Se vogliamo raggiungere il significato originario della parabola , dobbiamo chiederci quale effetto abbia avuto sugli ascoltatori di Gesù la figura del servitore, e non impiegato come dici tu, cui è stata concessa una particolare fiducia ed una speciale responsabilità e che all’improvviso viene controllato dal suo padrone che torna.
Per costoro la designazione dei capi, dei regnanti, dei profeti e degli uomini di Dio come “servi di Dio”, secondo l’Antico Testamento, era un’immagine corrente ( leggi Dodd ); per costoro i dottori della legge erano come gli amministratori stabiliti da Dio, ai quali erano state affidate la chiavi del Regno dei cieli ( Mt 23,13; Lc 11,52).
Pertanto essi ascoltando la parabola del servo incaricato della sorveglianza, dovevano pensare ai capi religiosi.
Ammesso questo, la parabola acquista uno scottante riferimento con la situazione della vita di Gesù. Essa rappresenta uno dei molti e minacciosi richiami ai capi del popolo, in particolare ai dottori, e non ragionieri, della legge. Gesù grida loro che s’avvicina la resa dei conti, quando Dio esaminerà se essi hanno meritato la fiducia concessa oppure ne hanno abusato.
La Chiesa primitiva interpreta naturalmente il ritardo del padron di casa con il protrarsi della parusia; in questo caso il padrone di casa è il Figlio dell’uomo salito al cielo che torna impro9vvisamente per il giudizio finale; il servo viene interpretato come i membri, oppure come i capi della comunità (Luca), i quali sono esortati a non lasciarsi indurre in tentazione a causa del ritardo della parusia.
Della parabola citata ne abbiamo tre redazioni:
Mt 25,14-30; Lc 19,12-27 e nel Vangelo dei Nazareni.
Cominciamo procedendo in senso inverso, con la redazione che più si discosta dall’originale.
Nel vangelo dei Nazareni, accanto al servo che ha moltiplicato il denaro affidatogli e a quello che ha nascosto il talento, vi è un terzo servo, il quale ha scialacquato il suo denaro con le donne di malaffare e le suonatrici di flauto: il primo riceve un riconoscimento, il secondo è solo rimproverato, mentre il terzo viene gettato in prigione. Questo rifacimento, infedele soltanto nell’accenno allo scialacquo è una forma inzotichita a sfondo moraleggiante che la parabola ha ricevuto nella Chiesa giudeo-cristiana.
In Luca, la parabola ha un rivestimento completamente diverso da quello di Matteo. Al commerciante all’ingrosso di Matteo corrisponde in Luca un uomo di alto lignaggio che si mette in viaggio per ricevere un regno; un’ambasceria di suoi concittadini cerca di sventare ciò; ma egli ritorna come re e fa trucidare i servi davanti ai suoi occhi.
Probabilmente, in questi tratti noi ci troviamo di fronte ad una seconda parabola originariamente a sé stante: quella del pretendente al trono, collegata alla situazione storica dell’anno 4 a.C.
Allora Archelao partì verso Roma per farsi confermare il potere sulla Giudea; contemporaneamente si mise in viaggio per Roma una missione giudaica di cinquanta persone allo scopo di impedire la sua nomina (Giuseppe Flavio).
Sembra che Gesù abbia utilizzato la sanguinosa vendetta che Archelao fece al suo ritorno – rimasta indimenticabile sul popolo – per ritrarre, con una parabola della crisi, i suoi uditori da una falsa sicurezza.
Come allora si verificarono all’improvviso il ritorno e la vendetta di Archelao contro i suoi nemici, altrettanto improvvisa irromperà su di voi la rovina.