“era un discorso generale, sulla necessità di quel raziocinio antropomorfo di qualsiasi attribuzione di senso, implicita in un qualsiasi discorso religioso;
cioè, se dobbiamo concludere che un eventuale dio non risponda alla nostre logiche, sia incomprensibile e misterioso, stiamo negando qualsiasi struttura razionale delle relative filosofie morali, gerarchie di pregio, ecc... e allora, di che stiamo parlando ?
una spiritualità moralmente non prescrittiva avrebbe un solo senso eventuale e non categorico, di suggerire prassi per il benessere personale, sganciate da qualsiasi doverosità morale; torturare altri esseri umani produce un effetto catartico, ti fa star bene ? perché no ?
questo è il vero snodo di crisi di tutti i discorsi spiritual-religiosi:
cioè, postulare una creazione intelligente si può: chi ti smentisce davvero ?
ma poi devi spiegare e dimostrare il senso di quella cosmogonia, se vuoi darle una traduzione immanente, nel mondo, tale da discriminare tra un bene e un male, definire un perché che attribuisci ad un'entità divina che in qualche modo indichi una gerarchia di valore;
in soldoni, se vuoi parlare di Dio, o di un dio, e postulare o alludere ad un sistema di valori, mi devi anche rappresentare un costrutto coerente dal quale si evinca che quell'entità esprime coerentemente, a partire dalle fonti che citi, quella "legge";
chi, di fronte alla difficoltà di organizzare un tale sistema, ricorra al puro soggettivismo del recipiente, o all'incomprensibilità divina, si comporta come il famoso piccione sulla scacchiera, che butta giù i pezzi, e distrugge il senso di quelli e la ratio delle mosse, la partita stessa e il senso di giocarla, la stessa parola "scacchi", che diventano pezzi di legno di forme diverse; usi la statuina del cavallo come orecchino, in assoluta avulsione dalla funzione del pezzo.”