Quando la teologia cristiana, che si basa sulla dottrina della creazione, afferma che l’essere dell’universo è analogo a quello di Dio, lo fa perché costretta dalla dottrina della creazione ad affermare che, in quanto creazione di Dio, l’universo deve avere con lui un legame (per l’evidente ragione che nessuna causa può provocare un effetto totalmente diverso da sé), e che tuttavia, in quanto creazione di Dio, non può essere Dio, anzi non può che essere del tutto finito, dipendente e creato.
In altri termini, dal momento che Dio creò il mondo, quest’ultimo deve condividere con l’essere di Dio alcune somiglianze, nel senso che non può essere completamente diverso da Dio; ma il mondo è anche di gran lunga differente dall’essere di Dio, e ciò proprio in quanto è un essere creato, e non un essere divino.
Questa è la motivazione che sta dietro il decreto del concilio Lateranense IV secondo cui “fra il creatore e la creatura non può essere rilevata tanta somiglianza senza che si rilevi insieme una maggiore dissomiglianza”.
Ma ovviamente, dal momento che i termini “somiglianza” e “dissomiglianza” vendono applicati con riferimento al metro dell’essere di Dio, essi pure devono essere intesi in senso analogico (poiché in fin dei conti tutta l’esperienza che noi abbiamo di somiglianza e dissomiglianza deriva dalla nostra esperienza del mondo e nel mondo).
Sembrerebbe prospettarsi a questo punto il rischio di cadere in un processo di regressione all’infinito; ma si tratta di un pericolo evitabile seguendo l’unica strada aperta: ossia partendo dall’essere creaturale
Una teologia basata sulla dottrina dell’analogia evita il pericolo dalla regressione all’infinito, partendo dall’unico punto da cui si può partire: cioè da noi stessi.
E ciò che questa analisi attesta è semplicemente l’inesplicabilità dell’essere del mondo in termini autoreferenziali.
Mascall* ha sintetizzato molto bene l’essenza di questa dottrina dicendo:
“Dio, naturalmente, ci è dato in un concetto, ma non in un concetto di Dio. Egli ci è dato nel concetto dell’essere finito, che dichiara la propria dipendenza, per quanto concerne l’esistenza, da una causa transfinita.



* Questa stessa intuizione è riecheggiata anche in Przywara: “L’analogia entis non suggerisce la costruzione di un concetto di Dio da parte della creatura, ma semplicemente una comprensione della creatura attraverso la considerazione di Dio”.