondo e che preparano l’umanità per la sua distruzione finale. Eppure, per chi ama seguire le proprie inclinazioni, è più piacevole confessarsi con un proprio simile piuttosto che aprire il suo animo a Dio. È tipico della natura umana preferire una penitenza piuttosto che abbandonare il peccato; è più facile affliggere il corpo con il cilicio e con altre mortificazioni che “crocifiggere” le proprie passioni. L’uomo carnale preferisce portare gioghi pesanti piuttosto che piegarsi a quello del Cristo.*{GC 443.2}

Abbiamo già visto in Liete Novelle, testo bahà'ì:

“La nona Lieta Novella.
Il peccatore, quando si sente completamente distaccato
e libero da tutto fuorché Dio, deve implorare la Sua
indulgenza e il Suo perdono. La confessione di peccati e
colpe davanti a creature umane non è permessa, perché ciò
non ha mai comportato né mai comporterà il perdono di
Dio. Inoltre la confessione innanzi a un uomo è motivo di
mortificazione e umiliazione e Dio - sia esaltata la Sua gloria -
non desidera l'umiliazione dei Suoi servi.”