Di norma detesto i bambini, quindi il mio atteggiamento nei confronti del loro disagio oscilla tra l'indifferenza e un vago sentimento di soddisfazione per aver ormai superato quella fase, ma siamo sotto Natale, la loro festa preferita, perciò ho pensato di dedicargli un topic che metta in luce un aspetto poco condiviso, ma a mio avviso assolutamente evidente.
Molti sono abituati a considerare l'infanzia come un momento gioioso e spensierato, costituito unicamente dal gioco e lontano dai problemi veri che faranno la parte del leone durante l'età adulta. Secondo me questa è opinione del tutto falsa che deriva principalmente da un paio di bug della psiche umana: in primo luogo la selettività dei ricordi che tende a farci dimenticare le cose spiacevoli in favore di quelli piacevoli, mettendo sempre più rosa nel filtro dell'ottica che guarda al passato mano a mano che la memoria si fa più sfumata; in secondo luogo la nostra attitudine ad adottare il nostro metro di giudizio anche dove non avrebbe senso farlo, ignorando in tal modo che, per quanto ci possano apparire insignificanti da adulti, i problemi che avevamo da bambini erano montagne insormontabili e tra l'altro ci toccava affrontarli disponendo di un vocabolario di parolacce e bestemmie assai più povero, cosa davvero frustrante.

Entriamo nel vivo, dell'analisi, andiamo indietro indietro, non possiamo ricordarlo ovviamente, ma sappiamo bene quale è stata la primissima cosa che abbiamo fatto appena nati: abbiamo pianto. Non ci è dato sapere il perché, ma è un dato incontrovertibile: la prima azione volontaria che un essere umano compie al momento di venire al mondo è esplicitare la sua sofferenza. Il pianto ci accompagnerà a lungo nel nostro viaggio, dapprima sarà quasi l'unico modo di relazionarci agli altri, poi impareremo a parlare, ma continueremo comunque a piangere molto spesso (è vero, i bambini ridono anche molto spesso, ma crescendo si perde certamente di più il pianto di quanto non si perda il riso, non è così illogico pensare che si impari col tempo a soffrire un po' di meno, mentre nei primi anni si manchi degli strumenti di difesa adeguati).
Assodato che sofferenza e tristezza siano ben lungi dall'essere retaggio esclusivo dell'età adulta, passiamo ad un altro sentimento che permea la vita di ogni bambino: la paura. Il mondo sa essere un luogo davvero terrificante, non so voi, ma io ben poco riesco a ricordare che mi abbia sconvolto di più dei miei incubi ricorrenti dell'infanzia, ancora oggi sono stampati indelebilmente nella mia memoria, e ancora oggi riescono a provocarmi un brivido, ma quello è niente... a volte ho l'impressione che nessuno ricordi cosa significasse avere paura del buio, niente e nessuno può difenderti dal buio, non sparirà certo chiudendo gli occhi. Inoltre gli adulti, teoricamente unica fonte di rassicurazione per queste paure molto spesso sono del tutto impotenti, loro nemmeno li vedono i mostri che si celano sotto il letto o nell'armadio, che mai potrebbero fare?
Gli altri bambini non mancano a rendere l'infanzia un'esperienza atroce, sono egoisti, non tengono in nessun conto i sentimenti altrui, l'empatia si sviluppa con il tempo, prima che questo accada prepotenza, discriminazione e bullismo saranno la norma, il branco sarà coeso perché nessuno sarà davvero consapevole di stare ferendo il diverso/debole di turno.
In ultimo torniamo al rapporto con gli adulti, questo è a mio avviso l'aspetto peggiore di tutta la faccenda: l'opinione del più stupido adulto sarà presa in considerazione più di quella del più intelligente tra i bambini, lui saprà tutto e tu niente e contraddirlo susciterà solo ilarità. Ricordo di essere stato da piccolo a vedere uno spettacolo dell'illusionista David Copperfield, sapevo bene che si trattava di trucchi, tra l'altro il mago stesso lo dichiarava all'inizio dello spettacolo, nondimeno, il giorno dopo, raccontando la mia esperienza a un qualche zio percepivo chiaramente l'atteggiamento di dileggio insito nella convinzione che io, in quanto bambino, fossi ovviamente convinto di aver assistito a delle vere magie, ma il punto più alto si raggiunse quando mi trovai a parlare del famoso numero di levitazione, ricordo ancora le parole esatte che accompagnavano quella che era pura e semplice derisione: "È attaccato a dei fili, quelli per pescare", neanche non fossi stato in grado di comprendere la parola nylon (o forse non la conosceva lui, ma si sentiva comunque in grado di smerdarmi con la sua incredibile perspicacia), io provavo a spiegare che sapevo bene che non stava veramente volando, ma che anche disponendo di fili di nylon che reggano i novanta/cento chili di un essere umano rimanendo comunque invisibili agli occhi indagatori di un teatro intero, appendersi agli stessi senza rimanerne affettati sarebbe meno plausibile di una propulsione a scoregge, ma non c'era niente da fare... quel bieco pezzetto di letame se la rideva e non mi ascoltava nemmeno più, e il bello è che sono convinto che non si sia minimamente reso conto ne di stare offendendo la mia intelligenza, ne di essere lui quello che stava dicendo qualcosa di ridicolo, solo io lo sapevo in quel momento. e mi mortificava da morire non poterlo fare capire a nessuno, oggi invece sono più libero dai giudizi altrui, non me ne importerebbe più di tanto, ma per il me bambino, giustamente in cerca di riconoscimentonon era un problema da nulla.

E voi? Siete convinti che l'infanzia sia un'isola felice o vi trovate meglio adesso? Avete qualche aneddoto che vi ricorda che almeno a volte essere un bambino faceva schifo?