E’ lo stesso Gesù, questo psicoterapeuta, che si definisce un “medico”, ma non per i sani o per coloro che presumono di esserlo, bensì per i malati che hanno il coraggio di riconoscersi tali (Mc. 2,17; Lc. 5,31 ) .
Questo medico non è un dilettante che parli, poniamo, di esperienza di sé senza conoscere con precisione quale ne sia in realtà il significato. Non è un ciarlatano che dia sfogo a stati emotivi, per poi lasciare le cose come prima; non è un mestierante dei sintomi, secondo il metodo del “presto fatto, presto liquidato”. No, in ogni caso egli punta direttamente all’”interiorità”, alla sostanza, penetrando oltre le semplici apparenze; mira all’”interno”, al “cuore” , e questo significa, nel linguaggio del Nuovo Testamento, l’uomo nella sua interezza, fatto di corpo e di anima.
Le sue parole ed i suoi atti, in qualunque situazione, non si ispirano ad una dottrina di facile applicazione o ad una teoria valida in generale: il suo sguardo giunge in profondità ed è tutta la sua esistenza che entra in gioco.
E’, per dirla in immagine, come chi, edificando una casa, “scava in profondità”, finché non sia giunto alla roccia che le farà da sostegno. Egli ritiene infatti che la personalità debba trovare in questo modo le sue fondamenta: e perciò “ha scavato molto profondamente” (Lc. 7,48).
Che altro fa, o cerca di fare, l’analista, il psicoterapeuta?

Oskar Pfister, pastore protestante e psicoanalista, ha sostenuto contro Sigmund Freud, nel 1928, che nel pensiero e nell’azione di Gesù entrano innegabilmente in gioco i motivi che precorrevano decisamente la direzione dell’analisi , ed ha parlato di questi motivi come di “tracce luninose”, in Psychoanalyse und religion”.