La diversità, le migrazioni e il ritorno economico per le aziende e per noi stessi

=> (MA NON SOLO - aggiungo io, perchè nell'articolo c'è molto di più)

Premessa

Viviamo in un’epoca buia della nostra storia, nella quale si chiudono i porti ai migranti, si separano forzatamente i bambini dai propri genitori, si vogliono censire le diverse etnie, si discriminano le unioni che non siano eterosessuali. Probabilmente è necessario ripartire dalle basi, uscendo dalla propaganda politica che sta prendendo il sopravvento contro l’umanità stessa. Dobbiamo rivedere il concetto stesso di diversità, nelle aziende e nella vita di tutti i giorni, rischiando anche di ribadire l’ovvio, perché evidentemente così non è: in un mondo civile ed evoluto, l’articolo che segue non avrebbe senso.

I migranti per cercare un posto più sicuro che permetta a loro almeno di sopravvivere, devono affrontare dei viaggi pericolosi e pieni di insidie, rischiando la propria vita e quella dei loro figli; ma c’è anche un altro viaggio che deve essere intrapreso, questa volta da tutti noi e dentro di noi, per apprezzare il valore della diversità che, se vista da altre prospettive, ci arricchisce (e non solo umanamente). Vi descriverò un viaggio che affronterà tutte le diversità, non solo quelle del migrante, perché c’è sempre uno straniero dal quale crediamo di doverci difendere, anche se parla la nostra lingua e ha la pelle del nostro stesso colore. E infine lo farò da una prospettiva necessariamente aziendale, vicina al mio vissuto, parlando in termini di fatturato e margini, perché purtroppo la filantropia non è mai stata un KPI presente in nessun tavolo dirigenziale, se non ai fini di brand identity, evidentemente poco efficaci.

Si parte, ma fate attenzione: questo viaggio non si misura in miglia, come nel caso dell’Aquarius, ma in gradi di consapevolezza.


Primo grado: chi sono i diversi

Quale tipologie di persone mancano nelle aziende, soprattutto tra i top manager, tanto da riconoscerne la mancata diversità? Insomma, permettetemi una forzatura dialettica: chi sono i diversi? Stiamo parlando delle donne, delle persone di altre etnie, di altre culture, di gender diversi. Scritta così, ci sembrano minoranze, ma proviamo a definire il concetto di diversità usando il suo complemento:

Per la maggior parte delle aziende sono diversi tutti coloro che non sono giovani uomini bianchi ed eterosessuali

Questo è il primo grado di consapevolezza in questo viaggio sulle diversità: i cosiddetti diversi sono la stragrande maggioranza. A conti fatti, anche il termine diversità non è appropriato: probabilmente sarà stato coniato anch’esso dalla minoranza giovane, bianca ed eterosessuale.


Secondo grado: correlazione tra la diversità e il ritorno economico per le aziende che la attuano

Una importante ricerca della McKinsey intitolata “Diversity Matters” ci spiega, dati alla mano, come ci sia una stretta correlazione tra il grado di diversità introdotto nelle aziende e le loro relative performance finanziarie (EBIT).

(...)

Terzo grado: perché la diversità è importante

Le ragioni sono molteplici, difficile metterle in ordine di importanza. Sempre McKinsey ci ricorda le principali:

• Focalizzandosi sulle donne e le minoranze etniche si allarga la pletora di possibili talenti candidati da poter assumere
• Nel Regno Unito, ad esempio, le donne e le varie minoranze etniche sono i principali clienti di prodotti consumer, si stima più dell’80%!
• La diversità aumenta la soddisfazione degli impiegati di una azienda, riducendo i conflitti tra i vari gruppi e migliorando la collaborazione
• La diversità alimenta l’innovazione e la creatività, migliorando tutti i processi di problem solving, facendo emergere più velocemente le nuove idee

(...)

Quarto grado: lo stato delle diversità per categoria

Quando si parla di persone, categorizzare è una pratica deleteria e pericolosa, si rischia di entrare in un terreno viscido e paludoso dal quale è difficile uscirne indenni. Ma per superare il quarto grado di consapevolezza, è necessaria un’attenta disamina di tutte le realtà che ad oggi sono fuori, o quanto meno ai margini, del mondo lavorativo (e non solo). Questo perché, è bene ribadirlo, quando si parla di esclusioni, non ci sono solo i migranti. Lo straniero diventa un concetto astratto che include, non solo tutte le persone non bianche, ma anche tutte le donne, i gay, i trans, le lesbiche, e tutti coloro che hanno superato i 45 anni di età (bianchi e non)

(...)

Quinto grado: cosa fare per essere più inclusivi

Siamo all’ultimo grado di consapevolezza, alla fine di questo nostro viaggio: una volta capita l’importanza della diversità e di come possa fare la differenza anche e soprattutto in termini di business, è necessario chiedersi cosa si è fatto e cosa si può fare per mettere in atto le relative politiche di inclusione.


http://www.econopoly.ilsole24ore.com...ne-donne-lgbt/


L'articolo fa riferimento anche a un articolo di Scientific American del 2014:

“la fatica che implica la diversità può essere pensata come alla fatica di un esercizio che ci fortifica”

“The pain associated with diversity can be thought of as the pain of exercise. You have to push yourself to grow your muscles. The pain, as the old saw goes, produces the gain. In just the same way, we need diversity—in teams, organizations and society as a whole—if we are to change, grow and innovate.”

“How diversity makes us smarter“ - Katherin W. Phillips (2014)

https://www.scientificamerican.com/a...es-us-smarter/

Io penso che la diversità sia l'essenza di tutti i sistemi viventi. Non a caso sappiamo che è importante tutelare la biodiversità, perchè nella lotta tra organismi distruttivi e organismi produttivi, chi è più bravo a differenziarsi, vince. Se il virus muta più velocemente di quanto l'organismo attaccato si modifica per difendersi, è la fine.
Dunque io non capisco perché al giorno d'oggi viviamo una assurda contraddizione: molta gente teme la globalizzazione perchè la vede come un'omogeneizzazione di tutte le diversità, ma allo stesso tempo teme le diversità per paura del "diverso".
Sinceramente lo trovo un paradosso.
Nè la globalizzazione è in grado di appiattire la varietà umana, né la diversità è qualcosa di così terribile a mio avviso. Perché, in particolare gli occidentali, sono così riluttanti a confrontarsi con la complessità del mondo ? Sono (mediamente) più anziani ? Sono egoisti ? Sono culturalmente rigidi ? Non capisco.